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26 febbraio, 2024

La Scala riesuma – e fa rivivere - il Mozart di Strehler

Dopo le riprese nelle stagioni ’78, ’94 e 2017, la Scala ripropone la mozartiana Die Entführung aus dem Serail come allestita da Giorgio Strehler (e Luciano Damiani per le scene e i costumi) nel lontanissimo ’65 a Salzburg, poi nel ’69 a Firenze e finalmente qui nel ’72.

Oggi la ripresa è affidata a Laura Galmarini (con le luci di Marco Filibeck). Sul podio il rampante Thomas Guggeis, già ben noto a Milano per le presenze al Piermarini e all’Auditorium (oltre che per i suoi trascorsi al Conservatorio). 

Teatro affollato, ma non… issimo, ecco; pubblico però ben disposto, con applausi a scena aperta a tutti i numeri (escluso l’esordio di Pedrillo…) e accoglienza calorosa per tutti alla fine.

Dello spettacolo inutile ripetere la bellezza, incontaminata dopo 55 anni! E a proposito, cito subito l’inossidabile Marco Merlini, sempre strepitoso nella sua gag dell’inizio atto terzo (e anche come coreografo dei Giannizzeri.)

Sven-Eric Bechtolf nella parte di Bassa Selim poi è davvero un lusso…
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Thomas Guggeis überalles! Cosa non ha cavato da un’orchestrina proprio… settecentesca. Magari col tempo sfronderà la sua direzione dalla (esteriore e scusabile, perché giovanile) …motorietà, ma la sostanza c’è e come, e ora ne abbiamo la conferma anche nel teatro, dopo le eccellenti prestazioni nel sinfonico. Per lui un meritato trionfo. Coretto di Giorgio Martano (con i quattro solisti) impeccabile.

Come si poteva prevedere, Jessica Pratt è stata l’altra trionfatrice della serata: una Konstanze musicalmente quasi perfetta, e non solo negli acuti e nelle colorature, che sono la sua specialità: dopo il massacrante passaggio delle due arie consecutive (Traurigkeit e Martern) l’applauso è scrosciato lungo e intenso.

Benissimo anche la Blonde di Jasmin Delfs: voce pulitissima e ottima presenza scenica (vedi il duetto-scontro con Osmin).

Daniel Behle è stato un Belmonte più che discreto. Gli è stata ancora inspiegabilmente risparmiata la commovente aria N°15 del second’atto, Wenn der Freude Tränen fliessen (manco a dirlo, aria giustamente citata fra le più importanti nella presentazione di Elisabetta Fava sul programma di sala…) Ma si è ben rifatto nella più impegnativa Ich baue ganz auf deine Stärke, che apre l’atto conclusivo.

Michael Laurenz è invece emerso assai bene come Pedrillo, voce squillante e gran presenza scenica.

L’Osmin di Peter Rose fa sempre un figurone grazie a… Damiani e Strehler; vocalmente dignitoso, ma non straordinario (e poco… cattivo, ecco).

Come detto, accoglienza calorosa con picchi per Pratt e Guggeis. In conclusione: una bella serata di musica e di spettacolo! 

16 dicembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.6

Il sesto concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano vede sul podio il Wunderkind Thomas Guggeis che dirige un programma fatto tutto (si potrebbe dire) in famiglia.

Siamo infatti a casa Schumann e ci troviamo un frequentatore abituale: Brahms. Entrambi pubblicheranno 4 Sinfonie e il concerto prevede l’esecuzione delle due Terze. Gli esegeti si sono sbizzarriti nel proporre più o meno improbabili similitudini e confronti: uno di questi apparenterebbe le due sinfonie all’Eroica beethoveniana: entrambe hanno i movimenti esterni assai energici, il primo di entrambe è in tempo 3/4 e una di esse ha pure il MIb di impianto…

