Tempo addietro si usava l’espressione andare in super-allenamento per
descrivere ciò che accadeva ad atleti che, esagerando con i ritmi di
preparazione fisica, finivano per compromettere poi le loro prestazioni,
anzichè migliorarle.
Ecco, dopo aver visto (in TV, per ora) il risultato,
mi sentirei di usare questa espressione per descrivere ciò che dev’esser successo
a Damiano Michieletto nella
preparazione di questa gara messinscena della berlioziana Damnation che ieri ha aperto la
stagione all’Opera di Roma.
Se si volesse censire, catalogare, descrivere,
commentare e criticare tutta la montagna di idee, di trovate, di intuizioni e
di stranezze di cui il regista ha infarcito il suo spettacolo si riempirebbe
una Treccani! Sì, perchè, se è vero
come è vero che Berlioz si prese, rispetto a Goethe, mille libertà, allora
Michieletto, rispetto a Berlioz, se ne è prese un milione. Ottenendo il
risultato di dar piena ragione a chi (Berlioz per primo) ha sempre ritenuto e
ritiene che la Damnation sia opera per
l’orecchio e non per l’occhio.
E devo dire che (pur con le cautele da usare a fronte di un ascolto non
dal vivo) Daniele Gatti – insieme al cast, ovviamente - l‘orecchio (per lo
meno il mio) lo ha pienamente gratificato.
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