Largo Mahler ha ospitato ieri una delle tappe (anzi l’ultima,
che si replica domenica) della rassegna Milano
Musica, dedicata come sappiamo a Salvatore
Sciarrino. Del quale era in programma la prima esecuzione italiana del Libro notturno delle voci, una specie di
eterodosso Concerto per flauto dedicato
all’esecutore di oggi, Mario Caroli (speriamo
il flauto non si offenda, e nemmeno il concerto...) del 2009.
1. In val d'abisso
2. Fauci dell'emozione
3. Mario Caroli e l'iridescenza di un Re
Sciarrino
si è specializzato nel riprodurre in musica qualunque tipo di suono(/rumore) in
ciò prendendo spunto dalla filosofia di Mahler (a proposito dei suoi Naturlaute) ma portandola all’estremo.
Così non ascoltiamo più i classici cuculi, o le melodie stiracchiate di un
violino di strada, o i campanacci di vacca su un alpeggio... ma arrivano alle
nostre orecchie muggir di buoi, latrar di cani o miagolar di felini in calore,
per citare solo qualche esempio. Poi ci sono anche sirene antifurto, porte
metalliche di vecchi ascensori che sbattono, sinistri cigolìi, sgocciolar di
rubinetti guasti... tutti suoni che rompono il silenzio notturno, ci pare di
udirli nel dormiveglia, ritmato dal respiro affannoso di due violoncelli.
PS: Caroli deve avere comunque un buon rapporto con il suo flauto: per farsi perdonare di averlo bistrattato a quel modo, ha concesso un bis dove lo strumento è stato impiegato precisamente per lo scopo per il quale fu inventato: emettere suoni e non rumori (!)
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La
serata era stata aperta (come da prassi che vuole che, in presenza di un brano moderno, gli si anteponga uno di tradizione, per in qualche modo obbligare
il pubblico a sorbirsi il moderno...) da Ravel,
con la sua Valse, ovviamente in versione
orchestrale. Si tratta di un grottesco sberleffo alla
Vienna presuntuosa e godereccia di metà ‘800, dove sentiamo raffinate atmosfere
impressioniste intercalate a volgarità da fetida balera… Però il tutto è sempre un piacere per l’ascolto, e qui
difficilmente si pone il problema di come reagire di fronte a ciò che arriva
alle nostre orecchie. Va da sè che i ragazzi (e Angius ovviamente) han dato il
loro fattivo contributo alla riuscita dell’impresa..
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Dopo la pausa ecco Debussy, con in suoi tre Nocturnes, una particolare variante
di musica-a-programma.
Nuages, lo dice il titolo, evoca un incessante passare di nuvole sopra la
Senna, precisamente presso il ponte di Solférino, ma qui l’indicazione è tanto
minuziosa quanto ininfluente sul contenuto musicale, che mai pretende
l’impossibile (la descrizione di un fenomeno naturale) bensì
esprime in modo mirabile l’impressione provata da chi osserva il
muoversi delle nuvole, sempre diverso, ma allo stesso tempo sempre uguale a se
stesso. Chissà se quella specie di Dies
Irae esposto da clarinetti e fagotti è un riferimento voluto o casuale...
In Fêtes Debussy
si ispira poeticamente ad una serata al Bois de Boulogne,
evocandone però non tanto le prosaiche manifestazioni (tarantelle, marce della
Guardia repubblicana, fanfare che arrivano da lontano, passano e si perdono) ma
le sensazioni (meglio… le impressioni) che esse provocano nel suo
animo, e sono queste che il compositore ci vuol trasmettere con i suoi suoni.
Sirènes si riallaccia in quache
modo a Sciarrino, che ha trattato il mito di Orfeo più volte, non ultima la sua
recente opera data in prima mondiale
alla Scala. In più, è davvero raro ascoltare questo brano in sala da concerto,
poichè richiede tassativamente la presenza di un coro femminile (che fa solo
vocalizzi peraltro): così è un merito de laVerdi
(che un coro, e coi fiocchi, ce l’ha) averci fatto questo bel regalo. Per la
cronaca Angius ha schierato le signore di Erina
Gambarini proprio in mezzo all’orchestra, scelta appropriata data la natura
degli interventi canori.
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Ha
chiuso la serata un ennesimo bolerodisciarrinoravel, che
il tamburino militare del solito Ivan
Fossati (rimastosene stavolta in piccionaia fra i colleghi percussionisti,
invece di accomodarsi davanti al Direttore, come fa di solito) ha scandito
imperterrito, dalla prima all’ultima battuta. Anche questa è musica discutibile
e persino offensiva nella sua struttura, eppure - chissà mai perchè? - la si
ascolta sempre con gran trasporto e alla fine la sala addirittura trema sotto
lo scrosciare degli applausi.
Ma ora vedo profilarsi minacciosa
all’orizzonte un’affilatissima ghigliottina...
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