XIV

da prevosto a leone
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30 novembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.9

Ricorre il 200° anniversario della nascita di Anton Bruckner (4/9/1824) e l’Orchestra Sinfonica di Milano gli dedica un concerto diretto da Lucas Macias Navarro che, essendo nato e cresciuto e divenuto famoso come oboista – fu tra i fondatori dell’Orchestra Mozart con Abbado - apre la serata interpretando e dirigendo il Concerto per oboe e orchestra in Do maggiore K 314 di Mozart.

[Il brano verrà poi da Mozart trasposto in RE maggiore per il flauto; e il terzo movimento fornirà (in SOL maggiore) il supporto musicale ai versi Welche Wonne, welche Lust di Blondine nel second’atto del Serraglio.]

Il Concerto fu registrato da Lucas per l’appunto con l’Orchestra Mozart e Abbado, in una delle ultime fatiche del sommo Claudio! E ieri sera anche qui abbiamo potuto apprezzare la tecnica sopraffina del musicista spagnolo, che ha divorato come noccioline le interminabili volate di semicrome che costellano il Concerto, nei movimenti esterni.

Nella cadenza dell'Adagio ha anche fatto (come a 5’50” nel secondo video con Abbado) un simpatico omaggio a… Elvira Madigan! E poi ha voluto premiarci con un bis insieme all’Orchestra con l’Adagio dal bachiano Oratorio di Pasqua.

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Il pezzo forte della serata è quindi la Prima Sinfonia di Bruckner, originariamente composta nel 1866 a Linz, quindi riveduta a Vienna fra il 1877 e il 1884, e infine nel 1889-91 (eseguita qui).

Bruckner fu perennemente insoddisfatto delle sue composizioni, ma in particolare delle Sinfonie, un genere che considerava il massimo banco di prova per un compositore. Per tutta la vita continuò a studiare, oltre che insegnare, armonia e contrappunto e, dopo ogni nuova rivelazione che lo studio gli portava, correva a introdurne gli effetti nelle sue opere, anche a distanza di anni e anni.

Per dire del rispetto che Bruckner aveva per la forma sinfonica, basta ricordare che, prima di completare questa Sinfonia in DO minore, ne aveva già composte (attorno al 1863) ben due, interamente o in parte: la Sinfonia in FA minore, rimasta allo stadio di lavoro di scuola (Schularbeit 863, come l’Autore scrisse sulla prima pagina del manoscritto) e quella in RE minore, che Bruckner riprese in mano molti anni dopo, lasciando però sulla prima pagina del manoscritto il temine inequivocabile di ungultig, invalido, senza valore, affibbiando alla Sinfonia il bizzarro N°0 (Nullte).

Miglior fortuna toccò a questa prima, che Bruckner fece eseguire a Linz - con un’accoglienza più stupefatta che ostile - nel 1868, per poi rivisitarla, ormai stabilitosi a Vienna, negli anni 1877-84 (questa è nota come versione Linz). E finalmente, stimolato dal famoso Direttore Hans Richter (propenso ad eseguirla in quella veste) la sottopose ad accurata revisione (oggi nota come versione Vienna) reputata necessaria per poter, a suo dire, rendere presentabile al raffinato pubblico viennese questa sua sguattera insolente (kecke Beserl)!

E in effetti la versione 1889-91, pur conservando intatta la struttura e il contenuto dell’originale, vi rimuove parecchie delle spigolosità e stranezze che l’avevano resa poco digeribile al pubblico di Linz, anche se autorevoli musicologi (fra cui i curatori Robert Haas e Leopold Novak in testa) reputarono che proprio l’originale sia da preferirsi, appunto per il suo carattere di… sfrontatezza.

L’iniziale Allegro principia rigorosamente in forma-sonata, con il primo tema in DO minore, maschio e imperioso, seguito dal secondo (canonicamente nella relativa MIb maggiore) delicato e un po’ decadente; ma gli ascoltatori di Linz nel 1868 probabilmente si stropicciarono gli occhi orecchi quando, al posto del da-capo dell’esposizione si ritrovarono fra i piedi un terzo tema, tracotante, nei tromboni!

L’Adagio in LAb maggiore è un’oasi nobile, culminante nella grandiosa perorazione finale, che non può non suscitare l’emozione dell’ascoltatore. E lo Scherzo – che anticipa nel piglio quelli di successive sinfonie - propone un tema che ricorda quello mozartiano della K550, ma anche lo Schubert della Quinta.

Il Finale infuocato è certo il movimento più innovativo e – come capita a tante innovazioni – anche il più ostico da digerire. Alternando, a mo’ di Rondo, passaggi davvero faticosi e sofferti, con un contrappunto eterodosso, a gloriose perorazioni. inclusa l’ultima in DO maggiore, davvero sesquipedale, che forse non basta a fare da… alka-seltzer!

