ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

28 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 5

Eccoci ad uno degli appuntamenti fissi delle stagioni dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il Requiem verdiano. Sul podio il Direttore Emerito Claus Peter Flor, affiancato dal Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina. Auditorium affollatissimo e soprattutto popolato di gioventù. Gli orchestrali sfoggiano per l’occasione le nuove livree (puro Made-in-Italy) che indosseranno anche nell’imminente tournée in Olanda e Spagna, dove proporranno proprio il Requiem.

Grande prestazione di tutti, a partire dal Coro, invero perfetto, ma anche dei quattro solisti, veramente all’altezza dell’impegnativo compito: alle due super-collaudate voci femminili (Carmela Remigio e Anna Bonitatibus) si sono affiancati due giovani ormai più che promesse: il tenore Valentino Buzza (voce mozartiana/vivaldiana, chiara e squillante) e il basso Fabrizio Beggi, che ha sfoggiato potenza e varietà di accenti.

Quanto all’Orchestra, possiamo soltanto ringraziarla per la maiuscola prestazione, autorevolmente guidata dal redivivo Flor.

Esalato l'ultimo Libera me... applausi ritmati e ovazioni per tutti!
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Come detto, ora laVerdi (il nome resta sempre nella… tastiera) fa un giro in Europa e tornerà in Largo Mahler il 17 novembre.
 

23 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. Ristretti.1

Una delle novità della programmazione 22-23 dell’Orchestra Sinfonica di Milano è rappresentata da tre concerti, cosiddetti ristretti perché impegnano un organico cameristico della formazione strumentale e hanno durata contenuta; sono affidati a Kolja Blacher, già prestigiosa spalla dei Berliner e da tempo dedicatosi anche alla direzione d’orchestra (è già stato ospite più volte qui all’Auditorium).

I tre concerti si danno di domenica: dopo quello di oggi pomeriggio ne seguirà uno il 12 febbraio e uno il 21 maggio prossimi. Oggi Blacher ci ha proposto un interessante testa-coda: l’ultimo (o quasi, 1945) Strauss a confronto con il primo (o quasi, 1773) Mozart!

Invertendo l’ordine previsto in locandina (lo si era capito subito dalla presenza sul palco dei fiati e dall’assenza di un violoncello e un contrabbasso…) ad aprire il pomeriggio è appunto un 17enne Mozart, reduce dai viaggi in Italia, che compone a Salzburg la sua 25ma Sinfonia, la K183, che ho succintamente esplorato in occasione dell’ultima esecuzione udita qui anni fa, diretta dalla Xian.

Come ulteriore esercizio facciamoci guidare dal venerabile Karl Böhm con i suoi amati Wiener.

I. Allegro con brio (4/4) – Forma-sonata.
34” Esposizione. Dopo le severe 4 battute introduttive, ecco il primo tema in SOL minore.
54” L’introduzione viene qui variata, come ponte verso il secondo tema.
1’22” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
2’10” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
2’49” Da-capo dell’intera Esposizione.
5’03” Sviluppo.
6’00” Ricapitolazione. Introduzione e primo tema in SOL minore.
6’20” Ponte verso il secondo tema.
6’48” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
7’40” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore. (Soppresso il da-capo di Sviluppo e Ricapitolazione.)
8’19” Coda, basata sul motivo variato dell’introduzione, più cadenza conclusiva.

II. Andante (2/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
8’45” Sezione A. Tema-1 in MIb maggiore.
9’08” Controsoggetto in SIb (minore > maggiore).
9’28” Tema-2 in SIb maggiore.
9’39” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione A.)
9’52” Sezione B. Variante del Tema-1 (SIb > MIb) in funzione di transizione.   
10’36” Tema-1 in MIb maggiore.
10’58” Controsoggetto in Sib minore > Mib maggiore.
11’39” Tema-2 in MIb maggiore.
11'50" Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)

III. Menuetto (3/4) – Struttura Menuetto-Trio-Menuetto.
12’09” Tema Menuetto (SOL minore).
12’26” Tema Menuetto (da-capo).
12’43” Controsoggetto.
12’55” Tema Menuetto.
13’18” Da-capo (12’43”).
13’53” Trio (SOL maggiore). Sezione A, ripetuta.
14’19” Trio. Sezione B, ripatuta.
15’01” Tema Menuetto (SOL minore).
15’19” Controsoggetto.
15’32” Tema Menuetto.

IV. Allegro (4/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
16’00” Sezione A. Primo tema in SOL minore, esposto dagli archi e subito ripetuto a piena orchestra.
16’23” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
16’38” Transizione.
16’59” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
17’11” Transizione (Primo tema in maggiore).
17’51” Da-capo della Sezione A.
19’40” Sezione B. Fugato sul frammenti del Primo tema.
19’54” Transizione.
20’24” Primo tema (SOL minore) subito ripetuto.
20’46” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
21’00” Transizione.
21’26” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore.
21’39” Primo tema.
22’18” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)
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Blacher non ci risparmia una sola nota del Teofilo, rispettando meticolosamente tutti i ritornelli previsti in partitura, e di ciò gli dobbiamo essere grati, poiché è musica che non ci si stanca mai di ascoltare e riascoltare. Poi ci mette una gran verve, eseguendo il Menuetto con il piglio riservato solitamente agli Scherzi ottocenteschi!

Ne esce un Mozart invero spumeggiante, che trascina il pubblico (che ha riempito la platea dell’Auditorium) a convintissimi applausi. Da osannare i corni guidati da Ceccarelli.
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La WWII sta per finire (il simpatico terzetto Churchill, Roosevelt e Stalin si è appena riunito a Yalta per spartirsi salomonicamente il mondo) e il quasi ottantunenne Strauss vive ritirato nella splendida villa di Garmisch (meritato frutto dei proventi della sua Salome) a meditare sull'ormai imminente disfatta della Germania, e con essa anche del suo ideale guglielmino, la cui realizzazione aveva (abbastanza opportunisticamente) appaltato a tale Adolf Hitler. Il 13 marzo del 1945 – precisamente all'indomani del bombardamento dell'Opera di Vienna - verga le prime note di Metamorphosen, che sta rimuginando da qualche tempo, nach Goethe. Le ultime le scrive in partitura esattamente un mese dopo, giovedi 12 aprile (proprio mentre gli occupanti sovietici entrano in Berlino e Roosevelt trasloca presso il creatore); ci infila, nei righi dei violoncelli 3-4-5 e dei tre contrabbassi, una citazione letterale della marcia funebre dell'Eroica, aggiungendovi sotto il motto In memoriam!


Non l'avesse mai fatto! Un azzeccagarbugli olandese - stando a Bruno Walter, che ne raccolse l'indignazione – ci troverà un'analogia con Napoleone, dedicatario originale della terza, e dichiarerà quindi trattarsi di un anticipato epitaffio a Hitler (a quel tempo ormai asserragliato nel suo bunker, dove si preparava a festeggiare con qualche piccolo grattacapo il 56° compleanno) e quindi da bandirsi come apologia del nazismo (?!)

Pochi giorni dopo, precisamente nelle stesse ore del 30 aprile in cui il Führer si decide a togliere il disturbo, a Garmisch arrivano gli occupanti americani per requisirgli la villa: salvata questa per puro miracolo (vuole il caso che l'ufficiale esecutore, un altro olandese, sia un ammiratore delle sue opere!) Strauss si concede un (tardivo?) sfogo contro guerre e guerrafondai, convinto che quel 1° maggio sia l’inizio di un nuovo mondo. Che per lui però diventa un mondo di miseria! Poiché il vegliardo non può sfuggire agli oneri (umiliazioni incluse) della de-nazificazione e così – quattro mesi dopo aver compiuto le 81 primavere – parte (con Pauline e un paio di valigie, null’altro) per il suo esilio in Svizzera (si direbbe… sulle orme di Wagner) dove chiuderà la sua interminabile stagione continuando a scrivere musica - e che grande musica! - come il Concerto per oboe e gli ultimi Lieder, prima di tornare – nel 1949, ma ormai solo per morirvi - nella sua casetta di Garmisch.

