XIV

da prevosto a leone
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02 marzo, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.14

Per il Concerto di questa settimana tornano i due simpatici fratelli Jussen, attualmente in residenza qui, diretti da uno dei Direttori Principali Ospiti: Jaume Santonja.

È Béla Bartók ad occupare la prima parte della serata. Ecco dapprima i 15 Canti contadini ungheresi, raccolti dall’Autore fin dal 1907 durante le sue escursioni (con tanto di fonografo) nelle campagne magiare e slovacche in cerca del folklore locale. Originariamente scritti per il pianoforte solo e pubblicati nel 1918, l'Autore ne realizzò una parziale versione orchestrata nel 1933. 

Ecco l’elenco completo dei canti (qui il sommo Richter) con le date della relativa scoperta da parte dell’Autore:

Quattro antiche canzoni
    I. Rubato (1918)
   II. Andante (1914)
   III. Poco rubato (1914)
   IV. Andante (raccolto da Béla Vikár)
V. Scherzo (1918). Allegro
VI. Ballata (Tema con Variazioni). Andante (1918)
Antiche melodie di danza
   VII. Allegro (1910)
   VIII. Allegretto (1910)
   IX. Allegretto (1912)
   X. L'istesso tempo (1912)
   XI. Assai moderato (1910)
   XII. Allegretto (1907)
   XIII. Poco più vivo (1910)
   XIV. Allegro (1910)
   XV. Allegro (senza parole, per cornamusa) (1910)

La versione orchestrale comprende i numeri VI-XV (con modifiche al XII) ed esclude il XIII. Forse l’orchestrazione appesantisce un tantino la freschezza dei brani eseguiti alla tastiera, comunque sono meno di 10 minuti di sano folklore, proprio adatti ad aprire la serata.
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Ecco poi il Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra, dove ai due solisti alle tastiere se ne aggiungono altri due alle percussioni: Viviana Mologni e Simone Benvenuti.

Il brano è nato nel 1938 come una Sonata, quindi senza l’orchestra, aggiunta 4 anni dopo; il che ha comportato lievi modifiche rispetto all’originale nelle parti pianistiche.

Contrariamente alla tradizione di questo tipo di composizione, dove i due pianoforti sono collocati in orizzontale rispetto al proscenio e uno di fronte all’altro, con coperchi rimossi, qui le due tastiere dovrebbero essere messe in diagonale e i pianisti voltare le spalle al pubblico, come si desume dal layout previsto in partitura:

 

La macro-struttura formale è tutto sommato rispettosa della tradizione, ma con importanti e interessanti innovazioni: esaminandola nei dettagli (in Appendice riporto una sintetica guida all’ascolto del brano) si scopre che è una costruzione di autentica ingegneria musicale, nel trattamento dei temi, delle sonorità e delle tonalità, nel mirabile equilibrio dei rapporti tra le varie micro-strutture interne. 

Davvero travolgente l’esecuzione dei due simpatici fratelli, in grande sintonia con i due percussionisti della casa e con l’ex-percussionista sul podio! I due pianoforti erano disposti come di norma, affiancati e paralleli al proscenio: forse (ma è una mia ipotesi) questa disposizione  consente ai due fratelli di guardarsi negli occhi senza girare la testa… Si sono anche tenuti gli spartiti nella cassa degli strumenti, magari perché stanno per riprendere contatto con questo concerto, da loro eseguito già anni fa, e che dovranno rieseguire il 15 marzo a Colonia.

Successo clamoroso per tutti e così i due tulipani ci hanno offerto uno dei loro bis prediletti.
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Si torna, per così dire, alla campagna, con la pastorale Seconda Sinfonia di Brahms. Santonja ha tenuto, nell’iniziale Allegro non troppo, un tempo eccessivamente sostenuto (ma parlo ovviamente dei miei gusti personali). Così, arrivato alla fine dell’esposizione (questa è proprio una battuta velenosa, ha ha…) ha riguadagnato il tempo perduto… tirando diritto!

Assai bene invece il resto, con le deliziose melodie dell’Adagio non troppo e dell’Allegretto grazioso. Trascinante il conclusivo Allegro con spirito, chiuso trionfalmente dall’abbagliante carica degli ottoni!

Ormai in Auditorium gli applausi ritmati sono una consuetudine, che si è puntualmente ripetuta anche ieri.
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Appendice. Il Concerto di Bartók.

Seguiamo il Concerto in questa registrazione mexicana.

