XIV

da prevosto a leone
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16 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.24 – Tjeknavorian & Rossini

Un Auditorium stracolmo di pubblico - in religioso raccoglimento durante l’esecuzione e poi trasformatosi in una bolgia da stadio dopo l’ultimo accordo di SOL minore dell’orchestra – ha accolto questa nuova, grande prova del giovane Direttore Musicale, uno Stabat Mater che ci ha davvero coinvolto ed emozionato.

Plauso ovviamente da estendere all’Orchestra, in stato di grazia in ogni sezione, e al superlativo Coro di Fiocchi Malaspina.

Si discute sempre dell’eccessiva melodrammaticità di questo Rossini sacro. Ammesso che ciò abbia ancora rilevanza al di fuori della ristretta cerchia di puristi e custodi dell’ortodossia, direi che il Tjek se ne sia bellamente fregato, leggendo Rossini per quel che è (non ci sono Rossini buffi, seri o sacri, ma un solo straordinario genio, capace di eccellere in ogni campo e in ogni genere). Così il Direttore – che ha mandato a memoria anche queste 250 pagine! - ha interpretato l’agogica ora con sostenutezza e sapienti prese di respiro, ora con passo travolgente (come nelle colossali fughe) e lo stesso ha fatto con le dinamiche, tenendo sempre alto il contrasto fra piani e forti, e scolpendo così un sontuoso edificio musicale, che ci appare con tutte le qualità, insieme del teatro e della cattedrale.       

Francamente qualche riserva me la… riservo per i quattro solisti: appena sopra la sufficienza Benedetta Torre e piuttosto a disagio con la sua parte Martina Belli; Juan Francisco Gatell ha avuto la disavventura di incappare subito in una spiacevole acciaccatura proprio sull’impervio REb del Cuius animam, e forse ciò può aver condizionato anche il resto della sua non proprio brillantissima prestazione. Da elogiare invece il navigatissimo Nicola Ulivieri, distintosi sempre nei suoi impegnativi passaggi.

Le riserve sui solisti mi portano inevitabilmente a domandarmi (sospettare?) la ragione della scelta di affidare il Quando corpus morietur al coro e non ai singoli. Cito al proposito un passaggio del venerabile Alberto Zedda: …N.9 Quando corpus morietur, pagina di alta commozione capace di trasformare il terrore della morte in paradisiaco stupore, è stato pensato da Rossini per quattro voci soliste: la difficoltà di mantenere una corretta intonazione, resa problematica da procedimenti cromatici ed enarmonici che si prolungano per intensi episodi, ha fatto tradizionalmente preferire l’impiego dell’intero coro, ideale per realizzare con la giusta espressione i colori dinamici fondamentalmente basati su piano e pianissimo. Ed è un fatto che a Pesaro (e non solo làggiù...) il brano sia sempre affidato al coro. Il che però lo priva oggettivamente della sua intensità quasi metafisica; per intenderci: quella che caratterizza lo stesso brano in Pergolesi, del quale Rossini aveva una stima incondizionata.

Ma insomma, non sottilizziamo troppo e teniamoci stretto questo Tjek, che ormai mostra di non temere qualunque prova, e che rivedremo e ascolteremo per altri tre concerti verso la fine della stagione.

PS: chi desideri ascoltare (o ri-ascoltare) il concerto di ieri, inclusa la presentazione da studio di Barbieri e i commenti dalla sala di Bossini, può farlo grazie alla registrazione di mamma RAI.    


11 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – per Pasqua Rossini prende il posto di Bach

Cambiano i Direttori e cambiano anche le tradizioni: nella Settimana Santa Ruben Jais, Direttore Artistico de laVerdi, immancabilmente programmava (magari appaltandola a… se stesso, cioè a laBarocca) l’esecuzione di una delle due passioni di Bach: Matteo o, alternativamente, Giovanni (questa fu l’ultima rappresentata, lo scorso anno).

Ora l’avvento di Tjeknavorian ha portato con sé anche una novità pasquale: al posto di Bach… Rossini e il suo monumentale Stabat Mater (martedi 15 e giovedi 17, ore 20). 

L’opera è alla sua ottava comparsa in Auditorium. Fu per parecchie stagioni una presenza costante nella programmazione de laVerdi: diretto dall’indimenticabile Romano Gandolfi, lo Stabat Mater risuonò qui in quattro stagioni consecutive: 99-00, 00-01, 01-02 e 02-03. Poi ritornò con Stéphane Denève nella stagione 05-06. Quindi 10 anni di assenza, prima di una nuova comparsa, con Claus Peter Flor nel 2016. Infine, sempre con Flor, l’ultima presenza, nel 2018, in occasione dei 150 anni dalla scomparsa di Rossini e dei 20 anni dalla nascita del Coro Sinfonico.

