Il Tancredi ha concluso ier
sera il ROF numero 33, con un’esecuzione in forma di concerto al teatro Rossini,
diffusa in video – cosa che sta diventando tradizione - nella vicina Piazza del
Popolo.
La prima domanda che viene spontanea,
a proposito di Tancredi, è quale versione del finale si rappresenti: quella
originale di Venezia, col vissero tutti
felici e contenti, oppure quella (di poche settimane successiva e più fedele alla
tragedia in versi a rima incrociata di Voltaire) di Ferrara, con
la morte eroica e nobile del protagonista?
Vediamo un po’… Dunque, Tancredi ha fatto secco lo sbifido Orbazzano (liberando Amenaìde della sua disgustosa presenza) ed è appena uscito dal drammatico confronto con la medesima Amenaìde (che ha invano cercato di convincerlo della sua fedeltà); si è messo a girovagare solitario, con propositi suicidi, sui monti sovrastanti Siracusa ad occidente, i cui torrenti vanno (poeticamente) a formare lo specchio d’acqua dell’Aretusa e, dopo la mirabile introduzione orchestrale in MIb, ha cantato il suo recitativo accompagnato (Dove son io?) e la sua cavatina in DO (Ah! che scordar non so colei che mi tradì...)
Terminata
la quale, ecco i due finali totalmente diversi: a Venezia Tancredi torna vincitore
e rassicurato sulla fedeltà di Amenaìde da… Solamir (che però era l’ultimo a poter
avere le prove riguardo alla lettera incriminata, sequestrata dal malvagio Orbazzano prima che arrivasse a destinazione a... Tancredi!)
e l’opera termina - su un RE maggiore di ordinanza - in gloria, amore e… fedeltà. A Ferrara invece Tancredi torna vincitore
sì, ma mortalmente ferito (coro Muore il forte, in LA minore - DO maggiore): solo allora gli viene rivelata la verità sulla lettera e così lui
chiede scusa ad Amenaìde e chiede ad Argirio di benedire le loro nozze in punto
di morte. L’ultima sua parola, accompagnata dal solo quartetto d'archi, sul SOL, dominante di DO maggiore, è …addio!
Vediamo un po’… Dunque, Tancredi ha fatto secco lo sbifido Orbazzano (liberando Amenaìde della sua disgustosa presenza) ed è appena uscito dal drammatico confronto con la medesima Amenaìde (che ha invano cercato di convincerlo della sua fedeltà); si è messo a girovagare solitario, con propositi suicidi, sui monti sovrastanti Siracusa ad occidente, i cui torrenti vanno (poeticamente) a formare lo specchio d’acqua dell’Aretusa e, dopo la mirabile introduzione orchestrale in MIb, ha cantato il suo recitativo accompagnato (Dove son io?) e la sua cavatina in DO (Ah! che scordar non so colei che mi tradì...)
A questo punto le versioni
Venezia e Ferrara cominciano a divergere e lo specchietto qui sotto riporta i due testi, con i relativi allineamenti (pochi) e le molte divergenze. In realtà
qualche scostamento fra le due era visibile anche in precedenza, come ad
esempio il diverso numero di scena, 16 e 14 rispettivamente.
La prima divergenza non è nella
musica, ma solo (e parziale) nel testo (Regna il terror nella città): a Venezia è Tancredi che ascolta un coro di Saraceni,
che pregustano la definitiva conquista di Siracusa; a Ferrara sono invece i siracusani
che lo stanno cercando per porlo alla loro testa in difesa della città. Nella versione-Venezia Tancredi
canta ora un recitativo secco (Fra saraceni
io dunque son?) espunto conseguentemente in quella di Ferrara.