Lucas, come molti Direttori che vengono dal cuore dell’Orchestra, non cerca il gesto appariscente (che spesso sfocia nel… gigionesco) ma guida il gruppo con sobrietà unita a precisione, oltre a dimostrare (dirigendola a memoria) di avere con questa Sinfonia una dimestichezza assoluta.

Meritatissimi quindi gli applausi per lui e per tutti i suonatori (fiati in primis).    

  

10 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. 15

Profondo ‘800 (= grande musica!!!) al centro del cartellone del 15° concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano, diretto da Víctor Pablo Pérez [secondo Wikipedia, un esperto di… Zarzuelas !!??!!] Però qui non dirige due operette spagnole rimaste a metà, ma due grandi Sinfonie incompiute! E dico subito che il 69enne iberico ha retto benissimo l’urto di questo impegnativo programma.

Il primo titolo è l’Incompiuta per antonomasia, quella catalogata come Ottava di Franz Schubert. Davvero una Sinfonia sui-generis, constando di due soli movimenti e per di più pochissimo contrastanti. Però… Schubert si riscatta con la sua straordinaria vena melodica, e nell’Andante mostra anche capacità di drammatizzazione della narrativa musicale.

Pérez (che ha preso la bacchetta solo nello Scherzo bruckneriano) con il suo gesto sempre privo di ogni affettazione, asciutto e misurato, ha perfettamente interpretato la natura della Sinfonia in SI minore, che poi rispecchia quella del suo Autore: dando grande risalto alla leggerezza e alla cantabilità dei temi, tenendo sempre dinamiche discrete e tempi comodi: insomma, proprio lo Schubert… viennese che – nel bene e nel male – si differenziò sempre dal nordico e impegnato Beethoven.

Il pubblico - non proprio nutritissimo, devo dire - dell’Auditorium ha però apprezzato assai.
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Ecco infine la poderosa (e ponderosa) Nona di Anton Bruckner, che rimase priva del Finale per… sopravvenuta scomparsa dell’Autore. Datosi che era stata dedicata al buon Dio… si potrebbe sospettare che il Dedicatario non abbia poi tanto gradito la dedica, impedendo d’autorità il completamento dell’opera. [Ma questa è solo una battuta di bassa lega, degna di qualche anti-bruckneriano incallito.]

In questo scritto, derivato da precedenti commenti alla Sinfonia, ho cercato di riassumerne sommariamente le circostanze della composizione e le caratteristiche salienti, che la configurano come l’estremo lascito musicale, ma soprattutto spirituale, del complesso e complessato ex-organista di SanktFlorian.

È un’opera, come altre - non tutte - sinfonie di Bruckner, che richiede un ascolto preparato, e mal si presta a fruizioni superficiali o passive. Perché non è semplice entrare in sintonia con questo compositore, la cui musica di primo acchito potrebbe apparire come contorta, o frammentaria, o addirittura priva di qualsivoglia narrativa. Persino un Brahms – che pure quanto a cerebralità delle sue composizioni non scherzava di certo – la considerava priva di senso e di logica, addirittura arrivando ad offenderla come ciarpame. (Però al funerale del vecchio Anton anche lui gli rese il dovuto omaggio…)

Pérez dimostra qui di sapersi destreggiare sapientemente nei meandri della musica di Bruckner (del resto scopriamo dalla sua biografia che non è nuovo ad interpretare questa ed altre famose None, Mahler compreso): l’approccio al primo movimento è proprio solenne, e le proverbiali pause bruckneriane sono sempre rispettate come si deve per questi silenzi che sono abissali assenze di suono.

Lo Scherzo è precisamente demoniaco, nei passaggi di pervicace martellamento degli ottoni o come negli svolazzi spiritati dei violini nel Trio. L’Adagio conclusivo è proprio un Purgatorio, popolato di grandi slanci verso il cielo e di rassegnata e serena attesa della fine (le tubette wagneriane dell’addio alla vita…) La lunga coda, con le tubette che scalano per due ottave (SI-MI-SI-MI-SI) l’accordo di MI maggiore dell’orchestra, lascia proprio senza fiato, e i 10 secondi abbondanti di silenzio che Pérez impone mantenendo alzate le braccia mettono il sigillo a questo viaggio verso… l’Assoluto.   

Lunghi applausi, anche ritmati, per il Direttore e ovazioni per i suonatori – capitanati da Dellingshausen - tutti chiamati, sezione per sezione, a godersi il meritato trionfo. 

