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22 agosto, 2014

ROF XXXV live: Petite Messe Solennelle

 

Dopo alcuni anni di attesa (era in programma, poi sfumata, nel 2011 con na Patalung) ma ancora in tempo per festeggiarne il 150° anniversario della prima esecuzione nella villa Pillet-Will a Parigi, è tornata finalmente al ROF (dopo l’87 e il ‘99) la Petite Messe Solennelle nella versione con orchestra, secondo la recente edizione critica targata Davide Daolmi.

Ieri sera al Teatro Rossini, con video-diffusione in Piazza del Popolo e pure in streaming, è stato il venerabile Alberto Zedda a dirigere l’Orchestra e il Coro di Bologna (maestro del coro Andrea Faidutti) in questo autentico gioiello del tardo-Rossini. Il quale portò a termine la versione per orchestra praticamente allo scadere della sua esistenza terrena, dopo aver lavorato sulla sua piccola Messa per quasi 7 anni. In effetti Rossini aveva intrapreso l’opera nel 1862, componendo un Kyrie forse in ricordo dell’amico musicista Louis Niedermeyer, di 10 anni più giovane di lui, ma scomparso l’anno precedente e proprio il 14 marzo, giorno in cui si terrà, nel 1864, la prima della PMS. Della Messe solennelle in SI minore di Niedermeyer (1849) Rossini citò – nel suo Christe (Andantino moderato) – l’Et incarnatus, guarda caso anch’esso un brano a cappella.

Le ricerche e gli studi effettuati negli ultimi decenni (Angelo Coan, Klaus Döge, Nancy P. Fleming e Philip Gossett) culminati nel recente lavoro editoriale di Daolmi, hanno portato a chiarire in modo abbastanza preciso quello che fu il percorso compositivo della PMS: contrariamente a quanto si è per lungo tempo ritenuto, di essa non venne dapprima completata la versione da camera (con accompagnamento di pianoforti ed armonium) per poi essere meramente, e quasi svogliatamente e in tutta fretta, trascritta per accompagnamento orchestrale. Viceversa Rossini, dopo l’iniziale stesura della versione da camera, che fu eseguita due volte a distanza di un anno (1864 e 1865) nella cappella di casa Pillet-Will e di cui è sopravvissuta una copia donata da Rossini alla Contessa (versione eseguita per la prima volta in tempi moderni al ROF nel 1997, grazie all'intercessione di Gossett presso i discendenti Pillet-Will) continuò a lavorarci sopra e contemporaneamente a pensare ad una versione orchestrale. Quindi anche la definitiva veste della versione da camera (il cui manoscritto è oggi conservato con quello della versione orchestrale presso la Fondazione Rossini) si è arricchita di tante piccole o grandi modifiche e aggiunte che il compositore apportò al testo in previsione, se non proprio in funzione, della realizzazione della versione orchestrale. La quale fu quindi il risultato finale di un lungo e meticoloso lavoro e non un sottoprodotto da prendere sottogamba, come si è spesso fatto, soprattutto all’inizio del ‘900. Così Daolmi elenca le sommarie fasi della composizione:

1862 Composizione di un Kyrie
1863 Aggiunta di Gloria e Credo («Piccola messa»)
1864 Aggiunta di Prélude, Sanctus e Agnus Dei e prima esecuzione in casa Pillet-Will
1866-68 Aggiunta di O salutaris e orchestrazione della Messa   

Daolmi enumera poi in ulteriore dettaglio ben 8 stadi di lavorazione dell’opera, gli ultimi due dei quali (post-1865) includono importanti interventi sulle sezioni: Gloria, Gratias, Domine, Qui tollis, Quoniam, Cum Sancto, Sanctus; oltre all’inserimento dell’O salutaris e all’orchestrazione. Come si vede, un processo lungo e… tormentato.
___
Ai contenuti dell’edizione critica si deve aggiungere in questa esecuzione al ROF una quasi-primizia  – siamo in un Festival, e tutto è permesso! – dovuta allo zampino di Zedda, il quale anni addietro (qui una performance in Russia nel 2012) si è preso la libertà nientemeno che di strumentare il Prélude religieux! Questo brano, aggiunto da Rossini a ridosso della prima del 1864, era stato preso pari-pari da un pezzo per pianoforte dei Péchés de vieillesse (N°2 dell’Album de chaumière) e nella versione da camera viene quindi eseguito su quello strumento. Nella versione per orchestra, che esclude il pianoforte (sostituito in partitura da due arpe) Rossini, avendo deciso comunque di non strumentare il brano, ne assegnò l’esecuzione all’organo, che aveva lasciato in orchestra al posto dell’armonium, pur con funzioni di puro riempitivo. Orbene, Zedda, che evidentemente è così immedesimato in Rossini da conoscere anche ciò che il genio avrebbe fatto se non fosse… morto (smile!) come ragiona?

1. L’organo usato come solo riempitivo in orchestra non ha alcun senso: poiché ne viene ridotta la funzione a un pleonastico collante armonico fautore di un discutibile aumento di sonorità…;
2. Otto minuti di Prélude all’organo più quattro minuti di Sanctus (a cappella) costringono gli orchestrali a starsene con le mani in mano per un’eternità, lasciando nell’interprete e nell’ascoltatore un vago senso di incompiutezza…;
3. Quindi: via l’organo e strumentiamo il Prélude!