Poi abbiamo differenze sostanziali, nell’episodio dell’incontro di Tancredi con i siracusani, fino alla sua partenza per la battaglia contro Solamir, dove le due versioni torneranno - per poco - a riunificarsi. Nella versione-Venezia l’incontro fra Tancredi, Amenaìde e Argirio è più corposo, e comprende anche la rivelazione (fatta dalla stessa Amenaìde) che la famosa sua lettera compromettente era diretta a lui, Tancredi, e non a Solamir. Ma Tancredi non ci crede (strano: crederà solo - toh! - a… Solamir!) poi pare convincersi, poi ancora resta lì come un ebete e infine tutti sono sorpresi dall’arrivo di emissari saraceni (Qual suon? che miro! e Marcia) che recano l’ultimatum di Solamir: Amenaìde-for-peace! Tancredi prende l’iniziativa (Sì, la Patria si difenda) e impone il rifiuto della capitolazione, preparandosi alla battaglia. La versione-Ferrara è più sbrigativa: i siracusani chiedono a Tancredi di difenderli; lui non sta nemmeno ad ascoltare le implorazioni di Amenaìde ed Argirio e muove verso la battaglia, non prima di aver cantato il bellissimo (e nuovo) Rondo in FA maggiore Perché turbar la calma di questo cor, perchè?
Poi abbiamo differenze sostanziali, nell’episodio dell’incontro di Tancredi con i siracusani, fino alla sua partenza per la battaglia contro Solamir, dove le due versioni torneranno - per poco - a riunificarsi. Nella versione-Venezia l’incontro fra Tancredi, Amenaìde e Argirio è più corposo, e comprende anche la rivelazione (fatta dalla stessa Amenaìde) che la famosa sua lettera compromettente era diretta a lui, Tancredi, e non a Solamir. Ma Tancredi non ci crede (strano: crederà solo - toh! - a… Solamir!) poi pare convincersi, poi ancora resta lì come un ebete e infine tutti sono sorpresi dall’arrivo di emissari saraceni (Qual suon? che miro! e Marcia) che recano l’ultimatum di Solamir: Amenaìde-for-peace! Tancredi prende l’iniziativa (Sì, la Patria si difenda) e impone il rifiuto della capitolazione, preparandosi alla battaglia. La versione-Ferrara è più sbrigativa: i siracusani chiedono a Tancredi di difenderli; lui non sta nemmeno ad ascoltare le implorazioni di Amenaìde ed Argirio e muove verso la battaglia, non prima di aver cantato il bellissimo (e nuovo) Rondo in FA maggiore Perché turbar la calma di questo cor, perchè?
Le versioni si riunificano in prossimità
della battaglia Tancredi-Solamir: sono due scene in cui assistiamo alle preoccupazioni
di Argirio, Amenaìde e dei siracusani e alla loro ansia per l’esito della pugna.
Versione
Venezia (16/2/1813)
rivista per Milano (18/12/1813)
Testo
di Gaetano Rossi
(Intanto da' burroni, dalla selva
compariscono gruppi di soldati saraceni, che s'avviano al campo)
N. 16 (II) Coro di saraceni
CORO DI SARACENI Regna il terror
nella
città;
dell'ombre fra l'orror si assalirà: vinta cadrà.
La
ricca preda allor
nostra
sarà:
s'esulterà.
Gloria,
e valor
n'accende
il cor,
il saraceno ognor trionferà.
(vanno
disperdendosi)
N.16 (III) Recitativo secco TANCREDI Fra saraceni io dunque son? ~ le tende quelle di Solamiro!... del rivale. ~ In periglio fatale è la mia patria, e l'abbandono! ~ almeno, giacché scelsi morir, utile a lei si sacrifichi il fin de' giorni miei.
(s'incammina)
Scena XVII
(Argirio,
e Amenaìde, con séguito di Cavalieri e Soldati.)
AMENAÌDE Ah! eccolo.
(chiamandolo)
Tancredi!... ARGIRIO Tancredi!... TANCREDI (colpito) Il nome mio! ~
Tu
qui? ~ Perfida! ~
(con
amarezza)
e vai
di
Solamiro al campo?
