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18 agosto, 2012

ROF-33 – Matilde di Shabran


Per la Matilde il ROF si trasferisce all’Adriatic Arena, dove ieri sera – tutto esaurito, strapuntini compresi - è andata in onda la terza recita. 

Opera della piena maturità di Rossini (1821): in Italia verranno ancora Zelmira e Semiramide, quindi… il lento cammino verso l’auto-pensionamento a Parigi (costellato da altre grandissime imprese, peraltro). Opera piena zeppa di musica strepitosa, tre ore e mezza che vanno via d’un sol fiato, dove la verve del compositore sembra proprio sprizzare da tutti i pori! Evidentemente Rossini non vedeva l’ora di godersi questa (ultima) parentesi di giocoso, di parodia, dopo tante opere serie!    

Opera nata sotto una stella non esattamente propizia: oltre alla gran fretta che costrinse Rossini a subappaltare qualche brano all'amico Pacini, nell’immediata vigilia della prima di Roma diedero forfait il primo violino (e concertatore) e il primo corno. Trovandosi per caso a Roma, fu Niccolò Paganini a sostituire entrambi: ok per il violino, ma… il corno? semplice: per il bellissimo obbligato sull’aria di Edoardo Ah perché, perché la morte, il grande genovese imbracciò la viola!   

Dopo pochi mesi Rossini presentò la Matilde a Napoli (col titolo Bellezza e Cuor di Ferro e la definizione piuttosto fuorviante, ma evidentemente più gradita all’ambiente partenopeo, di dramma per musica). Oltre ad apportare, come di consueto, modifiche ed aggiunte qua e là alla struttura dell’opera, in omaggio al pubblico di laggiù rivestì il personaggio del contastorie itinerante Isidoro di panni partenopei: primo fra tutti, la parlata, mutata da un aulico toscano ad un sanguigno napoletano.

Questo personaggio, apparentemente secondario, rappresenta invece, con la sua onnipresenza, quasi la spina dorsale del melodramma giocoso: al suo naturale ruolo di poeta e filosofo (da strapazzo) si aggiungono durante l’azione anche quello di condottiero spirituale delle truppe di Corradino (memorabile il suo patatim-patatam-patatùm al termine del primo atto) e addirittura quello di sicario (il cui servizio finirà in… licenza poetica) incaricato dal nobile misogino di far secca la troppo intraprendente Matilde.   

La trama di Jacopo Ferretti, come sempre liberamente mutuata da diversi preesistenti lavori, ci presenta il pluri-complessato tenore Corradino Cuor di Ferro (nobile castellano spagnolo) la cui patologica e insieme comica visione del mondo (massima crudeltà e disprezzo totale per il genere femminile) viene lentamente ma scientificamente demolita dalle irresistibili arti di seduzione della bella soprano Matilde. La quale alla fine sottometterà il povero macho, ma rimanendo in certo qual modo vittima di se stessa, avendo iniziato un’impresa forse più per gioco, o puntiglio, o scommessa che per sincero amore, ma restando a sua volta impigliata, insieme al misogino addomesticato, nella sua stessa rete. Sua rivale nella corsa alla conquista del metallico cuore è un mezzosoprano, la Contessa d’Arco, che perderà la gara, pur avendo tentato di truccarla con i soliti mezzucci tipo calunnia e false lettere. Il personaggio destinato a spargere sul melodramma giocoso una spruzzatina di opera seria è Edoardo, contralto en-travesti, fierissimo nemico del castellano e di lui prigioniero, perché testardamente restio a riconoscerne il valore. Oltre al basso Isidoro, vero stereotipo del napoletano vulcanico quanto inaffidabile, hanno parti significative i due (altrettanto inaffidabili) reggiborse del castellano: un baritono (il medico-psicanalista Aliprando) e un basso (Ginardo, guardia-torre). Completano la compagnia un altro tenore (Egoldo, portavoce dei contadini) un basso (Raimondo, nemico di Corradino e padre di Edoardo) e ancora un tenore (Ruggiero, capo della guarnigione del castello). La parte del carceriere Udolfo è puramente mimica.

Sul fronte musicale, stante le circostanze di urgenza in cui fu composta per Roma, anche la Matilde ha beneficiato di imprestiti, oltre che dell’apporto del Pacini. Per Napoli però Rossini mise in buona misura le cose a posto, riscrivendo le parti non sue e apportando ritocchi migliorativi.

