XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta kasper holten. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta kasper holten. Mostra tutti i post

11 dicembre, 2022

Scala: il Boris live.

Scala non proprio esaurita per questa prima recita vera del Boris Godunov, il che pare confermare che il gigantesco sforzo mediatico-mondano del SantAmbrogio non basta da solo a fare moltitudini di proseliti per il teatro musicale.

Liquido brevemente la parte registica, chè lo spettacolo in teatro ormai si apprezza assai meno che dalle riprese televisive, assai più ricche di dettagli e particolari di quanto non colga l’occhio che osserva da lontano e da angolazione fissa (a qualcosa, ma poco, serve un binocolo, che consente allo spettatore almeno di farsi lui i primi-piani che crede). Spettacolo godibile e frutto di sincretismo stilistico per accontentare tutti (tradizionalisti e non) che lascia il dubbio sull’efficacia del rapporto costi-benefici: appunto, fatto per illustrare il SantAmbrogio, più che il titolo in cartellone.

Il fronte musicale mi sento invece di promuoverlo (magari senza lode e bacio-in-fronte) a partire dai cori (di Malazzi e Casoni) veri protagonisti (giustamente ovazionati) della serata. Ottima l’Orchestra, capace di supportare al meglio la scena (e in questo Musorgski la cosa non è per nulla scontata, data la siderale distanza rispetto alle opere più di repertorio). Orchestra che ovviamente ha goduto dell’amorevole cura messa – come sempre, del resto – dal Direttore nell’interpretare al meglio ogni dettaglio – le dinamiche, in particolare - della difficile partitura. Ribadisco la mia personalissima perplessità soltanto riguardo l’agogica, che avrei preferito meno sostenuta: Chailly chiude a 145’ contro, ad esempio, i 130’ di Gergiev-1997 e i 126’ di Nagano-2019…  

Ildar Abdrazakov merita l’eccellenza per presenza scenica, recitazione e capacità di esternare tutta la varietà di sentimenti e angosce che contraddistinguono il personaggio: qualcuno gli imputa la voce più baritonale che da basso profondo, ma non è detto che il Boris più moderno sia ancora quello di Scialiapin! I due monologhi, in particolare, sono proprio da manuale dell’interpretazione, oltre che di espressività del canto. Strameritato quindi il suo trionfo.

Ain Anger è un Pimen che dal vivo ha quasi del tutto riscattato le perplessità che mi aveva lasciato l’ascolto tv: forse la voce sarà un filino usurata, ma in teatro fa ancora una gran figura.

Sicuro e tronfio il Varlaam di Stanislav Trofimov, autorevole interprete della sua truce ballata al confine lituano, inneggiante Ivan il Terribile.

Bella figura ha fatto anche Dmitry Golovnin, calatosi apprezzabilmente nella parte del… suo falso: certo per lui sarebbe ben altro impegno cantare il Boris-2!

Efficace anche l’altro tenore, Yaroslav Abaimov, nella parte dello Yurodivi, piccola ma estremamente significativa nell’economia del dramma.   

Alexei Markov è stato un passabile Scelkalov, mentre devo ritirare in parte il giudizio positivo su Norbert Ernst (Šujskij) che dal vivo ha mostrato evidenti limiti vocali.

Delle tre parti femminili quella più rilevante è la Xenia di Anna Denisova, che ha sfoggiato voce ben impostata e passante, e un portamento consono a quello della giovine in pena per il lutto che l’ha colpita. Han fatto il loro dovere l’ostessa Maria Barakova e la nutrice Agnieszka Rehlis (anche per loro vale il discorso fatto per Grigori-Dimitri).

Il piccolo Feodor è stato ben impersonato – en-travesti - da Lilly Jørstad.

Oneste le prestazioni degli altri quattro comprimari.

Alla fine, successo pieno e indiscusso per tutti.

07 dicembre, 2022

SantAmbrogio: il Boris in TV.