In realtà sono due sinfonie dal carattere sereno, in modo maggiore (MIb per Schumann, FA per Brahms). Schumann evoca la Natura, sotto le spoglie del più grande fiume romantico, il Reno (nel quale romanticamente si getterà, totalmente uscito di melonera…) e dell’austero gotico della Cattedrale di Colonia; nella sinfonia del secondo la padrona di casa, Clara, dichiarerà di vedere (primo movimento) boschi e foreste con il sole che sorge dietro gli alberi, i boscaioli (secondo movimento) inginocchiati ai piedi di una cappella nel verde, e ancora lo sciacquio del ruscello ed il ronzio degli insetti… (quindi, niente di eroico, ma una Pastorale? Dopo un’altra pastorale, la Seconda?)

Questi due esempi possono farci riflettere sull’eterno problema dell’essenza della musica. Nel caso di Schumann la Sinfonia fu dallo stesso Autore inizialmente arricchita di attributi extra-musicali: un mattino sul grande fiume, l’austera cerimonia in una chiesa… attributi poi ritirati per far posto all’invito all’ascoltatore ad abbandonarsi alle note, solo da esse traendone gratificazione (40 anni dopo il suo epigono – e ri-orchestratore - Mahler cadrà nella stessa trappola). Quanto a Brahms, che nulla lasciò trapelare della sua ispirazione per la Sinfonia, la reazione di Clara è la lampante dimostrazione che i suoni (o certi suoni) possono generare o far emergere dal profondo della psiche umana immagini o sensazioni extra-musicali.

In questo concerto andiamo a ritroso nel tempo, ascoltando per prima la Terza Sinfonia di Brahms (1883). E qui conviene domandarsi il perché di questa sequenza, che oltretutto spiega e giustifica anche il titolo dato al concerto: La Renana.

E la risposta alla domanda sta nelle note Brahms-iane che arrivano quasi subito alle nostre orecchie: sì, perché sono di… Schumann! 

Brahms eleva alla dignità di primo tema dell’esposizione un motivo che Schumann aveva impiegato marginalmente, 33 anni prima, nella ripresa del movimento iniziale della sua Terza: senza dubbio un omaggio al grande amico e sostenitore, ed allo stesso tempo un esplicito riferimento al soggetto extra-musicale che lo aveva ispirato (il Reno fiancheggia proprio il lato sud di Wiesbaden, dove Brahms compose la Sinfonia). 

Ma se si tratta di Reno, come si fa a non citare un convitato di pietra a questo concerto: Richard Wagner, che al grande fiume si ispirò per la sua Commedia renana. Nella quale troviamo almeno tre Leit-Motive basati su una variante (la sesta invece della tonica di partenza) del tema schumanniano: le Figlie del Reno, il Sonno e l’Uccellino del bosco.  

Sarebbe azzardato affermare che Wagner abbia mutuato il suo tema da Schumann: è ben vero che la musica del Ring vede la prima luce almeno un paio d’anni dopo la Renana, ma è difficile immaginare che il Wagner migrante perché inseguito da un mandato di cattura potesse perder tempo a scopiazzare partiture altrui non ancora fresche di stampa…

Invece, a proposito di Wagner, l’esternazione di Clara richiama alla mente il cosiddetto Waldweben (il mormorio della foresta, second’atto del Siegfried) composto 7 anni dopo la Sinfonia del marito e 26 prima di quella dell'amico prediletto! Ed era una indiretta risposta al purista Eduard Hanslick (convinto ammiratore di Brahms, si noti) che negava alla musica qualsivoglia capacità di esprimere (menchemeno di descrivere) alcunchè, al di fuori di se medesima. Ma alla base di ciò vi era un grande equivoco: di certo, senza un testo cantato o almeno ad essa associato dall’esterno (tipo il soggetto di un Poema Sinfonico) la musica da sola nulla può descrivere; ma invece è fuor di dubbio che qualunque musica, indipendentemente da ciò che può averla ispirata, sia in grado di suscitare in noi le più diverse sensazioni, o evocare alla nostra mente immagini, oggetti e persino concetti. 

