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30 marzo, 2012

Orchestraverdi – concerto n 26


Ieri è tornato sul podio dell'Auditorium il grande sir Neville Marriner con un programma che spazia su tre secoli di musica.

Si parte infatti dal secolo XX (quasi esattamente 100 anni orsono, peraltro) con Ralph Vaughan-Williams, di cui ascoltiamo la Fantasia su un tema di Thomas Tallis. Tallis fu un musicista rinascimentale (1500) che fra l'altro compose 9 salmi per l'arcivescovo Matthew Parker, di cui il terzo (Why Fum'th In Fight) è stato preso da RVW come base per la sua fantasia, composta dopo una proficua residenza a Parigi per… sciacquare i panni chèz-Ravel

L'Autore prescrive di distribuire le parti su tre diversi complessi, esclusivamente formati da archi: due orchestre, una corposa, l'altra smagrita (di soli 9 elementi: 2+2+2+2+1) e il classico quartetto (violini I-II, viola e violoncello). La cosa ha un senso pratico solo se i tre complessi vengono dislocati in posizioni ben diverse, in modo da creare effetti eco-stereo come quelli che si hanno in chiesa quando i cori vi cantano le antifone… altrimenti la suddivisione serve a ben poco. E in effetti la prima della Fantasia fu eseguita nella cattedrale di Gloucester, nel 1910, in occasione di un celebre festival.
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La melodia originale è in modo frigio (la scala che parte dal MI, in pratica, e percorre i tasti bianchi) che secondo gli antichi greci era il modo collerico (non per nulla melodie frigie venivano suonate per dar la carica ai soldati in battaglia!) che ben supporta il testo di Tallis, che tratta di guerre e odio. Consta di 20 battute, suddivise in 4 (quanti sono i versi del salmo) sezioni di 5:

Vaughan la presenta trasposta sulla tonica di SOL (minore-maggiore) e impiega soprattutto le linee melodiche di soprano e tenore (1° e 3° rigo). Mirabile l'uso del contrappunto per creare atmosfere armoniche continuamente cangianti, dal modo frigio al minore e maggiore del SOL, quindi mescolando intelligentemente stilemi musicali antichi con moderni. 

In tempo Largo, sostenuto, già alla quarta battuta - dopo i cinque accordi iniziali e il RE in unisono - viole, violoncelli e contrabbassi presentano in pizzicato il primo frammento del tenore, e subito dopo la chiusa del primo verso:

Poco più avanti ecco motivi ricavati dal terzo verso e dal quarto, fino alla conclusione in maggiore:

Quindi l'esposizione dei temi continua con l'insieme degli strumenti e con arpeggi in semicrome dei secondi violini. 

Poi si distinguono tre episodi: nel primo (Largamente) sono le due orchestre che si fronteggiano con domande-risposte; nel secondo (Poco più animato) è la viola solista ad esporre la melodia, subito seguita dal violino e poi dagli altri due strumenti solisti, contrappuntati dalle due orchestre; quindi un terzo episodio, assai lungo (Ancora più animato) di cui è protagonista il quartetto dei solisti supportato dall'orchestra da camera e poi anche dalla principale, fino a sfociare in un tutti

Improvvisamente il tempo rallenta, con quattro battute in Molto adagio. Poi ancora violino e quindi viola solisti, sul Tempo del principio, ripropongono il tema, con sommessi interventi delle orchestre.

Infine la coda, col suono che subisce una progressiva rarefazione, sia nel tempo (Molto ritardando) che nel volume, fino al conclusivo accordo (in pppp) di SOL maggiore.
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Intanto, come ha disposto le orchestre Marriner? Allora, la seconda è stata dislocata sul fondo (area solitamente occupata dalle percussioni): contrabbasso al centro, a sinistra (per l'osservatore) i quattro violini (2 primi e 2 secondi) e a destra i 2 violoncelli e le 2 viole; l'orchestra principale disposta secondo tradizione moderna; i solisti del quartetto erano in realtà le prime parti dell'orchestra principale. Tutto sommato mi è parsa una scelta più che opportuna ed efficace.