Beh, è già qualcosa aver constatato – in corpore vili – che ciò che viene presentato è effettivamente il Boris-1 del 1869 (ovviamente nell’ipotesi di dar credito a due studiosi seri come Lamm e Lloyd-Jones) e non un libero collage di pezzi del meccano-Boris, tipico passatempo di svariati direttori e registi in cerca di facile quanto caduca notorietà. (Alle mie orecchie grida tuttora vendetta la scellerata produzione del Regio di Torino del 2010, targata Noseda-Konchalovsky, tanto per dire…)  

Sulla prestazione sonora mi astengo dal dare giudizi inappellabili, date le circostanze (la ripresa non mi è parsa impeccabile, ecco). Abdrazakov ha riscosso un prevedibile trionfo, per la fama che gode anche qui in Scala e per l’oggettiva autorevolezza con la quale si è calato nel ruolo. Buona impressione, salvo verifiche dal vivo, per Norbert Ernst (Šujskij) e Stanislav Trofimov (Varlaam). Ovviamente da apprezzare i cori, se non altro perché avran dovuto sudare per via della lingua.

Chailly mi è parso un filino troppo sostenuto con i tempi, ma è questione di gusti. Orchestra apparentemente in buona salute, ma da giudicare dal vivo.  
___

Quel furbacchione di Kasper Holten si è inventato un approccio originale alla messinscena: né quello iper-tradizionalista e talebanamente rispettoso della lettera dell’opera (1598-1605); né quello di portarci all’epoca della creazione del lavoro (1869); né quello di ambientare la vicenda ai nostri giorni. Ecco: lui ce li ha messi tutti e tre in una volta (ad esempio coprendo con mantelli seicenteschi giacche e cravatte moderne…) Sperando così di accontentare un po’ tutti i gusti (o di non scontentarne alcuno). Certo: si può intuire che questa compresenza di costumi (anche di suppellettili, per la verità…) di epoche diverse stia a significare che usanze (e prepotenze!) umane non tramontano mai (della serie Putin=Stalin=Nicola=Pietro=Boris=Ivan=…)

Da vecchio responsabile dell’opera alla ROH, Holten si è anche permesso (senza pagarne i diritti?) di scopiazzare dalla produzione di Richard Jones del 2016 il vecchio Pimen che dipinge le sue storie a mo’ di affresco su una parete bianca. Ha invece fatto un doveroso omaggio all’Autore mostrando, mentre si ascolta la breve introduzione strumentale, gli ottusi critici del Marinski che strappano platealmente copie della partitura che ci viene presentata.

Per il resto regìa innocua e velleitariamente didascalica, col rischio di rendere ancor più incomprensibile l’intreccio, vedi la costante presenza del piccolo Dimitri coperto di sangue o la riproduzione per partenogenesi di personaggi nella scena finale. Nella quale riappare il simpatico Grigori-Dimitri per assistere con sprezzante sogghigno alla morte (mica naturale, ma per mano di un suo sicario!) dell’odiato zar. (Poi, se si volesse proseguire nel racconto delle vicende storiche, allora lui avrebbe poco da ridere, visto che dopo un anno verrà letteralmente fatto a fettine, poi impastate in polvere da sparo, da quelli stessi che si erano serviti di lui per combattere Boris…)   

All-in-all: una produzione che – personalmente – avrei collocato (tipo Chovanščina) a febbraio…  
___

Curiosità: Il sogno di Grigori 1872-1869

                   Gergiev – 1977                                            Nagano - 2019

04 dicembre, 2022

Oggi è in arrivo a Milano Бори́с Фёдорович Годуно́в

Questa sera i diversamente anziani terranno a battesimo il contestato Boris Godunov, fatto oggetto settimane fa dell’operazione-culturale-speciale di Kyiv, fortunatamente sventata sul nascere dagli eroici resistenti scaligeri.