Primo movimento. Forma sonata. Tema introduttivo + 3 temi principali, il secondo ripreso in chiusura dell’Esposizione. Sviluppo in tre sezioni. Ricapitolazione dei tre temi e Coda.  
   
1’20” Introduzione (Assai lento). Rullo di timpani e poi entrano i due pianoforti a canone a distanza di tritono (Tema introduttivo).
2’09” Primo schianto.
2’43” Secondo schianto. Cadenza dei due solisti.
3’45” Terzo schianto a piena orchestra. (Un poco più mosso). Transizione (Poco a poco accelerando e sempre più agitato).
4’28” Otto colpi di timpano introducono l’Allegro molto, con l’esposizione del Primo tema. Dialogo pianoforti-orchestra con scambio di ruoli (fra tema e accompagnamento).
4’42” Transizione sul Tema introduttivo.
5’11” Primo Tema ripreso da archi e fiati.
5’24” Transizione.
5’46” Secondo tema (Un poco più tranquillo).
6’19” Transizione.
6’33” Terzo tema (Più tranquillo, poco a poco stringendo).
6’46” (Più mosso).
7’33” Ripresa del Secondo tema. (Meno mosso, tranquillo).
8’05” Transizione e chiusura dell’esposizione.

8’30” Inizio della prima delle tre sezioni dello sviluppo (Tempo I non troppo vivo).
9’02” Seconda sezione dello sviluppo (poco più lento).
9’25” Terza sezione dello sviluppo.
10’07” Transizione (Un poco tranquillo).

10’30” Inizio della ricapitolazione (Un poco maestoso). Primo Tema.
11’08” (Tranquillo). Secondo Tema. (Rallentando).
12’34” (Vivo). Terzo Tema.

14’15” Coda.

Secondo movimento. (Musica notturna). Macro-struttura A-B-A’ con diverse sottosezioni.

14’57” Sezione A. (Lento, ma non troppo). Introduzione con piatti e due tamburini.
15’21” Languido tema (notturno) nei pianoforti, sempre accompagnati dalle percussioni e con brevi interventi dei fiati.

17’13” Sezione B-1. (Un poco più andante). Piano-2 con note lunghe (minime) accompagnato da Piano-1 con quintine di semicrome. Il tempo accelera.
18’09” (Agitato). Climax (xilofono). Calmandosi.
18’20” Sezione B-2. (A tempo). Clustars nei pianoforti a canone, con pedale di controfagotto, corni e archi.
18’51” Sezione B-3. (Poco rubato). Veloci scale cromatiche nei pianoforti, progressivamente diradantesi.

19’25” Sezione A’. (Tempo I). Piano-2 riprende il tema notturno dalla Sezione-A. Piano-1 accompagna con svolazzi di biscrome (dalla Sezione B-3) poi con glissando ascendenti-discendenti.
20’12” (Un poco mosso). Il tema notturno è riproposto in forma inversa, poi (20’36”) condensato in due battute di accordi.

20'54" Coda. (Più andante). Tornano le quintine dalla Sezione B-1. 
21'03" (Tempo I). Su un tappeto dei fiati e i rintocchi dello xilofono, i pianoforti si congedano con quattro accordi che sfumano dal forte al piano.

Terzo movimento. Forma ibrida di Rondo-Sonata.

21’43” (Allegro non troppo). Dopo poche battute introduttive di pianoforti, legni e archi è lo xilofono ad esporre il Primo tema. Ripreso poi (21’57”) dai pianoforti.
22’08” Transizione.
22’21” Secondo tema, poi variato (22’32”) con un’accelerazione (Più mosso) e un improvviso schianto.  
23’01” Transizione.
23’12” (Tempo I). Terzo tema nei pianoforti, poi progressivamente Stringendo… Più mosso.

23’39” (Tempo I). Qu si può posizionare lo Sviluppo (in termini di forma-sonata) con la ripresa del Primo tema in tromba e tromboni, interrotto da improvvisa fermata. Questo lungo sviluppo – con lo xilofono assai in evidenza - si basa su una sapiente rielaborazione di spezzoni del Primo tema, che viene riproposto quasi integralmente (25’10”) prima di passare alla Ricapitolazione.  

25’25” (Più mosso). Ricapitolazione innescata sul Primo tema dagli archi accompagnati dall’impertinente xilofono. Si arriva ad un climax (Tempo I, 25’36”) che prelude al ritorno del Secondo tema (25’44”) in una variante che ricorda (ciclicamente) l’Introduzione del Concerto. Il tema è poi ripetuto (25’53”) nella sua forma originale.
26’02” Transizione.
26’17” Ritorno del Terzo tema, assai variato. Accelerazione dei pianoforti (Sempre strigendo).
26’59” (Tempo I). Riecco il Primo tema, pure variato, poi ripreso (27’13”) con ennesima variante.