AMENAÌDE (con passione) Ingiusto! ARGIRIO Omai,
Tancredi,
esci d'errore:
la mia figlia è innocente. TANCREDI (con emozione) Ah! ~ no: quel foglio troppo avvera la colpa. AMENAÌDE A te, ingrato, quel foglio a te fu scritto. TANCREDI A me? ~ né pria il dicesti! AMENAÌDE Eri proscritto. TANCREDI E tu non ami Solamir? AMENAÌDE L'aborro. TANCREDI (come sopra) (Ciel! che pensar?...)
(ad
Argirio)
E tu, padre!... ARGIRIO A lei credi. TANCREDI Ma poi... se... AMENAÌDE (con tutta passione) Mio Tancredi;
per
questa man che mi salvò, ch'io stringo...
per il primiero amor... guardami... TANCREDI (agitatissimo) Oddio!... ARGIRIO Cedi... AMENAÌDE A tuoi piè...
(si
getta a' di lui piedi)
TANCREDI (commosso) Che fai!... (Dove son io!)
Ah
sì...
(è per alzarla, ed abbracciarla, in questo si ode da lunge musica barbara marziale che viene avanzando: tutti ne restano colpiti) N. 16 (IV) Marcia e aria TANCREDI Qual suon? ~ che miro!... Quelle di Solamiro
le
insegne son!...
(ad
Amenaìde)
Ti turbi?
(ad
Argirio, e cavalieri)
Voi fremete?
(poi
a saraceni che avanzano)
Dove andate, superbi, e che volete? Scena XVIII (Saraceni che portano un ramo d'olivo, e una corona, e detti.) CORO DI SARACENI Solamir d'Amenaìde
vuol
la man di pace in pegno:
ecco il segno ~ d'amistà; ecco il serto che l'amore offre al merto, ~ alla beltà.
Ma
paventi Siracusa
se
ricusa:
su
voi tutto il suo furore
l'odio suo piombar farà. (sdegno, disprezzo dei siracusani) TANCREDI (fiero, e con amarezza) (ad Argirio) Or che dici? ~ or che rispondi? ~
(ad
Amenaìde)
Ammutisci? ~ Ti confondi? ~ Va' ~ palese è troppo omai la tua nera infedeltà. CORO DI SARACENI Vieni al soglio! TANCREDI Quale orgoglio! Padre, e voi!... CORO DI SARACENI (ad Argirio, e cavalieri) Non più: scegliete. TANCREDI No: capaci non sarete
di
sì orribile viltà.
(poi
ad Amenaìde con pena, ed ira)
E questa è la fede
che
un dì promettesti?
Tradirmi potesti, scordarti di me? ~
E
tanto è spietato
l'acerbo
mio fato,
che ancora t'adoro, e moro ~ per te! ~
Sì,
la patria si difenda:
Solamir
me al campo attenda.
Poi dell'ombre nella pace cesserò di sospirar. CORO DI SARACENI Vieni: all'armi; il fasto audace
Solamir
saprà domar.
TANCREDI Sì cadrà il rivale audace
io
vi guido a trionfar.
(I saraceni partono. Tancredi alla testa de' cavalieri parte seguìto da Roggiero) Scena XIX (Amenaìde, Argirio, Isaura, Scudieri, Guerrieri.) Recitativo secco AMENAÌDE Ah! ch'ei si perde! padre, Isaura, ei corre nel suo furor a ricercar la morte. ARGIRIO Infausto dì! ~
(a'
guerrieri)
Voi mi seguite,
(ad
altri, e scudieri)
e voi
su
lor vegliate.
AMENAÌDE (per seguirlo) Anch'io... ARGIRIO Rimanti: al braccio mio accordi il cielo, il prisco suo vigore. Di gloria in sen mi avvampa ancor l'ardore.
(parte)
Scena XX (Amenaìde, Isaura, Scudieri, Guardie.) AMENAÌDE Quanti tormenti in un sol giorno! ~ ah! Senti Ferve la pugna: d'armi, di guerrieri odi il fragor, le grida... ISAURA Oh! Quale orrore
spargesi
intorno!
AMENAÌDE Come trema il core!