In Svizzera, Strauss dovette inizialmente mendicare un po' di compassione, e ne trovò parecchia in tale Paul Sacher (niente a che vedere con le torte viennesi) un musicista diventato anche, per tramite di un matrimonio farmaceutico, uno degli uomini più ricchi del globo, e musicalmente assai attivo sulla direttrice Basilea-Zurigo. E proprio Sacher - lui accanito sostenitore della musica moderna e senza alcuna affinità elettiva con quella di Strauss - venne generosamente incontro al vecchio marpione, allora caduto in disgrazia (ma se l'era ampiamente voluta, cercata e meritata, o no?) patrocinando prima la composizione e dirigendo poi, a fine gennaio 1946, la prima esecuzione di Metamorphosen, da parte del Collegium Musicum Zürich, da lui fondato pochi anni addietro. Insomma, un poco più in piccolo, interpretò il ruolo che Otto Wesendonck aveva ricoperto quasi un secolo prima nel caso-Wagner. Ecco perché nell'edizione a stampa il lavoro è doverosamente dedicato a Sacher e al CMZ.

Un lavoro in cui Strauss sembra aver voluto dolorosamente incapsulare tutto un passato: massimamente – proprio nel momento della catastrofe del Terzo Reich - il glorioso sette-ottocento tedesco, da Bach a Beethoven a Bruckner, da Wagner a Mahler…

A parte Beethoven, Franco Serpa individua un frammento (riquadri rossi) del lamento di Marke alle battute 18-19:

Questa non è una citazione testuale, ma una vaga reminiscenza, peraltro pertinente al soggetto straussiano, il tradimento di Tristan che evoca il tradimento perpetrato ai danni della cultura tedesca. 

Invece le quattro note riquadrate in blu vengono solitamente associate a diverse fonti: la Quinta beethoveniana (terzo movimento); il finale della Jupiter (seconda sezione del tema principale); e la bachiana Fuga dalla BWV1001.

E adesso però faccio anch'io il pierino, aprendo una parente: nel tema iniziale - e colonna portante dell'intera opera - che scende da dominante a sensibile di DO minore, non si può non riconoscere, oltre alla seconda sezione del primo tema della marcia funebre dell’Eroica, anche (diciamo pure… beethovenizzato) quel motivo che è universalmente noto come Adagio di Albinoni.

Che sappiamo essere in realtà una ricostruzione assai personale e controversa, fatta nel 1958 (9 anni dopo la scomparsa di Strauss) da Remo Giazotto su pochi schizzi di Albinoni recuperati a Dresda sotto le macerie dei bombardamenti alleati. Ma proprio l’ubicazione di quegli schizzi (Strauss pur non avendo mai abitato a Dresda vi soggiornò a lungo – e ovviamente ben prima dei bombardamenti! - per presentarvi parecchie delle sue opere) potrebbe far supporre che lui abbia magari potuto incapparvici. Ma perché allora non immaginare anche che sia stato direttamente Beethoven (che pure visitò Dresda a fine ‘700 per le sue tournée concertistiche) ad incontrare quegli schizzi, ricordandosene anni dopo per l’Eroica? Più plausibilmente la parentesi si può chiudere anche sostenendo che fu il furbacchione Giazotto a mettere in… bocca ad Albinoni (e nelle tasche sue!) il tema di Beethoven-Strauss!

Invece, a dispetto dell'assenza di armatura di chiave e della presenza di innumerevoli modulazioni, anche nelle Metamorphosen non si trova alcun ammiccamento alla nuova musica, che a Strauss rimase totalmente estranea, sino alla fine. La forma è vagamente tripartita (A-B-A) con le sezioni esterne in tempi lenti (Adagio ma non troppo, Adagio, 4/4) e quella centrale più mossa (Più Allegro, 4/4 alla breve). C’è chi sostiene che l’impianto formale e tonale intenda rappresentare – in termini schiettamente musicali, attraverso la deformazione della forma-sonata e la finale prevalenza del DO minore sul DO maggiore – la corruzione e la definitiva distruzione di un mondo di valori da parte di barbariche forze eversive. Così lo interpreta il giovane Direttore italo-australiano Carlo Antonioli in questo studio dove, partendo da un’asettica analisi musicale, arriva a concludere che Metamorphosen si può intrepretare come una dolorosa presa d’atto non solo della fine – con la Germania ridotta in macerie – di un ideale politico, ma anche di una secolare, gloriosa tradizione culturale e musicale, che lo stesso Strauss immodestamente faceva iniziare da Bach e - passando per Mozart, Beethoven, Berlioz, Liszt e Wagner – finire con… sè medesimo!
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Dire che è stata un’esecuzione letteralmente strepitosa è ancora poco: i 23 archi dell’Orchestra (guidati da Dellingshausen) si sono davvero superati e Blacher da parte sua ha dato di questo enigmatico brano un’interpretazione di una essenzialità estrema. Ne è testimone il pathos creato nella sezione centrale Più Allegro, portata davvero al parossismo, per poi precipitare nell’abisso dell’Adagio conclusivo, dove la pietas beethoveniana ha strappato le lacrime: insomma, una cosa che posso solo definire sbudellante!

Peccato solo che non ci siano repliche. 

21 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 4

Ukraina&Russia! Mamma mia, l’attualità più cruda (e orribile, come testimonia la criminale esecuzione del Maestro Kerpatenko) irrompe nella stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il quarto concerto ha infatti come protagonisti tre musicisti strettamente legati ai due Paesi che oggi stanno combattendo una guerra (praticamente) fratricida.

In un Auditorium per pochi intimi torna sul podio il 44enne Maxim Rysanov, ukraino di Kramatorsk (città del Donbass oggi martoriata dalla guerra) trapiantato in Gran Bretagna; oltre a dirigere, lui interpreta come solista alla viola il Concerto del 47enne Gabriel Prokofiev, cittadino londinese nipote del grande Sergei (russo all’anagrafe ma nato a Donetsk); il secondo brano in programma è del sanpietroburghese purosangue Igor Stravinski, esule russo diventato cittadino francese e statunitense.

Ecco, non ci resta che sperare che questa combinazione astrale sia un segnale, sia pur minuscolo, che in fondo al tunnel si cominci ad intravedere un lumicino…

Dunque, Gabriel Prokofiev: un artista eclettico che spazia in tutti i campi della musica, dalla composizione di stampo classico alla modernità più varia, fino alla produzione di eventi e alla creazione di una casa discografica di divulgazione musicale per i giovani.

Orchestra disposta in modo eterodosso, con sezioni di fiati (legni a sinistra, trombe a destra) portate al proscenio, dietro gli archi. Due leggii: quello normale per dirigere l’orchestra e uno rivolto al pubblico per la parte solistica. Rysanov, imbracciando un Guadagnini-1780, ci propone questo Concerto per viola e orchestra, commissionato dallo stesso Direttore e anche dalla Fondazione milanese (qui frammenti dei tre tempi in cui è classicamente strutturato, ripresi alla prima di Bonn lo scorso gennaio):

1. Minaccioso
2. Largo
3. Allegro sinistro

A dispetto della differenza delle indicazioni agogiche di impianto, i tre movimenti alternano sezioni lente ad altre più mosse, con frequenti cambi di scansione (a 4, a 3…) Quelle più veloci presentano ritmi di stampo moderno, spesso sincopati. La parte solistica contiene virtuosismi che in realtà sono delle acrobazie, dove la viola diventa a volte uno strumento a percussione (forse non è un caso che un crine dell’archetto di Rysanov si sia strappato abbastanza presto). La narrativa è supportata da un linguaggio che alterna atonalità e rumorismo a squarci più lirici.

Un’opera a primo ascolto abbastanza godibile, che stempera ammiccamenti orecchiabili nelle ruvidezze e cacofonie che la caratterizzano. Accoglienza tutto sommato calorosa. 
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Ecco infine lo stravinskiano Petruška. La storia di un uomo/marionetta al centro del classico triangolo amoroso. Quattro parti che evocano una vicenda a sfondo tragico che si compie in una giornata di festa a SanPietroburgo, in occasione dell’annuale fiera di Shrovetide, parente del nostro martedi grasso. (Qui una mia nota scritta in occasione dell’ultima esecuzione dell’opera in Auditorium, che riassume la trama del balletto. Per chi voglia più approfonditamente documentarsi, ripropongo il link ad un’apprezzabile iniziativa tedesca.) 

È uno dei brani che l’Orchestra conosce a menadito, avendolo suonato innumerevoli volte, e anche ieri non si è smentita, con un’esecuzione impeccabile e trascinante. Così i pochi-ma-buoni fedelissimi non hanno mancato di far sentire la loro convinta approvazione.  

16 ottobre, 2022

Fedora alla Scala: discreta la prima

Eccomi quindi a riferire della prima della Fedora di Umberto Giordano, affidata alla premiata coppia Armiliato-Martone. Piermarini discretamente affollato e pubblico assai caloroso, che ha decretato un chiaro successo per tutti gli artefici dello spettacolo.