Il pubblico, abbastanza folto anche se non proprio oceanico, ha mostrato di gradire quest'opera interessante certo, ma che si può definire un capolavoro solo se si restringe il campo alla perfida albione (smile!

Poi si fa un salto indietro di 2 secoli (in realtà di circa 120 anni) con il Quarto Concerto per corno di Mozart. Che si è scoperto essere per la verità il secondo in ordine di composizione (ma son problemi di scarsa rilevanza) dato che la numerazione di Köchel era imprecisa al proposito.

È il residente Radovan Vlatkovic a proporlo – dopo il Terzo eseguito un paio di mesi orsono - come sempre con grande sfoggio di virtuosismo e maestrìa. Qui lo vediamo impegnato qualche anno fa (ancora imberbe) in una specie di kermesse estiva pugliese, con contrappunto di gaie vocine da scuola materna (!)

Anche ieri prestazione di altissimo livello, accolta da ovazioni e scroscianti applausi, inclusi – ed è proprio una bella cosa – quelli del primo corno scaligero, Danilo Stagni, presente in platea e salito poi nel retropalco per salutare e – immagino – felicitare il virtuoso croato. 

Che ha concesso un bis collegiale (Reicha) insieme ai due cornisti che lo hanno accompagnato nel concerto.

Chiude la serata l'ottocentesca Scozzese di Mendelssohn. Forse – ma è solo la mia personalissima convinzione – la più ispirata delle cinque sinfonie del ragazzino-di-buona-famiglia nato più di 200 anni fa in quel di Amburgo e poi diventato quasi il re-di-Lipsia, oltre ad aver conquistato – more Handel – anche i cuori albionici. E del resto è anche l'ultima – a dispetto della numerazione – ad essere stata completata, quindi certo la più matura.

È noto come tale Richard Wagner – incallito antisemita – abbia detto e scritto peste e corna del mite Felix, considerato un traditore della… natura, che gli avrebbe dato enormi talenti da lui – in quanto ebreo - regolarmente dissipati (si legga il Das Judenthum in der Musik). 

Epperò quando si trattava di trovare spunti interessanti per le proprie creazioni, ecco che Wagner non esitava a saccheggiare anche la bisaccia dei suoi cosiddetti mostri. E la Terza Sinfonia ne è un eclatante esempio, laddove il suo tema introduttivo fu impiegato da Wagner per costruirci uno dei principali Leit-motive del Ring, quello che si ode all'inizio della quarta scena del second'atto di Walküre, passato alla storia come tema del presagio di morte (che Brünnhilde annuncia a Siegmund):

Mendelssohn trasse lo spunto per la sinfonia da sensazioni e ricordi di un suo viaggio giovanile in Scozia (così come accadde per l'Italiana, ispirata da un soggiorno romano) ma solo quasi al termine della sua breve esistenza vi mise mano con decisione. 

Uno dei punti più alti della sinfonia mi pare essere l'Adagio, che presenta questa sublime melodia:

Il Finale ha una conclusione inaspettata, almeno per Mendelssohn, solitamente poco propenso a gesti di smaccata teatralità (cosa invece normale in Schumann, tanto per dire): l'Allegro vivacissimo, 4/4 tagliato, in LA minore, invece di arrivare ad una prevedibile stretta finale, pare progressivamente arenarsi, fino a spegnersi sulla dominante grave dei violini. Da qui – a velocità più che dimezzata (Allegro maestoso assai, in 6/8) – parte un corale in LA maggiore, tanto enfatico quanto (apparentemente almeno) avulso dal contesto. Che ha peraltro il pregio di dare una chiusura solare ad un'opera su cui aveva imperato un notturno Ossian

Grande prestazione dell'orchestra, clarinetti e corni in primo piano, e trionfo per il Maestro, accolto con il classico pestone ritmato di tutti i professori.

Prossimamente entriamo in clima pasquale con una celebre Passione.