Al Rossini Opera Festival lo Stabat Mater è stato eseguito per ben 14 volte e, guarda caso, l’ultima apparizione colà, nel 2021, ebbe un qualche indiretto legame con laVerdi: perché a dirigerlo, alla testa della Filarmonica Rossini e del Coro del Ventidio Basso, fu una creatura dell’Orchestra milanese, Jader Bignamini.

Dopo i recenti trionfali concerti, l’aspettativa per questa nuova sfida del giovane Direttore Musicale è altissima. Nell’attesa, ecco un mio personale ripasso sui contenuti di questo capolavoro del genio pesarese.


31 dicembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.11

Fedeli all’ormai lunghissima tradizione, l’Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico di Milano celebrano il Nuovo Anno con 4 esecuzioni della Nona Sinfonia di Beethoven, della quale quest’anno si celebra il 200° compleanno.

Dopo il battesimo di domenica, ieri c’è stata la prima replica, cui seguiranno le  altre due, oggi e domani.

A guidare strumenti e voci il Direttore Musicale Emmanuel Tjeknavorian, coadiuvato dal preparatore del Coro, Massimo Fiocchi Malaspina.

Sappiamo che Emmanuel è figlio d’arte, e qui possiamo ascoltare e vedere il paparino  Loris (oggi 87enne) mentre dirige proprio la nona ad Yerevan, capitale di quell’Armenia che aveva dato i natali ai suoi genitori, poi sfollati in Iran, dove lui è nato e da dove ha intrapreso le sue innumerevoli peregrinazioni in giro per il mondo, e in particolare a Vienna, dove nel 1995 è venuto alla luce Emmanuel, che oggi ne sta brillantemente seguendo le orme.

Come dimostra la sicurezza quasi irriverente con la quale ha affrontato questo autentico mostro, mandato tutto a memoria!

A partire dall’Allegro ma non troppo iniziale, con la misteriosa emersione del primo tema dalle brume della quinta vuota di RE minore, per far poi spazio alla delicata melodia in SIb maggiore e poi al dipanarsi di questa lunga, complessa e ardita costruzione in forma-sonata.

Poi lo Scherzo, che in particolare esercita sempre un fascino quasi sinistro: quel ritmo ossessivo lo rende simile ad un moto perpetuo che toglie il respiro. E il Trio, solo apparentemente più tranquillo, non fa che sostenere questa continua tensione (forse solo lo Scherzo dell’ottava di Bruckner è altrettanto invadente). Qui però mi tocca di fare una modesta critica al Tjek: averci risparmiato (proprio come papà Loris nella citata registrazione) i da-capo delle due sezioni dello Scherzo. A qualcuno potranno sembrare delle inutili lungaggini: in effetti sono almeno 5 minuti di musica, ma personalmente sono sempre felice di ascoltarli, e deluso se mancano all’appello.

Poi il Tjek si è rifatto ampiamente con l’emozionante Adagio.Andante, con le sue celestiali melodie che creano un’oasi di raccoglimento prima dell’esplosione del Finale. Dove celli e bassi si sono ancora una volta superati nel proporci a mo’ di austero recitativo quel Freude, schöner Götterfunken che poi le voci si incaricheranno d’innalzare al cielo nell’apoteosi conclusiva.  

E, a proposito di voci, I quattro solisti SATB (presentatisi, come consuetudine, prima dell’Adagio e dislocati al proscenio) hanno complessivamente ben meritato, a partire dal baritono coreano Jusung Gabriel Park che si è distinto nel recitativo che apre l’Ode schilleriana. Bene anche le due voci femminili, Elisabeth Breuer (soprano) e Caterina Piva (mezzosoprano, già ben nota ai palcoscenici italiani). Quanto al sudafricano di colore Katleho Mokhoabane, ha mostrato voce ben impostata, peccato però che manchi di qualche decibel: la sua frase che chiude con freudig, wie ein Held zum Siegen è stata purtroppo inghiottita dal pieno di orchestra e coro.

Il quale coro ha mostrato ancora una volta di cosa è capace, e giustamente Fiocchi Malaspina al termine è stato, come tutti, ampiamente ovazionato.