Che
palpito affannoso? ~ Quai funeste
immagini tremende? ~ Forse adesso il genitor... l'amante... esangue... oppresso... Oh Isaura! ~ io più, no, non resisto. ISAURA Ascolta.
Cessò
il tumulto.
AMENAÌDE Ah! forse! ISAURA A questa volta
stuol
d'armati...
AMENAÌDE Gran dio! ~ Scena XXI e ultima (Argirio, Tancredi, Roggiero, Saraceni, Prigionieri, Guerrieri, Popolo.) ARGIRIO Figlia... AMENAÌDE Oh padre!... TANCREDI Idol mio!... AMENAÌDE Tu! mio Tancredi? ~ TANCREDI Pentito, amante, e vincitor mi vedi. AMENAÌDE Ah, dunque!... TANCREDI Solamiro
da
me trafitto, all'ultimo respiro
svelò la bella tua innocenza, e rese l'error comune, e il tuo gran cor palese. AMENAÌDE (tenerissima) Fedel mi credi? TANCREDI (affettuoso) Mi perdoni! ARGIRIO Oh figli!
A
Siracusa ~ omai da suoi perigli
è libera la patria: vieni, regna, trionfa. TANCREDI (ad Amenaìde) Sul tuo cor regnar voglio!
Questa
da te desio sola mercede.
AMENAÌDE Trionfano così l'amor, la fede!... N. 17 - Finale II AMENAÌDE Tra quei soavi palpiti
brillar
mi sento il core!
Un delizioso ardore gioir; languir mi fa...
No,
non vi posso esprimere
la
mia felicità.
ARGIRIO Ah del piacer quest'anima
respira
omai nel seno:
tra voi felice appieno, figli, il mio cor sarà...
No,
non vi posso esprimere
la
mia felicità.
TANCREDI Sì grande è il mio contento,
sì
dolce è tal momento,
che tanta gioia ancora credere il cor non sa...
No,
non vi posso esprimere
la
mia felicità.
TUTTI Sì ~ tutto spiri intorno
piacer
felicità:
trionfano in tal giorno amore e fedeltà. |
Versione Ferrara (21/3/1813)
Testo di Luigi Lechi
(Intanto da' burroni, dalla selva compariscono i cavalieri, che vanno in traccia di Tancredi) N. 16 (II) Coro di cavalieri CORO DI CAVALIERI Regna il terror
nella città:
Tancredi di dolor dunque morrà...
Ove sarà
egli col suo valor
ci guiderà: trionferà.
Gloria e valor
n'accende il cor; Il saraceno ognor
spento cadrà.
S'esulterà.
Scena XV
(Amenaìde, Argirio e detti) N. 16 (III) Recitativo secco AMENAÌDE Ecco, amici, Tancredi. ARGIRIO Tancredi... TANCREDI Il nome mio...
Tu qui? ~ Perfida! E vai
di Solamiro al campo? AMENAÌDE Oh! Mio Tancredi,
esci d'errore omai...
TANCREDI Taci! È vano quel piano, orror mi fai. ~
(ai cavalieri)
Sì con voi pugnerò, con voi; la patria salverò col mio sangue. Il mio destino si compia allor; t'invola! Penai, piansi per te, lo sai, lo vedi: vanne, infedel, morto è per te Tancredi. N. 16 (IV) Rondo TANCREDI Perché turbar la calma
di questo cor, perchè?
Non sai che questa calma è figlia del dolor!
Traditrice, io t'abbandono
al rimorso, al tuo rossore;
vendicar saprà l'amore così nera infedeltà.
Ma tu piangi... forse?... Oh
dio!
CORO Vieni al campo. TANCREDI Ove son io! CORO Gloria, amore il cor t'accenda,
Solamir per te cadrà.
TANCREDI Sì, la patria si difenda, io vi guido a trionfar.
Non sa comprendere
il mio dolor
chi in petto accendersi non sa
d'amor.
CORO Gloria, amore il cor t'accenda,
Solamir per te cadrà.
Scena XVI
(Amenaìde, Argirio, Isaura, Scudieri.)
