XIV

da prevosto a leone
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11 febbraio, 2019

Alla Scala una Cenerentola sempre giovane


Proseguendo la serie dei revival di produzioni ormai catalogabili come storiche (domanda: nel 2060 si riprenderà ancora la Traviata di Cherniakov?) la Scala ha ospitato ieri la prima della Cenerentola della premiata coppia Abbado-Ponnelle, ripresa a 46 anni di distanza dalla sua originaria comparsa nel 1973. Produzione già riproposta da allora in diverse stagioni (74, 75, 82, 01, 05) e oggi affidata alle esperte mani di Grischa Asagaroff, ben coadiuvata da Marco Filibeck alle luci. Immortalata anche in DVD (con altri interpreti rispetto al ’73, e con riprese fatte in studio e in play-back) nel 1981. E proprio a Claudio Abbado, a 5 anni dalla scomparsa, è dedicata questa ripresa. Che mantiene, più o meno, anche i (consueti) tagli: qualche recitativo secco e i due contributi di Luca Agolini (coro di apertura atto secondo e aria di sorbetto di Clorinda). Cassata anche l’altra componente agoliniana (Alidoro) in favore del Rossini autentico.

Nel progettare la loro Cenerentola, il librettista Ferretti e Rossini si erano posti un obiettivo assai chiaro: sfrondare il racconto di Perrault da ogni e qualsivoglia componente favolistica, magica, miracolistica, bambinesca (aspetti che si reputavano sgraditi se non addirittura offensivi per l’evoluto pubblico romano di allora) per mettere più che altro in risalto - pur in un contesto giocoso - gli aspetti drammatici, sociologici ed etici del racconto, primo fra tutti quello che oggi chiameremmo come pari-opportunità. (Lo stesso Barbiere, di un anno precedente, dietro la maschera del buffo poneva problemi mica da poco, quali l’avvento della borghesia alla guida della società.) Quindi niente comari-fatine, zucche-carrozze e topi-cavalli che appaiono dal nulla, ma solo un po’ di alone arcano col quale rivestire un illuminato filosofo (Alidoro, precettore del principe Don Ramiro, una specie di Marco Pannella ante-litteram) che procura alla povera Angelina i mezzi per godere, appunto, delle pari-opportunità, negatele dal retrivo padre e dalle sorellastre viziate.

E Ponnelle(-Asagaroff) interpreta alla perfezione l’approccio degli Autori, facendone passare il messaggio col mettere in ridicolo gli aspetti più retrivi della società. Niente miracoli, ma nemmeno avanspettacolo: le gag sono limitate allo stretto necessario e tutto viene mantenuto entro i confini del buon gusto. E per questo l’allestimento resiste alla grande anche in tempi di regie fatte solo per far parlare del regista, ma di fatto prodotti usa-e-getta.
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Che dire poi della prestazione musicale?

Intanto si apprende dal curatissimo libretto della Scala che Angelina-Cenerentola è diventata improvvisamente soprano, come pure la Tisbe, e che Alidoro ha innalzato la sua tessitura a quella di tenore... evabbe’, è il progresso, bellezza! (Il testo pubblicato nel 2005 riportava correttamente le tessiture dei ruoli... o forse è Alberto Zedda che ha inviato dall’aldilà un aggiornamento alla sua edizione critica, chissà.)

Marianne Crebassa per fortuna canta da mezzosoprano qual è e quale l’ha voluta Rossini. La sua è stata una prestazione non strepitosa, tuttavia il personaggio è uscito discretamente bene: un po’ legata all’inizio, è poi cresciuta nel corso della recita, arrivando ben rodata in tempo per la sua finale aria strappalacrime, che ha anche strappato... applausi a scena aperta, applausi che per la verità hanno accolto tutti i principali numeri dell’opera.  

Don Ramiro è una parte non propriamente impossibile (peraltro nell’aria del second’atto presenta diversi DO sovracuti...) e lo smilzo Maxim Mironov l’ha padroneggiata assai bene (a proposito di acuti, ha esagerato anche con un RE): peccato che la sua voce non abbia sufficiente potenza per diffondersi adeguatamente in spazi come quelli del Piermarini altrimenti, invece di un più che discreto, si meriterebbe un più che buono...   

Dandini è Nicola Alaimo (credo che Cenerentola fosse anche il suo debutto in carriera); personalmente lo ricordo in questa parte già al ROF nel 2010... direi che da allora, anche grazie al passaggio su terreni diversi, vedi Falstaff, ha imparato a meglio controllare l’emissione, a giudicare dall’assenza di sguaiatezze e schiamazzi.

Carlos Chausson è un più che convincente Don Magnifico, gran potenza e rotondità di voce, ha brillantemente superato gli scogli della sua parte (anche quantitativamente) assai impegnativa. Subito in spolvero con i rampolli femminini, ha poi ben cantato  l’aria del second’atto e ha contribuito alla riuscita del duetto-di-bassi a suon di scioglilingua con Alaimo.