Dopodichè ciascuno di noi può abbandonarsi a fantasticherie indotte dall’ascolto di un brano musicale, oppure limitarsi a (possibilmente) godere di esso la macro- e la micro-struttura, esclusivamente dal punto di vista estetico. Accade lo stesso alla vista di un dipinto, di cui si può ammirare il contenuto esteriore, oppure il magistero artistico dell’Autore.      

Ecco, nel caso di entrambe le Sinfonie in questione, hanno ragione sia Clara che Hanslick: e il merito è dei due Autori, che hanno saputo costruire le loro opere con tale maestria da consentire a noi fruitori di apprezzarle per ciò che evocano alla nostra mente, oppure per il puro piacere estetico suscitatoci dal loro ascolto.

Le tre battute iniziali della Sinfonia recano altrettanti pesanti accordi di FA-LAb-FA, autentico motto dell’opera, dallo stesso Brahms sintetizzato come FaF, che decodificato sta per Froh aber Frei, felice ma libero. (Oggi magari, in servile omaggio ai nostri nostalgici governanti, potremmo tradurlo: Libero e Giocondo !?!)

Motto che tornerà a più riprese (e spesso quasi in incognito…) nel corso dell’iniziale Allegro con brio e infine, significativamente, a chiudere con procedimento ciclico l’intera Sinfonia, con la mutazione in modo maggiore (FA-LA-FA) cui segue una vera perla di Brahms: il tema schumanniano trasfigurato nei violini:

Che purtroppo si rischia sempre di perdere, essendo suonato in pianissimo contro il piano dei corposi accordi dei fiati…
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Ed ecco la Renana, come ormai si chiamerà nei secoli, a dispetto del disconoscimento del nick da parte del suo Autore. L’avevamo ascoltata e apprezzata qui – proprio nell’orchestrazione di Mahler - poche settimane orsono, interpretata dall’ensemble Spira Mirabilis; ieri è risuonata ancora in tutto il suo splendore, una vera gioia per l’orecchio e per… l’anima!
È costruita sul modello (variato) della Pastorale beethoveniana: cinque movimenti, con lo Scherzo avanzato in seconda posizione e un (insolito) quarto movimento di carattere severo, prima del radioso finale. Un modello che il suo epigono Mahler impiegherà per tre (più una… o due…) delle sue nove (dieci...) sinfonie. (Poi anche Édouard Lalo baserà sulla stessa struttura, incluso il quarto movimento serioso, la sua Symphonie Espagnole.)
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Orchestra in grande spolvero, in primis la retroguardia dei fiati, qui messi davvero a dura prova e giustamente lodati dal Direttore al termine di ciascuno dei due brani.

E, appunto, Guggeis? Ormai non c’è più nulla da scoprire, solo da apprezzare. Anche ieri ha confermato le sue doti (innate, penso proprio) di interprete raffinato. Innanzitutto, in Brahms, la stringatezza ed essenzialità (tempi e dinamiche) che nulla ha concesso a divagazioni o facili libertà. In Schumann invece un sapiente uso del rubato e di piccole variazioni agogiche sempre impiegate con equilibrio e misura.

Il suo gesto, a volte fin troppo appariscente, altre assai secco e imperioso, può far nascere qualche riserva, ma complessivamente le due prestazioni mi son parse di grande livello e proprio da incorniciare.

E così pare averla pensata anche il pubblico (di un Auditorium non affollatissimo, per la verità) che non ha lesinato ovazioni ed applausi ritmati al Direttore. Il quale, da parte sua, si è modestamente limitato a due sole uscite alla fine dei due brani in programma.  

01 gennaio, 2023

Concerti di Capodanno

Da milanese (sia pur adottivo) e quindi dotato di prospettiva assai limitata (!?) mi limito (?!) a censire (non re-censire, sia chiaro!) i tre concerti che mi son passati sotto gli occhi-orecchi (dal vivo o tramite corrieri assortiti). 