Ohibò, come rispetto per l’Autore da parte di un luminare delle edizioni critiche non c’è davvero male. E per nostra fortuna Zedda per la sua strumentazione non ha impiegato i sax, altrimenti si sarebbe materializzata proprio la nera profezia di Rossini riguardo al futuro della sua povera Messa! Scherzi a parte, non si può non dare atto all’ottuagenario Maestro di aver messo nell’impresa tutta la cura e la professionalità di cui è capace, scegliendo accuratamente gli strumenti cui affidare le diverse sezioni del Prélude (aperto dal recitativo del clarinetto basso) e dosando con cura le sonorità, dai pianissimi ai tutti. Prendiamolo come un interessante esperimento, ma il risultato estetico per me è discutibile, poiché priva l’opera di quel particolare momento di respiro e di raccoglimento (dopo le colossali fughe di Gloria e Credo) che ne è uno dei principali pregi.  
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Orchestra e coro erano quelli di Bologna, che da anni e anni al ROF la fanno da padroni (non a caso adesso c’è un… Mariotti in entrambi gli ambienti, e proprio il patron del ROF, prima dell’inizio, ha voluto festeggiare il sodalizio consegnando un enorme bouquet di fiori al decano dell’orchestra, la prima viola Harry Burton Wathen). In tutto 40 coristi e poco meno di 60 strumentisti (in disposizione moderna, con le viole al proscenio): un organico quasi tardo-romantico, che finisce per trasformare la Petite in qualcosa che assomiglia più a Berlioz o a Mendelssohn o a Brahms (non dico a Mahler!)   

I solisti erano Olga Senderskaya (S) Veronica Simeoni (A) Dmitry Korchak (T) e Mirco Palazzi (B) che, come prassi di tradizione, ma contrariamente alle indicazioni esplicite dell’Autore, cantano solo le parti loro specificamente assegnate, e non, aggiungendosi al coro, l’intera messa. Benissimo Palazzi e la Simeoni, bene Korchak e benino Senderskaya, almeno alle mie orecchie. 

Dopo aver assistito in… religioso silenzio ai quasi 90 minuti dell’esecuzione, il pubblico del Rossini (non proprio esaurito, devo dire) ha tributato a tutti un autentico trionfo, con innumerevoli chiamate per solisti e direttori.

24 agosto, 2013

ROF XXXIV: La donna del lago chiude con uno Zedda da… brivido

 

Chiusura del ROF in grande stile – e con intermezzo drammatico - al Teatro Rossini: come è diventato ormai consuetudine il venerabile Alberto Zedda ha proposto un’opera in forma concertante e diffusa in diretta in Piazza del Popolo. Quest’anno è toccato a La donna del lago.


Teatro gremito e posti in piazza già occupati un’ora prima dell’inizio, a testimoniare dell’interesse del pubblico. Al quale l’ottantenne maestro ha pure riservato momenti di suspence allorquando - chiusa la strofa di Rodrigo col Fa quest’anima bear - invece di scattare per dare l’attacco al coro si è girato sulla sinistra, appoggiandosi al corrimano del podio, colto da un principio di collasso. Dopo attimi di smarrimento generale in cui si è temuto il peggio, il maestro è stato soccorso dai due violini di spalla, poi dal patron Mariotti uscito dal suo palco di barcaccia, infine accompagnato (ma camminando sulle proprie gambe) fuori dal palco, abbandonato anche da orchestrali, coristi e dal povero Spyres, rimasto lì interdetto e senza saper che pesci pigliare.

Per fortuna Zedda è rientrato dopo una quarantina di minuti, più arzillo che mai, senza la giacca a code, ed ha ripreso a dirigere come nulla fosse, portando in porto l’impresa. Tutto è bene ciò che finisce bene!     
___
Una bella Donna, devo dire, grazie alla verve del Direttore, alla sicurezza dell’Orchestra, dove gli ottoni hanno ben risposto alle difficili sollecitazioni, e alla splendida prova del Coro di Andrea Faidutti.

Quanto agli interpreti, Dmitry Korchak e Michael Spyres erano i due tenori che impersonano i rivali Uberto(Giacomo) e Rodrigo. Korchak ha mostrato bella voce squillante, forse ancora da… maturare con studio ed esperienza, ma la sua è stata una prestazione assolutamente apprezzabile. Spyres, già visto e udito qui lo scorso anno come un sontuoso Baldassare (nel Ciro) ha confermato le sue grandi doti, sciorinando la grande ampiezza della sua estensione, che scende fino a note da… basso, e la potenza del suo canto aperto (era l’unico, fra parentesi, a cantare senza lo spartito sotto gli occhi). Fra i due, una vera gara a sparare DO acuti, nel terzetto con Elena del second’atto!  

La protagonista Elena era Carmen Romeu: che ha svolto più che dignitosamente il suo compito, con qualche piccola sbavatura sulle note basse.

Chi ha trionfato è la travestita (ma solo… virtualmente) Chiara Amarù: un’efficace (o un efficace?) Malcom, la cui aria Ah si pera è stata accolta da un autentico tripudio.

Simone Alberghini, già Melcthal nell Tell di questi giorni, ha cantato la parte di Duglas con discreta sicurezza, senza peraltro entusiasmare nella sua aria Taci, lo voglio.