Erwin Schrott (anche lui non ha velleità tenorili...) - da qualche anno (esordio nel Turco al ROF-2016) si dedica a Rossini - è un ottimo Alidoro, personaggio cui conferisce appropriatamente quell’arcano aplombe soprannaturale che ne caratterizza la figura. Pregevole la sua interpretazione dell’aria del primo atto, quella di Rossini e non di Agolini.  

Le due sbifide sorellastre vengono dalla scaligera Accademia e devo dire che si sono ben portate, la Capitelli in primo luogo, ma anche la Giorgadze. Prezioso il loro contributo agli ensemble, in particolare al sestetto del second’atto.

Il coro è impegnato solo al maschile, e per di più senza grandi difficoltà, quindi Casoni ha fatto il suo dovere, e basta così.

Ottavio Dantone, di professione barocchista, ha riportato saldamente questo Rossini nel ’700, il che non è affatto un demerito, tutt’altro. Apprezzabile la sua concertazione, in specie negli insiemi, dove basterebbe poco a trasformare le mirabilia di Rossini in puro e semplice caos sonoro.
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Pubblico meno folto rispetto a quello della recente Traviata, ma prodigo di applausi per tutti.

19 agosto, 2013

ROF XXXIV: L’Occasione fa... centro

 

Terza e penultima recita dell’Occasione, ieri sera al Teatro Rossini, piacevolmente gremito da un pubblico più casalingo del solito, che forse ha voluto premiare con la sua presenza e poi con un autentico trionfo i beniamini locali (Orchestra Rossini e Accademici di Zedda).


È la quarta apparizione di questa farsa al ROF e, dopo la prima del 1987, anche gli altri ritorni si sono sempre giovati della concezione registica originale di Jean-Pierre Ponnelle, anche quest’anno ripresa da Sonja Frisell, che già l’aveva ripresentata anche alla Scala nel 2010.

Al contrario di quanto ha fatto Livermore con L’Italiana, un dramma giocoso buttato piuttosto beceramente in avanspettacolo, Ponnelle prese assai sul serio (come sempre) questa burletta per musica e ne ricavò una messinscena raffinata e geniale, che non per nulla resiste magnificamente alla sfida del tempo (leggi stramberie del Regietheater).

Qui è Paolo Bordogna ad impersonare, prima che Martino, il Rossini che arriva dal fondo della platea con il valigione in spalla, da cui dapprima estrae un gran tomo con la partitura, che consegna al Direttore, e poi sale sul palco per far uscire dalla valigia tutti gli… ingredienti dello spettacolo: protagonisti e pure le scene!

Poi, più che Martino, sarà ancora Rossini a provocare volutamente (e non fortuitamente, come riporta il libretto) lo scambio di valigie da cui nasce tutto il seguito di imbrogli, equivoci e assurdità, fino alla conclusione in gloria dell’improbabile vicenda.

E Rossini, pur di tutta fretta, ci costruì sopra una musica per nulla disimpegnata o di occasione (smile!) al contrario, ci si trovano arie e concertati degni di altre opere più famose. E come al solito ci si trovano anche semi di cose che verranno fatte germogliare anni e anni dopo da qualcun altro, come questa brevissima cellula della Sinfonia, che scopriremo avere figli e… nipoti!


E proprio di questa musica è stata interprete assai interessante la cinesina Yi-Chen Lin. La quale, lasciato chiuso sul leggio il volume consegnatole da… Rossini (e vorrà pur dir qualcosa) ha confermato quanto di buono aveva già mostrato domenica scorsa alla prima radiofonica: sfoggiando un gesto ampio ma mai enfatico ha padroneggiato con sicurezza questa non proprio banale partitura e ci ha messo quel pizzico di pepe che serve a valorizzarla. Una direzione più che positiva, ben assecondata dai ragazzi della locale Orchestra Rossini.

Roberto De Candia e Paolo Bordogna (i due buffi, padrone e servo) hanno offerto una prestazione onorevole, senza eccedere in facili gigionerie. Bordogna ci ha aggiunto anche le sue doti atletiche muovendosi con disinvoltura tra palco e… buca.

Ancora note positive da Elena Tsallagova, che anche dal vivo ha mostrato una bella voce, piccola ma non evanescente, insomma abbastanza tagliata per il ruolo.

Note (per me, non per il pubblico direi) meno liete da Enea Scala, che sopra la zona del cosiddetto passaggio mostra seri problemi e scade in uno sgradevole canto ingolato ed impiccato. Anche Viktoria Yarovaya non mi ha impressionato, anzi: troppo spesso calante e con difficoltà di intonazione. Dignitosa la prestazione di Giorgio Misseri.

Come detto, il pubblico assai caldo e ben disposto non ha avuto altro che applausi a scena aperta e ha poi decretato un gran successo per tutti, cantanti, direttore, orchestra e maestranze che entrano in scena per i cambi di… scena. 

Insomma, una serata che ha ampiamente superato le mie aspettative. E domani… Vick?