È una classifica nettamente determinata dai rispettivi Kapellmeister:

 1° assoluto (e di gran lunga): Guggeis con la Nona de laVerdi;

 Harding con la Fenice;

 3° Il figlio-di-papà Welser-Mòst dal Musikverein.

 Diciamo pure che un 2022 come questo non meritava di più, ecco. Il guaio è che il 2023 già parte male nella culla...

30 dicembre, 2022

laVerdi 22-23. 10

Come da tradizione, l’ultimo concerto dell’anno prende anche per l’Orchestra Sinfonica di Milano (aka laVerdi) il nome di Concerto-di-Capodanno ed è come sempre dedicato alla Nona beethovenianaA dirigerlo il sempre più lanciato Thomas Guggeis, già protagonista (in streaming, allora, con la Terza) del capodanno di due anni fa.

Auditorium praticamente esaurito e trionfo annunciato per tutti: in primis il giovanissimo Direttore, che ad ogni ricomparsa convince sempre di più, per l’autorevolezza degna di un veterano e il lavoro di cesello sulle parti più sensibili dell’opera (mi riferisco in particolare all’Adagio-Andante, invero una fucina di emozioni); poi al grandioso Coro, diretto da un altro giovane, Massimo Fiocchi Malaspina; ai quattro solisti, tutti all’altezza del compito: Senn e Kallenberg, impeccabili nelle loro parti proibitive; e le due voci femminili, Engebretson e Cirilli, sempre svettanti nelle impervie scalate cui le costringe il Ludovico.

E, naturalmente, l’Orchestra, praticamente perfetta in tutti i reparti, dal Konzertmeister Dellingshausen alla timpanista Mologni.

Ripetute chiamate e applausi ritmati hanno sottolineato questa pregevole serata di musica.

Visto che siamo al nuovo anno, colgo l’occasione per pubblicizzare il link già da qualche tempo presente nella colonna sinistra del blog (contenuti selezionati, in progressivo arricchimento) proponendo alcune mie considerazioni e curiosità sulla Nona.

Con ciò: buon 2023 (che… fate voi… ce lo mandi bbuono!)

02 aprile, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 23

É il trentenne rampante Thomas Guggeis a ritornare in Auditorium dopo meno di un anno per proporci un concerto di classica impaginazione. Dopo che Ruben Jais ha ricordato Franca Canuti Cervetti (moglie del Presidente emerito della Fondazione e grande sostenitrice de laVerdi) scomparsa un anno fa, si inizia con un breve brano sinfonico novecentesco (1923): Pacific 231 di Arthur Honegger.
Questa fu la fonte di ispirazione (ma dichiarata a-posteriori...) del compositore figlio di svizzeri ma nato e vissuto prevalentemente in Francia: un tipo di locomotiva a vapore perfezionato dall’ingegner André Chapelon, che ebbe successo in tutto il mondo negli anni fra le due guerre mondiali. La sigla 2-3-1 indica i 6 assi del materiale rotabile (il cosiddetto rodiggio): 2 anteriori per ruote portanti, 3 centrali per ruote motrici e 1 posteriore per ruote portanti.

La breve composizione - prima di un trittico di Movimenti sinfonici, comprendente anche il N.2 (Rugby, 1928) e il N.3 (senza titolo, 1933) - è di fatto un mini-poema-sinfonico, che potrebbe in effetti evocare l’emozione di un viaggiatore a bordo del treno che lentamente si mette in moto e poi sfreccia a velocità incredibile (come poteva essere per quei tempi andare a 120 Km/h). 

Honegger poi quasi si pentì di aver affibbiato al brano quel titolo che finiva per banalizzarne il contenuto. Tuttavia è innegabile che almeno la parte iniziale (53 delle 217 battute complessive, fino alla prima eroica perorazione dei corni) richiami in modo esplicito le fasi dell’avviamento della locomotiva: chi come il sottoscritto (ahimè...) ha avuto modo, da ragazzino, di viaggiare (in terza classe!) su treni spinti da locomotive a vapore ha un ricordo assai vivo proprio dei primi sbuffi e del faticoso ansimare del mostro d’acciaio, in una nuvola di vapore e di fumo nero...