Mariangela Sicilia e Alessandro Luciano avevano le due parti di contorno (Albina e Serano) che cantano per lo più recitativi accompagnati, nel second’atto. Entrambi reduci da apparizioni in questo ROF (lei come apprezzabile Elvira nell’Italiana, lui come il cattivone Rodolphe nel Tell) hanno svolto adeguatamente i loro compiti.

Quanto ai contenuti, Zedda si è limitato a tagli più che giustificati (dato anche il tipo di esecuzione): così sono stati cassati, nel primo atto, la Scena IV (recitativi di Albina e Serano) e l’inizio della Scena VIII (recitativo di Serano e Malcom, prima dell’entrata di Duglas); nel secondo il recitativo di Uberto, dopo la cavatina d’entrata, e la Scena IV (recitativi di Giacomo e Duglas) con soppressione tout-court del personaggio di Bertram.

Archiviato, con molte luci e qualche ombra (ma è naturale…) questo ROF-34, già qui ci si prepara al 35, con la prima-ROF dell’Aureliano.

24 agosto, 2012

ROF-33 – Tancredi


Il Tancredi ha concluso ier sera il ROF numero 33, con un’esecuzione in forma di concerto al teatro Rossini, diffusa in video – cosa che sta diventando tradizione - nella vicina Piazza del Popolo.

La prima domanda che viene spontanea, a proposito di Tancredi, è quale versione del finale si rappresenti: quella originale di Venezia, col vissero tutti felici e contenti, oppure quella (di poche settimane successiva e più fedele alla tragedia in versi a rima incrociata di Voltaire) di Ferrara, con la morte eroica e nobile del protagonista?



Vediamo un po’… Dunque, Tancredi ha fatto secco lo sbifido Orbazzano (liberando Amenaìde della sua disgustosa presenza) ed è appena uscito dal drammatico confronto con la medesima Amenaìde (che ha invano cercato di convincerlo della sua fedeltà); si è messo a girovagare solitario, con propositi suicidi, sui monti sovrastanti Siracusa ad occidente, i cui torrenti vanno (poeticamente) a formare lo specchio d’acqua dell’Aretusa e, dopo la mirabile introduzione orchestrale in MIb, ha cantato il suo recitativo accompagnato (Dove son io?) e la sua cavatina in DO (Ah! che scordar non so colei che mi tradì...)

A questo punto le versioni Venezia e Ferrara cominciano a divergere e lo specchietto qui sotto riporta i due testi, con i relativi allineamenti (pochi) e le molte divergenze. In realtà qualche scostamento fra le due era visibile anche in precedenza, come ad esempio il diverso numero di scena, 16 e 14 rispettivamente. 

La prima divergenza non è nella musica, ma solo (e parziale) nel testo (Regna il terror nella città): a Venezia è Tancredi che ascolta un coro di Saraceni, che pregustano la definitiva conquista di Siracusa; a Ferrara sono invece i siracusani che lo stanno cercando per porlo alla loro testa in difesa della città. Nella versione-Venezia Tancredi canta ora un recitativo secco (Fra saraceni io dunque son?) espunto conseguentemente in quella di Ferrara. 

Poi abbiamo differenze sostanziali, nell’episodio dell’incontro di Tancredi con i siracusani, fino alla sua partenza per la battaglia contro Solamir, dove le due versioni torneranno - per poco - a riunificarsi. Nella versione-Venezia l’incontro fra Tancredi, Amenaìde e Argirio è più corposo, e comprende anche la rivelazione (fatta dalla stessa Amenaìde) che la famosa sua lettera compromettente era diretta a lui, Tancredi, e non a Solamir. Ma Tancredi non ci crede (strano: crederà solo - toh! - a… Solamir!) poi pare convincersi, poi ancora resta lì come un ebete e infine tutti sono sorpresi dall’arrivo di emissari saraceni (Qual suon? che miro! e Marcia) che recano l’ultimatum di Solamir: Amenaìde-for-peace! Tancredi prende l’iniziativa (Sì, la Patria si difenda) e impone il rifiuto della capitolazione, preparandosi alla battaglia. La versione-Ferrara è più sbrigativa: i siracusani chiedono a Tancredi di difenderli; lui non sta nemmeno ad ascoltare le implorazioni di Amenaìde ed Argirio e muove verso la battaglia, non prima di aver cantato il bellissimo (e nuovo) Rondo in FA maggiore Perché turbar la calma di questo cor, perchè?  

Le versioni si riunificano in prossimità della battaglia Tancredi-Solamir: sono due scene in cui assistiamo alle preoccupazioni di Argirio, Amenaìde e dei siracusani e alla loro ansia per l’esito della pugna.

Terminata la quale, ecco i due finali totalmente diversi: a Venezia Tancredi torna vincitore e rassicurato sulla fedeltà di Amenaìde da… Solamir (che però era l’ultimo a poter avere le prove riguardo alla lettera incriminata, sequestrata dal malvagio Orbazzano prima che arrivasse a destinazione a... Tancredi!) e l’opera termina - su un RE maggiore di ordinanza - in gloria, amore e… fedeltà. A Ferrara invece Tancredi torna vincitore sì, ma mortalmente ferito (coro Muore il forte, in LA minore - DO maggiore): solo allora gli viene rivelata la verità sulla lettera e così lui chiede scusa ad Amenaìde e chiede ad Argirio di benedire le loro nozze in punto di morte. L’ultima sua parola, accompagnata dal solo quartetto d'archi, sul SOL, dominante di DO maggiore, è …addio!