27’26” Coda. Il suono va progressivamente sfumando, fino agli ultimi sommessi tocchi di piatti e tamburini. Silenzio.

14 ottobre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.3

Il terzo appuntamento della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano ha un sapore tutto… astronomico! Sul podio un altro Direttore Ospite, l’iberico Jaume Santonja, alla sua quinta apparizione in Auditorium, dove esordì quasi quattro anni orsono.

Il primo dei due brani in programma (apparentati da legami estetici e… spaziali) ci porta in realtà al cinema: trattasi infatti della Suite dalle musiche da film della saga Star Wars, di John Williams.

Lo sterminato panorama musicale che ha accompagnato i diversi episodi della serie spazia da quel 1977 che la vide nascere, per proseguire poi con le successive uscite del 1999, 2002, 2003(TV), 2005, 2008(TV), 2014(TV), 2015, 2016, 2017, 2018(TV), 2019 e 2022(TV). Un ampio collage di musiche della saga (arricchito da… illustri contributi) si può ascoltare in questa performance di John Axelrod al Concertebouw nel 2017. Per chi volesse approfondire l’intricata tessitura di questa gigantesca tela suggerisco un dettagliato studio scaricabile da web.

Nel 1977 l’Autore pubblicò una prima versione della Suite in 3 movimenti, poi arricchita nel 1997 di altri due, che è entrata nel repertorio di molte orchestre ed è così strutturata:

1. Main Title
2. Princess Leia's Theme
3. The Imperial March (ediz. 1997)
4. Yoda’s Theme (ediz. 1997)
5. The Throne Room & End Title

Eccone una recente, eccellente esecuzione al Teatro Massimo di Palermo.

Si sa che Williams si sarebbe ispirato per le musiche di Star Wars anche a Holst e al suo The Planets (vedi sotto), in particolare alla sezione di Mars; e poi anche a Korngold, antesignano della musica da film a Hollywood. A me invece, ascoltando il Main Title, è sempre saltata alla mente un’analogia (non dico un plagio e nemmeno una citazione, ma certo una reminiscenza) nientemeno che di Bruckner (primo tema della Quarta sinfonia)!

La seconda sezione del tema principale (che ritorna un paio di volte) è di ispirazione più lirica:

Per il resto questo primo numero della Suite presenta altri motivi di diverso carattere prevalentemente guerresco.

Il Princess Leia's Theme è tutto incentrato sul meraviglioso motivo esposto inizialmente dal corno solo:

… e poi splendidamente sviluppato da altri strumenti in assolo e dal crescendo del pieno orchestrale, prima di sfumare sul MI sovracuto del primo violino, sul tappeto degli archi e l’arpeggio… dell’arpa.

The Imperial March è interamente pervasa dal pesantissimo, enfatico, minaccioso e martellante motivo principale, più volte reiterato:

Ascoltandola è impossibile non ritrovarci chiare atmosfere mutuate da Mars, il primo numero della Suite di Holst.

Yoda’s Theme presenta un motivo principale (a) assai languido e nobile, esposto inizialmente dai corni e più volte ripreso da altri strumenti e dall’orchestra. L’atmosfera crepuscolare è interrotta una volta dall’irruzione di un motivo (b) più gaio e brillante:

The Throne Room & End Title chiude in bellezza e grandiosità la Suite (come i titoli di coda…).

La fanfara iniziale introduce il marziale motivo principale (a) presentato dalle trombe e reiterato dall’orchestra; segue poi un contrastante e cantabile motivo (b) negli archi, successivamente arricchito da un controsoggetto (b’) nei corni, che porta all’enfatica reiterazione del motivo (b). Il motivo (a) viene ora riproposto con espressione lamentosa dall’oboe, poi raggiunto da corno inglese e flauto, quindi dagli archi. Qui compare una reminiscenza (!) della wagneriana Giustificazione di Brünnhilde… Ancora il motivo (b) e il (b’) tornano in primo piano, dopodichè il Main Title prende il centro della scena. Si va verso la conclusone, con (b’) che rifa’ capolino, e poi ecco la chiusura solenne e bombastica.
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Trascinante l’esecuzione, con le abbaglianti sonorità degli ottoni in particolare evidenza, che il pubblico (pochi ma buoni e soprattutto giovani !) ha apprezzato assai, applaudendo alla fine di ognuna delle cinque parti della Suite. 
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Il secondo brano in programma è appunto The Planets, anche questa una corposa Suite che Gustav Holst compose durante gli anni della Grande Guerra (qui un mio stringato inquadramento dell’opera). In Auditorium la si era sentita più di 12 anni fa con Wayne Marshall.