E anche il seguito della composizione, pur arricchendosi di motivi legati alle sensazioni del viaggiatore, non manca di riproporre suoni e ritmi tipici della corsa di un treno. Qui un suggestivo tentativo di mettere in relazione immagini e suoni: con tutte le contraddizioni del caso, come l’immagine di macchinista e fuochisti sporchi come spazzacamini (e con tanto di cartelli di pericolo di morte) e quella degli orchestrali in frac a realizzarne la colonna sonora! Ecco invece il premiato film del 1949 che celebrò insieme la locomotiva e la musica.

Guggeis ne cava un’esecuzione vibrante (e... sferragliante) che serve davvero a scaldare i motori, e ben accolta dal pubblico ieri foltissimo come non si vedeva da... anni (Mozart e Beethoven evidentemente tirano sempre).
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Ecco poi il concerto solistico, nel nostro caso bi-solistico. Sono i fratelli olandesi Lucas&Arthur Jussen - già ospiti dell’Auditorium il giugno scorso per Poulenc - ad interpretare il mozartiano Concerto per due pianoforti e orchestra K365. Qui possiamo ascoltarli e vederli all’opera in una recente performance a Colonia. 

E anche qui in Auditorium confermano le loro doti, di singoli e di coppia, offrendoci questo gioiellino - che Mozart compose per sè e per la sorella Nannerl - con grazia e leggerezza, ben coadiuvati dall’Orchestra che Guggeis tiene a sua volta a freno per non... disturbare i solisti.

I quali ci ringraziano per la calorosissima accoglienza con un bis particolare: una parafrasi di temi del Fledermaus!
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Si chiude infine con l’inflazionata Eroica di BeethovenChe Guggeis diresse (in sostituzione della Nona) al suo esordio in Auditorium a Capodanno 2021, ma in streaming causa pandemia.

Fra pochi giorni cade il 201° anniversario della morte di tale Bonaparte, cui Beethoven aveva inizialmente dedicato la sua Sinfonia, salvo poi ritirare la dedica per sopraggiunta manifesta... indegnità del dedicatario. Così, prima dell’esecuzione, ci è stata data la possibilità di un ripasso del manzoniano 5 Maggio!

Ma chi ci ha fatto un ripasso davvero sontuoso dell’Eroica è Thomas Guggeis, che già mi aveva impressionato in video a Capodanno 2021 e che adesso ha convinto anche i più scettici sulle sue qualità. Il suo gesto - a momenti enfaticamente ampio, oppure secco come una frustata - può magari apparire come affettato, ma di sicuro, almeno a giudicare dai risultati, è di grande efficacia.

In particolare mi sento di lodare le dinamiche che ha saputo dosare - lui neanche trentenne! - con una maestrìa degna di un veterano del podio: pianissimi al limite dell’udibile, crescendo entusiasmanti, attenzione minuziosa ad ogni dettaglio (la marcia funebre, una meraviglia...) Insomma, un talento naturale che farà parlare di sè per anni e anni a venire.

Inutile dire delle acclamazioni del pubblico e dell’apprezzamento dell’Orchestra!

17 giugno, 2021

laVerdi fa altre serenate

Dopo la prima di Brahms eseguita poche settimane fa, ecco in Auditorium un programma di sole serenate. Per dirigerlo torna - dopo il concerto di Capodanno in streaming - il 27enne Thomas Guggeis, uno degli astri nascenti della direzione d’orchestra. Programma bifronte quanto alla presenza degli strumenti: prima parte quasi monopolizzata dai fiati e seconda per soli archi. (Così diventa più facile anche rispettare il limite al numero di esecutori sulla scena senza penalizzare troppo la resa sonora...)