10 dicembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 14


Tutto Schumann per il 14mo appuntamento de laVerdi. Sul podio una vecchia gloria (86 anni suonati e splendidamente portati!) albionica: Sir Neville Marriner, indissolubilmente legato all'Orchestra londinese Academy of St. Martin in the Fields, da lui fondata più di 50 anni fa, senza un Direttore (lui era un violinista e solo dopo qualche anno si convinse a salire sul podio).

Il concerto è interamente dedicato a Schumann (centenari…) ed in particolare a tre sue composizioni (Opus 52-54-61) del periodo 1841-1847. La prima parte ha lo stesso programma del famoso concerto che il 6 dicembre 1845 (quasi esattamente 165 anni fa!) vide la presentazione della versione definitiva dell'Op.52 e la prima esecuzione (con Clara) del famoso concerto Op.54.

Si comincia appunto con Ouverture, Scherzo e Finale, composto originariamente nel 1841, a ridosso della Prima Sinfonia; un brano non propriamente famosissimo, in effetti una sinfonia in formato ridotto (Symphonette, l'aveva inizialmente battezzata Schumann): nella durata (meno di 20 minuti) e nel numero di movimenti (soltanto 3); una cosa del tipo delle prime sinfonie di Schubert.

L'Ouverture ha una introduzione in stile haydn-iano: 17 misure piuttosto lente (Andante con moto) in MI minore, cui segue l'Allegro, in forma sonata semplificata: un primo tema di carattere Florestan-iano, in MI maggiore, seguito da un secondo, à la Eusebius, SI maggiore, sfociante in RE. Una transizione basata su uno sviluppo del tema dell'introduzione porta alla riesposizione dei due temi, il secondo in MI, sfociante in SOL. Altro ponte e quindi la coda Un po' più animato, che chiude l'Ouverture, nel MI di impianto.

Lo Scherzo, in DO# (minore poi maggiore, con Trio nell'enarmonico REb) in si basa su un tema scalpitante, mutuato dal primo tema dell'Ouverture, che non può non richiamare alla memoria una più celebre cavalcata, che si ode di questi tempi alla Scala:



Il Finale è un Allegro molto vivace, in MI e SI maggiore. Il tema principale ha un caratteristico andamento con metro giambico, e progressione ascensionale, che contrasta con il lirismo della seconda idea, che scende da dominante a tonica e risale alla mediante. Dopo l'esposizione (di cui Marriner ci risparmia il ritornello) si passa ad un complesso sviluppo che porta alla risoluta conclusione in MI maggiore. Come aperitivo, non è davvero male…

Ora arriva il 36enne finnico Henri Sigfridsson (nome impegnativo, e stazza da corazziere, in effetti…) a interpretare il celeberrimo e fin troppo inflazionato Klavierkonzert (combinazione, mentre scrivo lo sto ascoltando da Radio3, che stamane non trasmette Prima Pagina, causa scioperi...) Un'esecuzione dignitosa, quella di Sigfridsson, ma una specie di frutto ancora acerbo, mi sentirei di definirlo. Il non foltissimo pubblico comunque gradisce e lui, da buon patriota, come lo sono tutti i finlandesi, come bis ci suona nientemeno che Finlandia (qui un suo emulo).

Si chiude con la Seconda Sinfonia, forse la meno famosa delle quattro che ci ha lasciato il genio di Zwickau. Ma piena di slancio vitale, quasi una sfida del compositore al tremendo male che ormai lo attanagliava e che – fra alti e bassi – lo avrebbe portato, in meno di 10 anni, alla tomba. Sinfonia omotonica, tutta in chiave di DO maggiore (con l'eccezione del minore all'inizio del terzo movimento).