Versione Venezia (16/2/1813)
rivista per Milano (18/12/1813)
Testo di Gaetano Rossi

(Intanto da' burroni, dalla selva compariscono gruppi di soldati saraceni, che s'avviano al campo)

N. 16 (II) Coro di saraceni
CORO DI SARACENI
Regna il terror
nella città;
dell'ombre fra l'orror
si assalirà:
vinta cadrà.
La ricca preda allor
nostra sarà:
s'esulterà.
Gloria, e valor
n'accende il cor,
il saraceno ognor
trionferà.
(vanno disperdendosi)

N.16 (III) Recitativo secco
TANCREDI
Fra saraceni io dunque son? ~ le tende
quelle di Solamiro!... del rivale. ~
In periglio fatale
è la mia patria, e l'abbandono! ~ almeno,
giacché scelsi morir, utile a lei
si sacrifichi il fin de' giorni miei.
(s'incammina)

Scena XVII
(Argirio, e Amenaìde, con séguito di Cavalieri e Soldati.)

AMENAÌDE
Ah! eccolo.
(chiamandolo)
Tancredi!...

ARGIRIO
Tancredi!...

TANCREDI
(colpito)
Il nome mio! ~
Tu qui? ~ Perfida! ~
(con amarezza)
e vai
di Solamiro al campo?

AMENAÌDE
(con passione)
Ingiusto!

ARGIRIO
Omai,
Tancredi, esci d'errore:
la mia figlia è innocente.

TANCREDI
(con emozione)
Ah! ~ no: quel foglio
troppo avvera la colpa.

AMENAÌDE
A te, ingrato, quel foglio a te fu scritto.

TANCREDI
A me? ~ né pria il dicesti!

AMENAÌDE
Eri proscritto.

TANCREDI
E tu non ami Solamir?

AMENAÌDE
L'aborro.

TANCREDI
(come sopra)
(Ciel! che pensar?...)
(ad Argirio)
E tu, padre!...

ARGIRIO
A lei credi.

TANCREDI
Ma poi... se...

AMENAÌDE
(con tutta passione)
Mio Tancredi;
per questa man che mi salvò, ch'io stringo...
per il primiero amor... guardami...

TANCREDI
(agitatissimo)
Oddio!...

ARGIRIO
Cedi...

AMENAÌDE
A tuoi piè...
(si getta a' di lui piedi)

TANCREDI
(commosso)
Che fai!... (Dove son io!)
Ah sì...
(è per alzarla, ed abbracciarla, in questo si ode da lunge musica barbara marziale che viene avanzando: tutti ne restano colpiti)

N. 16 (IV) Marcia e aria
TANCREDI
Qual suon? ~ che miro!...
Quelle di Solamiro
le insegne son!...
(ad Amenaìde)
Ti turbi?
(ad Argirio, e cavalieri)
Voi fremete?
(poi a saraceni che avanzano)
Dove andate, superbi, e che volete?

Scena XVIII
(Saraceni che portano un ramo d'olivo, e una corona, e detti.)

CORO DI SARACENI
Solamir d'Amenaìde
vuol la man di pace in pegno:
ecco il segno ~ d'amistà;
ecco il serto che l'amore
offre al merto, ~ alla beltà.
Ma paventi Siracusa
se ricusa:
su voi tutto il suo furore
l'odio suo piombar farà.
(sdegno, disprezzo dei siracusani)

TANCREDI
(fiero, e con amarezza)
(ad Argirio)
Or che dici? ~ or che rispondi? ~
(ad Amenaìde)
Ammutisci? ~ Ti confondi? ~
Va' ~ palese è troppo omai
la tua nera infedeltà.

CORO DI SARACENI
Vieni al soglio!

TANCREDI
Quale orgoglio!
Padre, e voi!...

CORO DI SARACENI
(ad Argirio, e cavalieri)
Non più: scegliete.

TANCREDI
No: capaci non sarete
di sì orribile viltà.
(poi ad Amenaìde con pena, ed ira)
E questa è la fede
che un dì promettesti?
Tradirmi potesti,
scordarti di me? ~
E tanto è spietato
l'acerbo mio fato,
che ancora t'adoro,
e moro ~ per te! ~
Sì, la patria si difenda:
Solamir me al campo attenda.
Poi dell'ombre nella pace
cesserò di sospirar.

CORO DI SARACENI
Vieni: all'armi; il fasto audace
Solamir saprà domar.

TANCREDI
Sì cadrà il rivale audace
io vi guido a trionfar.
(I saraceni partono. Tancredi alla testa de' cavalieri parte seguìto da Roggiero)

Scena XIX
(Amenaìde, Argirio, Isaura, Scudieri, Guerrieri.)

Recitativo secco
AMENAÌDE
Ah! ch'ei si perde! padre, Isaura, ei corre
nel suo furor a ricercar la morte.

ARGIRIO
Infausto dì! ~
(a' guerrieri)
Voi mi seguite,
(ad altri, e scudieri)
e voi
su lor vegliate.

AMENAÌDE
(per seguirlo)
Anch'io...

ARGIRIO
Rimanti: al braccio mio
accordi il cielo, il prisco suo vigore.
Di gloria in sen mi avvampa ancor l'ardore.
(parte)

Scena XX
(Amenaìde, Isaura, Scudieri, Guardie.)

