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21 luglio, 2023

Muti con la sua Cherubini a Ravenna

Il Ravenna Festival si avvia alla conclusione e, come consuetudine, è toccato al padrone di casa (acquisito) Riccardo Muti di dirigere l’ultimo concerto sinfonico del 2023 alla testa della sua Cherubini.

PalaDeAndré pieno come un uovo, il che rende inspiegabile perchè due delle sei sezioni delle tribune laterali fossero chiuse al pubblico (che poi le ha in parte occupate…) 

L’apertura era riservata a Nino Rota - che fu tra i primi a scoprire in Riccardo Muti un futuro protagonista della vita musicale italiana e internazionale – con la Suite in 8 movimenti da Il Padrino (parti I e II).

1. Sicilian Pastorale (I)
2. The Immigrant (II)
3. The Pickup (I, non usato)
4. Kay (II)
5. Love Theme (I)
6. A New Carpet (II)
7. Waltz (I)
8. End Title (II)

Ecco qui come Muti la registrò nel 1997 con i Trepper PhilharmonikerE anche ieri ne ha cavato tutta la raffinatezza e la profondità.

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Ancora di Rota, Il 54enne Tamás Varga da Budapest, primo violoncello dei Wiener Philharmoniker (che il  Maeschtre evidentemente conosce assai bene…) ci ha poi offerto il bellissimo Secondo Concerto.  
  
Che fu composto nel 1973 e dedicato al sommo Mstislav, con uno sguardo retrospettivo (ma per nulla anacronistico) alla grande tradizione classico-romantica, come dimostrano l’impianto rigorosamente tonale (SOL maggiore, con tanto di accidenti in chiave) e la struttura solo apparentemente eterodossa: due soli movimenti espressamente indicati ma, come osserva Bruno Moretti nell’introduzione alla partitura Schott, il secondo (Variazioni e finale) è in realtà una micro-sinfonia. Nella quale si possono distinguere Andante(tema)/Scherzo(variazioni 1-5)/Adagio(variazione 6) e Finale (variazione 7).
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Seguiamo il concerto accompagnati dal grande Mario Brunello con la SantaCecilia diretta da Robin Ticciati.  

L’iniziale Allegro moderato (4/4) si struttura come una forma-sonata liberamente interpretata. Vi si distinguono due temi principali (T1 e T2) e un motivo di raccordo (R). Sono i primi violini (1’40”) ad esporre T1, dal carattere giocoso e danzante, su un accompagnamento ostinato in crome di viole e celli:

Dopo alcune modulazioni cromatiche si torna a SOL maggiore, dove compare (2’09”) il motivo R, esposto ancora (in pizzicato) dai primi violini (ora in unisono con i secondi e le viole) su un martellante tappeto dei corni:

Ecco quindi (2’30”) il maschio e puntato tema T2, nei legni (qui il primo oboe):

Proprio sulla chiusura di T2 (2’42”) attacca il solista, con una svolazzata di semicrome che porta (2’53”) alla ri-esposizione di T1, qui completato (3’20”) da una sua variante, che si snoda dal SI anziché dal RE, per portare quindi, dopo il passaggio da R (3’32”), a T2 (3’54”).

E proprio T2 viene manipolato assai, dando inizio a ciò che si può intendere come sviluppo. Dove infatti torniamo ad udire (4’32”) spezzoni di T1 nei fiati, accompagnati languidamente dal solista, poi ancora (5’23”) T2, protervo, fino ad una perorazione grandiosa (5’43”) dell’incipit di T1.

Il solista si imbarca in volate di semicrome mentre i corni ripetono T2, seguiti da oboe e tromba (6’09”).

Il tema T1 (6’21”) ritorna largamente per dare inizio ad una specie di ricapitolazione, dove gli segue (7’09”) il motivo R pizzicato. Poi il solista (7’30”) attacca crudamente T2, quindi tutti tornano (7’44”) su T1, con un finale sberleffo (8’15”) di violini e viole. 