Sonya Yoncheva è stata – meritatamente – la trionfatrice della serata. Alla potenza del suo strumento ha saputo abbinare anche una presenza scenica apprezzabile, e in questo direi che sia assai migliorata negli ultimi anni.   

Con lei Roberto Alagna, che quasi 16 anni dopo quella fuga dall’Egitto (!) è tornato ad essere beniamino del loggione scaligero, pur se la voce mostra qualche inevitabile segno di stanchezza, compensato da grande sapienza nel gestirla oculatamente.

Serena Gamberoni si è confermata interprete ideale di queste parti leggere e un po’ svampite, quale è la Olga di Giordano.

George Petean è stato un dignitoso De Siriex, che ha portato onorevolmente a termine il suo compito, per la verità non proibitivo, incentrato sull’elogio della donna russa.

Degli altri, tutti meritevoli di encomio; citerò il cocchiere (no, qui autista) Cirillo, cui ha dato voce Andrea Pellegrini.

Sui suoi standard il Coro di Francesco Malazzi, che qui ha un impegno tutt’altro che proibitivo.

Marco Armiliato mi è parso padroneggiare bene questa partitura che forse, ma solo in apparenza, può sembrare facile. L’Orchestra scaligera lo ha ben assecondato: tempi appropriati, dinamiche mai sbracate ed efficace supporto alle voci, mai coperte.

Quindi, la parte musicale è da promuovere a quasi-pieni voti.

Martone? Beh, ogni tanto tira fuori il genio che è in lui, lasciando perdere la sregolatezza! Quindi ambientazione ai giorni nostri (smartTV da 50 pollici che trasmette una partita a beneficio del piccolo Dimitri, per dire) ma vivaddio lontano da mafie, camorre e ndranghete! E persino i servizi segreti, che pure hanno parte importante nel libretto, non invadono più di tanto la scena.

Insomma, il Martone serio di Chénier, per dire, non quello strampalato delle Beffe o di Oberto e pure di Rigoletto! Il che forse gli varrà l’accusa (non certo da me) di gretto tradizionalismo. Dato che il plot dell’opera è piuttosto contorto, lui ha provato anche ad essere didascalico, ad esempio mostrandoci – durante la confessione di Loris a Fedora – anche gli altri tre  protagonisti (silenziosi) della tresca: Wanda, la governante, e soprattutto Vladimir, cui lascia il compito di gettare a Fedora le sue lettere d’amore indirizzate a Wanda… Mah, forse a qualcuno ciò può aver ulteriormente confuso le idee.

In ogni caso il pubblico ha apprezzato assai e per tutti ci sono stati solo applausi e ovazioni.

15 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 3

Il terzo appuntamento della stagione vede l’atteso esordio di Michele Mariotti (che dal prossimo 1° novembre inizia il suo mandato di Direttore Musicale dell’Opera di Roma) sul podio dell’Auditorium di Largo Mahler. Ed è proprio Mahler a riempire (in coabitazione con Schubert) il programma del concerto.

Il filo conduttore del programma potrebbe definirsi una meditazione sulla morte: dal 27enne Schubert esplicitamente esposta già nel titolo del primo brano in programma, oltre che personalmente e materialmente vissuta e sofferta; nel poco più che 30enne Mahler, presente in almeno tre dei cinque Lieder proposti, oltre che essere una componente fondamentale della sua concezione artistica-esistenziale, che costituirà il sostrato di tutta la sua produzione a venire.

Il primo brano della locandina è la trascrizione, opera di Mahler, dello schubertiano Quartetto D 810 in RE minore del 1824. Che è più noto con il titolo Der Tod und das Mädchen, il brevissimo Lied del 1817 – solo 43 battute in RE minore, tre minuti appena - le cui 8 battute introduttive vengono richiamate all’inizio dello sterminato Andante con moto – 272 battute in SOL minore, con ben 11 da-capo, quasi un quarto d’ora!

In questo commento ad un concerto del lontano 2011 avevo segnalato alcuni sotterranei legami fra temi dei 4 movimenti del quartetto e opere anteriori e soprattutto posteriori a Schubert. Allo stesso tempo avevo segnalato i rischi connessi all’ispessimento dell’organico orchestrale, legato alla trascrizione mahleriana. Che anche ieri si sono inevitabilmente materializzati, anche se l’encomiabile sforzo di Mariotti per dare trasparenza e leggerezza al tessuto musicale schubertiano ha sortito effetti apprezzabili: cito solo come esempio proprio il movimento che dà il titolo al quartetto, dove il Direttore pesarese (epigono del suo maestro Abbado anche nella postura di volto e… mani) ha ridotto qua e là la strumentazione proprio a quella di un quartetto, ma non quello classico, come far suonare - per ottenere un effetto stereo - solo la quarta fila dei primi violini. In compenso ci ha inspiegabilmente risparmiato almeno un paio dei da-capo, cosa che francamente mi è dispiaciuta assai.        

In ogni caso il successo non è mancato, con prolungati applausi a strumentisti e Direttore.
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Ian Bostridge ha fatto il suo gradito ritorno qui (dopo quasi 13 anni, se la memoria non m’inganna…) per proporci alcuni Lieder che Mahler musicò scegliendoli fior-da-fiore dalla sterminata collezione della raccolta titolata Des Knaben Wunderhorn.

Si tratta di vecchie poesie e filastrocche popolari tedesche – risalenti prevalentemente alla guerra dei 30 anni (1618-1648, culminata con la Pace di Westfalia) - pubblicata nei primi anni dell’800 (1805-1808) da Achim von Arnim e Clemens Brentano. I tre volumi contengono quasi 700 poesie, inclusi 134 Kinderlieder. Come è facile immaginare, ci si trova un po’ di tutto: fatalismo, disperazione, antimilitarismo, ingenuità, fanciullaggini, ma anche sana saggezza, sarcastica critica del potere e delle stupide convenzioni sociali. I Lieder presentati nel concerto ne rappresenrano un piccolo ma significativo campione.  

Nell'ultima decade dell'800 Mahler musicò 9 canti per voce e pianoforte, e successivamente altri 15 (in tre tranche di 5, 8 e 2) per voce e orchestra, tre dei quali sono poi divenuti altrettanti movimenti di sinfonia (seconda, terza e quarta). Ma frammenti e reminiscenze di Lied pervadono letteralmente tutta la produzione sinfonica di Mahler.

Dei 15 canti qui Bostridge e Mariotti ne hanno proposti cinque, due nella sezione… sarcasmi e fanciullaggini in campo ittico, gli altri tre nella sezione… antimilitarista e funerali, e precisamente:

Des Antonius von Padua Fischpredigt: Sant’Antonio predica ai pesci, che seguono il sermone con il massimo interesse (proprio a bocca aperta, si potrebbe dire); finita la predica, ognuno se ne torna alle proprie poco edificanti occupazioni. Peraltro, non è ciò che accade al 98% dei frequentatori delle nostre chiese?! La musica di questo Lied è stata impiegata da Mahler, con notevoli ampliamenti, come Scherzo della Seconda Sinfonia.

Rheinlegendchen: è una delicata melodia campestre (una ballata, come era definita) su un testo che racconta un’improbabile storia di un anellino, buttato nel fiume da un mietitore, e che arriva sulla tavola del re, dentro al pesce che lo ha ingoiato. Così una bella ragazza di corte lo riporta al contadinello.  

Wo die schönen Trompeten blasen: un giovane innamorato bussa alla porta della sua amata, che lo fa entrare, ma poi piange udendo l’usignolo. Lui la rassicura: sarai mia, ma prima devo proprio andare in guerra, sui verdi prati, dove squillano le belle trombe. Là è la mia casa.

Revelge: un tamburino, morto, che risorge per guidare i compagni, morti pure loro, alla vittoria… per poi tornare a fare il morto, sotto le finestre dell’amata. Pare che Mahler abbia confessato di aver avuto l’ispirazione per la musica di questo Lied - un breve inciso del quale compare nel Finale della Quinta sinfonia - durante una lunga seduta sul… WC! Ma qui Fantozzi non avrebbe proprio nulla da eccepire!

Der Tambourg‘sell: un altro, povero tamburino disertore è portato al patibolo, e saluta tutti i commilitoni con uno sberleffo, me ne vado in ferie, lontano da voi. Buona notte!