AMENAÌDE
Quanti tormenti in un sol giorno! ~ ah! Senti
Ferve la pugna: d'armi, di guerrieri
odi il fragor, le grida...

ISAURA
Oh! Quale orrore
spargesi intorno!

AMENAÌDE
Come trema il core!
Che palpito affannoso? ~ Quai funeste
immagini tremende? ~ Forse adesso
il genitor... l'amante... esangue... oppresso...
Oh Isaura! ~ io più, no, non resisto.

ISAURA
Ascolta.
Cessò il tumulto.

AMENAÌDE
Ah! forse!

ISAURA
A questa volta
stuol d'armati...

AMENAÌDE
Gran dio! ~

Scena XXI e ultima
(Argirio, Tancredi, Roggiero, Saraceni, Prigionieri, Guerrieri, Popolo.)

ARGIRIO
Figlia...

AMENAÌDE
Oh padre!...

TANCREDI
Idol mio!...

AMENAÌDE
Tu! mio Tancredi? ~

TANCREDI
Pentito, amante, e vincitor mi vedi.

AMENAÌDE
Ah, dunque!...

TANCREDI
Solamiro
da me trafitto, all'ultimo respiro
svelò la bella tua innocenza, e rese
l'error comune, e il tuo gran cor palese.

AMENAÌDE
(tenerissima)
Fedel mi credi?

TANCREDI
(affettuoso)
Mi perdoni!

ARGIRIO
Oh figli!
A Siracusa ~ omai da suoi perigli
è libera la patria: vieni, regna,
trionfa.

TANCREDI
(ad Amenaìde)
Sul tuo cor regnar voglio!
Questa da te desio sola mercede.

AMENAÌDE
Trionfano così l'amor, la fede!...

N. 17 - Finale II
AMENAÌDE
Tra quei soavi palpiti
brillar mi sento il core!
Un delizioso ardore
gioir; languir mi fa...
No, non vi posso esprimere
la mia felicità.

ARGIRIO
Ah del piacer quest'anima
respira omai nel seno:
tra voi felice appieno,
figli, il mio cor sarà...
No, non vi posso esprimere
la mia felicità.

TANCREDI
Sì grande è il mio contento,
sì dolce è tal momento,
che tanta gioia ancora
credere il cor non sa...
No, non vi posso esprimere
la mia felicità.

TUTTI
Sì ~ tutto spiri intorno
piacer felicità:
trionfano in tal giorno
amore e fedeltà.
Versione Ferrara (21/3/1813)
Testo di Luigi Lechi


(Intanto da' burroni, dalla selva compariscono i cavalieri, che vanno in traccia di Tancredi) 
                
N. 16 (II) Coro di cavalieri
CORO DI CAVALIERI 
Regna il terror
nella città:
Tancredi di dolor
dunque morrà...
Ove sarà
egli col suo valor
ci guiderà:
trionferà.
Gloria e valor
n'accende il cor;
Il saraceno ognor
spento cadrà.
S'esulterà.











Scena XV
(Amenaìde, Argirio e detti)

N. 16 (III) Recitativo secco

AMENAÌDE
Ecco, amici, Tancredi.

ARGIRIO
Tancredi...

TANCREDI
Il nome mio...
Tu qui? ~ Perfida! E vai
di Solamiro al campo?

AMENAÌDE
Oh! Mio Tancredi,
esci d'errore omai...

TANCREDI
Taci! È vano quel piano, orror mi fai. ~
(ai cavalieri)
Sì con voi pugnerò, con voi; la patria
salverò col mio sangue. Il mio destino
si compia allor; t'invola!
Penai, piansi per te, lo sai, lo vedi:
vanne, infedel, morto è per te Tancredi.

N. 16 (IV) Rondo

TANCREDI
Perché turbar la calma
di questo cor, perchè?
Non sai che questa calma
è figlia del dolor!
Traditrice, io t'abbandono
al rimorso, al tuo rossore;
vendicar saprà l'amore
così nera infedeltà.
Ma tu piangi... forse?... Oh dio!

CORO
Vieni al campo.

TANCREDI
Ove son io!

CORO
Gloria, amore il cor t'accenda,
Solamir per te cadrà.

TANCREDI
Sì, la patria si difenda,
io vi guido a trionfar.
Non sa comprendere
il mio dolor
chi in petto accendersi
non sa
d'amor.

CORO
Gloria, amore il cor t'accenda,
Solamir per te cadrà.



































































































 Scena XVI
   (Amenaìde, Argirio, Isaura, Scudieri.)      

                                    Recitativo secco
AMENAÌDE
Ah! Ch'ei si perde! Padre, Isaura ei corre
nel suo furor a ricercar la morte.

ARGIRIO
Infausto dì!
(ai guerrieri)
Voi mi seguite,
(ad altri, e scudieri)
e voi
su lor vegliate.

AMENAÌDE 
Anch'io...
(per seguirlo)

ARGIRIO
Rimanti: al braccio mio
accordi il cielo il prisco suo vigore:
di gloria in sen m'avvampa ancor l'ardore.
(parte)

Scena XVII
(Amenaìde, Isaura, Scudieri, Guardie.)

AMENAÌDE
Quanti tormenti in un sol giorno! Ah! Senti...
Ferve la pugna: d'armi, di guerrieri
odi il fragor, le grida...