Serata davvero magica e trionfale, in un Auditorium pieno più di un uovo e con l’entusiasmo del pubblico che ha raggiunto il calor bianco. 


14 dicembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.10

Un insolito accoppiamento caratterizza il decimo appuntamento della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano: ne sono protagonisti Händel e Mozart. Del quale ultimo ascoltiamo – siamo ormai sotto Natale! - la versione del Messiah in lingua tedesca, ottenuta per riorchestrazione (e modifiche varie) dell’oratorio originale in lingua inglese del primo.

Questa versione (di abbastanza rara proposta, forse perché trattasi di un… ibrido) intanto impiega - appunto - la lingua tedesca, facendo uso di testi della Bibbia di stampo luterano. Poi accoglie una delle diverse varianti che l’originale propone per alcune arie; muta talvolta l’assegnazione del pezzo solistico a voce diversa da quella impiegata dal compositore tedesco trapiantatosi in Albione.

Ma soprattutto arricchisce la compagine strumentale di suoni (soprattutto nella sezione dei fiati) ormai familiari e quasi irrinunciabili nella Vienna di fine ‘700, ma quasi assenti nell’originale di Händel. Il che peraltro – è Mozart, in fin dei conti! - non ne snatura affatto l’intima essenza. Però ieri (complice anche un’amplificazione - forse del continuo) la corposità del suono mi è parsa un tantino esagerata, ecco.

Christoph Koncz, cresciuto come violinista nei Wiener, ha guidato con autorevolezza la compagine de laVerdi e i quattro solisti SATB (Anna Prohaska, Chiara Tirotta, Ilker Arcayürek e Liviu Holender) tutti più o meno (più per la prima, meno per il terzo…) all’altezza del compito.

Al successo della serata, decretato a tutti da un pubblico calorosissimo, ha ovviamente dato un determinante contributo il Coro Sinfonico diretto da Massimo Fiocchi Malaspina. Si replica domenica 15, pomeriggio.


01 novembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.5

Questa settimana l’Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano propongono, come in ogni stagione che Dio ci manda, uno dei loro (tanti) cavalli di battaglia: il Requiem di Verdi! Per l’occasione Auditorium finalmente affollatissimo.

Concerto dedicato doverosamente alla memoria di Romano Gandolfi, mitico Direttore del Coro della Scala e co-fondatore, proprio 5 lustri orsono, della compagine corale de laVerdi, con la quale un paio di volte guidò il Requiem anche dal podio!

Quartetto vocale (per me) oltre le aspettative, con il soprano Maria Teresa Leva sugli scudi, una prestazione chiusa davvero in bellezza con un Libera me da incorniciare, nelle accorate invocazioni, come negli impervi passaggi della fuga, superati di slancio.

La turca germanizzata Deniz Uzun ha mostrato voce solida e ben proiettata: pregevoli le sue Liber Scriptus e Recordare (con la Leva) e il Lux aeterna (con Corrado).

A dispetto della chiamata all’ultima ora, il tenore Francesco Demuro ha benissimo meritato: da ricordare il suo Ingemisco.

Last-but-not-least, Adolfo Corrado, trentenne basso, di cui sono da apprezzare le due parti solistiche (Mors stupebit e Confutatis) in aggiunta ai passaggi di insieme.

Il Coro di Massimo Fiocchi Malaspina ha festeggiato come meglio non si poteva le sue nozze d’argento con l’Orchestra.

Lascio da ultimo Michele Gamba. Dopo lunga gavetta, a 41 anni si sta ora imponendo sia nel teatro musicale che nel sinfonico come un personaggio di grande spessore: ieri lo ha confermato con l’autorevolezza con cui ha domato questa impervia e multiforme partitura, nella gestione delle proterve irruzioni del Dies Irae, come nell’approccio al complesso Offertorium. Data la sua consuetudine con la musica del ‘900 mi è parso che abbia dato dell’opera un’interpretazione asciutta e severa, evitando facili eccessi melodrammatici. L’Orchestra, che del Requiem ha maturato esperienze fin dagli anni di Chailly e Gandolfi, da parte sua lo ha assecondato alla grande.

Alla fine, entusiastica accoglienza per tutti i Musikanten, con applausi ritmati e diverse chiamate: il pubblico non ne voleva proprio sapere di alzarsi e così Gamba ha dovuto prender per mano la spalla Dellingshausen e portarselo via come un bambinello…


15 giugno, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.26

Chiusura in bellezza della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano, con il ritorno sul podio di una vecchia conoscenza, Patrick Fourniller, e alla tastiera dei due fratelli (ma qui separati, salvo... bis!) Jussen. Presente anche il Coro Sinfonico, a (quasi) completare tutto l’organico musicale della Fondazione.