Ascoltandola subito dopo Star Wars si scoprono molto chiaramente le radici della musica di John Williams!

Un ruolo limitato ma significativo hanno I Giovani di Milano, il coro (ieri la parte femminile) diretto da Maria Teresa Tramontin, che compare (ma fuori scena…) nel conclusivo e mistico Neptune. Ieri le ragazzine con la Maestra erano sistemate nel foyer dell’Auditorium, con una pianola elettronica a supportarle. Alla fine hanno fatto il loro trionfale ingresso in sala, accolte da un grande applauso, poi esteso per parecchi minuti a tutti i protagonisti di questa eccellente esecuzione.
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25 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. 17

Shakespeare in musica si intitola il concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano di questa settimana; a dirigerlo il Direttore Principale Ospite, Jaume SantoniaOpere di due autori ormai da tempo entrati nella storia della musica che ne incastonano una di un’autrice che più contemporanea di così non si può!

Si parte quindi con Macbeth (op.23) che Richard Strauss compose nel 1887-88 (quindi a 23-24 anni!) e poi ultimata nel 1891, praticamente insieme ai (e pure prima dei…) più fortunati Don Juan (op.20) e Tod und Verklärung (op.24). Hans von Bülow trovava in questa musica (che pure, da fedele wagneriano, apprezzava per l’alto tasso di innovazione) delle autentiche mostruosità… E Hugo Wolf (non certo un adepto di Hanslick) arrivò a definirla raccapricciante! E persino il padre Franz continuò fino all’ultimo a consigliare al figlio severe revisioni della partitura, per depurarla da eccessive pesantezze…

Non parliamo poi dell’eterno problema legato alla musica-a-programma: la pertinenza dei suoni messi sulla carta dal compositore con i riferimenti extra-musicali (letterari, nella fattispecie) dell’opera. Le discussioni e le diatribe iniziarono addirittura prima che la musica fosse pubblicata ed eseguita! Il citato von Bülow fu persino responsabile del radicale mutamento del finale dell’opera rispetto a quanto previsto in origine (versione mai pubblicata) da Strauss: che contemplava, dopo il RE minore che costantemente identifica la personalità di Macbeth, di chiudere il poema sinfonico in RE maggiore, con la marcia trionfale di Macduff e compagni che – arrivano i nostri! – mettono fine al dispotismo e al despota.

No no no! questa sarebbe una gran baggianata! protestò l’ex-marito di Cosima Liszt-Wagner, e così il suo allievo Strauss si decise a lasciare nella partitura definitiva solo 6 (sei!) battute in RE maggiore evocanti i liberatori, per poi chiudere tornando sul protagonista del dramma, con 15 battute in RE minore.

E ancora oggi ci sono discussioni e diatribe fra i critici musicali riguardo l’individuazione delle strette relazioni fra la musica e il soggetto esterno. C’è discordanza, per dire, su dove collocare nella partitura – visto che Strauss non l’ha fatto - il momento dell’arrivo di Duncan, quello del suo assassinio o quello della morte dello stesso Macbeth. E se nella musica si debba anche individuare qualche riferimento a Banqo e figlioletti! E come interpretare le 6 battute in RE maggiore della coda, se evocanti Macduff o la fallacia della presa del potere di Macbeth…

E altre diversità di vedute si riscontrano addirittura nello stabilire i confini musicali fra esposizione dei temi, loro sviluppo e ricapitolazione, come vorrebbero i criteri della forma-sonata, sia pure eterodossamente applicata al caso in questione.

Chi desideri approfondire questi aspetti può leggere questo interessante saggio, dove si propone una possibile (e assolutamente plausibile, per carità) esegesi dell’opera con precisi riferimenti al plot shakespeare-iano. Ma resta il fatto che Strauss ha esplicitamente riportato in partitura soltanto due indicazioni didascaliche:

1. Battuta 6: la semplice dicitura Macbeth;

2. Battuta 64: la dicitura Lady Macbeth, corredata da 5 versi di Shakespeare (Atto I, Scena 5) dove si prefigura la seduttiva adulazione della Lady al marito, per spingerlo al crimine.