Recitativo secco
AMENAÌDE
Ah! Ch'ei si perde! Padre, Isaura ei corre nel suo furor a ricercar la morte.
ARGIRIO
Infausto dì!
(ai guerrieri)
Voi mi seguite,
(ad altri, e scudieri)
e voi
su lor vegliate.
AMENAÌDE Anch'io...
(per seguirlo)
ARGIRIO Rimanti: al braccio mio accordi il cielo il prisco suo vigore: di gloria in sen m'avvampa ancor l'ardore.
(parte)
Scena XVII
(Amenaìde, Isaura, Scudieri, Guardie.) AMENAÌDE Quanti tormenti in un sol giorno! Ah! Senti... Ferve la pugna: d'armi, di guerrieri odi il fragor, le grida... ISAURA Oh! Quale orrore
spargesi intorno!
AMENAÌDE Come trema il core!
Che palpito affannoso? - Quai
funeste
immagini tremende! - Forse adesso il genitor.. l'amante... esangue... oppresso... Oh Isaura! Io più no, non resisto. ISAURA Ascolta.
Cessò il tumulto.
AMENAÌDE Ah! Forse... ISAURA A questa volta
stuol d'armati...
Scena XVIII e ultima
(Argirio, alcuni Cavalieri con Tancredi e detti.) AMENAÌDE Gran dio! Qual suon, quai grida! ARGIRIO Figlia... AMENAÌDE E Tancredi? Il mio Tancredi? ARGIRIO Piena
vittoria egli ebbe sul
nemico... oh! dio
ma funesta vittoria... ei la sua patria salvò... col proprio sangue... AMENAÌDE È morto?... ARGIRIO Appena
regge il fianco trafitto...
nell'angoscia di morte il nome tuo sospirando ripete... AMENAÌDE Oh! Mio Tancredi! N. 17 CORO Muore il forte,
il vincitor;
ahi qual sangue! Quale orror! Recitativo secco AMENAÌDE Barbari! È vano ogni rimorso... oh dio! Tancredi! Sventurato... E puoi tu udirmi ancora... e puoi tu ancora su me fissar le moribonde luci? Conoscimi, Tancredi, il mio dolor conosci... la tua sposa. ~ Dunque l'ultimo sguardo or su me volgi? M'odi ancor? ~ Rea mi credi? TANCREDI (sollevandosi) Ah! ~ M'hai tradito! ~ AMENAÌDE Io!... ARGIRIO Sventurata figlia! Essa t'amava, e fu l'amarti il suo diletto. Ingiuste fur le leggi, il senato... a te fu scritto quel foglio, a te... TANCREDI M'inganno! ~ Amenaìde,
ed ami il tuo Tancredi?
AMENAÌDE Io mille morti
avrei mertate in non amarti:
pensa
se rea... TANCREDI Tu m'ami? ~ A questi detti io sento
che m'è grave il morir.
AMENAÌDE Dunque, gran dio,
così mia fé...
N.18 - Recitativo e cavatina finale TANCREDI Quel pianto
mi scende al
cor... ma... oh dio... lasciarti io deggio.
Già la morte s'appressa... io già... la sento. Argirio, ascolta, ecco de' voti miei... di mia fede l'oggetto... a quella mano or la mia destra insanguinata unisci; di sposo... il nome io porterò alla tomba... e tu sarai mio padre? - A vendicare... la mia patria... la sposa... vissi... d'entrambe degno... amato, io spiro ora d'entrambe in seno... ogni mio voto... è già... compito... appieno. Amenaìde... serbami tua fé... quel... cor ch'è mio, ti lascio... ah! Tu di vivere giurami... sposa...addio. |
Beh, bisogna pur ammettere che la versione-Ferrara chiude (testo e musica) in modo davvero mirabile, e non solo perché rispetta di più – non del tutto, chè nel Tancrède anche Amenaìde si lascia morire - Voltaire! Roberto Abbado ha inciso entrambi i finali, così ciascuno può liberamente giudicare e scegliere…
E guarda caso proprio qui
a Pesaro si opta (non è una novità) per una versione – curata da Philip Gossett, oggi separato - che sta a metà strada fra le
due: si inizia con quella di Ferrara (Coro di Cavalieri e Rondo di Tancredi) ma
poi si torna al finale lieto di Venezia. In più sono operati tagli abbastanza
consistenti ai recitativi (e fin qui… poco male) e viene annunciato sul programma di
sala anche il taglio di quasi l’intera seconda scena dell’Atto II (compresa
l’aria di Argirio – Ah! segnar invano
- in DO-SOL-DO, dove il tenore può arrivare fino al RE sovracuto…) Poi si
scopre per fortuna che trattasi di un refuso (o retaggio di precedenti
esecuzioni).