05 febbraio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 15

Interessante accostamento nel programma del 15° concerto della stagione: é Oleg Caetani a proporci questa settimana due autori assai distanti nel tempo, ma accomunati da una visione, si potrebbe dire, religiosa della musica: Ildebrando Pizzetti e Anton Bruckner. Certo la religiosità di Pizzetti nulla ha a che fare con cattedrali barocche e dediche al buon Dio (copyright Bruckner Nona) trattandosi di interiore e pura spiritualità, ma ciò che arriva al nostro orecchio in entrambi i casi è manifestazione di rigore e integrità morale, tradotti in estetica dei suoni.

I Canti della stagione alta (titolo un poco criptico che l’autore si astenne sempre pudicamente dallo spiegare) è un Concerto per pianoforte e orchestra (composto da Pizzetti nel 1930) che solo epidermicamente si rifà ai modelli classici (tre movimenti chiusi da un Rondo): in realtà il pianoforte non è il solista in opposizione (o comunque in dialogo più o meno serrato) con l’orchestra, ma suona in comunione con essa, guidandone quasi costantemente il flusso sonoro.

La forma poi è assai più vicina al Durchkomponieren (melodia infinita...) che non a quelle classiche: il lungo primo movimento - Mosso e fervente, ma largamente spaziato (notare il fervente...) - si muove attorno alla tonalità di RE minore all’inizio per chiudere sul RE maggiore dopo diverse sognanti e languide peregrinazioni. Il secondo - Adagio - richiama in realtà un’atmosfera vicina a quella del primo, di gradevole cantabilità, muovendo dal SI minore, relativa del RE; svariando quindi nella sezione centrale lungo il circolo delle quinte a SOL e DO maggiore, dove udiamo un’improvvisata fanfara di corni, prima del ritorno a SI minore. Il Rondo conclusivo, formalmente assai eterodosso, ci porta finalmente in una serena e allegra atmosfera bucolica, che si muove ancora dal RE maggiore. Una sezione più dimessa prepara il ritorno dell’allegra scampagnata, che si amplia poi in improvvisate divagazioni. Dopo un ritorno del tema godereccio si arriva alla chiusura in un’inopinata, francamente enfatica oltre che maestosa esaltazione (à-la-Sibelius, per dire).

Ma qui dobbiamo aprire una parentesi, diciamo, piccante, che riguarda non già Pizzetti, ma il sommo (mio conterraneo bresà, ci tengo a dirlo) Arturo Benedetti Michelangeli. Il quale, nel 1943, chiese a Pizzetti di scrivergli una cadenza per il Concerto (che in origine non ne prevedeva alcuna) che il pianista contava di includere nel suo repertorio. Pizzetti la compose al volo, inserendola canonicamente nel movimento iniziale prima della ripresa del primo tema, e la inviò a Michelangeli, che ne fu (a detta dell’Autore) entusiasta, ma che poi non ebbe mai occasione di suonarla, non avendo più suonato per la verità nemmeno il concerto. Orbene, forse non tutti sanno che l’Arturo con-baffetti-da-sparviero (copyright Gianfranco D’Angelo) ebbe una burrascosa relazione con Marisa Borini (oggi ultra-novantenne) pianista e attrice nonchè moglie di un magnate (poi andato fallito) dell’industria dei pneumatici e soprattutto madre (con padre... alieno) della futura première-dame Carla Bruni maritata Sarkozy.

Ebbene, nel 1981 la Borini incise il Concerto di Pizzetti includendovi la cadenza dedicata al baffutello amante (prima di lei eseguita solo da Tito Aprea in tempo di guerra) con l’Orchestra radiofonica bavarese: la si può ascoltare qui a partire da 12’57” fino a 17’08” del primo movimento.  Come si può udire, è una cadenza lunghissima, che viene regolarmente ignorata: solo Ciccolini la eseguì nel 1987 a Napoli (RAI) e poi in questa registrazione francese da 12’39” a 16’43”. Ignorata anche in questa esecuzione storica del brano, suonato da una delle sue prime interpreti, Lya De Barberis sotto la direzione dell’Autore nel 1955 con la RAI di Torino. E dallo stesso Caetani in questa registrazione con la consorte. Invece il felicemente ritornato in Auditorium Roberto Cominati si è pregiato di proporcela!

Come detto, il Concerto è saldamente ancorato alla tonalità e alla melodia pura: e Cominati (che già ha interpretato il brano la scorsa estate a Parma con la Toscanini e che per sicurezza si è tenuto lo spartito sotto gli... occhiali) ha mostrato di essere in perfetta sintonia con l’estetica del compositore. Caetani da parte sua ha tenuto l’orchestra proprio al servizio e al seguito del solista, senza mai (finale escluso, ovviamente) prevaricarne il ruolo.