Pare che Mahler avesse concepito questi canti per voce maaschile, sta di fatto però che le principali edizioni recano l’indicazione generica per voce solista e orchestra, per cui i Lieder sono stati tradizionalmente eseguiti da baritoni, contralti e soprani, più raramente da tenori. Alcuni, proprio come Wo die schönen Trompeten blasen, si prestano anche ad essere interpretati da voce maschile e femminile dialoganti (cosa che molti esperti – e Bostridge con loro - contestano apertamente). Non è raro che la tonalità venga trasposta per meglio adattarla alla voce dell’interprete.

Bostridge, del quale si possono ascoltare qui quattro dei cinque Lieder, eseguiti nel 2015 con l’OSN-RAI, ha sfoggiato la sua straordinaria carica espressiva – invero perfettamente calzante sullo scenario straniato e straniante di questi testi - che riesce a coinvolgere il pubblico come poche volte accade.

Mariotti ha trovato immediatamente sintonia con il solista, accompagnandolo con discrezione, quasi in punta di piedi, salvo far esplodere l’orchestra (a rischio di coprire la voce…) nelle poche irruzioni (copyright Adorno) che caratterizzano un po’ tutta la produzione mahleriana.

Le ripetute chiamate e gli applausi ritmati che hanno accolto i due al termine hanno sortito anche un bis: la predica del Santo agli… ipocriti. 

11 ottobre, 2022

Alla Scala torna il giallo tinto di... giallo

Dopo (soli!) 18 anni la Scala si appresta a riproporre quel thriller quasi verista che risponde al nome di Fedora, di Umberto Giordano, affidato oggi alla coppia Armiliato-Martone.

In attesa dell’epocale evento, ho deciso (off-topic rispetto all’oggetto specifico) di fare un esercizio letterario piuttosto ardito e velleitario: contestare la verità che emerge dalla consueta e tradizionale lettura dell’originale di Victorien Sardou (e che si propaga poi al libretto di Arturo Colautti) alla luce di una minuscola, ma potenzialmente esplosiva contraddizione in esso contenuta.

Per prima cosa è necessario metter ordine (per così dire) nella cronistoria dei fatti accaduti a SanPietroburgo la sera in cui il Capitano Vladimir Andreievich Yariskin viene ferito a morte in un posto fuori mano e poi muore a casa sua, per la disperazione della Principessa Fedora Romazoff, che avrebbe dovuto sposarlo (ma la loro relazione non era stata divulgata) entro poche settimane. Cronistoria che Sardou ci presenta in modo (volutamente) frammentario e non scevro da qualche passaggio (uno in particolare, come appunto vedremo) che lascia perplessi.

Ecco, perché frammentario? Ma perché il commediografo francese segue per la sua Fédora un approccio assai diverso rispetto alla successiva Tosca, che verrà portata in musica da Puccini: in quest’ultima la vicenda è narrata in modo assolutamente rettilineo, in rigorosa sequenza cronologica, quasi minuto-per-minuto.

Invece nella Fedora, dopo l’introduzione che serve a informarci dei trascorsi parigini di Vladimir (Bacco, Tabacco e Venere…), dell’imminente suo matrimonio d'interesse con la ricca vedova e dell’ora della notte che ci apprestiamo a vivere, abbiamo un’entrata in-medias-res (l’assassinio di Vladimir) seguita poi da due importanti flash-back: il primo (ancora nell’atto iniziale) costituito dalle indagini poliziesche del Commissario Gretch che cerca di ricostruire fatti, moventi e circostanze del delitto; il secondo rappresentato dalla confessione – nel terz’atto, ambientato a Parigi settimane dopo e con gran dovizia di particolari - che l’assassino Loris Ipanoff farà a Fedora, confessione che comincia a gettare nuova luce sull’intera vicenda.  

Vicenda troppo semplicisticamente e affrettatamente liquidata con la chiusura delle sommarie indagini condotte (nel primo atto) da Gretch, spalleggiato da Fedora, che portano all’individuazione (corretta, pur senza prove decisive) di Loris come autore del delitto, ma per un movente (politico, legato al movimento nihilista, e quindi sovversione contro le Istituzioni, ergo aggravato) totalmente diverso da quello (delitto d’onore, meritevole come minimo del riconoscimento di attenuanti, se non direttamente di archiviazione) che conosceremo – dalla confessione di Loris - solo a tre quarti del dramma.

È fuor di dubbio che questa tecnica narrativa conferisca a Fédora quei caratteri di thriller – che si risolverà compiutamente solo alla fine, dopo un ennesimo colpo di scena e una drammatica confessione che a ruoli invertiti la protagonista farà implicitamente a Loris nell’atto quarto prima di suicidarsi, oppressa dalla sua colpa - che garantiscono al lavoro un indubbio fascino.

Constatiamo anche come, dei quattro personaggi principali del dramma (due per la verità - Vladimir e Wanda - passivi e silenziosi, poiché… defunti) l’unico che pare uscire immacolato (e ingiustamente punito dal destino-cinico-e-baro) è Loris, a dispetto di essere un assassino, per di più reo-confesso.

Vediamo innanzitutto come Sardou ci introduce il suo dramma, facendo particolare attenzione agli orari. Siamo a casa di Vladimir e Il gioielliere Tchileff è a colloquio con il maggiordomo Desiré: parlano dei trascorsi da gigolò del padrone di casa quando era a Parigi e poi il gioielliere afferma di essere venuto lì perché Vladimir gli aveva promesso di fargli visita al negozio tra le 21 e le 22 per ordinargli un gioiello, forse un anello di fidanzamento per la misteriosa vedova che sta per sposare (Desirè rivela che il matrimonio avverrà fra tre settimane, senza però fare il nome della sposa) o magari per una delle sue tante fiamme, come aveva malignamente obiettato la moglie del gioielliere. Ma il Capitano non si è fatto vivo, ed è già quasi mezzanotte… Successivamente arriva Fedora, a sua volta preoccupata per non aver notizie di Vladimir, che lei aspettava a teatro nel suo palco, quasi quattro ore prima! A questo punto Vladimir arriva a casa, ma non sulle sue gambe…

Bene, visti gli antefatti e tornando al delitto, si può ricostruire con una certa precisione la cronistoria (ora per ora) di quella maledetta sera. Ricostruzione degli orari basata su: ipotesi plausibili (nel seguito indicate come I); su testimonianze certe (T) e sulla confessione di Loris (L); in più, sulla combinazione dei tre elementi. Va da sé che non esiste alcun valido motivo per dubitare della sincerità di tutte le testimonianze citate – servitù di Vladimir, l’addetto all’ambasciata francese De Siriex, altre persone interrogate da Gretch e dal poliziotto Ivan - tranne una: il racconto di Loris, che è l’unico dei personaggi ad essere – a torto o a ragione, ma per sua stessa confessione - parte in causa nel delitto! E vedremo a quali impensabili sviluppi porterà questa considerazione, a fronte di quella minuscola ma importante contraddizione nella narrazione di Sardou.

Ma proprio dalla confessione di Loris conviene partire, come premessa. Perché il suo racconto ci chiarisce – dal suo punto di vista - il vero movente dell’omicidio (delitto d’onore e non a sfondo politico). Loris narra a Fedora della sua infatuazione per Wanda, della contrarietà della sua vecchia madre a quella relazione, della sua fuga con la ragazza a SanPietroburgo, del matrimonio religioso, della sistemazione di Wanda in un appartamento non lontano dal suo (che è prospiciente al palazzo di Vladimir) e delle sospette attenzioni che lo stesso Vladimir, testimone di nozze, cominciò a manifestare per la moglie, con la conseguente rottura dell’amicizia fra loro.

Ed ora ecco la possibile cronistoria della serata. Loris ricorda come, in prossimità del Natale, avesse deciso di far visita (senza la moglie, viaggiando in treno) al castello dove viveva la vecchia e malandata madre, per trattenersi colà per una settimana: probabilmente per cercare di riconciliarsi con lei e farle digerire il suo matrimonio con Wanda. Veniamo subito a sapere che è di sera, la sera stessa del fattaccio.  

17:00 (I-L) Alla stazione Loris si accorge di aver dimenticato a casa un oggetto assai caro alla madre, cui intendeva recarlo; così prenota un posto sul treno successivo e torna verso casa sua.

17:30 (I-L-T) Dal palazzo di Vladimir (proprio di rimpetto alla sua abitazione) vede uscire la governante della moglie, il che ovviamente lo mette in agitazione. La cosa è confermata dalla deposizione di Desiré, che però - attenzione! - ha raccontato al Commissario Gretch che quella donna era stata lì alle 10 (!?) [Quale delle due versioni è veritiera? O si tratta di una svista di Sardou? Più avanti torneremo su questo punto davvero cruciale.] Loris blocca la donna e lei confessa di aver recato una missiva di Wanda a Vladimir, che l’ha letta (non ad alta voce) in sua presenza e poi riposta nel cassetto del suo scrittoio rispondendole che avrebbe fatto ciò che vi era scritto (tutto confermato in pieno – a parte l’orario - anche dalla deposizione di Desiré, testimone oculare dell’incontro).