Per il resto, nessun’altra indicazione, niente. E da qui il proliferare di ipotesi le più diverse – plausibili o campate in aria - su come interpretare i vari passaggi musicali dell’opera. Ennesima conferma che la musica, da sola, non è in grado di narrare alcunchè di preciso; salvo, appunto, se stessa.

Ascoltandola possiamo certo convenire che la struttura del brano sia vicina alla forma-sonata, principalmente perché ci espone due temi ben scolpiti:

A=Macbeth, maschio e volitivo, caratterizzato da una vertiginosa salita di 12ma (il successo?) immediatamente seguita da un rovinoso precipitare di 7ma (la rovina?); tonalità RE minore;

B=Lady, femminile e insinuante, in FA#, ma poi canonicamente chiuso sul FA maggiore;

temi preceduti da una specie di motto (M) che tornerà mille volte a farsi udire, caratterizzato da un arpeggio (tonica-dominante) sulla scala di LA, chiuso da un accordo di quinta vuota.

Lo sviluppo e la ricapitolazione mostrano la grande abilità manipolatoria di Strauss e le sue indiscusse doti di orchestratore; tuttavia verrebbe da dar ragione al padre Franz riguardo all’eccessiva pesantezza di molti passaggi…

Del tutto gratuita poi la comparsa, nella coda, della marcetta con fanfara in RE maggiore, che non ha (escludendo gli arpeggi delle trombe) alcun riferimento musicale con tutto il resto; per cui bene fece Strauss a ridurla – obbedendo al navigato e smaliziato von Bülow - ad un moncherino di 6 battute:

E alla fine domandiamoci quindi perché Macbeth, cui pure Strauss attribuì un’importanza preminente nella sua produzione, sia da sempre il meno eseguito (ed oggettivamente il più ostico da afferrare) dei suoi Tondichtungen

Non sarà per caso perchè la musica in sé non eccita immediatamente il nostro interesse e le nostre emozioni, come accade ascoltando i vari DonJuan, Till, Zarathustra, Quixote, Heldenleben, Alpensinfonie… ? Certo, il riferimento letterario è un dramma dalle tinte oscure, abitato da due personaggi negativi e dalla psiche alterata… ma è pur vero che quello stesso soggetto ispirò a tale Verdi ben altra musica per le nostre orecchie!

Beh, Santonja e i ragazzi vanno encomiati in blocco per aver fatto il massimo per valorizzare questa difficile partitura: certo la sostanza di fondo non la si può cambiare, e a me personalmente questo lavoro lascia sempre parecchie perplessità, come qualcosa di troppo artefatto, di velleitario, magari spiegabile con l’impeto e il furore innovativo del giovane Strauss, ecco…       
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La compositrice-in-residence Silvia Colasanti torna protagonista in Auditorium con una nuova opera eseguita in prima assoluta: Time's Cruel Hand, tre sonetti di Shakespeare affidati alla voce del controtenore Alex Potter.

Nel primo sonetto della composizione (n°64) il solo pensiero che il tempo si porti via la persona amata mette la morte nell’anima. Il sonetto 19 - secondo dell’opera - sfida il tempo a fare il suo corso e a scolpire profonde rughe nella nostra pelle.

Il soggetto, come ben lascia intendere il titolo dell’opera (tratto dall’ultimo verso del Sonetto 60, che chiude la composizione) è precisamente l’incessante, inesorabile ed impietoso scorrere del tempo, la cui mano crudele non lascia scampo a nulla e nessuno. (Siamo ad Anassimandro e al destino che impone ad ogni creatura, per la sola colpa di esserne uscita, di ritornare all’apeiron.)

Ma all’Uomo resta sempre un’arma di difesa: l’ArteCome recitano gli ultimi tre versi:

Nulla resiste, di ciò che miete la sua falce crudele,
Ma incrollabile sia il mio verso, nel tempo che verrà,
a tua lode, e quelle mani crudeli sfiderà.

Ecco, la sfida dell’Arte all’inesorabile azione del tempo e alla conseguente ossessione umana per la morte: pare proprio il programma estetico di tale Richard Wagner!

E Colasanti interpreta in modo convincente lo spirito di questo Shakespeare, rivestendo i tre testi (come sempre opportunamente proiettati sugli schermi sovrastanti il palco, nella lingua originale e nella eruditissima traduzione di Quirino Principe, presente in sala) di note coinvolgenti e cariche di profonda compassione (nel senso etimologico del patire insieme).

