trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta kaplan. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta kaplan. Mostra tutti i post

27 dicembre, 2008

Artisti o ciarlatani?


In questi ultimi giorni un paio di avvenimenti hanno riproposto al mondo (quello piccolo, sempre più piccolo, e più piccolo ancora) dei cultori dell’arte (musicale) l’eterno dilemma: come giudicare un personaggio che si mette in mostra?

a. sarà un grande artista, come i sofisticati strumenti di marketing vorrebbero darci a bere, oppure...

b. sarà un ciarlatano di quelli che, senza avere doni naturali, men che meno ispirazione e soprattutto senza versare nemmeno una goccia di sudore, assurge nondimeno agli onori degli altari (auditorium e aule parlamentari) ???

Il primo fatto, passato quasi inosservato qui da noi, riguarda Gilbert Kaplan: per i più un ciarlatano, che ha un’unica qualità, consistente in una montagna di quattrini, con i quali si può permettere di comprare persino la New York Philharmonic, dopo essersi comprato già i Wiener Philharmoniker e la London Symphony! Per altri, fra cui un critico british, di quelli che vanno per la maggiore, è invece un sincero interprete (di un’unica composizione, peraltro) che merita lo stesso rispetto dovuto a Pappano o Thielemann (e poi: 200.000 copie di CD con le sue registrazioni non se l’è mica comprate lui). Ma, a chiarire la statura del critico, che assolve Kaplan dall’accusa di marketing-ismo, si scopre che è lo stesso che ha scritto di Karajan come di un fenomeno da baraccone (ahinoi, da che parte ci dobbiamo girare?)

Il secondo fatto ci è molto più vicino, e riguarda Giovanni Allevi, che il programmatore del concerto natalizio in Senato ha chiamato ad esibirsi di fronte ai nostri politici, neanche fosse la reincarnazione di Rossini (forse data la provenienza geografica). Apriti cielo! Il più imbufalito - in pubblico - è Uto Ughi, che evidentemente non ha digerito che a deliziare quell’aula sia stato chiamato - 10 anni fa - il suo collega-rivale Salvatore Accardo, mentre a lui non lo degnano di uno sguardo. E così ne dice di tutti i colori, anzi le suona di santa ragione, al povero Giovanni, colpevole di vendere dischi a bizzeffe e di fare audience, laddove a lui (Uto) rimane solo l’orticello (quello piccolo, sempre più piccolo, e più piccolo ancora) di cui sopra. Bisognerebbe allora chiedere al veneziano (oggi) più incazzato d’Italia, come mai, anni fa, l’Opera di Baltimora (americani beoti, per Ughi, immagino) abbia commissionato all’ignorante capelluto Allevi, invece che al divino Uto, di musicare nientemeno che i recitativi della Carmen.

Ma ancor più di Ughi, che un minimo minimo di successo e notorietà, in questo mondo di merda, li ha comunque avuti, ad essere fuori dalla grazia di dio sono tutti quei bravi ragazzi, che magari hanno studiato e sudato per anni al conservatorio, ma che adesso si ritrovano a fare il cococo programmatore basic in qualche centro servizi meccanografici, oppure la segretaria d’azienda, annegata in mezzo a protocolli, timbri e fatture: basta un giro nei blog, cercando “Allevi” per averne conferma. Furbo lui - questo pare ormai accertato - o incapaci di stare al mondo, quegli altri?

Nel merito ci sarebbe da discutere all’infinito. Certo, se si tirano in ballo Mozart e Strauss (Richard) o anche Chopin, sarà difficile che Allevi possa cavarsela al confronto. Ma se il riferimento fosse Strauss (Johann-il-walzeroso) o un qualunque Suppè, o Spohr, o anche Hummel o persino Rachmaninov, forse la partita si potrebbe riaprire, chissà...

Del resto, ciò che Ughi ha detto oggi di Allevi, lo aveva scritto Wagner, nel 1850, di Mendelssohn!
.

18 dicembre, 2008

Direttori veri e finti


Nel famoso Prova d’Orchestra di Fellini, i professori si illudevano di poter fare a meno del direttore... poi arrivava quella specie di mongolfiera di piombo a metter fine alle utopie, ristabilendo le proporzioni e i ruoli di ciascuno.

Oggi abbiamo una particolare integrazione della tesi felliniana, nel senso che non basta nemmeno un direttore sul podio per far funzionare tutto l’amba-aradam, ma il direttore deve essere proprio autentico, e non soltanto una marionetta o un dilettante - per quanto appassionato - allo sbaraglio.

Molti ricorderanno - per averlo sentito nientedopodomaniché alla Scala con la Filarmonica, nel ’90 per un concerto di beneficenza - tale Gilbert Kaplan, un bizzarro magnate americano, che può permettersi di comprare (altra spiegazione è difficile immaginare) teatri e orchestre sinfoniche, cori compresi, in cui e a cui far eseguire, sotto la sua bacchetta, un’unica composizione, la Seconda Sinfonia di Mahler, di cui questo signore va evidentemente matto. Per due volte l’ha perfino registrata, vendendo centinaia di migliaia di copie (!?!)

Il nostro ha potuto soddisfare il suo hobby almeno una cinquantina di volte: l’ultima, pochi giorni fa, con la New York Philharmonic, sul cui sito c’è un suo curriculum cui manca solo l’apparentamento con Karajan, per farlo scadere totalmente nel ridicolo.

Però oggi si registra, forse per la prima volta, una reazione della serie “non se ne può proprio più”. È di uno dei trombonisti della NYPO, tale David Finlayson, che sul suo blog sputa il rospo e ne dice di tutti i colori a Kaplan, chiamando a testimoni illustri direttori veri (incluso per la verità uno che con la Resurrezione e con Mahler non ha proprio nulla a che fare, Toscanini). Dei più di 40 commenti ricevuti, il 90% sono di comprensione ed apprezzamento; alcuni di aperta critica, soprattutto alla presunta ipocrisia di chi, come Finlayson, si lamenta dopo, invece che prima; un paio, forse, a difendere il povero Kaplan.