Siamo ora all’Andantino cantabile, con grazia (4/4, SOL maggiore) aperto da solista che ne espone (8’27”) il nobile tema conduttore, che poi verrà sottoposto a sette variazioni:

La seconda frase (8’50”) vira momentaneamente (8’56”) a REb maggiore, per poi modulare ancora (9’12”) a LAb maggiore, dove i violini, poi raggiunti dal solista, ri-espongono il tema. Che viene ulteriormente ripreso, dopo il ritorno al SOL maggiore di impianto, dal solista (9’45”) che però lo chiude anzitempo con una leggera accelerazione. È poi il fagotto (10’06”) ad esibirsi in una sommessa cadenza, prima che il solista (10’20”) riprenda solo l’attacco del tema, portandone la tonalità a LAb, su un tremolo che ne chiude l’esposizione.

Hanno ora inizio le variazioni sul tema. Come premesso, le prime cinque hanno un carattere mosso e nervoso, testimoniato dalla continua accelerazione del tempo (come da indicazioni metronomiche).

Il solista (10’37”) attacca la prima scendendo di un semitono per ripristinare il SOL maggiore, mentre il tempo accelera moderatamente (da 76-80 a 88 semiminime di metronomo). Assistiamo qui ad un serrato dialogo (a base di semicrome) fra solista e flauto, che si palleggiano spezzoni dell’incipit del tema, chiuso dal solista con il ritorno a LAb.

A 11’53” ecco quindi la seconda variazione, in buona parte in RE maggiore, con il tempo che ancora accelera (metronomo a 96) e che il solista esegue integralmente in pizzicato, frantumando letteralmente il tema principale, sempre rimbeccato da fagotti e corni, da ultimo anche dal flauto.

Chiude a 13’00” sul REb, da dove inizia (13’05”) in SIb maggiore, la terza variazione (3/4, Tempo di valzer calmo e cantabile) e metronomo ancora aumentato a 104-112:

È una variazione assai corposa, dove il solista è inizialmente accompagnato da oboe, clarinetto e corno, poi (13’28”) nella ripresa, anche dal flauto. La melodia viene successivamente sottoposta ad ardite modulazioni (come a 13’52”, SI maggiore, nel corno, poi a FA minore, 14’22” nel flauto e poi nel clarinetto). Si torna a 4/4 (Liberamente, con fantasia) e il solista chiude e infine sul LA.

Qui (15’30”) dal LA dominante parte la quarta variazione, in RE maggiore (Alla marcia, allegramente) con il metronomo ancora accelerato a 132-138. La melodia del solista si distende sull’arpeggio discendente di RE (da dominante a dominante) e viene accompagnata da oboe, poi da flauto e infine da squilli di trombetta. Il solista modula provvisoriamente a LAb maggiore (16’02”) poi l’orchestra torna sulla melodia in RE.

Siamo così arrivati alla quinta variazione, con il metronomo ancora accelerante a 144, dove il solista (16’23”) riprende i suoi arpeggi in SOL maggiore; quindi l’orchestra (16’45”) prepara il terreno per la lunga cadenza solistica (16’55”) che porta alla conclusione sul DO grave.

Nella sesta variazione (18’27”, Calmo, contemplativo) il metronomo torna a 76-80, quello dell’Andantino cantabile che aveva originato le variazioni. È una pagina di straordinaria bellezza, dove la melodia sale sempre più in alto per volute successive (cosa degna del Liebestod, per dire…) passando progressivamente dall’iniziale DO minore al celestiale SI maggiore (Tristan, appunto!) prima di ricadere sul SOL minore che la chiude.

SOL che torna maggiore a 21’57” (Allegro vivo) dove inizia la settima ed ultima variazione, un vero e proprio Finale, come indica la partitura. Qui il tema viene ripreso nella sua interezza, ma sottoposto a variazioni e modulazioni continue, affidate anche ai fiati (oboe, corni, flauto, trombe) e con squarci di virtuosismo per il solista. La conclusione è asciutta, due classici e semplici accordi (dominante-tonica) della smagrita orchestra.
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Splendida l’esecuzione di Varga, ben supportato dai ragazzi paternamente guidati da Muti. Bis con un nobile Adagio, concordato con il Maestro fra un bagno e l’altro (…)
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La seconda parte del concerto era tutta di marca spagnola. Ecco infatti di Manuel De Falla la Seconda Suite dal Cappello a tre punte, brano che Muti incise già nel 1980 con la Philadelphia.