Musicalmente i sonetti sembrano ricoperti di atonalità, anche se il primo mi pare avere un centro gravitazionale sul LA (minore) chiudendo sulla dominante MI e il secondo, più agitato, tenda a gravitare sul RE-SOL. Il terzo giurerei proprio che sia nella classica e pura tonalità di MI minore!

Pregevole l’interpretazione di Alex Potter, che ha messo la sua voce e la sua sensibilità al servizio di quest’opera che merita davvero l’accoglienza trionfale che il pubblico dell’Auditorium le ha riservato. Trionfo che ovviamente ha coinvolto la compositrice, salita sul palco a ringraziare tutti i musicisti che hanno così efficacemente illustrato il suo lavoro.
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Chiude la serata il Prokofiev di Romeo&Giulietta, di cui viene eseguito un mix delle tre Suite che il nativo del Donbass ricavò dalle musiche per l’omonimo balletto. [Qui un mio schematico sunto delle relazioni fra numeri del Balletto e Suite, all’interno di un commento ad una precedente esecuzione.]

Qui sono stati presentati i seguenti 9 numeri (indicati coni corrispondenti del balletto):

1. II-1.  Montecchi e Capuleti
2. II-2.  Giulietta fanciulla
3. III-1. Romeo 
4. III-2. Danza mattutina 
5. I-4.   Arrivo degli ospiti (Minuetto)
6. I-5.   Maschere
7. I-6.   Scena del balcone
8. II-7.  Funerale di Giulietta
9. I-7.   Morte di Tebaldo

Ribadisco una mia convinzione: è musica (tutto il balletto, non solo le Suite) che reputo fra la più straordinaria prodotta in tutto il ‘900. E anche l’esecuzione di ieri me lo ha confermato in pieno.

Quindi, onore e gloria per tutti: dal Direttore ai musicisti (ieri guidati da Dellingshausen) e – last but not least – al bardo di Stratford-upon-Avon! 

03 dicembre, 2022

laVerdi 22-23. 8

Mentre ancora risuonavano in Auditorium le note del Messiah eseguito giovedi sera da laBarocca di Ruben Jais, ecco un classico Mozart seguito da due poemi sinfonici (Sibelius - Strauss) dare forma all’8° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio Jaume Santonja, da quest’anno uno dei Direttori Ospiti dell’Orchestra.

Insieme a lui entra subito in scena l’israeliano Tom Borrow, ex-bambino-prodigio e giovane speranza del pianismo internazionale, per inoltrarsi nel complesso groviglio del K488 mozartiano, un concerto invero innovativo nella forma e nei contenuti. (Una mia personale esplorazione dell’opera – poggiante su un’esecuzione della coppia Horowitz-Giulini alla Scala - si può leggere qui, inserita in un commento ad un concerto de laVerdi del 2015.)

Borrow – a dispetto dell’età o proprio a causa di essa – è tanto perfetto tecnicamente quanto algido emozionalmente: il suo Mozart scorre senza un’increspatura, ma quasi roboticamente, ecco. Gli applausi non sono mancati, certo, perché Mozart accontenta sempre. C’è da dire che il pubblico ieri era proprio scarsino (c’è chi dice a causa dello sciopero dei mezzi pubblici) e forse il ragazzo si è un filino deconcentrato: fatto sta che non ci ha nemmeno regalato un bis… 
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La seconda parte della serata è occupata, come detto, da due poemi sinfonici, di fatto due opere prime (o quasi…) nel genere reso famoso da Franz Liszt.

Il primo è En Saga, composto in origine da un 27enne Jan Sibelius nel 1892, ma poi riveduto, corretto e… ristretto (-142 battute su 952) 10 anni più tardi (guarda caso, dopo aver ascoltato Strauss dirigere il suo Don Juan!) e da allora entrato in quest’ultima versione nei repertori delle principali orchestre. La versione originale è stata riportata alla luce da poco, e si può ascoltare – anche per compararla alla seconda – in questa incisione finnica che le presenta entrambe. Volendo, si può andare ancor più indietro, e ascoltare il Settetto (frutto peraltro di una contestata ricostruzione americana) che fu verosimilmente il primo germoglio della composizione.

Il titolo dell’opera resta un mistero: letteralmente si tratta di una storia, o di una leggenda, o di un’avventura, ma Sibelius si rifiutò sempre di esplicitare un programma extra-musicale per la sua composizione (siamo all’eterno dilemma dell’estetica musicale, che si perpetua da Hanslick, come minimo, in poi…) Peraltro (vedi Mahler) nel corso degli anni ne lasciò immaginare addirittura un paio (!): il DNA della Finlandia e le saghe islandesi (Saemund & Snorri, per intenderci). Ma ogni volta poi concluse (ancora seguendo Mahler) che questa musica altro non esprime se non ciò che è inesprimibile con segni o parole (per citare Goethe: Das Unbeschreibliche, Hier ist’s getan): sensazioni interiori e stati d’animo o stati della mente del compositore.