Poi ci sarà la kermesse di SantAmbrogio e, dal 10, si comincerà a… fare sul serio. Quindi prepariamoci a dovere, cercando intanto di chiarirci su che cosa andremo a vedere e ascoltare.

Sì, perchè è facile dire Boris Godunov, ma è come dire formaggio-grana: ma sarà grana-padano o parmigiano-reggiano? O per caso una mescolanza dei due, ottenuta in laboratorio dalle abili mani di qualcuno che – magari in perfetta buona fede – pretende di migliorare le innate qualità dei due prodotti originali? 

La domanda non ha come scopo di stilare la classifica fra i famosi prodotti (genuini o manipolati) delle nostre premiate e ben foraggiate vacche (ciascuno ha il diritto di stilarne una sua propria…) ma semplicemente di sapere in anticipo – per approfondirne i contenuti allo scopo di goderne al meglio - quale delle leccornie ci apprestiamo ad assaporare, avendo ciascuna di esse (naturali o manipolate che siano) caratteristiche peculiari e inconfondibili.

In sostanza: in circolazione – escludendo elaborazioni più o meno cervellotiche di sedicenti addetti-ai-lavori – troviamo tre diverse versioni dell’opera: due di propria mano di Musorsgki (chiamiamole Boris-1 e Boris-2, rispettivamente datate 1869 e 1872) e una terza, ottenuta dalla rielaborazione del Boris-2, di Rimski-Korsakov (perfezionata nel 1908). Per gran parte del ‘900 è stata proprio la versione-Rimski l’unica ad essere rappresentata, in attesa che qualche solerte studioso riportasse alla luce le due versioni originali dell’Autore. (Un mio modesto contributo a chi voglia raccapezzarsi nel ginepraio delle versioni e delle loro differenti impostazioni è leggibile qui.)

Nel 2002 - precedente presenza dell’opera alla Scala (all’Arcimboldi, per la verità) - fu presentato l’allestimento del Mariinski, diretto da quel pericoloso putiniano che risponde al nome di Valery Gergiev, allora reduce dall’aver messo per primo sul mercato le due versioni originali (1869-1872) del formaggio-grana Boris, ricostruite a partire dalle edizioni critiche di Lamm (1929) e Lloyd-Jones (1975).

E, come allora, anche oggi è la prima versione dell’opera (Boris-1, del 1869) ad essere rappresentata, a cura della premiata coppia Chailly-Holten. A chi vuol apprezzare entrambe le versioni dirette da Gergiev senza spendere un centesimo basterà entrare in rete e mettersi comodo. E sempre in rete si trovano diverse registrazioni della versione spuria di Rimski.

Dato però che anche il Boris-1 di Gergiev presenta qualche deviazione rispetto all’originale di Musorsgki, consiglio ai puristi questa edizione svedese (diretta da Kent Nagano) che mi pare del tutto fedele alla lettera, oltre che allo spirito, dell’originale.  
___

Questa immagine, invero assai cruda, che accompagna la locandina dello spettacolo e sta facendo un certo scalpore, ritrae il piccolo Dimitri, fatto uccidere per sgozzamento da Boris – così lo storico Karamzin cui si ispirò, via Puškin, Musorgski - alla tenera età di 7 anni, allo scopo di toglier di mezzo un potenziale concorrente nella corsa al trono.

È precisamente il personaggio invisibile (ma che il regista renderà visibilissimo, a scanso di equivoci) che occupa in permanenza la mente dello zar, fino a condurlo sulla soglia della pazzia e, in definitiva, alla morte. È proprio la tormentata figura dello zar alle prese con il governo di una realtà sociale caratterizzata da disperazione e fatalismo autodistruttivo che sta al cuore di questa prima versione del Boris. (La seconda farà invece emergere, in contrasto con l’incurabile crisi dello zar, un ruolo più consapevole e determinato del popolo russo, alla confusa ricerca di riscatto e libertà.)

Ecco, staremo a vedere e sentire, prima dalla TV e poi dal vivo.