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17 giugno, 2021

laVerdi fa altre serenate

Dopo la prima di Brahms eseguita poche settimane fa, ecco in Auditorium un programma di sole serenate. Per dirigerlo torna - dopo il concerto di Capodanno in streaming - il 27enne Thomas Guggeis, uno degli astri nascenti della direzione d’orchestra. Programma bifronte quanto alla presenza degli strumenti: prima parte quasi monopolizzata dai fiati e seconda per soli archi. (Così diventa più facile anche rispettare il limite al numero di esecutori sulla scena senza penalizzare troppo la resa sonora...)

Apre una serenata sui-generis, la Fanfare for the Common Man di Aaron Copland, composta nel 1942 per la Cincinnati Symphony. Destinata ad aprire i concerti in tempo di guerra (gli USA erano appena scesi in campo...) è poi diventata uno dei brani più eseguiti (e... saccheggiati) d’America: lo stesso Autore la auto-imprestò al finale della sua Terza Sinfonia.

Al Common Man (per noi l’Uomo qualunque?) il vice di Roosevelt (Henry Wallace) aveva dedicato nientemeno che il Secolo XX! Una glorificazione interessata: c’era da convincere il contribuente a pagare tasse sempre più salate, stante il crescente - e, per noi, benedetto! - impegno bellico del Paese. Ma più che l’onorificenza, alla bisogna servì l’introduzione del Sostituto d’Imposta (!) che fece schizzare le entrate federali da 3 a 20 miliardi di dollari in due anni.

La strumentazione è proprio bandistica: 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni e tuba; più timpani, grancassa e tam-tam. E sono le percussioni ad aprire e poi accompagnare la fanfara, con secchi rintocchi che ricordano vagamente... la marcia funebre di Sigfrido!

SIb e MIb sono le tonalità - tipicamente da banda - toccate nei 3 minuti (scarsi) del brano. Che chiude però su uno stentoreo RE.

Guggeis dispone gli 11 fiati a semicerchio; da sinistra: i 4 corni, poi le 3 trombe, quindi i 3 tromboni e, al proscenio a destra, la tuba. Le percussioni sono dislocate in funzione stereofonica: a sinistra, dietro i corni, il tamtam e la grancassa; a destra, dietro i tromboni, i timpani. Bellissime le sonorità uscite dalle 11 campane degli ottoni, che suscitano applausi calorosi, anche da parte di chi forse non si aspettava una durata così limitata del brano!
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Fiati in primo piano anche nel secondo brano in programma: la Seconda Serenata di Brahms, composta a ridosso della prima (1858-9) in quel di Detmold. Qui gli archi (privati del tutto dei due pacchetti di violini!) fanno da sottofondo, creando l’atmosfera calda ma anche un poco ombrosa del brano. Scelta confermata nel 1875 dall’abbandono delle due trombe (più due dei quattro corni) che l’Autore aveva messo in organico nella prima stesura.

Musica davvero allo stato puro, serena o contemplativa che sia: non per nulla elogiata dall’esteta Hanslick, che condannava ogni inflessione espressionista o sentimentale dell’arte musicale. Ascoltandola si può solo apprezzarne il rigore formale (Bach...) e la purezza dei temi, ma niente emozioni, sia chiaro! Vedremo tutto l’opposto in Ciajkovski...

Guggeis - che non ha mai preso la bacchetta in tutta la serata - ce la porge con grande discrezione, misurando il gesto, a volte ampio e disteso, altre secco e preciso, a seconda delle necessità imposte dalla partitura. E il pacchetto dei fiati mostra di essere una squadra di autentici... solisti! Ben coadiuvati dagli archi guidati per l’occasione dalla suadente viola di Miho Yamagishi.
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La chiusura del concerto vede quindi impegnate le sole stringhe (!) interpreti della Serenata per archi op. 48 che Ciajkovski compose nel 1880, durante uno dei suoi periodi di permanenza in Ukraina (già allora una dépendance della madre Russia) ospite di sorella e cognato nella grande tenuta di Kamenka.

Opera pervasa da serenità mista a malinconia, espressione pura di sentimenti ma anche di turbamenti profondi; in sintesi: tutto l’opposto rispetto all’asettico rigore di Brahms! A proposito si legge che il russo qui abbia mutuato molto da Mozart: mi permetto rispettosamente di osservare che è assai più mozartiana la Serenata di Brahms.    

La struttura è quasi di Sinfonia, con i classici 4 movimenti (qui un walzer rimpiazza lo Scherzo, ma ciò accadrà anche nella Quinta Sinfonia).

Il primo movimento - DO maggiore, 6/8 - presenta un’Introduzione in Andante non troppo, dove viene esposto un motivo che tornerà ciclicamente verso la fine dell’opera. Dopo quattro sue apparizioni e poche battute di riposo attacca l’Allegro moderato. Che è sostanzialmente bitematico (tonalità DO, con sfumature anche minori nella seconda frase, tema elegiaco; e SOL, motivo assai agitato in semicrome staccate) ma privo di sviluppo in quanto tale. Viene chiuso con un ritorno dell’Andante introduttivo, questa volta ridotto a 2 esposizioni del motivo.

Anche il secondo movimento rifugge da facili effetti, è un walzer in SOL maggiore assai lontano dai classici modelli da balletto, pur familiari al compositore. Un piccolissimo particolare lo testimonia, nella chiusura della frase iniziale:

A chiunque verrebbe spontaneo di sostituire le due semiminime evidenziate (SOL-SI) con una figurazione molto più... ammiccante: semiminima puntata + croma! Un secondo motivo impreziosisce il walzer, che chiude sommessamente con una gentile cadenza.

L’Elegia - Larghetto, 3/4 RE maggiore - è di certo (almeno a mio parere...) il punto più alto della composizione, con il suo nobile, struggente e cantabilissimo tema:

Così come il primo tempo, anche il finale (2/4, forma-sonata) è preceduto da un’Introduzione in Andante, che riprende il RE dell’Elegia come dominante di SOL maggiore, per preparare il terreno all’Allegro con spirito, Tema russo, canonicamente in DO maggiore, dal sapore frizzante. Un controsoggetto più cantabile segue in MIb maggiore nei violoncelli, poi i due temi sono sottoposti ad un robusto sviluppo, prima di tornare in sequenza (ma con il secondo ovviamente in DO) in sede di ricapitolazione.  

La coerenza dell’ispirazione complessiva è testimoniata dal ritorno ciclico, ad attaccare una curiosa Coda, del motivo dell’Introduzione alla Serenata; ecco il punto dove quel motivo si... trasforma in quello popolare del finale:

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Guggeis, oltre alla bacchetta, lascia a casa anche la partitura, che evidentemente ha tutta ben scolpita in mente: così non trascura nessuna delle mille sfumature del brano, dalla leggerezza del Valse alla crepuscolare Elegia. Insieme ai redivivi violini (capeggiati da Dellingshausen) In grande evidenza i violoncelli guidati dal veterano Mario Shirai Grigolato. Festa per tutti e applausi ritmati.

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