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consulta e zecche rosse

30 novembre, 2017

En attendant Chénier


Si avvicina ormai a grandi passi (e minacciosamente...) l’appuntamento che (quasi) tutto il mondo sta attendendo con ansiosa trepidazione fin dallo scorso 8 dicembre: un nuovo 7 dicembre (!) Naturalmente tutti gli occhi saranno puntati su Maddalena Netrebko, mentre le orecchie passeranno al micro(steto)scopio la voce del di lei maritino, sospettato dai soliti malpensanti di essere capitato lì solo in forza del sacrosanto e universale diritto al ricongiungimento familiare...

In attesa dell’evento gli inguaribili perditempo come il sottoscritto si esercitano (con la scusa di un ripasso della lezione) a cazzeggiare su questo o quell’aspetto del testo e della musica che allieteranno (si spera, stante la montagna di euri investita nell’operazione) il pomeriggio di SantAmbrogio e poi le meno effimere (sempre si spera) sette serate successive, fin quasi alla Befana.

Comincio con il plot messo in piedi dal buon Luigi Illica. Sul fatto che si tratti di soggetto verista sono in molti ad avanzare dubbi: perchè la vicenda sentimentale (il classico triangolo tenore-soprano-baritono) non è ambientata in qualche remoto villaggio del sud del mondo, in prosaici scenari di stampo popolaresco, ma precisamente dalle parti di Parigi, e in un periodo storico segnato da grandi eventi socio-politici, insomma qualcosa che assomiglia più ad Aida (il finale, poi...) che a Cavalleria! E i protagonisti non paiono proprio sanguigni esemplari di figli del popolo, che esternano passioni forti e incontrollate, ma al contrario lui è un nobil poeta, mite e visionario, e lei una ragazza non solo di famiglia nobile, ma pure colta, sensibile e idealista, in una parola: gente romantica. Ecco, forse il solo Gérard presenta – per sua estrazione sociale, ahilui – qualche tratto di verismo.

Ma ora passo ad occuparmi di quella che a prima vista parrebbe essere una gratuita forzatura riscontrabile nel testo di Illica. Domandandomi la ragione della presenza in scena di un Incredibile e di una frotta di Meravigliose (Inc’oyables et Me’veilleuses, secondo la pronuncia degli anti-giacobini, che avevano abolito la r-come-rivoluzione). Personaggi che nell’opera hanno la funzione di perseguitare il povero Chénier: il primo cercando le prove (proteggere una nobile) del suo tradimento della rivoluzione, le seconde – involontariamente, ma tramite gli inequivocabili riferimenti che ne fa Roucher – distruggendo provvisoriamente la visione angelicata che il protagonista si era fatto della misteriosa donna che lo inseguiva con le sue missive. La presenza di quei bizzarri personaggi è però del tutto incoerente con il resto della vicenda (a basi storiche) narrata da Illica e musicata da Giordano.

Incroyables (o Muscadins) et Merveilleuses furono in realtà due movimenti di costume (potremmo dire: due mode) nati all’interno della ricca borghesia, del ceto dei boiardi pubblici e della pur decaduta nobiltà parassitaria (insomma: tutti figli-di-papà o... figli-dei-fiori ante-litteram) che mettevano al centro delle loro esistenze il puro esibizionismo: i maschi attraverso abbigliamenti bizzarri ed appariscenti (più una nodosa clava – chiamata simpaticamente constitution o potere esecutivo - da impiegare in caso di... discussioni); le femmine con altre forme di esibizionismo, del corpo tipicamente, ricoperto da vestimenti pseudo-antica-grecia o simili, roba spesso trasparente e al limite dell’oscenità-in-luogo pubblico (Illica ne deduce conclusioni drastiche quanto eccessive: eran tutte prostitute!)

Orbene, va detto che queste mode esplosero soltanto (anche se subito) dopo la defenestrazione di Robespierre, e proprio in reazione alla di lui (ehm) severità (ghigliottina per chi si vestiva in modo stravagante) e quindi soltanto dopo la fase storica che fa da sfondo all’opera. Che oltretutto ci presenta l’Incredibile nelle vesti di una spia – che deve incastrare due nobili illuminati, Chénier e Maddalena - al servizio di Gérard, fedelissimo di Robespierre: cosa del tutto inverosimile, per quanto si è detto, ai tempi del famigerato (ma forse ben meritato) Terrore. Saranno proprio i padri degli Incredibili e delle Meravigliose a separare Robespierre dal potere (e la testa dal suo collo) per imporre – col loro Direttorio - un altro tipo di terrore (bianco) contro le classi proletarie, serbatoio indispensabile per i loro lauti profitti con cui si foraggiò anche l’esibizionismo di quella prole di gaudenti!

E allora, torniamo a chiederci: perchè introdurre surrettiziamente in un soggetto che ha uno sfondo storico ben preciso e per protagonista un personaggio realmente esistito, elementi estranei e incoerenti con lo stesso scenario del dramma? Elementi oltretutto (e ovviamente) assenti anche nelle opere (vedi Méry) che lo stesso Illica cita esplicitamente come riferimenti per il suo testo?  

Ognuno può dare le sue spiegazioni... e di sicuro una plausibile riguarda l’opportunità drammaturgica di tale scelta. Ma io ne azzardo anche un’altra che ha a che fare con la posizione, diciamo così, politico-ideologica del librettista (principalmente, ma forse anche del compositore). Se guardiamo la sequenza dei fatti e la presenza dei personaggi nel libretto, cosa possiamo stabilire? Che si parte da una situazione di profonda e cronica ingiustizia sociale (il primo atto, 1789) per approdare ad un’altra (1794) che è caratterizzzata – pur in un assetto socio-politico opposto al precedente – da altrettanta ingiustizia (alla faccia del tricolore e dei tre sostantivi che rappresenta). Ebbene, nel second’atto Illica, mostrandoci anzitempo (e fuori tempo) Incredibili&Meravigliose (per denigrarli: spie e puttane) intende mostrarci anche ciò che verrà dopo il Terrore (cioè precisamente subito dopo il sacrificio di Chénier e Maddalena, che precede di pochi giorni la ghigliottina per Robespierre): una nuova forma - magari più subdola perchè ammantata di futili libertà - di terrore, dove nuove classi andate al potere sottometteranno altre classi per perpetuarne lo sfruttamento. 

In sostanza, qual’è il messaggio che Illica ci vuol trasmettere? Di totale presa di distanza non solo dal potere assoluto pre-rivoluzione e dal potere terroristico di Robespierre, ma anche da ciò che venne dopo, in reazione alle degenerazioni giacobine. E siccome da quel dopo era nato il presente in cui Illica viveva, ecco che Chénier diventa l’occasione per prendere le distanze anche dall’establishment contemporaneo, il che è in perfetta coerenza con le idee politiche e i conseguenti comportamenti del librettista.

Alla fine ciò che emerge alla catastrofe è Chénier-Illica, il poeta, l’artista, il visionario, l’utopista, che è però anche il vero patriota:

Fui letterato,
ho fatto di mia penna arma feroce
contro gli ipocriti!
Colla mia voce
         ho cantato la patria!

2 commenti:

Unknown ha detto...

It is terrible, I only can read with confidence French, German, and English. I will have to struggle to understand this text, which clearly is very important.
Thank you for the good scholarly work!!

Cynthia Chase

daland ha detto...

@Cynthia
Tank you for your nice appreciation!
Unfortunately I have no time to translate my posts in different languages...
Cheers!