ISAURA
Oh! Quale orrore
spargesi intorno!

AMENAÌDE
Come trema il core!
Che palpito affannoso? - Quai funeste
immagini tremende! - Forse adesso
il genitor.. l'amante... esangue... oppresso...
Oh Isaura! Io più no, non resisto.

ISAURA
Ascolta.
Cessò il tumulto.

AMENAÌDE
Ah! Forse...

ISAURA
A questa volta
stuol d'armati...




Scena XVIII e ultima
(Argirio, alcuni Cavalieri con Tancredi e detti.)

AMENAÌDE
Gran dio! Qual suon, quai grida!

ARGIRIO
Figlia...

AMENAÌDE
E Tancredi? Il mio Tancredi?

ARGIRIO
Piena
vittoria egli ebbe sul nemico... oh! dio
ma funesta vittoria... ei la sua patria
salvò... col proprio sangue...

AMENAÌDE
È morto?...

ARGIRIO
Appena
regge il fianco trafitto...
nell'angoscia di morte il nome tuo
sospirando ripete...

AMENAÌDE
Oh! Mio Tancredi!

N. 17

CORO
Muore il forte,
il vincitor;
ahi qual sangue!
Quale orror!
   
Recitativo secco

AMENAÌDE
Barbari! È vano ogni rimorso... oh dio!
Tancredi! Sventurato...
E puoi tu udirmi ancora... e puoi tu ancora
su me fissar le moribonde luci?
Conoscimi, Tancredi,
il mio dolor conosci... la tua sposa. ~
Dunque l'ultimo sguardo or su me volgi?
M'odi ancor? ~ Rea mi credi?

TANCREDI
(sollevandosi)
Ah! ~ M'hai tradito! ~

AMENAÌDE
Io!...

ARGIRIO
Sventurata figlia! Essa t'amava,
e fu l'amarti il suo diletto. Ingiuste
fur le leggi, il senato... a te fu scritto
quel foglio, a te...

TANCREDI
M'inganno! ~ Amenaìde,
ed ami il tuo Tancredi?

AMENAÌDE
Io mille morti
avrei mertate in non amarti: pensa
se rea...

TANCREDI
Tu m'ami? ~ A questi detti io sento
che m'è grave il morir.

AMENAÌDE
Dunque, gran dio,
così mia fé...

N.18 - Recitativo e cavatina finale

TANCREDI 
Quel pianto
mi scende al cor... ma... oh dio... lasciarti io deggio.
Già la morte s'appressa... io già... la sento.
Argirio, ascolta, ecco de' voti miei...
di mia fede l'oggetto... a quella mano
or la mia destra insanguinata unisci;
di sposo... il nome io porterò alla tomba...
e tu sarai mio padre? - A vendicare...
la mia patria... la sposa...
vissi... d'entrambe degno... amato, io spiro
ora d'entrambe in seno...
ogni mio voto... è già... compito... appieno.
Amenaìde... serbami
tua fé... quel... cor ch'è mio,
ti lascio... ah! Tu di vivere
giurami... sposa...addio.

Beh, bisogna pur ammettere che la versione-Ferrara chiude (testo e musica) in modo davvero mirabile, e non solo perché rispetta di più – non del tutto, chè nel Tancrède anche Amenaìde si lascia morire - Voltaire! Roberto Abbado ha inciso entrambi i finali, così ciascuno può liberamente giudicare e scegliere…  

E guarda caso proprio qui a Pesaro si opta (non è una novità) per una versione – curata da Philip Gossett, oggi separato - che sta a metà strada fra le due: si inizia con quella di Ferrara (Coro di Cavalieri e Rondo di Tancredi) ma poi si torna al finale lieto di Venezia. In più sono operati tagli abbastanza consistenti ai recitativi (e fin qui… poco male) e viene annunciato sul programma di sala anche il taglio di quasi l’intera seconda scena dell’Atto II (compresa l’aria di Argirio – Ah! segnar invano - in DO-SOL-DO, dove il tenore può arrivare fino al RE sovracuto…) Poi si scopre per fortuna che trattasi di un refuso (o retaggio di precedenti esecuzioni).   

Il manoscritto del finale di Ferrara fu riportato alla luce nel 1974 dai discendenti di Luigi Lechi, autore dei testi. A proposito del quale Lechi, era amante della Adelaide Malanotte (o Malanotti) che fu la prima interprete di Tancredi. Si sa che ai tempi di Rossini era costume che le opere venissero manipolate ad uso e consumo dei cantanti (o che peculiari qualità dei cantanti condizionassero la composizione stessa). Si dice (almeno così racconta Stendhal) che la Malanotte abbia reclamato da Rossini una nuova aria d’esordio, al posto di Dolci d’amor parole: ebbene, aspettando un risotto in un ristorante veneziano, proprio alla vigilia della prima, Rossini scrisse per lei una cosuccia da nulla: Di tanti palpiti !!! Gossett però sostiene che le cose andarono esattamente al contrario e che l’aria divenuta celebre a livello universale – e simpaticamente, splendidamente citata da Wagner nei Meistersinger, a sottolineare l’inventiva, l’eroismo e l’arte di un… sarto - sia proprio quella inizialmente rifiutata dalla schizzinosa cantante… La quale, insieme con l’amante, mise di sicuro lo zampino nell’ideazione del finale-Ferrara, il cui testo fu redatto appunto da Lechi. I due si stabilirono più tardi sull’Isola del Garda e la cantante fu seppellita nel cimitero di Salò (a un tiro di schioppo da una delle mie 18 residenze, smile!