Programma invero sontuoso, tutto beethoveniano. Si parte infatti con l’Imperatore! È il maggiore dei due olandesini, Lucas, a cimentarvisi. Prestazione davvero impeccabile, per mirabile rigore tecnico coniugato con raffinatezza di tocco e perfetta intesa con orchestra e direttore.

Scroscianti applausi e ovazioni per lui, che (ma solo per ora…) non concede bis
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Ecco quindi il gran finale, con la Fantasia op. 80, che impegna Arthur al pianoforte, il Coro di Massimo Fiocchi Malaspina, e sei solisti (SATB): Bernarda Bobro e Sarah Fox (soprani); Aoxue Zhu (alto), Patrik Reiter e Artavazd Sargsyan (tenori); e Matthias Winckhler (basso).

Giovedi 22 dicembre 1808 il Theater an der Wien ospitò un concertucolo di opere beethoveniane (una delle cosiddette accademie che i compositori organizzavano per farsi pubblicità…) avente in programma:

- Sinfonia n°5 e Sinfonia n°6 (prime esecuzioni);
- Concerto per pianoforte n°4;
- Aria Ah, perfido!;
- Messa in DO maggiore (3 movimenti);
- Fantasia corale op.80 (prima esecuzione).

Solo 4 orette di musica, che sarà mai… Qui un dipinto di Moritz von Schwind che raffigura una fase – piuttosto, ehm… disordinata - delle prove della Fantasia:

Il piccolo seme da cui germoglierà la Fantasia è un Lied giovanile (1795) intitolato Seufzer eines Ungeliebten (noto come Gegenliebe, Amore reciproco). E in seguito dal tema della Fantasia nascerà quello, passato alla storia, dell’Inno alla Gioia della nona:

Seguiamo un’esecuzione dei Wiener con Lenny Bernstein e Homero Francesch. L’articolazione del brano è essa stessa assai bizzarra: (50”) una lunga (a dispetto delle sole 26 battute) Introduzione del pianoforte solo, in tempo Adagio (DO minore-maggiore) e in forma di cadenza concertistica è seguita direttamente dal Finale, che ha una struttura assai complessa, anticipando (in scala ridotta) quella del finale della nona.

È aperto (4’01”) in DO minore, tempo Allegro, dall’orchestra, con i bassi a supportare il pianoforte nella transizione a DO maggiore (Meno allegro, 5’10”) dove il solista, introdotto da una lenta fanfara di corni e oboi, espone quello che sarà il tema cardine dell’opera, derivato dal Gegenliebe, e che successivamente verrà ripreso da solisti e coro, proprio come avverrà (in proporzioni moltiplicate) nell’Op.125.

Il pianoforte chiude questo primo intervento con uno svolazzo di biscrome, quindi si limita ad accompagnare il flauto solo, che gli subentra (6’06”) presentando una virtuosistica variante (semicrome in luogo di crome) del tema, poi imitato (6’35”) dagli oboi e successivamente (7’02”) dai clarinetti, contrappuntati dal fagotto.

Infine (7’28”) entra il quartetto d’archi, imitando i legni con una versione più mossa – quasi un controsoggetto - del tema principale, che torna in grande spolvero (7’56”) con un robusto tutti della sola orchestra.

Il pianoforte chiude questa sezione (8’23”) con una lungo ponte che modula (8’38”) a SOL maggiore e sfocia (9’07”) in una veloce (sempre più allegro) cadenza che riporta SOL a dominante e apre (Allegro molto, 9’13”) una sezione di sviluppo in DO minore caratterizzata da un serratissimo dialogo solista-orchestra.

Sfumato il quale, ecco un’altra sorpresa, con il solista che modula arditamente (9’43”) a SI maggiore (!) per riesporre il tema. Quindi fa progressivamente degradare la tonalità (10’13”) a LA minore, sempre in stretto dialogo con l’orchestra, preparando la successiva sezione (Adagio ma non troppo, 10’58”) in LA maggiore. È un passaggio sognante del pianoforte, discretamente accompagnato da clarinetti, fagotti, viole e celli.