Caloroso successo che Cominati ripaga con due bis: questo Rachmaninov (figlio e presunto padre...) e questo serioso Händel.
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Del complessato compositore austriaco viene eseguita la Seconda Sinfonia, che qualcuno battezzò come Pausen-Symphonie, per le tante fermate che la caratterizzano.

Come quasi tutte le sorelle, anche questa sinfonia fu ripetutamente sottoposta dall’Autore a revisioni e modifiche al punto che ancor oggi non c’è accordo fra musicologi ed editori-critici su una corretta catalogazione delle versioni, due delle quali (1872 e 1877) sono considerate come principali, ma ciascuna di esse presentando al suo interno ulteriori differenziazioni. La più macroscopica novità che presenta la versione 1877 rispetto alla prima del 1872 sta nella sequenza dei movimenti interni (cosa che capiterà poi alla Sesta di Mahler): in origine veniva prima lo Scherzo, che poi fu retrocesso dopo l’Andante.

Chi voglia inoltrarsi nel ginepraio delle versioni e sotto-versioni e varianti delle sotto-versioni può (ad esempio) affidarsi a William Carragan, che è l’ultimo - per ora - estensore di un’edizione critica dell’opera, arrivando dopo gli storici Robert Haas e Leopold Nowak. Oppure consultare questo minuzioso compendio.  

Bruckner è ancor oggi spesso considerato come palloso e velleitario (Brahms ebbe a liquidare la sua musica come ciarpame) e anche questa sinfonia al primo ascolto lo conferma: di lui in genere si apprezzano spezzoni della Quarta e della Settima, null’altro... Ma a pensarci bene, anche Die Kunst der Fuge di Bach può risultare ostica, cerebrale e in definitiva noiosa... Ovviamente nessuno è obbligato ad accettare, men che meno esaltare, ciò che non riesce a digerire.

In questa Sinfonia c’è proprio la plastica dimostrazione del processo costruttivo (delle sue cattedrali) di Bruckner: le innumerevoli pause che si incontrano sono come i momenti di riposo che un costruttore si prende tra uno stadio e il successivo dell’edificazione. Fino a quando può contemplare il prodotto finito e... rendere grazie a Dio per aver avuto la ventura di portarlo a termine.

Caetani (mi) ha sorpreso optando per la versione originale del 1872 (edizione Carragan, presumo) francamente più immatura (e pedantesca, basta pensare ai da-capo del Trio...) della successiva, dove un po’ tutti i movimenti furono ripuliti e migliorati assai.

In ogni caso tanto di cappello a tutti per aver offerto una prova maiuscola, accolta con grandissimo calore da un pubblico non oceanico ma entusiasta.

17 agosto, 2020

Epopea del Gruppetto

Cazzeggiando in attesa della seconda ondata (con tutti questi gruppi e gruppazzi in giro le avvisaglie lasciano ben sperare...) di che parliamo? Di Beatles, Rolling Stones, Litfiba, ...?

Beh, sempre di musica si tratta, ma in tutt’altra accezione. Il gruppetto qui considerato è quella figura musicale impiegata originariamente come abbellimento, costituita di norma da una quartina di note (non esplicitamente scritta, ma rappresentata da un segno) che si interpone fra due note della melodia, con un andamento sinusoidale ed occupando una parte del tempo di fatto rubata ad altre note della battuta.

Le due principali forme sono la diritta (o diretta) dove la quartina parte dalla nota superiore a quella che precede il segno (quindi prima scende e poi risale); e la rovesciata, dove la quartina parte dalla nota inferiore a quella che precede (quindi prima sale e poi ridiscende).

Ecco un paio di esempi presi da Beethoven e Wagner.

Gruppetto diritto: Romanza per violino in FA maggiore, Op.40

Gruppetto rovesciato: Rienzi, atto V, Du stärktest mich, du gabst mir hohe Kraft (è anche il tema fondamentale dell’Ouverture)

Ecco però come il gruppetto si evolve nel tempo, abbandonando il semplice segno per assumere i caratteri (e ritagliarsi il tempo!) delle altre note della melodia. Sempre Beethoven e Wagner:

Ex-Gruppetto diritto: Quinto concerto per pianoforte, Op.73

Ex-Gruppetto rovesciato: Götterdämmerung, Prologo, risveglio di Brünnhilde

Ecco un ulteriore, celebre esempio (Weber) di scrittura esplicita in sostituzione di un possibile impiego del gruppetto rovesciato: Der Freischütz, atto II, Süss entzückt entgegen him (è anche il tema fondamentale dell’Ouverture)