Come divenne sua abitudine Rossini non si sforzò di scrivere un’Ouverture per Tancredi e quindi riciclò (termine aulico: si auto-imprestò) quella dell’opera La pietra del paragone, composta pochi mesi addietro per la Scala. E chi se ne frega se quella era un melodramma giocoso…  

Invece, a proposito di manipolazioni, curiosa fu quella di tre francesi (dai nomi tipo la-contessa-serbelloni-mazzanti-viendalmare): Edouard Hubert Scipion d’Anglemont e Jean-Pierre-François Lesguillon (librettisti) e Jean Frédéric Auguste Le Mière de Corvey (arrangiatore musicale, non nuovo a francesizzare opere rossiniane) che predisposero e fecero stampare un’edizione in lingua francese e in tre atti del Tancrède, la cui prima rappresentazione ebbe luogo al Thèatre royal de l’Odéon il 7 settembre 1827.



Come Ouverture scelsero quella di Eduardo e Cristina, che effettivamente meglio si attaglia alle caratteristiche drammatiche del Tancredi (e che Rossini, nel 1813, non aveva ancora scritto, ma aveva già nel 1821 riciclato, con poche modifiche, come Sinfonia della Matilde di Shabran!) Quanto alla struttura dell’opera, è una specie di Singspiel, con molti e verbosi parlati al posto dei recitativi secchi; si rifà vagamente alla tragedia di Voltaire, ad esempio ritardando l’ingresso in scena di Tancredi. Il primo atto ricalca più o meno l’originale fino alla cavatina di Amenaìde, poi salta l’entrata di Tancredi (con i Palpiti) che viene spostata in apertura del secondo atto. Al posto dell’entrata di Tancredi c’è il coro di guerrieri (non quello precedente dei nobili, né quello successivo, generale, ripresi dall’Intorno fumino del Ciro) poi un’aria di Argirio e quindi l’ensemble del finale atto primo senza Tancredi. Il quale compare all’inizio del secondo atto, con l’introduzione (abbreviata l’apertura orchestrale) e la cavatina trasportate in RE e SOL maggiore rispettivamente (da DO e FA) poiché, come  si deduce dalla contro-copertina della partitura, il protagonista poteva benissimo essere un tenore, in luogo del contralto. Segue il duo Argirio-Tancredi (Ah se de’ mali mieiuna marcia, il duo Tancredi-Amenaìde (Fiero incontroe quindi il finale con Tancredi, Orbazzano, Argirio e Amenaìde. Il terzo atto inizia col coro (Plaudite o popoli) e Tancredi; poi il duetto Tancredi-Amenaìde e quindi segue direttamente la scena finale (finale che è comunque quello lieto di Venezia). 

Insomma, un arrangiamento più o meno plausibile dell’originale rossiniano, che fra l’altro pare non abbia avuto gran successo presso i parigini. Oggi poi – a parte la traduzione in francese - impiegando diavolerie tipo i-Tunes chiunque può divertirsi ad assemblare il suo Tancredi come meglio gli aggrada (smile!
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Vengo finalmente alla recita di ieri. Accolta con gran favore dal folto pubblico, che non ha mancato di applaudire ogni numero a scena aperta, per poi tributare un autentico trionfo all’intera compagnia, al termine dell’esecuzione.

Su tutti la (ormai) veterana Daniela Barcellona (presentatasi con abbigliamento ed acconciatura incredibili, una cosa a metà fra un gigantesco spaventapasseri e un nero pipistrellone, smile!) che ha letteralmente occupato la scena con l’imponenza della sua figura, del suo gesto enfatico e solenne e soprattutto della sua voce: i Palpiti e il Rondo sono stati accolti da autentiche e interminabili ovazioni dal pubblico (che le ha evidentemente perdonato qualche sbavatura sui suoni gravi).    

Piacevole sorpresa (almeno per me) della serata è stata Elena Tsallagova (Amenaìde) che ha una voce davvero bella e potente (spiccante su tutti nei concertati) in tutta la gamma. Le manca ovviamente dell’esperienza, ma le premesse per un futuro di successi non mancano. Anche lei lungamente applaudita dopo le sue arie.

Antonino Siragusa era Argirio e non si è sottratto – a tutti i costi – al difficile impegno della parte, presentando anche l’aria del second’atto, dove tocca due RE sovracuti e chiude con un DO sparato davvero sputando l’anima. Va lodato come minimo per l’abnegazione! 

Chi mi è piaciuto senza riserve è stato Mirco Palazzi (Orbazzano): un basso dalla taglia atipica (piccolo e magrolino, tipo Kwangchul Youn, per intenderci) dalla bella voce e dal gran portamento.

Bella figura han fatto le due comprimarie Chiara Marù (Isaura) e Carmen Romeu (Roggiero) cui Rossini dedica anche arie solistiche, oltre che parti in duetti e concertati.