17:45 (I-L-T) Allora sequestra la donna in casa sua (deserta poiché lui ha congedato la servitù per il periodo di sua assenza) e si reca lì di fronte, al palazzo di Vladimir (come confermato anche da Desiré e dal giovane valletto Dimitri, sempre a parte l'ora) con l’intenzione di avere con lui un nuovo e definitivo show-down.

18:00 (I-L-T) Ma Vladimir, proprio in quel frattempo, è uscito di casa, particolare confermato da Desiré (sempre a parte l'ora, il mattino) il quale poi testimonierà che il padrone intendeva andare a cena con amici al ristorante francese Borel, e da lì dal gioielliere Tchileff (che però sappiamo non averlo visto) e poi a teatro (dove però Fedora dichiarerà di averlo atteso invano). Così Loris, con un pretesto e approfittando della disattenzione di Dimitri, riesce ad impossessarsi della lettera, dalla quale viene a conoscenza di un appuntamento che la moglie ha dato a Vladimir, di cui è indicata l’ora (le 9 di quella stessa sera) ma non il luogo (…laggiù, recita laconicamente la missiva).

18:15 (I-L-T) Loris torna a casa e costringe la governante della moglie a svelargli tutta la tresca di Wanda e Vladimir e così apprende che i due adulteri si incontravano spesso in un caseggiato isolato e senza portineria, affittato mesi addietro (come ha anche scoperto l’agente Ivan) a nome di uno studente di medicina (Vladimir in incognito, evidentemente) da una venditrice ambulante, amica e complice di Wanda, se è vero che abitava là nei pressi e la ospitava prima degli appuntamenti.

18:30 (I-L) Loris va subito con la governante a casa di Wanda, evidentemente con l’intenzione di fare una scenata alla moglie, che però è già andata a cena dalla venditrice ambulante (da dove poi abbiamo appena saputo si reca agli appuntamenti); così ne approfitta per forzare un cassetto e prendere con sé alcune lettere d’amore firmate da Vladimir (quelle che esibirà a Fedora a Parigi, parecchie settimane dopo).

19:30 (I-L) Poi si fa condurre dalla governante al luogo dell’appuntamento, luogo ben conosciuto dalla donna che viene costretta, pena prendersi una pallottola in testa, a comportarsi esattamente come in occasione dei precedenti appuntamenti dei due fedifraghi, apprestando le stanze del pied-à-terre come d’abitudine. Poi i due si mettono in attesa.

20:30 (TSecondo la precisa testimonianza di Dimitri, Vladimir lascia il ristorante Borel e il cocchiere Cyrill conferma a sua volta a Gretch di aver direttamente portato (come già altre volte nei due mesi passati, ma sempre di pomeriggio, mai di notte) il padrone presso un edificio ubicato in un posto fuori mano.

Sull’ora di arrivo di Vladimir possiamo solo fare illazioni, dato che l’unica informazione che abbiamo è quella che ci fornisce Loris, legata al contenuto della lettera di Wanda. Assumiamo che siano circa le 21:00, osservando che se anche l’ora fosse più tarda (ma sappiamo che Vladimir non ha incontrato né Tchileff né Fedora) ciò non sposterebbe di nulla il corso degli avvenimenti.

21:15 (I-L) Arrivati prima Vladimir (molto agitato, si noti bene) e poi Wanda (che usa un’entrata secondaria e quindi non è vista da Cyrill), Loris congeda e licenzia la governante imponendole di non farsi mai più vedere in giro. Poi entra nella stanza dove Vladimir e Wanda sono già alla fase del petting e affronta la moglie, strappandola bruscamente dalle braccia dell'amante. Lei fugge terrorizzata e seminuda: raggiungerà, uscendo sempre dal cancello secondario (quindi non vista da Cyrill) la casa dell’amica-complice dove, a causa della polmonite contratta nella fuga in quella gelida sera, morirà dopo qualche tempo, senza aver denunciato Loris per non finire in… Siberia.

21:30 (I-L-T) Vladimir per primo esplode un colpo di pistola che arriva solo di striscio su Loris, il quale risponde a sua volta, ferendo mortalmente l’ex-amico. Cyrill confermerà di aver udito (un quarto d’ora dopo l’arrivo in quel posto) due colpi ravvicinati provenire dal caseggiato.

21:45 (I-L-T) Loris esce a sua volta da quella casa e (inspiegabilmente?) attraversa correndo il cancello principale, dove è visto, ma non riconosciuto, da Cyrill. Poi si allontana per cercare rifugio presso l’amico Boroff (da dove espatrierà verso Parigi). Il cocchiere, già preoccupato per il ritardo del padrone, scopre tracce di sangue lasciate dall'uomo in fuga nella neve, poi scorge una slitta che passa di lì e chiama aiuto.

22:00 (I-T) È De Siriex che si ferma e insieme al cocchiere, seguendo le tracce di sangue, arriva al caseggiato dove trova Vladimir in una pozza di sangue. Il ferito viene portato sulla slitta di Cyrill. 

22:30 (I) Cyrill, seguito da De Siriex, parte verso il palazzo del padrone.

23:00 (I) Sostano presso il comando di Polizia, per avvertire Gretch e i suoi dell’accaduto. Gretch invia Ivan sul luogo del delitto e fa chiamare un medico ordinandogli di correre al palazzo di Vladimir, dove si reca lui stesso insieme a suoi agenti e a Cyrill e De Sirex con Vladimir morente.

24:00 (I-T) Il convoglio di slitte arriva al palazzo. Fedora aveva poco prima affermato essere l’una di notte… il che non sposta di nulla la sostanza dei fatti. Arriva anche il dottore, che poi manda a chiamare un chirurgo e un prete. Vladimir muore. 

01:30 > (T) Gretch conclude l’interrogatorio del personale del palazzo del Capitano. Viene informato: che la casa teatro dell’omicidio era stata affittata da una donna a nome di uno studente; dei movimenti di quel giorno nel palazzo; della donna venuta al mattino a recapitare una lettera al Capitano, dell’identità presunta dell’uomo venuto subito dopo a trafugare la lettera (che poteva comprometterlo) e di minacce ricevute pochi giorni prima per via epistolare da Vladimir, che è figlio del Capo della Polizia. Formula quindi l’ipotesi accusatoria (omicidio di matrice politica, nihilista) contro Loris.  
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Per la verità possiamo fare qualche osservazione critica a questa ricostruzione, cominciando a domandarci perché Vladimir pare non aver battuto ciglio di fronte ad un evento così insolito: l’amante che prende l’iniziativa? Non ci vuol molto ad immaginare che fosse sempre lui a farlo: per semplici ragioni di censo (lui un VIP, lei un’umile immigrata polacca) e di sesso (il maschio, che sappiamo oltretutto essere un incallito donnaiolo). E, come non bastasse, gli propone l’incontro per un’ora altrettanto insolita, le 21. Ora davvero poco praticabile per una persona importante: che infatti quella sera, dopo la cena, aveva già un appuntamento con Fedora a teatro e un altro lo prenderà al pomeriggio (per un’ora fra le 21 e le 22) con il gioielliere. Insomma, se Vladimir ha deciso di andare comunque all’appuntamento, non è per caso che l’oggetto, invece della solita sveltina, fosse qualcosa di assai preoccupante ed urgente? E che Vladimir pensasse comunque di liquidare la cosa rapidamente, per poi recarsi agli altri due appuntamenti (gioielliere e Fedora)?

E poi, la versione di Loris, più che Vladimir, chiama in causa Wanda! È lei che si palesa come principale artefice dell’adulterio: ma come, il marito ancora non ha fatto in tempo a partire per un viaggio di una settimana che lei immediatamente pensa ad un incontro con l’amante, quella sera stessa!? Beh, Loris dovrebbe punire lei, prima del suo amante! Ma non è ciò che farà al momento opportuno, quando ci racconta di essersi limitato a strapparla dalle braccia di Vladimir, favorendone così la (sia pur fatale) fuga.

