Ieri sera la Scala (concerto
in memoria di Umberto Veronesi e a
sostegno della sua Fondazione contro il cancro) ha ospitato la mitica Orchestra della Radio bavarese, guidata
da colui che ne è da quasi 15 anni non solo l’alfiere, ma quasi un padre: Mariss Jansons.
In programma la sterminata Ottava
di Anton Bruckner (versione 1890) che
il 74enne Maestro lettone ha diretto per la prima volta con la sua orchestra
pochi giorni fa a Monaco (qui una entusiastica
recensione di quel concerto).
Dedicata all’Imperatore Franz Joseph (che si vuole compaia
a cavallo nel Finale... mentre la successiva ed incompiuta Nona avrà come dedicatario nientemeno che... il buon Dio!) questa penultima sinfonia è un’ennesima (perchè tali
sono tutte le altre) ardita costruzione
architettonica, una di quelle cattedrali barocche tanto care al sempliciotto
organista di SanktFlorian
(precisamente il luogo dove lui è sepolto e dove Karajan si esibisce qui
con i viennesi.) Sinfonia sulla cui struttura e contenuto ho scritto alcune
note anni fa, in occasione di un concerto de laVerdi con Flor.
Prima dell’inizio, doveroso
richiamo al nobile fine cui è devoluto l’incasso del concerto: lo fa Paolo Veronesi, figlio e continuatore
dell’opera paterna. Meno doveroso, anche se ha a che fare in qualche modo (!) con
la musica, l’intervento dell’altro rampollo del grande Umberto, tale Alberto,
che ci viene a raccontare di aver convinto suo padre ad apprezzare Puccini e
Mahler, che l’illustre genitore considerava troppo
sentimentali. Evabbè...
In via Verdi erano parcheggiati un tir
e un camion&rimorchio dei
radiofonici bavaresi (reduci da Vienna) roba di lusso, che evidentemente loro
si possono permettere: forse perchè... se li meritano, almeno a giudicare da
ciò che si è udito ier sera. Jansons li ha schierati in configurazione
rigorosamente alto-tedesca, con violini secondi al proscenio, bassi a sinistra
e corni a destra. A proposito dei quali, agli otto di ordinanza (4 prendono
alla bisogna le tubette wagneriane)
si è aggiunto significativamente il primo corno scaligero, Danilo Stagni, che ha preso posto proprio a fianco del pari-grado
bavarese: per lui dev’essere stata, immagino, una bella soddisfazione suonare a
fianco di cotanti colleghi e di cotal Direttore.
E Jansons, con il suo gesto ampio che
sembra voler abbracciare l’immensa compagine dei suoi Musikanten non ha tradito le aspettative, con una lettura invero magistrale
di questo monumento di suoni. Difficile fare graduatorie dei momenti più
coinvolgenti, poichè tutto, da primo all’ultimo degli 80 minuti, è stato di una
straordinaria bellezza, creata dalla purezza del suono di questa orchestra che
merita in pieno la sua fama. Ricorderò solo a mo’ di esempio l’Adagio, con i poderosi interventi degli
archi, i nobili passaggi delle tubette e soprattutto la stupefacente cadenza
finale di violini e ottoni.
Alla fine pareva di esser tornati ai
tempi della Callas e della Tebaldi: pioggia di fiori sull’orchestra e
addirittura nuvole di coriandoloni sberluscenti (quelli con cui si festeggiano
le vittorie nello sport). Insomma, un trionfo come pochi è dato vedere
oggigiorno in teatro. Cose che ti riconciliano con la vita.
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