Come divenne sua abitudine Rossini non si sforzò di scrivere un’Ouverture per Tancredi e quindi riciclò (termine aulico: si auto-imprestò) quella dell’opera La pietra del paragone, composta pochi mesi addietro per la Scala. E chi se ne frega se quella era un melodramma giocoso…
Invece, a proposito di manipolazioni, curiosa fu quella di tre francesi (dai nomi tipo la-contessa-serbelloni-mazzanti-viendalmare): Edouard Hubert Scipion d’Anglemont e Jean-Pierre-François Lesguillon (librettisti) e Jean Frédéric Auguste Le Mière de Corvey (arrangiatore musicale, non nuovo a francesizzare opere rossiniane) che predisposero e fecero stampare un’edizione in lingua francese e in tre atti del Tancrède, la cui prima rappresentazione ebbe luogo al Thèatre royal de l’Odéon il 7 settembre 1827.
Come Ouverture scelsero quella di Eduardo e Cristina, che effettivamente meglio si attaglia alle caratteristiche drammatiche del Tancredi (e che Rossini, nel 1813, non aveva ancora scritto, ma aveva già nel 1821 riciclato, con poche modifiche, come Sinfonia della Matilde di Shabran!) Quanto alla struttura dell’opera, è una specie di Singspiel, con molti e verbosi parlati al posto dei recitativi secchi; si rifà vagamente alla tragedia di Voltaire, ad esempio ritardando l’ingresso in scena di Tancredi. Il primo atto ricalca più o meno l’originale fino alla cavatina di Amenaìde, poi salta l’entrata di Tancredi (con i Palpiti) che viene spostata in apertura del secondo atto. Al posto dell’entrata di Tancredi c’è il coro di guerrieri (non quello precedente dei nobili, né quello successivo, generale, ripresi dall’Intorno fumino del Ciro) poi un’aria di Argirio e quindi l’ensemble del finale atto primo senza Tancredi. Il quale compare all’inizio del secondo atto, con l’introduzione (abbreviata l’apertura orchestrale) e la cavatina trasportate in RE e SOL maggiore rispettivamente (da DO e FA) poiché, come si deduce dalla contro-copertina della partitura, il protagonista poteva benissimo essere un tenore, in luogo del contralto. Segue il duo Argirio-Tancredi (Ah se de’ mali miei) una marcia, il duo Tancredi-Amenaìde (Fiero incontro) e quindi il finale con Tancredi, Orbazzano, Argirio e Amenaìde. Il terzo atto inizia col coro (Plaudite o popoli) e Tancredi; poi il duetto Tancredi-Amenaìde e quindi segue direttamente la scena finale (finale che è comunque quello lieto di Venezia).
Insomma, un arrangiamento più o meno plausibile
dell’originale rossiniano, che fra l’altro pare non abbia avuto gran successo presso
i parigini. Oggi poi – a parte la traduzione in francese - impiegando
diavolerie tipo i-Tunes chiunque può
divertirsi ad assemblare il suo
Tancredi come meglio gli aggrada (smile!)
___
Vengo
finalmente alla recita di ieri. Accolta con gran favore dal folto pubblico, che
non ha mancato di applaudire ogni numero
a scena aperta, per poi tributare un autentico trionfo all’intera compagnia, al
termine dell’esecuzione.