Bene il coro (maschile) di Lorenzo Fratini e l’Orchestra del Comunale di Bologna, sia come insieme che come parti solistiche e come specialisti al continuo

Nonno Alberto Zedda pare ancora un ragazzino. Soprattutto dà proprio a vedere di divertirsi un mondo a dirigere il suo Rossini: non smette nemmeno per un momento il suo sorriso e alla fine viene dal suo pubblico ricompensato con un autentico trionfo, sotto l’occhio compiaciuto del patron Gianfranco Mariotti, seduto in barcaccia. 
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Ecco quindi archiviato anche questo ROF-33, cui personalmente darò un voto tra il buono e l’ottimo. Già si parla, si fantastica e si mitizza (altro che bicentenario verdi-wagneriano!) del ROF-34, quello dell’impossibile Guillaume Tell, dove il divo JDF cercherà di entrare nella leggenda, entrando per intanto nei panni di Arnold. Auguri, e restiamo in ansiosa aspettativa!



Parlando di bilanci, chissà se anche il ROF-33 confermerà a consuntivo i dati economici che un autorevole studio condotto da teste d’uovo universitarie ha determinato per le recenti edizioni: per ogni Euro di vendite di biglietti, c’è un indotto (di business turistico) di 7 Euri! Io mi sono personalmente fatto i conti in tasca: c’è da vergognarsi come un verme, ma nel mio particolare caso temo che il rapporto sia precisamente invertito: ogni 7 Euri da me spesi per i biglietti hanno indotto 1 Euro di business turistico. Apologies.

23 agosto, 2011

ROF-2011: il (nuovo) Barbiere di Siviglia


Ieri sera Alberto Zedda ha presentato – dal podio, alla guida di Orchestra e Coro del Comunale di Bologna – la sua ultima edizione dell'opera più famosa di Gioachino Rossini.

Un riassunto delle novità contenute in tale edizione è riportato, a firma dello stesso musicologo, sulle pagine del programma di sala. A giudicare dal sommario elenco, si dovrebbe dire: nulla di trascendentale; o magari: particolari che possono dir qualcosa al musicofilo esperto, se non proprio ai più specializzati addetti ai lavori. In compenso, Zedda non manca di lanciare qualche frecciatina polemica al suo ex-sodale-in-Rossini Philip Gossett, con cui ha rotto i ponti da qualche tempo, e che si è messo al servizio della concorrenza, collaborando con Patricia Brauner ad un'edizione critica del Barbiere pubblicata nel 2008 dall'autorevole casa editrice Bärenreiter. La contestazione che Zedda muove alla Brauner (perché Gossett intenda…) riguarda le parti di Lisa e Berta - le due domestiche di casa-Bartolo - i cui ruoli (del tutto secondario soprattutto quello di Lisa) sono di fatto riuniti dalla Brauner (secondo tradizione e…logica) in uno solo: quello di Berta, che nell'opera ha una parte più corposa, essendo anche gratificata di un'aria. Zedda invece li tiene scrupolosamente distinti: Berta=soprano e Lisa=mezzosoprano (che canta 3 – dicansi tre - versi in tutto, in 18 battute di musica). Però Zedda si affretta ad aggiungere che la fusione dei ruoli, essendo per l'appunto contemplata dalla tradizione, va comunque prospettata e rispettata. Vai a capire un po' come funzionano questi editori critici

Invece sul podio il Maestro ha mostrato tutta la sua esperienza in Rossini e nel Barbiere, trascinando da par suo i 45 strumentisti bolognesi e accompagnando amorevolmente i cantanti (più il coro maschile di Lorenzo Fratini).

Ad eccezione di Ecco ridente in cielo, tutte le arie e i diversi concertati sono stati accolti da applausi (a volte vere e proprie ovazioni) che hanno gratificato gli interpreti. Su tutti il Figaro di Mario Cassi (che nella celebre cavatina d'esordio non mi è peraltro sembrato impeccabile, ma non tutti possono essere dei… Bruscantini).

Sugli scudi i due Nicola-bassi: Ulivieri, davvero bravo nella Calunnia, e Alaimo, un Bartolo efficacissimo tanto nel canto quanto nella recitazione (non c'era allestimento scenico, ma i personaggi si muovevano come ci fosse, il che mi convince sempre di più che queste esecuzioni semi-sceniche siano largamente da preferire a tante cervellotiche e pseudo-maieutiche concezioni di registi alla Vick!)

Marianna Pizzolato è stata una Rosina più che discreta. E poi ha il fisico perfetto per il personaggio: grassotta (smile!), genialotta, capello nero, guancia porporina, occhio che parla, mano che innamora… come la descrive il barbiere).
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Il Conte/Lindoro era Juan Francisco Gatell: voce piccolina, ma abbastanza efficace. E ottima tenuta, visto come ha superato brillantemente le asperità del finale.

Clemente Antonio Daliotti ha impersonato Fiorello e pure un Ufficiale, cavandosela più che dignitosamente.

Come pure Jeannette Fischer, nel ruolo secondario (ma con… arietta) di Berta.

Francesca Pierpaoli ha cantato i suoi 3 versi e le sue 18 battute in concertato: nulla di più le veniva chiesto.

Insomma, una bella serata di musica, cui hanno potuto assistere anche alcune centinaia di persone assiepate in Piazza del Popolo, dove l'opera è stata irradiata grazie al comune di Pesaro.

Questa sera il ROF-32 chiude come aveva aperto, con Adelaide. Peccato fosse (da molto tempo ormai) saltata la Petite Messe con il prodigioso Patalung… sarà, speriamo, per un'altra volta.
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