Apre una serenata sui-generis, la Fanfare for the Common Man di Aaron Copland, composta nel 1942 per la Cincinnati Symphony. Destinata ad aprire i concerti in tempo di guerra (gli USA erano appena scesi in campo...) è poi diventata uno dei brani più eseguiti (e... saccheggiati) d’America: lo stesso Autore la auto-imprestò al finale della sua Terza Sinfonia.

Al Common Man (per noi l’Uomo qualunque?) il vice di Roosevelt (Henry Wallace) aveva dedicato nientemeno che il Secolo XX! Una glorificazione interessata: c’era da convincere il contribuente a pagare tasse sempre più salate, stante il crescente - e, per noi, benedetto! - impegno bellico del Paese. Ma più che l’onorificenza, alla bisogna servì l’introduzione del Sostituto d’Imposta (!) che fece schizzare le entrate federali da 3 a 20 miliardi di dollari in due anni.

La strumentazione è proprio bandistica: 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni e tuba; più timpani, grancassa e tam-tam. E sono le percussioni ad aprire e poi accompagnare la fanfara, con secchi rintocchi che ricordano vagamente... la marcia funebre di Sigfrido!

SIb e MIb sono le tonalità - tipicamente da banda - toccate nei 3 minuti (scarsi) del brano. Che chiude però su uno stentoreo RE.

Guggeis dispone gli 11 fiati a semicerchio; da sinistra: i 4 corni, poi le 3 trombe, quindi i 3 tromboni e, al proscenio a destra, la tuba. Le percussioni sono dislocate in funzione stereofonica: a sinistra, dietro i corni, il tamtam e la grancassa; a destra, dietro i tromboni, i timpani. Bellissime le sonorità uscite dalle 11 campane degli ottoni, che suscitano applausi calorosi, anche da parte di chi forse non si aspettava una durata così limitata del brano!
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Fiati in primo piano anche nel secondo brano in programma: la Seconda Serenata di Brahms, composta a ridosso della prima (1858-9) in quel di Detmold. Qui gli archi (privati del tutto dei due pacchetti di violini!) fanno da sottofondo, creando l’atmosfera calda ma anche un poco ombrosa del brano. Scelta confermata nel 1875 dall’abbandono delle due trombe (più due dei quattro corni) che l’Autore aveva messo in organico nella prima stesura.

Musica davvero allo stato puro, serena o contemplativa che sia: non per nulla elogiata dall’esteta Hanslick, che condannava ogni inflessione espressionista o sentimentale dell’arte musicale. Ascoltandola si può solo apprezzarne il rigore formale (Bach...) e la purezza dei temi, ma niente emozioni, sia chiaro! Vedremo tutto l’opposto in Ciajkovski...

Guggeis - che non ha mai preso la bacchetta in tutta la serata - ce la porge con grande discrezione, misurando il gesto, a volte ampio e disteso, altre secco e preciso, a seconda delle necessità imposte dalla partitura. E il pacchetto dei fiati mostra di essere una squadra di autentici... solisti! Ben coadiuvati dagli archi guidati per l’occasione dalla suadente viola di Miho Yamagishi.
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La chiusura del concerto vede quindi impegnate le sole stringhe (!) interpreti della Serenata per archi op. 48 che Ciajkovski compose nel 1880, durante uno dei suoi periodi di permanenza in Ukraina (già allora una dépendance della madre Russia) ospite di sorella e cognato nella grande tenuta di Kamenka.

Opera pervasa da serenità mista a malinconia, espressione pura di sentimenti ma anche di turbamenti profondi; in sintesi: tutto l’opposto rispetto all’asettico rigore di Brahms! A proposito si legge che il russo qui abbia mutuato molto da Mozart: mi permetto rispettosamente di osservare che è assai più mozartiana la Serenata di Brahms.    

