RAI1 ogni tanto ne combina una giusta, a
livello di programmazione, e anche quest’anno ci ha permesso di godere la prima di SantAmbrogio senza dover
chiedere prestiti in banca per potervi assistere dal vivo. Sulla qualità delle
riprese (audio e video) mi pare che qualcosa sia migliorato rispetto al passato
(sui conduttori un po’ meno...)
Detto ciò – e rimandando all’audizione
dal vivo i giudizi su cantanti e suonatori – è possibile commentare per ora la
messinscena che (pur con il filtro della regìa televisiva) penso si possa
valutare anche senza andare materialmente a teatro.
Partiamo da un fatto abbastanza scontato:
un soggetto come questo, per mille ragioni, è praticamente impossibile da
ri-ambientare (o ri-concettualizzare) sia a livello spazio-temporale, che a
livello di relazioni fra i personaggi. Sostituire a Chénier ghigliottinato dal terrore di Roberspierre, per dire, un Mejerchol'd fucilato dal terrore di Stalin (solo
perchè a noi un po’ più vicino) farebbe semplicemente ridere. Così come
trasformare la lotta politica fra giacobini
e girondini in una guerra fra moderne
cosche mafioso-camorristiche (corleonesi vs casalesi). O anche ambientare il
classico triangolo amoroso in un paesino siciliano, scimmiottando la Cavalleria...
E quindi il buon Martone – che con i suoi Oberto
e Beffe scaligeri si era preso
libertà per me eccessive - ha dovuto fare buon viso e restare allo scenario
originale, cosa che di per sè farà magari venire l’orticaria a qualcuno che non
può soffrire i musei, ma peggio per quel
qualcuno. A me l’allestimento – che ha fatto tesoro delle minuziose ed
efficacissime didascalide di Illica -
non è per nulla spiaciuto e vi ho ritrovato tutto ciò che ci si può aspettare
precisamente leggendo il libretto. Ed anche sbirciando la partitura – qui faccio
una piccola invasione nel campo musicale – che Chailly ha presentato proprio come Giordano la pensò e la fece
pubblicare, cioè come un continuo flusso sonoro (tipo Wagner, per intenderci) e senza soluzioni di continuità. In ciò
assecondato dalle scene girevoli della Palli,
che consentono rapidi mutamenti di quadro. Ben fatti i costumi (di
ricchi&poveri) ideati dalla Patzak
così come assai efficace l’impiego delle luci da parte di Mari. Anche il Corpo di Ballo della Schiavone ha avuto modo di distinguersi nella scenetta delle Pastorelle.
I tre protagonisti hanno mostrato diverse
qualità, diciamo così, attoriali: Salsi
è stato decisamente quello che (mi) ha convinto di più, anche perchè il suo è
un ruolo così poliedrico e sanguigno (veramente... verista) che di per sè si
presta (se il cantante non è proprio una cariatide) a grandi effetti scenici e
drammatici. Eyvazov ha un fisico da
armadio (il futuro è da Pavarotti, a parte la voce...) che non pare proprio il
più confacente a quello dello smilzo poeta
francese, e per di più – per non correre troppi rischi sul piano musicale – canta
quasi sempre volgendo lo sguardo al Direttore, con grave danno alla scioltezza
di movimenti e di espressioni. Ma peggio ha fatto la signora Eyvazov (haha!!) che ha proprio cantato
come una bambolotta (dal faccione purtroppo gonfiatosi pericolosamente in
questi ultimi tempi) piuttosto rigida e quasi priva di reazioni proprie.
Più sciolti gli altri comprimari, dei
quali citerò la Stroppa, Sagona e Bosi per tutti. Ben guidati dal regista i
movimenti delle masse, esemplare al proposito la scena del processo.
Per ora è quanto basta, in attesa di mettere il dito.
Nessun commento:
Posta un commento