Vi sono incorporate tre danze del second’atto del balletto, e precisamente:

- una Seguidilla (I vicini)

- poi una Farruca (3’11”, Danza del mugnaio)

- e infine l’indiavolata Jota (6’14”, Danza finale)

Ha chiuso il concerto il brano più eseguito in assoluto nella storia della musica: il Bolerodiravel!

Che come al solito ha portato il pubblico ad un delirante entusiasmo. Prima di salutare tutti, Muti ha voluto sottolineare il valore della sua creatura, fatta di giovani e giovanissimi che ogni anno ne rinforzano i ranghi; e dando a tutti appuntamento per il 2024, quando si festeggerà il 20° compleanno di questa che ormai è a pieno titolo una delle più solide realtà nel panorama musicale italiano. 

25 giugno, 2023

A Ravenna ancora malmessa tiene duro il Festival

Lo stato della pianura attorno a Ravenna è ancora ben lontano dalla normalità, mentre la politica litiga su chi debba occuparsi del problema… (se no, che italiani saremmo?)

Il Ravenna Festival sfida tutte le disgrazie e stoicamente procede nella sua programmazione. Ieri sera l’Orchestra Cherubini (del Maeschstre co-padrone di casa) ha tenuto un gran bel concerto, sotto la direzione del 49enne Julian Rachlin (austriaco di origini lituane, che alterna la bacchetta con gli archetti di violino e viola) e con la partecipazione di Yefim Bronfman, 65enne pianista uzbeko-israeliano-statunitense.

PalaDeAndré purtroppo occupato per non più di due terzi dei posti, già in partenza fortemente ridotti rispetto alla capienza nominale…  

Programma aperto da Rimski-Korsakov, con il suo breve Preludio dell’opera (del 1905) che narra della leggendaria Kitež, la città invisibile. La versione da concerto è un poco allungata rispetto a quella che apre l’opera: sono comunque poco più di 4 minuti (101 battute) di musica evocante il mistero della nebbia dorata che avvolge, rendendola invisibile e poi improvvisamente mostrandola agli occhi spaventati degli invasori tatari, la città divenuta simbolo della resistenza russa ai nemici orientali.
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Ecco poi Bronfman proporci quello che da molti è considerato (Imperatore permettendo) il più prezioso dei 5 concerti pianistici di Beethoven: il Quarto, in SOL maggiore. Lui passa per essere un demolitore di tastiere, perchè si dice usi il pianoforte come percussione… ma con questo Beethoven quasi dimesso e introverso ha mostrato quanto sia capace di leggerezza e trasparenza di suono, calcando un po’ la mano solo nella cadenza dell’Allegro moderato. Rachlin lo ha ben supportato, salvo qualche sporadico eccesso di volume, che si può perdonare, dato l’ambiente non proprio da auditorium del PalaDeAndré.

Poi Bronfman, acclamato dal pubblico, ha però tirato fuori le unghie con due bis garibaldini (qui siamo in zona…): il Rachmaninov dell’Op.23 n°5 e il rivoluzionario Chopin dello Studio n°12 Op.10.
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La serata si è chiusa sontuosamente con la tremenda (dal punto di vista di chi la deve suonare…) Quarta Sinfonia di CiajkovskiRachlin è da elogiare anche solo per aver diretto con la partitura appoggiata… nella sua memoria, il che testimonia della cura che le ha riservato.

La Cherubini dal canto suo ha mostrato di non temere prove impegnative come questa: qualche pecca, soprattutto in alcuni non perfetti impasti di suono fra le sezioni, nulla toglie ai meriti di questi ragazzi, accolti con grande calore dal loro pubblico di casa.