Si apre con una lunghissima introduzione lenta (Sostenuto assai, 49 misure in 6/4, neanche Haydn!) che principia con un religioso, bachiano corale degli ottoni, ad esporre una specie di motto dell'opera (un salto di quinta ascendente DO-SOL) con gli archi sotto a contrappuntare con semiminime ondeggianti:


A misura 25, su un poderoso accordo di LA minore, il tempo accelera di poco e si comincia a delineare, nei legni, quello che sarà il tema principale dell'Allegro, ma non troppo, cui si arriva non prima della reiterazione del motto e di uno stringendo dei primi violini:



Chissà se tale Giuseppe Verdi si rese conto di citare vagamente l'incipit di questo tema, nel Finale Secondo della sua Aida…

Qui vien fuori proprio l'inquieta e selvaggia personalità di Florestan, non c'è che dire, con quel caratteristico procedere giambico, a singulti, a convulsioni… Da essa è pervaso l'intero movimento, poiché anche la seconda sezione, in MIb, sfociante canonicamente sul SOL, mantiene vivacità e grinta, chiudendo l'esposizione con un ritorno furtivo del primo tema. Esposizione di cui Schumann prevede il ritornello (e Sir Neville non ce lo fa mancare) prima di passare allo sviluppo, che rielabora anche temi dell'introduzione. Che vengono quindi ricapitolati (il secondo portato – secondo le sacre regole della forma-sonata - sulla tonalità di impianto, DO, passando per LAb) e poi il tutto sfocia (con fuoco) nella coda, ancora attraversata dal primo tema. Marriner lo affronta con gran cipiglio e l'orchestra gli risponde da par suo.

Segue lo Scherzo, anche qui con Florestan imperante. I primi violini – sempre compatti, ieri sotto la guida del Konzertmeister Nicolai vonDellingshausen -  si intestardiscono in una specie di moto perpetuo, col resto dell'orchestra a scandire il ritmo. Poi i legni si svegliano con un paio di scale discendenti, dopo le quali i flauti, a distanza di una terza, scandiscono una specie di cucù, in SI maggiore. Questo passaggio domina interamente lo scherzo, interrotto soltanto dai due Trii (qui Schumann ripete quanto fatto nella Prima Sinfonia). Da notare come, nel secondo, Schumann renda esplicitamente omaggio al sommo Johann Sebastian, citandone musicalmente il nome:


Prima della conclusione, si rifà ovviamente vivo il motto della sinfonia, fortissimo, in corni e trombe, tutti bravi, senza sbavature.

Finalmente arriva anche un po' di Eusebius, con l'Adagio espressivo, che principia in DO minore, ed è caratterizzato da grandi intervalli, di sesta e di ottava, che si innalzano quasi a cercare il cielo, seguiti da altrettante ricadute… sulla terra. È un lungo peregrinare, in cui si distinguono un paio di rapide salite di flauti e clarinetti (più l'oboe, nella seconda) quasi a raggiungere un sospirato traguardo, ma a cui succede immediatamente il ritorno in basso, dove c'è una specie di serena rassegnazione. Qui Marriner ci mette tutta la sua esperienza cameristica per cavarne il meglio.

Il tema del finale assomiglia un po' a quello dell'inizio… dell'italiana di Mendelssohn! Non manca, come spesso in Schumann, parecchia teatralità, come al termine della ricapitolazione, allorquando tre grandi pause, intercalate da due accordi di DO minore degli archi, fanno spazio alla Coda, che l'oboe introduce ricordando Beethoven (Nimm sie hin denn, diese Lieder, dalla raccolta An die ferne Geliebte, già precedentemente ripreso nel Quartetto Op.41-2). Trasuda poi altro Beethoven (Alle Menschen!) prima del ripresentarsi, immancabile, del motto DO/DO---DO/SOL, per chiudere come in un cerchio l'intera opera.

Prestazione rimarchevole dell'orchestra e nutritissimi applausi, che continuerebbero ancora se Sir Neville (alla sua età non può fare le ore piccole!) dopo la seconda chiamata non trascinasse via per un braccio Nicolai, decretando il rompete le righe.

La prossima settimana ancora un programma tutto intriso di romanticismo (pieno e… tardo) e con un altro anglofono (però texano) sul podio. 
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