Dopo la
prima di Brahms eseguita poche settimane fa, ecco in Auditorium un programma
di sole serenate. Per dirigerlo
torna - dopo il concerto di Capodanno in streaming - il 27enne Thomas Guggeis, uno degli astri nascenti
della direzione d’orchestra. Programma bifronte quanto alla presenza degli
strumenti: prima parte quasi monopolizzata dai fiati e seconda per soli archi.
(Così diventa più facile anche rispettare il limite al numero di esecutori
sulla scena senza penalizzare troppo la resa sonora...)
Apre
una serenata sui-generis, la Fanfare for the Common Man di Aaron Copland, composta nel 1942 per la Cincinnati Symphony. Destinata ad aprire
i concerti in tempo di guerra (gli USA erano appena scesi in campo...) è poi diventata uno dei brani più eseguiti (e...
saccheggiati) d’America: lo stesso Autore la auto-imprestò al finale della sua Terza Sinfonia.
Al
Common Man (per noi l’Uomo qualunque?) il vice di Roosevelt
(Henry Wallace) aveva dedicato
nientemeno che il Secolo XX! Una
glorificazione interessata: c’era da convincere il contribuente a pagare tasse
sempre più salate, stante il crescente - e, per noi, benedetto! - impegno
bellico del Paese. Ma più che l’onorificenza, alla bisogna servì l’introduzione
del Sostituto d’Imposta (!) che fece schizzare
le entrate federali da 3 a 20 miliardi di dollari in due anni.
La strumentazione è proprio bandistica:
4 corni, 3 trombe, 3 tromboni e tuba; più timpani, grancassa e tam-tam. E sono
le percussioni ad aprire e poi accompagnare la fanfara, con secchi rintocchi
che ricordano vagamente... la marcia
funebre di Sigfrido!
SIb e MIb sono le tonalità - tipicamente
da banda - toccate nei 3 minuti (scarsi) del brano. Che chiude però su uno
stentoreo RE.
Guggeis dispone gli 11 fiati a semicerchio;
da sinistra: i 4 corni, poi le 3 trombe, quindi i 3 tromboni e, al proscenio a
destra, la tuba. Le percussioni sono dislocate in funzione stereofonica: a
sinistra, dietro i corni, il tamtam e la grancassa; a destra, dietro i
tromboni, i timpani. Bellissime le sonorità uscite dalle 11 campane degli
ottoni, che suscitano applausi calorosi, anche da parte di chi forse non si
aspettava una durata così limitata del brano!
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Fiati
in primo piano anche nel secondo brano in programma: la Seconda Serenata di Brahms, composta a ridosso della prima
(1858-9) in quel di Detmold. Qui gli
archi (privati del tutto dei due pacchetti di violini!) fanno da sottofondo,
creando l’atmosfera calda ma anche un poco ombrosa del brano. Scelta confermata
nel 1875 dall’abbandono delle due trombe (più due dei quattro corni) che
l’Autore aveva messo in organico nella prima stesura.
Musica
davvero allo stato puro, serena o contemplativa che sia: non per nulla elogiata
dall’esteta Hanslick, che condannava
ogni inflessione espressionista o sentimentale dell’arte musicale. Ascoltandola
si può solo apprezzarne il rigore formale (Bach...)
e la purezza dei temi, ma niente emozioni,
sia chiaro! Vedremo tutto l’opposto in Ciajkovski...
Guggeis
- che non ha mai preso la bacchetta in tutta la serata - ce la porge con grande
discrezione, misurando il gesto, a volte ampio e disteso, altre secco e
preciso, a seconda delle necessità imposte dalla partitura. E il pacchetto dei
fiati mostra di essere una squadra di autentici... solisti! Ben coadiuvati
dagli archi guidati per l’occasione dalla suadente viola di Miho Yamagishi.
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La
chiusura del concerto vede quindi impegnate le sole stringhe (!) interpreti della Serenata per
archi op. 48 che Ciajkovski
compose nel 1880, durante uno dei suoi periodi
di permanenza in Ukraina (già allora una dépendance
della madre Russia) ospite di sorella e cognato nella grande tenuta di Kamenka.
Opera
pervasa da serenità mista a malinconia, espressione pura di sentimenti ma anche
di turbamenti profondi; in sintesi: tutto l’opposto rispetto all’asettico
rigore di Brahms! A proposito si legge che il russo qui abbia
mutuato molto da Mozart: mi permetto rispettosamente di osservare che è assai
più mozartiana la Serenata di Brahms.
La
struttura è quasi di Sinfonia, con i classici 4 movimenti (qui un walzer rimpiazza lo Scherzo, ma ciò accadrà anche nella Quinta Sinfonia).
Il
primo movimento - DO maggiore, 6/8 - presenta un’Introduzione in Andante non
troppo, dove viene esposto un motivo che tornerà ciclicamente verso la fine
dell’opera. Dopo quattro sue apparizioni e poche battute di riposo attacca l’Allegro moderato. Che è sostanzialmente
bitematico (tonalità DO, con sfumature anche minori nella seconda frase, tema elegiaco; e SOL, motivo assai
agitato in semicrome staccate) ma
privo di sviluppo in quanto tale.
Viene chiuso con un ritorno dell’Andante
introduttivo, questa volta ridotto a 2 esposizioni del motivo.
Anche
il secondo movimento rifugge da facili effetti, è un walzer in SOL maggiore assai
lontano dai classici modelli da balletto, pur familiari al compositore. Un
piccolissimo particolare lo testimonia, nella chiusura della frase
iniziale:

A
chiunque verrebbe spontaneo di sostituire le due semiminime evidenziate
(SOL-SI) con una figurazione molto più... ammiccante: semiminima puntata +
croma! Un secondo motivo impreziosisce il walzer, che chiude sommessamente con
una gentile cadenza.
L’Elegia - Larghetto, 3/4 RE maggiore - è di certo (almeno a mio parere...) il
punto più alto della composizione, con il suo nobile, struggente e cantabilissimo
tema:

Così
come il primo tempo, anche il finale (2/4, forma-sonata) è preceduto da
un’Introduzione in Andante, che
riprende il RE dell’Elegia come dominante di SOL maggiore, per preparare il
terreno all’Allegro con spirito, Tema russo, canonicamente in DO maggiore,
dal sapore frizzante. Un controsoggetto più cantabile segue in MIb maggiore nei
violoncelli, poi i due temi sono sottoposti ad un robusto sviluppo, prima di tornare in sequenza (ma con il secondo
ovviamente in DO) in sede di ricapitolazione.
La
coerenza dell’ispirazione complessiva è testimoniata dal ritorno ciclico, ad attaccare una curiosa Coda, del motivo dell’Introduzione alla Serenata; ecco il punto dove quel
motivo si... trasforma in quello popolare del finale:
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Guggeis, oltre alla bacchetta, lascia a casa anche la
partitura, che evidentemente ha tutta ben scolpita in mente: così non trascura
nessuna delle mille sfumature del brano, dalla leggerezza del Valse alla crepuscolare Elegia. Insieme ai redivivi violini (capeggiati
da Dellingshausen) In grande evidenza
i violoncelli guidati dal veterano Mario Shirai Grigolato. Festa per tutti e
applausi ritmati.