Né lo fa subito, visto che invece pensa a Vladimir e si reca al suo palazzo con l’intenzione di affrontarlo, ma non lo trova in casa perchè - toh che combinazione! - è appena uscito, proprio nei pochi minuti trascorsi da Loris in casa sua con la governante. Così, come ripiego, trafuga la lettera. Ma se Vladimir fosse stato in casa, che sarebbe successo? Al massimo una scenata, perché, se lui avesse anche mostrato la lettera, avrebbe incolpato Wanda, non se stesso… E in ogni caso, per precauzione, si sarebbe poi ben guardato dall’andare all’appuntamento!

A questo punto Loris va con la governante a casa di Wanda, evidentemente intenzionato a dirle il fatto suo e magari passare pure a vie di fatto, ma non la trova: la governante gli confessa che la moglie è a casa della venditrice ambulante, come sempre fa in occasione degli appuntamenti con Vladimir. Cosa ci aspetteremmo da Loris? Che si faccia subito accompagnare a casa della complice, per strapazzare la moglie e automaticamente mandare a monte l’appuntamento! Invece, che fa? Si ferma lì a cercare (e trovare) le lettere d’amore di Vladimir! Dopodichè dimentica la moglie e si fa portare direttamente al luogo dell’appuntamento. Strano davvero… pare quasi che adesso voglia deliberatamente cogliere i due amanti in flagrante adulterio! (Qui, attenzione, già si configurerebbe una sorta di premeditazione del delitto!)

Oltretutto dal racconto di Loris abbiamo saputo per certo che la moglie non ha ricevuto alcun feed-back dalla governante sull’esito della sua missione: ora sappiamo che lei era addirittura fuori casa, presso la sua sodale venditrice ambulante, e da lì si è direttamente recata all’appuntamento. Dobbiamo quindi pensare che lei fosse al 100% certa che Vladimir avrebbe accettato il suo invito (così insolito, come abbiamo constatato) modificando di conseguenza i suoi programmi serali. Il che conferma come non potesse trattarsi di un normale appuntamento a sfondo sessuale!

I due spari. Il cocchiere Cyrill testimonia di aver udito due spari in rapida successione. Loris racconta che a sparare per primo è stato Vladimir: lui ha risposto al fuoco, ferendolo mortalmente. Il che configura, oltre al movente legato all’onore e non alla politica, anche le circostanze di legittima difesa. Ma siamo sempre lì: è la versione dell’omicida… 

Che dire poi di Loris che fugge attraverso il cancello principale, rischiando di essere riconosciuto da Cyrill? Perché non ha usato l’uscita secondaria, che doveva conoscere per esserci passato all’arrivo? Certo, la sua fuga dall’uscita principale era necessaria a Sardou per poter introdurre l’indizio delle macchie di sangue scoperte dal cocchiere… ma mi pare un argomento un poco deboluccio per giustificare un particolare così poco verosimile.
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Adesso è però arrivato il momento di tornare sul piccolo – ma fondamentale – dettaglio relativo all’ora della visita della donna che reca la lettera a Vladimir. Ecco il testo letterale del passaggio incriminato, la testimonianza di Desiré:

Ivan …La location a été faite par une femme d’une quarantaine d’années… une marchande… qui a payé d’avance et qu’il n’a pas revue.

Désiré Une femme… pardon… mais, justement, il est venu une femme tantôt… plus toute jeune, une servante, une marchande, je ne sais pas, avec une lettre pour monsieur.

Gretch Aujourd’hui?

Désiré À dix heures. Monsieur prenait son chapeau pour sortir… Il l’a fait entrer, a lu la lettre et lui a dit : «C’est bien, j’irai

Sgombriamo subito il dubbio che Desiré dica erano le 10 intendendo erano le 22: abbiamo infatti scoperto – e senza ombra di dubbio - che a quell’ora il povero Vladimir era lontanissimo da casa e già mezzo morto (o lo sarebbe stato di lì a poco…) e quindi non poteva essere lì ad accogliere la messaggera. Allo stesso tempo è da escludere – secondo le testimonianze della servitù di Vladimir – che il Capitano, dopo essere uscito di casa alle 10 del mattino, vi abbia fatto ritorno nel pomeriggio, prima di recarsi a cena da Borel. Ma soprattutto: un appuntamento per le 21 non poteva essere annunciato alle 22! Ma parrebbe poco verosimile anche un appuntamento per le 21 comunicato poche ore prima, verso sera, che avrebbe corso seri rischi di non poter essere onorato… Ecco come invece Loris ci descrive il fatto:

J’arrive à la soirée… à la nuit fatale qui a changé le sort de toute ma vie. Ce soir-là, j’allais chez ma mère, pour les fêtes de Noël (…) À la gare, je m’aperçois que j’avais oublié un objet que ma mère m’avait donné commission de lui apporter, et je cours chez moi… Au moment où j’arrive à ma porte, je vois sortir de chez Wladimir la femme de chambre de Wanda.

Ci troviamo quindi di fronte a due diverse versioni di uno stesso fatto: quella di Desirè e quella di Loris. A quale dobbiamo prestar fede? A quella di un fedele servitore di Vladimir, o a quella del suo assassino? Se Desirè dice la verità, allora Loris sarebbe un bugiardo e così vedremmo spezzarsi proprio il primo anello della catena di nessi causa-effetto che innerva il suo racconto.

Ebbene, proviamo ad immaginare che non si tratti di una banale svista di Sardou, ma che Desiré abbia ragione a ricordare che la consegna sia avvenuta alle 10 del mattino - quando certamente Vladimir era in casa - e che Loris sia passato poco dopo per recuperare la compromettente lettera, avendo visto uscire Vladimir e poi Desiré e sapendo quindi che il palazzo del Capitano era presidiato dal solo valletto, da lui abilmente ingannato. 

Che conseguenze avrebbe tutto ciò? Davvero di non scarsa portata, poichè verrebbe in pratica destituita di ogni fondamento buona parte della ricostruzione dei fatti operata da Loris e da lui confessata a Fedora, e proprio a partire dal primo evento scatenante. Perché per dare credibilità al suo racconto, dove i fatti si accavallano tumultuosamente in 2-3 ore serali a causa dell’imprevedibilità del suo incontro con la governante uscita dal palazzo di Vladimir, è necessario che la consegna della lettera avvenga di sera.

In caso contrario (consegna alle 10 del mattino) perderebbe di credibilità anche tutta la storia del viaggio serale in treno, cui Loris avrebbe certamente dovuto rinunciare (causa impegni per… omicidio). Ragioniamoci sopra: Loris, che ha già evidentemente programmato il viaggio, a quell’ora del mattino vede la governante lasciare il palazzo di Vladimir; la blocca e si fa raccontare della lettera e degli appuntamenti. Come abbiamo già osservato, la cosa più naturale sarebbe per lui quella di andare a casa di Wanda, e lì di strapazzare le due donne: la moglie adultera e la governante compiacente e complice! E magari frugare in tutti i cassetti per trovare le lettere compromettenti di Vladimir, poi portarle con le due donne alla Polizia per denunciarle! 

Invece pensa subito a recuperare la lettera di Wanda, il cui contenuto può benissimo immaginare, salvo l’ora dell’appuntamento che a quel punto lui potrebbe facilmente mandare a vuoto! Ma poi, che fa? Dovrebbe trovare il modo per ingannare il tempo fino a sera, visto che mancano ben 11 ore all’appuntamento! Ma la governante? La tiene prigioniera in casa sua fino a sera? Così Wanda si insospettisce e rinuncia? 

Come si vede, se Desiré avesse detto la verità, già l’inizio della storia di Loris farebbe acqua da tutte le parti!

Però va anche riconosciuto che il suo racconto ha parecchi punti di convergenza con le indagini della Polizia, o presenta fatti e prove inconfutabili, quindi non è completamente falso. Ad esempio, vere e concrete sono le lettere di Vladimir. Escludiamo infatti che possano essere dei falsi costruiti da Loris: Fedora vi riconosce senza esitazioni né dubbi (ma senza palesarlo a Loris!) la calligrafia del fidanzato, del quale ad una di esse è accluso persino un ritratto, che lei getta via rabbiosamente. (Attenzione: Loris non sa – e Fedora si guarda bene dal rivelarglielo - che la promessa sposa di Vladimir è proprio lei! Altrimenti il finale di Sardou andrebbe a… meretrici!)