Altra ardita modulazione (13’54”) a FA maggiore, e passaggio in Marcia, assai vivace (anche qui si anticipa la nona!) per una nuova esposizione variata del tema da parte dell’orchestra (quasi alla turca…) Il solista (14’22”) torna ad interporsi all’orchestra, mentre i… turchi si allontanano.

Il pianoforte ancora in primo piano (15’05”) con un mesto ricordo del tema, riportando la tonalità a DO minore, poi si torna all’Allegro introduttivo, con i bassi (15’44”) a preparare l‘Allegretto, ma non troppo (quasi Andante con moto, 16’06”) che prelude finalmente all’ingresso dei solisti (16’25”) e poi di tutto il coro.

Siamo tornati al solare DO maggiore, e ascoltiamo l’inno alla fratellanza di Christoph Kuffner, una pagina breve ma efficace, da cui Beethoven coglierà più di uno spunto (non ci vuol molto ad individuarlo…) per musicare – anni e anni dopo – Schiller.   
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Il giovane Arthur si fa valere nella difficile Introduzione solistica, come nei diversi dialoghi con l’orchestra che caratterizzano il brano. Orchestra sempre all’altezza della sua fama. Le sei voci soliste e il Coro di Fiocchi Malaspina danno il loro grande contributo al successo dell’esecuzione, salutata da ripetuti applausi ritmati.

Prima dell’ultimo omaggio generale torna sul palco Lucas e si siede a destra di Arthur sullo sgabello del pianoforte. Insieme ci lasciano con il Bach della Sonatina dall’Actus Tragicus, trascritta da Kurtág.

Davvero una conclusione di stagione alla grande. Ma l’Orchestra ora si prepara ad una importante trasferta a Francoforte, dove con Tjeknavorian porterà i Carmina Burana.

01 giugno, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.24

Di tanto in tanto, l’Orchestra Sinfonica di Milano si (e ci) regala qualche escursione nel genere del teatro musicale. Questa volta tocca a Puccini (di cui si celebra il centenario della scomparsa…) e a Suor Angelicaalla sua seconda apparizione dopo quella di 18 anni orsono con Bisanti.

Questa produzione è realizzata in collaborazione con l’Accademia del Teatro alla Scala, da cui provengono 5 delle 7 interpreti dell’opera (Monica Zanettin e Silvia Beltrami sono le altre due). Per l’occasione torna per la terza volta sul podio dell’Auditorium il 34enne tarantino Vincenzo Milletarì, già ospite qui nel ’22 e ’23.

Serata per (quasi) tutte rappresentanti del genere femminile: oltre alle sette interpreti (dei 14 ruoli) anche la Direttrice del Coro di Voci Bianche (tutte ragazze) Maria Teresa Tramontin. A rappresentare il genere maschile, oltre al Direttore, è il Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina, con tenori e bassi che nel finale si aggiungono alle signore e alle voci bianche.    

I tre ruoli principali dell’opera, dal punto di vista musicale, sono senz’altro Angelica, Principessa e Genovieffa.

La protagonista del title-role si presenta esponendo la sua filosofia della bella morte, dove ogni umano desiderio è già realizzato prima ancora di manifestarsi, grazie all’intercessione della Beata Vergine. Poi la vediamo all’opera come esperta di medicina e farmacologia, quando prepara la pozione contro le punture di vespa; tornerà ad esercitare questa sua sapienza nel finale, allorquando preparerà la mortale bevanda per sé medesima. Poi la vediamo in preda all’ansia, all’annuncio di una visita che la riguarda; e subito dopo affrontare il drammatico incontro-scontro con la Zia Principessa, dove emerge la sua aperta ribellione contro i pregiudizi della società. Deve poi sopportare il devastante dolore alla notizia della morte del figlioletto. Da qui la decisione di darsi la morte per raggiungerlo in Paradiso, subito seguita dal pentimento per la consapevolezza della mortale peccaminosità del gesto. Infine, lo scioglimento della sua vicenda terrena nella celeste beatitudine.

Insomma, un ruolo complesso e dalle mille sfaccettature, che Puccini ha scolpito mirabilmente in musica. Ebbene, l’ormai veterana Monica Zanettin ha mostrato di sapersi calare assai bene in questa parte che alterna toni dimessi e riflessivi a scatti di passione, amor materno che arriva al sacrificio, ma anche disprezzo per la società che l’ha punita invece di comprenderla e aiutarla. Avesse un po’ più di penetrazione negli acuti sarebbe quasi perfetta. A lei è andato il maggior consenso del pubblico.