Ma è con Mahler che il piccolo segno di abbellimento acquisisce ulteriore articolazione, nell’intima struttura e nell’enfatica nobiltà:

Terza Sinfonia, finale

Come si nota, nel secondo caso la quartina è cresciuta a quintina... Cosa che si ripete più tardi:

Ottava Sinfonia, scena finale del Faust

E, a proposito di quintine, anche Bruckner non vuole esser da meno: ecco come presenta un enfatico Höhepunkt nel terzo tempo della sua monumentale Ottava:

Tornando a Mahler, nel Finale della Nona Sinfonia abbiamo un ulteriore esempio di gruppetto diritto esploso nelle quattro note:

É poi l’estrema perorazione dei quattro corni a suggellare grandiosamente l’epopea del nostro minuscolo segno:

11 febbraio, 2020

Inbal e Bruckner alla Scala


Ieri sera il venerabile Eliahu Inbal (ne fa 84 domenica prossima!) si è cimentato per la seconda volta nella settimana con la Quinta di Bruckner, in un concerto della Stagione sinfonica.

Ormai è troppo tardi. Potrò solo accumulare debiti su debiti e finirò per poter gustare i frutti del mio lavoro solo in prigione, ruminando soprattutto sulla stoltezza della mia decisione di trasferirmi a Vienna. Sono stato privato di almeno 1.000 fiorini all’anno, e in cambio non ho ricevuto nulla, nemmeno uno stipendio. Non riesco neanche a far copiare la mia Quarta Sinfonia. 

Si stenta a credere che un uomo ridotto in tale stato di prostrazione, poche ore dopo aver scritto quella disperata confessione si sia messo a comporre l'Adagio della Quinta Sinfonia! Era il 13 febbraio 1875 e, due anni dopo, la più mastodontica (con l’Ottava) delle sue opere era compiuta. Per poi restare chiusa in un cassetto dal quale venir riesumata dopo ben 15 anni! Il riesumatore (Schalk) nella sua edizione del 1896 non perse il vizietto di metterci (o toglierci!) del suo, così si è dovuto attendere il ‘900 inoltrato per disporrre, grazie ad Haas e Nowak, di una versione plausibilmente più vicina ai manoscritti originali dell’Autore.

Si usa dire che le Sinfonie di Bruckner siano vere e proprie cattedrali in musica: e questa Quinta sembra proprio la materializzazione del concetto. Qui alcune mie brevi note illustrative scritte in occasione di un concerto de laVerdi.

Chi vuol penetrare alcune meraviglie di quest’opera può farlo attraverso questo video, che contiene una fulminante analisi (una specie di esplorazione attraverso una sonda delle radici della musica...) del colossale quarto movimento della Sinfonia. La cui fuga centrale è degna di stare al confronto delle più alte vette raggiunte dall’arte bachiana!

Ecco come interpretava la Sinfonia il 50enne Inbal:


Molto distante da approcci più pesanti (nel bene e nel male?) di colleghi quali il Celibidache del 1985; o il Thielemann del 2005; o anche il Karajan del 1976. E più vicino all’Abbado del 1995 o al Blomstedt del 2017...     

Devo dire che ancor oggi Inbal conserva la stessa verve di allora, sia nella scelta dei tempi (mai troppo strascicati, nemmeno negli Adagio dove altri si... adagiano - per me - un po’ troppo) che lui deve avere a livello di orologio interno; e nella sobrietà delle dinamiche, sempre controllate e mai debordanti, volte ad ottenere sempre la massima trasparenza del suono, evitando le trappole dei pieni che spesso si trasformano in blob magmatici e informi. Insomma, la sua è una direzione che ci restituisce il meglio di questo Bruckner complesso e difficile.

Pubblico (ahinoi) non oceanico, ma prodigo di applausi per strumentisti e Direttore. Il quale, dopo aver dato il giusto riconoscimento ad ogni prima parte e sezione dell’orchestra, alla terza chiamata, con grande sobrietà, si è portato via tutti. Venerdi 14 terza ed ultima serata, chi può non se la lasci scappare!

23 novembre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°8


Torna sul podio il Direttore Musicale per dirigere un concertone di quelli davvero tosti!

É l’ungherese Kelemen Barnabás il protagonista della prima parte, suonandoci un monumento dei concerti per violino, l’Op.61 di Beethoven. Il 41enne magiaro (che già sta allevando in casa musicisti-prodigio) fa cantare il suo Guarneri in modo strepitoso, valorizzando i suoni del Ludovico con sapienti rubato e mirabili varianti dinamiche.

Propone anche delle mini-cadenze, come quella subito prima dell’attacco del Rondò, davvero strepitose; insomma, una prestazione entusiasmante, che il pubblico gratifica con ovazioni e ripetute chiamate. Alle quali lui risponde con un metafisico Bach (Sarabanda dalla seconda partita) seguito da un mostruoso Paganini (primo dei 24 capricci op.1)!   
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La seconda parte del concerto è occupata dalla Wagner-Symphonie di Anton Bruckner. É la terza sinfonia del catalogo dell’organista di Linz (peraltro preceduta da altre 4, una delle quali non numerata e l’altra numerata zero). Come quasi tutte le sorelle, anche questa ha avuto controfigure e cloni, sotto forma di versioni diverse comparse negli anni. Dopo la prima del 1873, di ascolto non frequente (ma è quella eseguita qui) Bruckner ne sfornò una seconda nel 1874 (con poche novità, peraltro) poi una terza nel 1877 e infine una quarta nel 1889: quasi 17 anni di continui ripensamenti, revisioni, aggiunte e (soprattutto) tagli. La dedica a Wagner - che Bruckner letteralmente idolatrava - spiega la presenza di reminiscenze e atmosfere wagneriane, che sono proprio più marcate in questa prima versione, mentre furono un poco attenuate o del tutto rimosse in quelle successive.

Mi permetto di avanzare qualche riserva sulla decisione (immagino l’abbia presa Flor) di proporre questa prima versione della Sinfonia, che credo laVerdi esegua per la prima volta (come si dovrebbe dedurre anche dal perfetto stato delle parti e della partitura d’orchestra disposte sui leggii di orchestrali e Direttore).

Personalmente preferisco di gran lunga l’ultima, che non per nulla è sempre stata eseguita (ed ancor oggi lo è prevalentemente) fin dai tempi della sua comparsa. Penso che se l’Autore lavora su una sua opera per anni e anni, lo faccia per migliorarla, depurarla da componenti di bassa qualità, in modo da renderla più gradita al pubblico. E sono convinto che questo sia precisamente il caso della Terza. La cui prima versione mi appare assai più prolissa e a volte involuta rispetto all’ultima, più asciutta, sobria e anche dotata di qualche nuovo motivo musicale di assoluto valore (penso ad esempio all’Adagio). Insomma, queste proposte credo dovrebbero essere riservate alle incisioni discografiche, per dar modo al pubblico più interessato e competente di prendere conoscenza di tutto quanto l’Autore ha pensato e composto in relazione a quell’opera. Invece, al vasto pubblico che va ai concerti per ascoltare il meglio, meglio sarebbe dare il meglio... E visto che incombe a SantAmbrogio una ur-Tosca, prendo l’occasione per estendere la mia critica (e non è la prima che gli muovo, nella fattispecie) alle scelte del maestro Chailly.

Detto ciò, aggiungo che - presumibilmente anche a causa della novità del soggetto da eseguire - mi è parso di percepire una non perfetta messa a punto dell’insieme, a partire dall’equilibrio sonoro fra le sezioni dell’Orchestra: più volte la linea melodica degli archi è stata sommersa dal fracasso dei fiati, come ad esempio è accaduto nel Finale, dove il secondo tema (la polka degli archi) non è emerso come si dovrebbe, sovrastato dal corale dei fiati...

Detto ciò, tanto di cappello a tutti per l’impeccabilità tecnica dell’esecuzione, accolta da un pubblico abbastanza folto con molto calore (l’entusiasmo però è altra cosa...)

03 maggio, 2019

Mehta-Bruckner: emozioni alla Scala



Questa è una reliquia che conserverò gelosamente, a imperituro ricordo di una serata indimenticabile, in un Piermarini non precisamente esaurito, ma che ha salutato e stretto in un ideale abbraccio un direttore, ma che dico, un Uomo che ci ha regalato 80 minuti di profonda emozione.

Il venerabile Zubin Mehta è in questi giorni di casa alla Scala per dirigervi le tre puntate del concerto della stagione sinfonica del Teatro e - con Pollini - un concerto di beneficenza (con i giovani dell’Accademia, che avranno la fortuna di poter raccontare ai nipotini di aver suonato con una coppia davvero unica) per la Fondazione che si occupa di bambine disabili in India, di cui Mehta è patron insieme a Pereira.

Ieri sera ecco dunque l’esordio con l’imponente Ottava di Bruckner. Mehta, che sembrava uno che non invecchia mai, ora mostra gli impietosi segni degli anni e soprattutto della malattia, che lo costringono a camminare appoggiandosi ad un bastone e a dirigere seduto. Ma vi posso assicurare che la sua carica è la stessa che mostrava quasi 5 lustri fa, quando era nel pieno delle forze!

Non entro nel merito dei dettagli tecnici dell’esecuzione, perchè di per sè significherebbe rompere quel meraviglioso incantesimo che ci è stato offerto dal Maestro, dall’Orchestra della Scala e - inutile precisarlo - da Bruckner! 

29 marzo, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°23


Riecco sul podio il Direttore musicale per dirigere un concertone di quelli davvero tosti, con due opere che sono scolpite nella storia della musica dell’800. Di autori che, al di là della loro volontà, furono eletti a rappresentanti di avverse fazioni: pro e contro Wagner!

Dapprima ecco il Concerto per violino di Brahms, che ci viene proposto dalla bella Liza Ferschtman, presentatasi con un lungo nero imbrillantato e dotato di profonda scollatura sul... retro. Ottimamente supportata da Flor e dall’Orchestra, ha sciorinato una prestazione maiuscola, riuscendo a dar calore a questo Brahms fin troppo... nordico.

Da ricordare l’Adagio, dove l’oboe (ieri il bravissimo Luca Stocco) ruba per un po’ la scena al violino solista, quindi dialogando mirabilmente con lui (-lei).

Prestazione salutata da convinti applausi del non oceanico pubblico dell’Auditorium. Applausi ricambiati da questo bis di Ysaÿe.
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La seconda parte del programma è occupata dalla Romantica di Bruckner. Sinfonia, come parecchie altre della produzione dell’organista di SanktFlorian, dalla storia tormentata e costellata da continue, a volte pesanti revisioni e rielaborazioni che coprirono circa 15 anni, dal 1874 (nascita della prima versione) al 1889 quando Gutmann ne stampò l’ultima. In mezzo quella del 1878 (con il cosiddetto finale Volksfest) e quella del 1878-80, con i nuovi due movimenti rifatti (Scherzo e Finale). Ma altre revisioni sono state censite dai musicologi. Alcuni di questi (Wöss, Haas, Nowak e Redlich nel ‘900, e Korstved nei primi anni 2000) si sono cimentati nella produzione e pubblicazione di edizioni critiche della sinfonia. Da allora le versioni del 1878-80 e l’ultima si contendono il primato delle esecuzioni, con recente prevalenza della prima, adottata anche oggi da Flor. Per un commento un po’ più dettagliato rimando a questo post scritto in occasione di un’esecuzione (che non mi aveva impressionato, devo dire) de laVerdi del 2010. 

Per chi volesse dedicare tempo ad ascolti comparati segnalo le seguenti esecuzioni fra quelle disponibili su youtube
  

Nella seguente tabella ho riassunto, per ciascuna delle quattro, dati quantitativi di tempo di esecuzione (dei riferimenti proposti) e numero di battute dei singoli movimenti (per gli Scherzi sono le battute effettivamente eseguite, inclusi quindi i ritornelli):


Intanto si può superficialmente notare come, con il passare degli anni e delle revisioni, il numero di battute totale della sinfonia e, parallelamente, il tempo di esecuzione (pur tenendo conto dell’approccio interpretativo dei diversi Direttori) sia costantemente diminuito. Segno abbastanza evidente di un processo di sottrazione e di volontà di prosciugare l’opera da pleonasmi e inutili divagazioni. Ma mentre per i primi due tempi si è trattato di interventi (del 1878, confermati nell’ultima versione) che non hanno seriamente modificato la struttura tematica, lo Scherzo e il Finale sono stati abbastanza pesantemente rinnovati nel 1878-80 e poi semplicemente accorciati e/o leggermente riorchestrati nel 1888-89.

Lo Scherzo, al di là della drastica riduzione (fino al 40%!) delle battute, ha subito nel 1878 (con l’edizione denominata Jagd, caccia, ispirata al Tristan e con il leggiadro Trio) un drastico quanto benefico rifacimento. Francamente quel richiamo del corno ripetuto fino alla nausea, e il Trio piuttosto anonimo erano davvero poco edificanti. La versione ultima lo accorcia nella ripresa dello Scherzo.

Quanto al Finale, l’originaria ciclicità determinata dalla reiterata riproposizione del tema di apertura della sinfonia aveva un che di stucchevole. Già la Volksfest - dando più risalto al tema elegiaco - ha migliorato le cose, e poi la nuova stesura del 1880 ha dato il volto nuovo e nobilissimo alla chiusa dell’opera, relegando il ritorno del tema d’apertura solo a due fugaci comparse nel corpo del finale e poi (ma solo nell’edizione di Nowak) alla riproposta proprio nelle ultimissime battute.