Tuttavia resta la domanda che ci siamo già fatti: come mai, avendo recuperato inconfutabili prove del tradimento della moglie e potendo disporre di due testimonianze/confessioni (governante e venditrice ambulante) della tresca di Wanda con Vladimir, Loris non si rechi direttamente alla Polizia. Mandando così a vuoto quell’appuntamento serale (e quindi risparmiandosi anche… l’omicidio)! E invece decida di rischiare la pelle per cogliere in flagrante i due e poi, ucciso Vladimir, corra a nascondersi dall’amico Boroff e di lì fugga a Parigi per raggiungere la cugina Contessa Olga Sukareff, sospettata di simpatie nihiliste! Possiamo ipotizzare una possibile risposta a questa domanda: il Capo della Polizia è il padre di Vladimir, e verosimilmente manderebbe a giudizio le tre donne, ma non certo il figlio… così Loris vedrebbe il rivale restare libero, cosa per lui inaccettabile. Quindi… ?
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Che fare, a questo punto? Ci dobbiamo definitivamente rassegnare a ridurre il tutto ad una banalissima quanto clamorosa svista di Sardou? Per la cronaca c’è chi, fin dalla prima del 1882 e poi in esegesi e financo traduzioni, ha corretto Sardou prendendo per buona la confessione di Loris e smentendo la testimonianza di Desiré. È ciò che ha fatto anche Colautti nel predisporre il libretto per Giordano. Resta il fatto che, se trattasi di svista, sarebbe davvero ingiustificabile, per uno scrittore del calibro di Sardou: aver messo in bocca a Desirè le 10 di mattina invece che le 6 (o giù di lì) del pomeriggio, a proposito di un evento di così capitale importanza.

Nel suo saggio Mes Plagiats! Réplique a Mario Uchard, nel quale cerca di confutare le contestazioni di essere un plagiatore di soggetti teatrali, Victorien Sardou tratta in dettaglio anche Fédora, facendone una succinta esegesi e citando in particolare la confessione di Loris, della quale non sembra mettere in dubbio la sincerità, anzi. Dobbiamo quindi concludere che lui non si sia mai accorto della svista di cui sopra?  
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E invece proviamo ad esplorare un’altra strada: che Sardou abbia voluto cripticamente e un po’ perfidamente prospettarci un’altra verità! E quale? Che la versione più fedele dei fatti fosse proprio quella della Polizia (Loris un cospiratore nihilista)? Mah, parrebbe cosa piuttosto banale, anche se certamente getterebbe tutt’altra luce sull’ultimissima scena del dramma.

Altra luce che invece potrebbe venire da un’ulteriore possibile interpretazione dell’apparente svista di Sardou. Interpretazione fantasiosa sì, ma che porta ad una conclusione diversa sia da quella cui era arrivata la Polizia, sia da quella che emerge dalla confessione di Loris: una terza via, né delitto a sfondo politico, ma nemmeno delitto d’onore meritevole di attenuanti (se non di archiviazione del caso). E in più rimuoverebbe alcuni dei dubbi (sulla plausibilità di taluni passaggi) sollevati dalla confessione di Loris.

All'uopo, cominciamo con inquadrare la problematica giuridica del delitto d’onore, con un riferimento al nostro ordinamento penale (certo nella Russia di fine ‘800 le cose stavano in modo un filino diverso e magari ancor più… permissivo). 

Ecco cosa stabiliva la Legge 587 del 1930 (Codice Rocco) abrogata nel 1981:

Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanzecagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.

Insomma, le attenuanti si applicano se l’omicidio è commesso in stato di profonda alterazione mentale, ad esempio da chi scoprisse un rapporto sessuale adulterino in flagrante. Se ne deduce che tali attenuanti non si applichino se invece l’omicidio ai danni del cornificante sia stato premeditato dal cornificato, poiché allora saremmo in presenza di un classico caso di giustizia-sommaria-fai-da-te, sempre esclusa da ogni ordinamento penale che si rispetti.

Ecco, ciò che si potrebbe ipotizzare (ma non è l’unica ipotesi, se ne potrebbero inventare altre più… ardite) riguardo al delitto commesso da Loris è proprio questo: che non sia stato perpetrato (come vorrebbe farci credere l’omicida) in uno stato di grave ed estemporanea alterazione legato alla scoperta in flagrante della moglie Wanda a letto con Vladimir (con l’ulteriore attenuante della legittima difesa, dato che il Capitano era armato ed ha per primo fatto fuoco) ma appunto sia stato freddamente premeditato a tavolino, con tanto di adeguata e minuziosa preparazione dello scenario.
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Per esplorare più a fondo questa tesi possiamo fare solo delle ipotesi sul reale svolgimento dei fatti, supposizioni che il testo di Sardou non può esplicitamente confermare, ma che con esso hanno una plausibile coerenza.

Abbiamo già stabilito che fosse sempre Vladimir a prendere l’iniziativa degli appuntamenti e proviamo quindi ad immaginare come lui avrebbe potuto organizzare i suoi incontri (pomeridiani, perché di sera aveva altri e più importanti impegni) con Wanda, ma anche come recapitarle lettere d’amore senza rischiare di essere sgamato. Ovviamente evitando di recarsi a casa della donna, e anche di avere contatti diretti con la sua… donna di casa. Meglio fidarsi della venditrice ambulante, che Loris non conosce e che – abitando ad un tiro di schioppo dall’appartamento degli incontri - può ospitare a casa sua Wanda nell’imminenza dei rendez-vous.
 
Vladimir escogita quindi una procedura piuttosto geniale: mette in contatto la venditrice ambulante con Wanda e con la governante. Come? Mandando la prima a casa della seconda con il pretesto di vendere un qualche capo di abbigliamento. Lì ci si accorda sulle modalità di ingaggio: ogni giorno, verso fine mattinata, la venditrice sarà al mercato rionale situato da quelle parti; la governante passerà di lì e, solo nel caso la venditrice sia a capo scoperto, sosterà da lei fingendo di visionare o acquistare qualcosa. Nel caso di recapito di lettere, la missiva verrà nascosta in uno scialle o, che so, in un tubo scaldamani che verrà consegnato alla governante. In caso di soli messaggi (per gli appuntamenti) la venditrice ambulante si limiterà a comunicare verbalmente giorno e ora, nulla più. Il giorno dell’appuntamento la governante si recherà al pied-à-terre affittato all’uopo per preparare… l’accoglienza, mentre Wanda si recherà a casa della venditrice ambulante dove potrà agghindarsi con qualche capo di abbigliamento scelto dalla collezione della stessa. Vladimir arriverà in carrozza o slitta al cancello principale, Wanda entrerà a piedi da altro ingresso.

Ecco, ogniqualvolta avrà bisogno di lei, Vladimir spedirà alla venditrice ambulante un messaggero (il giovane Dimitri è il più papabile, perché dà meno nell’occhio) a consegnarle una missiva contenente… l’ordine di servizio.

Sappiamo che questo andazzo funzionerà per due mesi, fino al fatidico giorno dell’assassinio. Ora, per dimostrare la nostra tesi, dobbiamo ipotizzare (mantenendo coerenza con i fatti già accertati) come Loris abbia potuto scientificamente pianificarlo.

Ipotizziamo innanzitutto che Loris, a dispetto delle assicurazioni avute dalla moglie e da Vladimir, continui a sospettare che la tresca fra i due non si sia mai interrotta. Cosa glielo fa sospettare? Indizi più o meno precisi, che so: ha visto più volte, sempre di pomeriggio, Vladimir uscire in eleganti abiti borghesi. È corso a casa di Wanda, e sempre l’ha trovata deserta: né lei né la governante. E più tardi ha avuto da loro spiegazioni ogni volta imbarazzate e inverosimili. Decide quindi di agire per mettere definitivamente fine a quell’intollerabile situazione.

Per prima cosa deve scoprire come Vladimir possa comunicare con Wanda senza dare nell’occhio. Ipotizza che il messaggero possa essere, ad esempio, Dimitri che, data la giovane età, si può muovere senza creare troppi sospetti, ma anche senza sospettare di essere spiato. Lo pedina (o lo fa pedinare) e scopre che si reca spesso (sempre al mattino) da una venditrice ambulante che abita un po’ fuori mano. Allora pedina (o fa pedinare) lei e scopre che talvolta la governante di Wanda si ferma da lei al mercato per scambiare quattro parole o per acquistare qualche oggetto o capo di vestiario. 

Loris, scegliendo accuratamente il giorno sulla base delle abitudini di Vladimir (che lui ha potuto studiare attentamente abitandogli di rimpetto) si reca a casa della venditrice ambulante, facendosi ricevere col pretesto di visionare o acquistare qualcosa. Appena solo con lei, per metterla a suo agio depone sul tavolo un revolver, minacciandola di denunciarla alla Polizia come complice di adulterio se lei non farà ciò che lui le ordinerà (contemporaneamente deponendo sul tavolo un borsellino gonfio di monete d’oro). La donna non può che accettare entusiasticamente terrorizzata l’invito.