La Zia Principessa è la classica espressione femminile della società patriarcale in auge in quel lontano 1600 (ma le cui propaggini si spingono fino a noi…) Obbedienza cieca a principii ottusi; inflessibile esercizio dell’autorità: e disprezzo, in luogo di comprensione, per chi esce dalla retta via. La navigata Silvia Beltrami si è ben calata nella parte, facendo emergere con la sua solida voce contraltile tutta la freddezza e l’ottusa severità del personaggio. Anche con lei il pubblico è stato assai generoso. 

Genovieffa rappresenta l’ingenuità e la sincerità della gente comune. Sa apprezzare la bellezza di un tramonto; mostra premura nel ricordare una sorella defunta; non trova sconveniente avere desideri, se sono innocenti (agnellino = Agnus Dei…) e non animati dall’egoismo; mostra comprensione per l’ansia di Angelica. L’alfiere delle accademiche scaligere, Greta Doveri, l’ha efficacemente interpretata, accollandosi anche i ruoli marginali di seconda cercatrice e seconda conversa.

Le altre interpreti sono Elena Caccamo (Badessa + Suora zelatrice); Fan Zhou (Osmina, Dolcina, Novizia); Laura Lolita Perešivana (prima cercatrice, prima conversa) e Dilan Saka (Maestra e Suora infermiera). Le loro parti sono di portata quantitativamente limitata: accumunerei tutte in un giudizio lusonghiero. E il pubblico mi pare abbia fatto altrettanto.

Bene Milletarì, gesto sempre essenziale e precisione negli attacchi, che con questo Puccini evidentemente ha trovato una buona consonanza, valorizzandone al meglio questa difficile partitura. E l’Orchestra lo ha assecondato alla grande: da antologia tutto il finale, in cui è spiccato il mirabile passaggio (guidato dai violoncelli) che accompagna Lodiam! La Grazia è discesa dal cielo! di Angelica.

Hanno completato degnamente l’opera i cori di Tramontin e Fiocchi Malaspina. Alla fine, lunghi e convinti applausi per tutti, da parte di un pubblico assai folto e partecipe. Una serata davvero da incorniciare. 

30 dicembre, 2023

Capodanno con la Sinfonica di Milano

È lunghissima tradizione per laVerdi che l’appuntamento con l’anno nuovo (quattro concerti fra il 29/12 e l’1/1) abbia come messaggero quell’universale appello che prende il nome di Nona Sinfonia.

Anche quest’anno a dirigerla è il Direttore Emerito Claus Pater Flor, che fece il suo un po’ rocambolesco esordio sul podio dell’Auditorium proprio in occasione di uno storico Capodanno, quello del nuovo millennio.

Prima dell’inizio, a orchestra e coro già schierati, un preludio particolare: Massimiliano Finazzer Flory si è presentato al proscenio per leggere il famoso Testamento di Heiligenstadt, che il Beethoven ormai sulla strada della sordità sempre più grave scrisse nel 1802 ai fratelli, confessando che solo l’amore per l’Arte lo aveva convinto a resistere, vivendo e componendo, alla tentazione di farla finita.

E poi, ecco la Sinfonia che il genio di Bonn potè ascoltare solamente nella sua testa, dove del resto era nata e cresciuta: e nessuno può dire con certezza quanto i segni da lui lasciati sui righi della carta da musica corrispondano a ciò che risuonava nel suo orecchio interiore…

Flor ce l’ha proposta con cipiglio davvero teutonico: un primo movimento austero e cupo; poi uno Scherzo quasi demoniaco, martellante, protervo; lo stupefacente Adagio, commovente come sempre (peccato una macchiolina dovuta ad uno scarto di un corno verso la fine); e poi quell’immenso finale, con gli archi bassi ad introdurlo in modo impeccabile nell’iniziale recitativo.

E infine i solisti (dislocati appropriatamente al proscenio) e il coro di Fiocchi Malaspina, che hanno chiuso trionfalmente la serata. Tutte apprezzabili e da promuovere a pieni voti le voci di Lenneke Ruiten, Theresa Kronthaler, Patrik Reiter (questi ultimi due già positivamente cimentatisi in passato in Auditorium) e Modestas Sedlevičius (gran bella prestazione la sua, a partire dallo stentoreo recitativo di apertura).

Pubblico davvero oceanico che ha tributato applausi e ovazioni a tutti. Quindi un inizio di… fine d’anno più che promettente, che ci trasmette almeno un po’ dell’incrollabile fede di un sommo Artista nella Vita e nell’Uomo. E Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno!