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29 novembre, 2017

Jansons e i bavaresi incantano la Scala con Bruckner

 

Ieri sera la Scala (concerto in memoria di Umberto Veronesi e a sostegno della sua Fondazione contro il cancro) ha ospitato la mitica Orchestra della Radio bavarese, guidata da colui che ne è da quasi 15 anni non solo l’alfiere, ma quasi un padre: Mariss Jansons.

In programma la sterminata Ottava di Anton Bruckner (versione 1890) che il 74enne Maestro lettone ha diretto per la prima volta con la sua orchestra pochi giorni fa a Monaco (qui una entusiastica recensione di quel concerto).

Dedicata all’Imperatore Franz Joseph (che si vuole compaia a cavallo nel Finale... mentre la successiva ed incompiuta Nona avrà come dedicatario nientemeno che... il buon Dio!) questa penultima sinfonia è un’ennesima (perchè tali sono tutte le altre) ardita costruzione architettonica, una di quelle cattedrali barocche tanto care al sempliciotto organista di SanktFlorian (precisamente il luogo dove lui è sepolto e dove Karajan si esibisce qui con i viennesi.) Sinfonia sulla cui struttura e contenuto ho scritto alcune note anni fa, in occasione di un concerto de laVerdi con Flor.

Prima dell’inizio, doveroso richiamo al nobile fine cui è devoluto l’incasso del concerto: lo fa Paolo Veronesi, figlio e continuatore dell’opera paterna. Meno doveroso, anche se ha a che fare in qualche modo (!) con la musica, l’intervento dell’altro rampollo del grande Umberto, tale Alberto, che ci viene a raccontare di aver convinto suo padre ad apprezzare Puccini e Mahler, che l’illustre genitore considerava troppo sentimentali. Evabbè...

In via Verdi erano parcheggiati un tir e un camion&rimorchio dei radiofonici bavaresi (reduci da Vienna) roba di lusso, che evidentemente loro si possono permettere: forse perchè... se li meritano, almeno a giudicare da ciò che si è udito ier sera. Jansons li ha schierati in configurazione rigorosamente alto-tedesca, con violini secondi al proscenio, bassi a sinistra e corni a destra. A proposito dei quali, agli otto di ordinanza (4 prendono alla bisogna le tubette wagneriane) si è aggiunto significativamente il primo corno scaligero, Danilo Stagni, che ha preso posto proprio a fianco del pari-grado bavarese: per lui dev’essere stata, immagino, una bella soddisfazione suonare a fianco di cotanti colleghi e di cotal Direttore.

E Jansons, con il suo gesto ampio che sembra voler abbracciare l’immensa compagine dei suoi Musikanten non ha tradito le aspettative, con una lettura invero magistrale di questo monumento di suoni. Difficile fare graduatorie dei momenti più coinvolgenti, poichè tutto, da primo all’ultimo degli 80 minuti, è stato di una straordinaria bellezza, creata dalla purezza del suono di questa orchestra che merita in pieno la sua fama. Ricorderò solo a mo’ di esempio l’Adagio, con i poderosi interventi degli archi, i nobili passaggi delle tubette e soprattutto la stupefacente cadenza finale di violini e ottoni.

Alla fine pareva di esser tornati ai tempi della Callas e della Tebaldi: pioggia di fiori sull’orchestra e addirittura nuvole di coriandoloni sberluscenti (quelli con cui si festeggiano le vittorie nello sport). Insomma, un trionfo come pochi è dato vedere oggigiorno in teatro. Cose che ti riconciliano con la vita.

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