Sappiamo che i detrattori di Bruckner (la cerchia di amici anti-wagneriani e simpatizzanti di Brahms, capeggiati da Eduard Hanslick) ascoltando la Terza Sinfonia vi trovarono ragioni per irriderla, nientemeno bollandola come ciarpame... Ecco, figuriamoci come avrebbero accolto la Quarta del 1874, invero macchinosa, prolissa e tematicamente povera (almeno nei due tempi finali) se mai fosse stata eseguita a quel tempo!
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Chi ha disertato ieri l’Auditorium si è davvero perso una cosa grande; chè tale è stata la prestazione di Flor: impeccabile e quasi maniacale la sua aderenza alla lettera e allo spirito dell’opera, sfrondata da ogni facile enfasi e retorica; e dell’intera orchestra (schierata con i violini secondi al proscenio) che ha sciorinato un’ammirevole compattezza e bellezza di suono in tutte le sezioni (alla fine Flor ha fatto alzare separatamente le viole, protagoniste dell’Andante e non solo, e i quattro moschettieri ai corni).

Chi invece era in sala ha accolto l’esecuzione con grande calore, dispensando applausi a tutti e a ciascuno. Queste sono serate che fanno bene alla salute!

29 novembre, 2017

Jansons e i bavaresi incantano la Scala con Bruckner

 

Ieri sera la Scala (concerto in memoria di Umberto Veronesi e a sostegno della sua Fondazione contro il cancro) ha ospitato la mitica Orchestra della Radio bavarese, guidata da colui che ne è da quasi 15 anni non solo l’alfiere, ma quasi un padre: Mariss Jansons.

In programma la sterminata Ottava di Anton Bruckner (versione 1890) che il 74enne Maestro lettone ha diretto per la prima volta con la sua orchestra pochi giorni fa a Monaco (qui una entusiastica recensione di quel concerto).

Dedicata all’Imperatore Franz Joseph (che si vuole compaia a cavallo nel Finale... mentre la successiva ed incompiuta Nona avrà come dedicatario nientemeno che... il buon Dio!) questa penultima sinfonia è un’ennesima (perchè tali sono tutte le altre) ardita costruzione architettonica, una di quelle cattedrali barocche tanto care al sempliciotto organista di SanktFlorian (precisamente il luogo dove lui è sepolto e dove Karajan si esibisce qui con i viennesi.) Sinfonia sulla cui struttura e contenuto ho scritto alcune note anni fa, in occasione di un concerto de laVerdi con Flor.

Prima dell’inizio, doveroso richiamo al nobile fine cui è devoluto l’incasso del concerto: lo fa Paolo Veronesi, figlio e continuatore dell’opera paterna. Meno doveroso, anche se ha a che fare in qualche modo (!) con la musica, l’intervento dell’altro rampollo del grande Umberto, tale Alberto, che ci viene a raccontare di aver convinto suo padre ad apprezzare Puccini e Mahler, che l’illustre genitore considerava troppo sentimentali. Evabbè...

In via Verdi erano parcheggiati un tir e un camion&rimorchio dei radiofonici bavaresi (reduci da Vienna) roba di lusso, che evidentemente loro si possono permettere: forse perchè... se li meritano, almeno a giudicare da ciò che si è udito ier sera. Jansons li ha schierati in configurazione rigorosamente alto-tedesca, con violini secondi al proscenio, bassi a sinistra e corni a destra. A proposito dei quali, agli otto di ordinanza (4 prendono alla bisogna le tubette wagneriane) si è aggiunto significativamente il primo corno scaligero, Danilo Stagni, che ha preso posto proprio a fianco del pari-grado bavarese: per lui dev’essere stata, immagino, una bella soddisfazione suonare a fianco di cotanti colleghi e di cotal Direttore.

E Jansons, con il suo gesto ampio che sembra voler abbracciare l’immensa compagine dei suoi Musikanten non ha tradito le aspettative, con una lettura invero magistrale di questo monumento di suoni. Difficile fare graduatorie dei momenti più coinvolgenti, poichè tutto, da primo all’ultimo degli 80 minuti, è stato di una straordinaria bellezza, creata dalla purezza del suono di questa orchestra che merita in pieno la sua fama. Ricorderò solo a mo’ di esempio l’Adagio, con i poderosi interventi degli archi, i nobili passaggi delle tubette e soprattutto la stupefacente cadenza finale di violini e ottoni.

Alla fine pareva di esser tornati ai tempi della Callas e della Tebaldi: pioggia di fiori sull’orchestra e addirittura nuvole di coriandoloni sberluscenti (quelli con cui si festeggiano le vittorie nello sport). Insomma, un trionfo come pochi è dato vedere oggigiorno in teatro. Cose che ti riconciliano con la vita.