La struttura è quasi di Sinfonia, con i classici 4 movimenti (qui un walzer rimpiazza lo Scherzo, ma ciò accadrà anche nella Quinta Sinfonia).

Il primo movimento - DO maggiore, 6/8 - presenta un’Introduzione in Andante non troppo, dove viene esposto un motivo che tornerà ciclicamente verso la fine dell’opera. Dopo quattro sue apparizioni e poche battute di riposo attacca l’Allegro moderato. Che è sostanzialmente bitematico (tonalità DO, con sfumature anche minori nella seconda frase, tema elegiaco; e SOL, motivo assai agitato in semicrome staccate) ma privo di sviluppo in quanto tale. Viene chiuso con un ritorno dell’Andante introduttivo, questa volta ridotto a 2 esposizioni del motivo.

Anche il secondo movimento rifugge da facili effetti, è un walzer in SOL maggiore assai lontano dai classici modelli da balletto, pur familiari al compositore. Un piccolissimo particolare lo testimonia, nella chiusura della frase iniziale:

A chiunque verrebbe spontaneo di sostituire le due semiminime evidenziate (SOL-SI) con una figurazione molto più... ammiccante: semiminima puntata + croma! Un secondo motivo impreziosisce il walzer, che chiude sommessamente con una gentile cadenza.

L’Elegia - Larghetto, 3/4 RE maggiore - è di certo (almeno a mio parere...) il punto più alto della composizione, con il suo nobile, struggente e cantabilissimo tema:

Così come il primo tempo, anche il finale (2/4, forma-sonata) è preceduto da un’Introduzione in Andante, che riprende il RE dell’Elegia come dominante di SOL maggiore, per preparare il terreno all’Allegro con spirito, Tema russo, canonicamente in DO maggiore, dal sapore frizzante. Un controsoggetto più cantabile segue in MIb maggiore nei violoncelli, poi i due temi sono sottoposti ad un robusto sviluppo, prima di tornare in sequenza (ma con il secondo ovviamente in DO) in sede di ricapitolazione.  

La coerenza dell’ispirazione complessiva è testimoniata dal ritorno ciclico, ad attaccare una curiosa Coda, del motivo dell’Introduzione alla Serenata; ecco il punto dove quel motivo si... trasforma in quello popolare del finale:

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Guggeis, oltre alla bacchetta, lascia a casa anche la partitura, che evidentemente ha tutta ben scolpita in mente: così non trascura nessuna delle mille sfumature del brano, dalla leggerezza del Valse alla crepuscolare Elegia. Insieme ai redivivi violini (capeggiati da Dellingshausen) In grande evidenza i violoncelli guidati dal veterano Mario Shirai Grigolato. Festa per tutti e applausi ritmati.

01 gennaio, 2021

Capodanni...

Ai tre concerti che ho seguito in streaming e in TV darò le seguenti pagelle:

1. Sontuoso alla Fenice: nel pieno rispetto delle elementari regole anti-virus (mascherine, distanziamento) pareva quasi un teatro affollato di pubblico, con platea e (in parte) palchi occupati da orchestra e coro; Harding caricato e animazione, ottimismo, applausi... una festa!

2. ottimo a laVerdi: palco esteso a parte della platea per rispetto delle regole (mascherine incluse); programma beethoveniano assai impegnativo ed egregiamente eseguito sotto la bacchetta del promettente, caricatissimo Guggeis. Riprese sempre concentrate sugli esecutori, mai sull’Auditorium purtroppo deserto.

3. deludente al Neujahrskonzert: nessun rispetto di regole anti-virus, niente mascherine, orchestra disposta (e compressa, alla faccia del distanziamento) come al solito, sull’angusto palco; platea desolatamente vuota spesso inquadrata con effetto deprimente. Muti piuttosto freddo e quasi a disagio. Insomma: un Capodanno... gelido, appena mitigato dai contributi esterni, dei balletti e degli spettatori registratisi per lo streaming, che hanno inviato applausi, foto e cartoline di auguri.