Sì, però: siamo sicuri che l’ascolto di queste note ingeneri in noi precisamente le stesse sensazioni e gli stessi stati mentali (entrambi a noi ignoti) che spinsero Sibelius a vergarle, quelle note? Mah, visto che nemmeno l’Autore ci può e vuole aiutare a raggiungere l’obiettivo, che possiamo fare? Forse ci conviene – ancora una volta – abbandonarci alla musica senza pregiudizi, per sentire… l’effetto che fa sulle nostre corde interne: certo, scoprendone allo stesso tempo, se esiste, una narrativa, un racconto (per l’appunto, una… saga?) che ha per protagonista non un eroe o un ideale, o gli stati d’animo del compositore, ma solo i temi, i motivi musicali che ricorrono all’interno del brano.     

E quest’opera giovanile di Sibelius si fa apprezzare proprio per la ricchezza dei temi e per il racconto di cui essi sono protagonisti. Proviamo ad esplorarla sommariamente - osservando la partitura - in questa incisione di Ashkenazy con la Philharmonia. Qui segue una raccolta dei principali temi e motivi dell’opera:

L’introduzione (Moderato assai) ci porta all’orecchio sommessi arpeggi degli archi sulla scala di LA minore, mentre i violini primi tremolano la quinta vuota LA-MI: su questo tappeto sonoro un fagotto e i corni espongono un classico lamento (motivo-A, MI-FA-MI-FA…)  

A 20” appare nei legni un nuovo motivo-B in DO maggiore, dalla natura ostinata, che viene interrotto (41”) da un’irruzione sul LAb dei flauti, reiterata poco dopo (53”) in presenza, nella tromba, del motivo-C, che anticipa le caratteristiche di attacco dei due primi temi. E in effetti i tre motivi esposti finora diventeranno germogli, per così dire, di temi o incisi che riappariranno nel corso del brano.

A 1’11” gli archi riprendono ad arpeggiare, passati adesso in DO# minore, preparando in questa tonalità l’arrivo (1'19") nel fagotto e archi bassi del Tema-1, dall’aspetto mesto e dolente. L’atmosfera si ravviva (1’54”) con quattro battute di improvviso crescendo e stringendo dell’orchestra, in cui spiccano saltellanti semiminime dei flauti, che ci portano a RE minore (o al modo dorico) introdotto (2’01”) da altri arpeggi degli archi. Si è così preparato il terreno per l’entrata (2’10”) del Tema-2 in corni e celli; questo tema mutua dal Tema-1, trasponendola in alto di un semitono, tutta la prima parte, per poi svilupparsi ulteriormente (2’26”) accompagnato ancora dalle saltellanti semiminime di tutti i legni. Ritroveremo verso la fine questo tema in posizione preminente. Un nuovo crescendo e stringendo (2’51”) è interrotto inopinatamente (2’58”) con la ripresa del tempo precedente, che però porta ora ad una rapida transizione che prepara il passaggio al tempo Allegro (3’21”).

Siamo tornati – momentaneamente – al DO maggiore, ed ascoltiamo, in clarinetti e primi violini, il nuovo Tema-3, che mutua l’incipit e poi lo sviluppo precisamente dalla seconda frase del Tema-2. Si passa a DO minore (3’40”) per lo sviluppo del tema, che (4’16”) innesca negli archi una rapida scalata che porta (4’20”) all’arrivo del Tema-4, esposto dalla prima viola. Esso si caratterizza per riprodurre al suo interno un arco di note mutuato (trasposto) dal motivo-B dell’Introduzione. Spentosi il Tema-4, ecco comparire prepotentemente (5’12”) negli archi il Tema-5, subito sviluppato dai legni e poi reiterato dagli ottoni e chiuso perentoriamente. 