04 luglio, 2022

Gidon Kremer a Ravenna con cambio di programma

Altro appuntamento di lusso al ravennate PalaDeAndré con la mutiana Orchestra Cherubini e due celebrità della musica sinfonica: Christoph Eschenbach e Gidon Kremer. Programma annunciato come tutto russo (alla faccia del CoPaSiR, haha) con un’opera di rara esecuzione di Mieczysław Weinberg e una di Ciajkovski che più inflazionata non si può.

Ma all’ultimo momento ecco la sorpresa: via il problematico Weinberg per far posto ad un raro Schumann della trascrizione dell’Op. 129. (Voci trapelate dal palco attribuiscono la causa a problemi fisici del violinista lettone.)  

Un vero peccato non poter ascoltare questo Weinberg, nato in Polonia (come tradisce il suo nome) nel 1919 ma poi emigrato in URSS nel ’39 per sfuggire al nazismo e che quindi oggi passa per compositore conterraneo di Shostakovich, da cui effettivamente ha mutuato parecchio dello stile, oltre ai fastidiosi problemini di… convivenza con lo stalinismo.

Il suo Concerto per violino è del 1959 e fu dedicato al sommo Leonid Kogan, che lo interpretò nel 1960 con la Filarmonica di Mosca diretta da Kirill Kondrashin. Poi però Weinberg cadde purtroppo nel dimenticatoio e fu proprio Gidon Kremer a resuscitarlo, riproponendone non solo i brani solistici, ma anche quelli orchestrali (con la sua Kremerata Baltica). Il Concerto è stato recentemente inciso da Kremer – in occasione del centenario della nascita di Weinberg - con la Gewandhaus di Lipsia diretta da Daniele Gatti e l’esecuzione è ascoltabile in rete.

Era una ragione in più (per me, ma credo per molti) per ascoltarlo dal vivo qui a Ravenna. Anche perché l’ascolto comparato dell’interpretazione originale di Kogan e di quella moderna di Kremer mette in evidenza una chiara (si potrebbe azzardare abissale) diversità di approccio interpretativo: assai asciutto e nervoso quello di Kogan (rispettoso dei metronomi di Weinberg e verosimilmente benedetto a suo tempo dall’Autore, presente a prove e prima) e molto più sostenuto e riflessivo quello di Kremer. Cosa testimoniata del resto dai quasi 7 minuti (sui circa 26 di Kogan) di differenza in più per il violinista baltico. 

Ma veniamo a ieri: Kremer ci ha presentato quindi una trascrizione del Concerto per violoncello di Schumann, che possiamo ascoltare qui in un’esecuzione di qualche anno fa. Però ha voluto farci anche un’altra sorpresa, iniziando con un… bis in omaggio alle sofferenze dell’Ukraina, suonando il Requiem per violino solo del compositore georgiano Igor Loboda, composto nel 2015 dopo i luttuosi fatti del 2014 che purtroppo sono oggi culminati in questa guerra insensata. La stessa cosa Kremer aveva fatto lo scorso maggio a Lubiana, come testimoniato da questo video, a partire dal minuto 4’33” (erroneamente il titolo di youtube lo cita come primo brano).

Ecco quindi questo inedito Schumann dell'ostico Concerto per violoncello trascritto per lo strumento principe degli archi. Cha Kremer ci ha porto con la raffinatezza che gli è propria, accolto da applausi e ovazioni del pubblico (per la verità non oceanico) al quale ha poi dedicato un altro breve encoreomaggio al… soppresso Weinberg, con il 5° Preludio per violoncello, dall’Op.100, che significativamente cita il tema del concerto schumanniano!

Bene, dopo questa prima parte del concerto ricca di imprevisti, ecco Ciajkovski con la sua celebre Quinta. Che ha permesso ai ragazzi di Riccardo Muti di sfoggiare tutta la loro bravura, sotto la guida vigile e sicura di Eschenbach. Quasi di prammatica un inizio di applauso già sui truci accordi di SI maggiore che precedono la coda Moderato assai e molto maestoso; applausi che poi sono piovuti copiosi e meritati sul conclusivo ta-ta-ta-taaa in Mi maggiore.

Insomma, una bella serata di musica che ci fa dimenticare per un attimo guerre, crisi e… siccità.