Dopo essersi fatto raccontare tutti i dettagli sulla tresca di Vladimir e Wanda e sull’ubicazione della casa dell’appuntamento, Loris le consegna una lettera sigillata recante il seguente messaggio: Questa sera alle 9, laggiù. So tutto.

Lei dovrà recarsi al palazzo di Vladimir l’indomani alle 10 e consegnare la missiva al Capitano, attendendone la risposta e osservando bene dove ripone la lettera. Se la risposta sarà affermativa, lei dovrà recarsi al mercato e, incontrando la governante, le comunicherà verbalmente (come al solito) l’ora precisa dell’appuntamento per quella sera stessa: le 9.

L’indomani mattina, Loris verifica che la venditrice ambulante entri da Vladimir. Quando ne esce la segue, poi la ferma e le chiede i dettagli dell’incontro, in particolare della risposta di Vladimir e di cosa lui ha fatto della lettera. Quindi attende l’uscita del Capitano e di Desiré (non dimentichiamo che ha scelto il giorno proprio perché ha scoperto che è uno di quelli in cui nel palazzo c’è solo il piccolo Dimitri) e va così a recuperare la lettera compromettente. Nel pomeriggio si reca a casa di Wanda, attende che lei e la governante siano uscite e poi entra, cerca e trova le lettere di Vladimir. Infine, si muove verso il luogo dell’appuntamento.
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Ecco, da qui in poi tutta la sequenza cronologica degli avvenimenti riprende pari-pari a partire dalle ore 20:30. Ed alcuni dubbi, emersi in precedenza a fronte del racconto di Loris, ora vengono dissipati: la (falsa) missiva di Wanda, dal contenuto inquietante, rendeva credibili agli occhi di Vladimir il fatto che fosse la donna – cosa altrimenti piuttosto sospetta - a prendere l’iniziativa, e che l’ora stessa proposta per l’incontro (ora funzionale a Loris) fosse diversa rispetto alle abitudini consolidate. E poi, che fosse la venditrice ambulante e non - come raccontato da Loris – la governante a recapitare la missiva a Vladimir è addirittura la cosa più plausibile: il Capitano la conosceva bene e non aveva nulla da temere da lei, mentre avrebbe avuto sospetti se la lettera, già di per sé insolita, gli fosse stata consegnata da una persona non altrettanto affidabile. Infine, anche se non è una prova, c’è però un subliminale indizio al proposito: Ivan, durante l’indagine notturna, parla della donna che ha affittato i locali per Vladimir come di una venditrice ambulante e subito Desirè ricorda la donna messaggera - toh - come una serva o una venditrice ambulante!

Ancora: le modalità di ingaggio per l’appuntamento (a parte l’ora insolita) erano quelle standard (è sempre la venditrice ambulante che comunica la volontà di Vladimir) il che non comportava per Wanda di dover attendere alcuna conferma di ritorno prima di recarsi all’appuntamento, non avendo lei avuto l’iniziativa dell'invito.

E poi: si dissipa il dubbio sulla verisimiglianza del permanere di Loris a casa di Wanda per cercare le lettere: nella nostra ipotesi lui le può recuperare in tutta calma, non essendo nello stato d’animo sconvolto, caratteristico del suo racconto. 

Infine ecco un dettaglio non trascurabile: Wanda va all’appuntamento nello stato d’animo solito, pensando ad un incontro amoroso, mentre Vladimir ci va preparato ad uno scontro: immagina che lei lo voglia in qualche modo ricattare, e magari spera di addomesticarla promettendole qualche… gioiello di Tchileff (!?) Lui arriva piuttosto nervoso, invece scopre che lei è come sempre allegra e disponibile, così lui non fa in tempo a sospettare qualcosa, non resiste al suo fascino e… arriva Loris!   

Ma, come detto, l’aspetto decisivo è che non siamo più in presenza delle specifiche circostanze previste dal codice per configurare un caso di delitto d’onore (e il conseguente abbassamento o azzeramento della pena), ma di un omicidio premeditato, con le sole attenuanti generiche legate all’offesa all’onore come movente del delitto. E qui si può anche rincarare la dose: è Loris che ha sparato per primo, appena entrato nella stanza dell’adulterio! Questo spiegherebbe anche perché il povero Vladimir, rispondendo al fuoco, abbia di fatto mancato il bersaglio… Col che cade anche l’attenuante della legittima difesa! 

E così anche Loris, che pareva l’unico dei quattro vertici del quadrilatero (a relazioni… incrociate) ad uscirne bene, finisce per passare dalla parte del torto (anche se non ancora a… miglior vita). E la sua figura ne esce parecchio ammaccata: sotto la maschera del giovane per bene, pacato, devoto alla madre e sinceramente innamorato fa capolino un uomo cinico, egoista, spregiudicato, persino ipocrita, ma soprattutto inaffidabile. 
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Come cambia adesso il finale del dramma? Dobbiamo qui considerare la posizione di Fedora. Sarà bene osservare come quell’aperta contraddizione fra la testimonianza di Desiré e il racconto di Loris (le 10 del mattino vs le 6 di sera) sia sfuggita anche alla Principessa, che pure era stata testimone ocu(-aurico)lare dell’affermazione del maggiordomo di Vladimir, al quale non poteva non riconoscere la massima buona fede. Avesse colto quella contraddizione, avrebbe dovuto subito sospettare della veridicità del racconto del giovane, e magari avrebbe potuto metterlo in difficoltà, contestandogli ciò che abbiamo visto essere contestabile… e addirittura fargli sputare tutta la verità. 

A questo punto lei si sarebbe però trovata di fronte un dilemma davvero lancinante: condannare Loris per il suo gesto e lasciarlo in pasto a Gretch perché lo impacchettasse e rispedisse in Russia, vendicando così un amante che l’aveva tradita, ma la cui memoria lei stessa aveva tradito, innamorandosi di lui? O perdonarlo per viverci insieme? Ma anche Loris non sarebbe stato troppo sereno, a vivere con una donna che aveva scoperto come lui avesse freddamente ucciso il promesso sposo… Insomma, non proprio un… e vissero felici e contenti, come cominciano a fare nel quarto atto… Invece constatiamo come Fedora, accettando acriticamente tutto ciò che Loris le ha raccontato, sia stata vittima di un disgraziato scherzo del… cuore. E perciò il suo suicidio non rappresenterebbe più, per Loris, un’immeritata punizione, ma – hai detto niente - il divino (non umano) meritato castigo!  

Insomma, possiamo concludere questa velleitaria indagine con la classica morale della favola, dove tutti i quattro protagonisti hanno le loro (diverse) colpe: Vladimir di essere uno sciupa-femmine e sciupa-patrimoni/matrimoni; Wanda di non avere né dignità, né morale; Fedora di aver ceduto all’ossessione della vendetta, causando due morti innocenti; e Loris di aver anteposto la giustizia privata a quella pubblica.  

E per Sardou? L’assoluzione con formula piena dall’accusa di essere incappato in un’imperdonabile svista.
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Dopo aver fatto le pulci (o i complimenti…) a Sardou, occupiamoci di Arturo Colautti, che ebbe l’ingrato compito di ricavare dalla pièce del drammaturgo parigino il libretto per il melodramma verista del foggiano Umberto Giordano. Anche lui, come detto, non fa caso alla (apparente) incongruenza nel testo originale, e ci presenta quindi Loris come unica vittima innocente di quel complicato quadrilatero sentimentale. Torno quindi, per poi non parlarne più, sull’effetto addirittura disastroso che tale incongruenza ha avuto sul testo colauttiano. 

Bene, nel libretto leggiamo testualmente, dalla deposizione di Desiré: Una vecchia oggi recò una lettera al Capitano. E poco dopo ecco il piccolo Dimitri dire, a proposito della visita dello sconosciuto: Stamane, ero solo… Un signore entrava

Ora, chiunque, leggendo queste frasi, è portato a capire che prima (stamane) arrivò un signore (il ladro della lettera) e poi (oggi) venne la donna (a portare la lettera). Il che significherebbe che il ladro avrebbe sottratto la refurtiva prima che essa fosse disponibile sul posto! Mamma mia, verrebbe da dire, ecco il solito libretto insulso… meno male che c’è almeno la musica a salvarci.

Tuttavia non sarebbe fair mettere in croce il vulcanico, poliedrico e peripatetico dalmata (che sfornava riviste e giornali come fossero noccioline) il cui compito in questa impresa non dovette essere propriamente una passeggiata. E questo fulminante saggio di Michele Girardi gli rende in buona misura giustizia.