Ora tocca al Tema-4 tornare (6’30”) in primo piano, sottoposto poi ad altri consistenti sviluppi. A 7’54” sembra di piombare nella nebbia più fitta: i soli archi, suonando in tremolo sul ponticello, evocano una specie di indistinto ronzio, dal quale si esce (8’14”) ritrovandoci inaspettatamente in SOL# minore: dove (8’21”) torna ad imperversare il Tema-5. Che poi (8’47”) svaria in MI minore per preparare il ritorno (8’56”) al DO minore, dove il tema viene reiterato, prima di cominciare a spegnersi (9’21”) quasi sfaldandosi progressivamente. Ora è il Tema-4 a dare gli ultimi sussulti (9’46”) nei violini e poi nelle viole, contrappuntate dai legni, poi ancora (10’14”) in violini e viole; sussulti che non arrestano tuttavia l’inevitabile collasso del tema. Adesso è il Tema-5 a tornare mestamente nell’oboe (10’44”) e poi nel flauto (11’15”) che, scortati dal clarinetto, ne testimoniano la fine. Otto battute degli archi (12’24”, Lento assai) e quattro del corno ne siglano la sepoltura, poi (13’05”) negli archi, quindi nel corno, si conclude il compianto.

Tutto finito? Non proprio: come dice Macbeth, dopo la visione di Banqo? La vita riprendo… Ecco, anche qui (13’39”) si ricomincia a vivere. È l’oboe (Moderato) a riprendere l’arco sonoro della terza battuta del Tema-5 e ad innescare un progressivo crescendo culminante in un fragoroso tutti orchestrale che salta dal MIb al DO minore e prepara (Allegro molto) l’ingresso trionfale dei corni (14’17”) sul Tema-2. Che si sviluppa poderosamente culminando (14’49”) nell’esposizione, in DO maggiore, di una variante (Tema-2b) della seconda sezione del tema originale, variante che evoca sogni (sfumati?) di gioventù. L’orgia sonora prosegue fino ad interrompersi bruscamente (15’51”) per poi spegnersi sul MIb. 

Moderato e tranquillo: è il clarinetto solo a scrivere (16’25”) sul Tema-2 accompagnato dal motivo-A negli archi, un epitaffio in MIb minore, dove però ricorre (17’33”) la variante, ora patetica (Tema-2b) in modo maggiore. Infine (18’16”) sono i violoncelli (poi solo il primo) a riprendere sommessamente il Tema-4, sul MIb minore di clarinetto e archi, con il timpano a finire (quasi niente) sul morendo degli archi.  
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Adesso che lo conosciamo un po’ meglio, potremmo anche azzardare una descrizione sommaria della macro-struttura del brano: che si apre con un’Introduzione cui segue l’Esposizione dei 5 temi principali (Tema-1 e Tema-2 sempre in Moderato assai; Tema-3, Tema-4 e Tema-5 in Allegro); quindi Tema-4 e Tema-5 sono sottoposti ad uno Sviluppo che si chiude sul Lento assai. Segue (Moderato, poi Allegro molto) una grandiosa Ripresa del Tema-2 (con Tema-2b). Infine la mesta Coda, con il Tema-2 e poi il Tema-4.

Che dire, un racconto musicale godibile, costruito con sapienza e ispirazione, che Santonja ha cercato di valorizzare, mettendone in risalto i contrasti, fra le zone di quasi-silenzio degli archi e le esplosioni degli ottoni. Certo, è difficile trasformare un buon-lavoro in un… capo-lavoro.
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Come è invece Don Juan, composto da Richard Strauss (nato 18 mesi prima del collega finnico) a soli 24 anni. Qui, almeno sulla carta, rispetto a Sibelius le cose sono un po’ meno equivoche, poiché il titolo dell’opera non lascia adito a dubbi: Strauss intende programmaticamente proporci la sua musicale visione della personalità del burlador (versione Lenau, peraltro). Del quale sbozza in altrettanti temi musicali il piglio scanzonato e irriverente, le pulsioni della libido e gli slanci ideali.

Dopodichè starà pur sempre a noi giudicare la riuscita del suo sforzo compositivo: e decideremo se apprezzarlo per la coerenza della musica con il soggetto ispiratore, oppure (come alla fine magari accade) semplicemente per l’irresistibile fascino che da quella musica emana, del tutto indipendentemente dalla presenza di (e dalla fedeltà a) quel medesimo soggetto ispiratore…

E chissà che non scopriamo che dietro, o sotto, la crosta dello spunto extra-musicale esiste in realtà un rigoroso impianto formale (esposizione e sviluppo dei temi) che regge l’intera costruzione.

Grande prestazione dell’Orchestra, che in questo repertorio ha pochi rivali. Santonja ha saputo cavarne il meglio, assecondato dalle prime parti che hanno qui ruoli da protagonista. Per lui applausi convinti anche da parte di Dellingshausen&Co.