Su tutti la
(ormai) veterana Daniela Barcellona
(presentatasi con abbigliamento ed acconciatura incredibili, una cosa a metà
fra un gigantesco spaventapasseri e un nero pipistrellone, smile!) che ha letteralmente occupato la scena con l’imponenza
della sua figura, del suo gesto enfatico e solenne e soprattutto della sua
voce: i Palpiti e il Rondo sono stati accolti da autentiche e
interminabili ovazioni dal pubblico (che le ha evidentemente perdonato qualche
sbavatura sui suoni gravi).
Piacevole sorpresa (almeno per me) della serata è stata Elena Tsallagova (Amenaìde) che ha una voce davvero bella e potente (spiccante su tutti nei concertati) in tutta la gamma. Le manca ovviamente dell’esperienza, ma le premesse per un futuro di successi non mancano. Anche lei lungamente applaudita dopo le sue arie.
Piacevole sorpresa (almeno per me) della serata è stata Elena Tsallagova (Amenaìde) che ha una voce davvero bella e potente (spiccante su tutti nei concertati) in tutta la gamma. Le manca ovviamente dell’esperienza, ma le premesse per un futuro di successi non mancano. Anche lei lungamente applaudita dopo le sue arie.
Antonino Siragusa era Argirio e non si è sottratto – a tutti i costi – al difficile
impegno della parte, presentando anche l’aria del second’atto, dove tocca due
RE sovracuti e chiude con un DO sparato davvero sputando l’anima. Va lodato
come minimo per l’abnegazione!
Chi mi è
piaciuto senza riserve è stato Mirco
Palazzi (Orbazzano): un basso dalla taglia atipica (piccolo e magrolino,
tipo Kwangchul Youn, per intenderci) dalla bella voce e dal gran portamento.
Bella figura
han fatto le due comprimarie Chiara Marù
(Isaura) e Carmen Romeu (Roggiero)
cui Rossini dedica anche arie solistiche, oltre che parti in duetti e concertati.
Bene il coro
(maschile) di Lorenzo Fratini e l’Orchestra
del Comunale di Bologna, sia come insieme che
come parti solistiche e come specialisti al continuo.
Nonno Alberto Zedda pare ancora un ragazzino. Soprattutto dà proprio a vedere di divertirsi un mondo a dirigere il suo Rossini: non smette nemmeno per un momento il suo sorriso e alla fine viene dal suo pubblico ricompensato con un autentico trionfo, sotto l’occhio compiaciuto del patron Gianfranco Mariotti, seduto in barcaccia.
___Nonno Alberto Zedda pare ancora un ragazzino. Soprattutto dà proprio a vedere di divertirsi un mondo a dirigere il suo Rossini: non smette nemmeno per un momento il suo sorriso e alla fine viene dal suo pubblico ricompensato con un autentico trionfo, sotto l’occhio compiaciuto del patron Gianfranco Mariotti, seduto in barcaccia.
Ecco quindi archiviato anche questo ROF-33, cui personalmente darò un voto tra il buono e l’ottimo. Già si parla, si fantastica e si mitizza (altro che bicentenario verdi-wagneriano!) del ROF-34, quello dell’impossibile Guillaume Tell, dove il divo JDF cercherà di entrare nella leggenda, entrando per intanto nei panni di Arnold. Auguri, e restiamo in ansiosa aspettativa!
Parlando di
bilanci, chissà se anche il ROF-33 confermerà a consuntivo i dati economici che
un autorevole studio condotto da teste d’uovo universitarie ha determinato per
le recenti edizioni: per ogni Euro di vendite di biglietti, c’è un indotto (di business turistico) di 7 Euri! Io mi sono personalmente fatto i
conti in tasca: c’è da vergognarsi come un verme, ma nel mio particolare caso
temo che il rapporto sia precisamente invertito: ogni 7 Euri da me spesi per i
biglietti hanno indotto 1 Euro di business turistico. Apologies.
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