La Sinfonia invece rimase quella presa di peso da Eduardo e Cristina, il centone (opera messa insieme raccattando pezzi all’interno della sua già sterminata produzione) che Rossini aveva presentato a Venezia nel 1819. Qualcun altro la impiegherà poi per un particolare Tancredi (ma avremo modo di parlarne a suo tempo…) Come altre della sua produzione, la Sinfonia presenta un’introduzione lenta (qui assai lunga, 42 misure in Moderato) che apre la strada all’esposizione dei due temi, in RE maggiore il primo e canonicamente in LA maggiore il secondo. Qui però Rossini introduce una leggera modifica rispetto all’Eduardo, precisamente alle battute 93-116 della partitura (ripetuta a 207-230) per introdurre un tema che apparirà (in DO maggiore) nel finale (Matilde-Corradino, da Ah! capisco: non parlate…) Dopo l’esposizione segue subito la ripresa dei due temi. Anche qui il primo termina su una poderosa sesta napoletana, da cui si arriva all’esposizione del secondo nella stessa tonalità (RE maggiore). Un classico crescendo porta alla conclusione.

Curiosamente, il protagonista maschile non ha nemmeno un’aria tutta per lui, anche se i suoi interventi in duetti, quartetti e concertati richiedono il massimo impegno sul piano tecnico. Stesso dicasi per Matilde, che ha un suo spazio dedicato nel rondò (Ami alfin) del finale. In compenso altri personaggi meno importanti godono di trattamento speciale: Isidoro con una cavatina e un’aria, all’esordio di entrambi gli atti; ed Edoardo, con due cavatine. In effetti l’opera poggia su un gran numero di brani d’insieme, arricchiti sovente dalla presenza del coro.

La star di questa produzione – ripresa dal 2004 – è ovviamente il grande JDF, nei panni di Corradino, accolto con qualche battimano già alla sua… discesa in scena (da una delle due scale a chiocciola di Sergio Tramonti). Il quale conferma le sue grandi qualità, negli spiritati interventi con salite al DO acuto come fossero noccioline, ma anche nelle scene della sua crisi di identità, provocata dalle arti seduttive di Matilde.

La quale Matilde è Olga Peretyatko - prossima signora Mariotti-jr - perfetta nel portamento scenico, ed efficace in quello canoro (confesso che sabato scorso per radio mi era piaciuta un filino meno… la vocina è piccola, ma sempe intonata e senza urletti).

Isidoro  è un convincente Paolo Bordogna: complimenti anche per la parlata partenopea.

Brava anche Anna Goryachova nei panni en-travesti di Edoardo, meglio sulle note alte che su quelle gravi. 

Chiara Calli ha ben meritato nei panni della gelosa e invidiosa Contessa d’Arco.

Ottimi i due aiutanti in campo del padrone di casa: Nicola Alaimo come Aliprando e Simon Orfila nei panni di Ginardo, cui spetta l’onere di rompere il ghiaccio.

Oneste le prestazioni di Marco Filippo Romano (Raimondo Lopez) e Giorgio Misseri (Egoldo) due particine proprio di contorno.

Sempre all’altezza il Coro di Lorenzo Fratini.
Michele Mariotti (qui davvero profeta in patria, anzi più che mai… in famiglia!) ha diretto per me in modo assolutamente convincente: già da come ha attaccato la non facile sinfonia, e soprattutto per come ha tenuto in pugno orchestra e voci negli impervi ensemble che caratterizzano l’opera. In particolare il quintetto (Questa è la dea) ha ricevuto un’accoglienza da stadio. Ma tutti i brani sono stati applauditi a scena aperta.      
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La regìa di Mario Martone è del tutto tradizionale, ma molto curata sul lato recitazione. Tradizionali anche i costumi di Ursula Patzak. Le due scale elicoidali di Tramonti sono l’unico, o quasi, elemento scenico, ma vengono impiegate in modo assai efficace per animare quest’opera che è del tutto priva di azione
Al termine – è quasi mezzanotte - tifo da stadio e un interminabile applauso ritmato tributato a tutta la compagnia da un pubblico quasi in delirio.
Serate che fan bene alla salute!

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