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20 aprile, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.20

Il poliedrico Giuseppe Grazioli (attualmente trapiantato nelle… Gallie) dirige il 20° concerto della stagione 23-24 dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Concerto antologico, con 5 brani musicali in qualche modo ispirati dall’Italia (da Napoli in particolare) a musicisti nostri compatrioti, ma anche stranieri.

Pubblico per la verità abbastanza magro… ma non si può sempre fare Mahler o (solo) Ciajkovski!

La prima parte della serata vede una composizione contemporanea (proprio in prima assoluta) incastonata fra due brani ottocenteschi che più distanti non potrebbero esserle (!)

Si inizia infatti con Jules Massenet e la sua Scènes napolitaines, la quinta delle sette Suite per orchestra, composte fra il 1865 e il 1882, che si articola in tre sezioni: ecco qui un’esecuzione (di Michele Mariotti) cui si riferiscono i minutaggi esposti nel seguito:

1. La danse. Allegro, 6/8, MI minore (poi DO maggiore e MI maggiore). È un saltarello scatenato (e pure abbastanza stucchevole e ripetitivo, direi) in forma A-B-A’-B’ più breve introduzione e coda. Dopo l’introduzione sulla dominante SI, ecco la sezione A (4”) in MI minore; segue (1’21”) la sezione B in DO maggiore. Arriva ora (1’51”) la sezione A’, MI minore; e quindi (2’35”) la B’ in MI maggiore. La coda (3’05”) è ancora in MI minore.

2. La procession et l'Improvisateur. La prima sezione (3’20”) è ovviamente in tempo Lento e religioso, 3/4, tonalità SOL maggiore. Sono solo 15 battute, chiuse sulla sensibile FA#. Con un brusco scarto di tonalità (al MIb maggiore) attacca ora la seconda sezione costituita da una breve introduzione (4’45”) di 5 battute in tempo Allegro, 4/4, seguita dall’esposizione del tema principale, che sarà poi sviluppato su tre variazioni. Dapprima (4’56”) ecco l’Andantino quasi Allegretto di 25 battute in tempo di siciliana (6/8). Segue (5’52”) la prima variazione, nel medesimo tempo, ma assai più mossa dagli svolazzi di semicrome dei legni. La seconda variazione (6’49”) è in tempo 12/16, Un po’ ritenuto, e si muove negli archi per ondeggiamenti su un ritmo puntato. Infine (7’53”) ecco la terza variazione, in tempo 6/8, Allegro animato: è l’intera orchestra a ripresentare il tema con grande sfarzo e smaglianti colori.

3. La fête. Allegro, 4/4, DO maggiore. Si apre (8’24”) con rintocchi di campana, sul SI, poi gli archi e ancora i legni preparano adeguatamente - in atmosfera di dominante - il terreno per l’arrivo (8’58”) del brillante tema che si sviluppa con brevi divagazioni a REb e RE maggiore, per poi (12’12”, alla breve, Più mosso poco a poco) chiudere orgiasticamente l’opera.
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È ora la volta (come nel precedente concerto) di una prima assoluta: si tratta di un’opera commissionata dalla Fondazione al 73enne architetto (!) Alessandro Melchiorre, dal titolo Microliti, che impegna anche due voci: di soprano (Joo Cho) e di basso-baritono (Nicolas Isherwood). 

Il titolo (che si rifà materialmente a piccoli frammenti preistorici di selce) in realtà è quello di una collana poetica autobiografica di Paul Celan (ebreo ukraino-rumeno sfuggito per miracolo alla Shoah) fatta di aforismi e mini-drammi, delle dimensioni dei microliti, appunto. Melchiorre ne ha musicati sette, così titolati:

1. Introduzione. Kammerkonzert-1 (baritono-soprano). In memoria dei genitori morti in campo di concentramento.

2. Marcia funebre. Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Ingeborg Bachmann a Vienna.

3. Concertante-1 (soprano). Incontro con Gisèle Lestrange (sua futura moglie) a Parigi.

4. Interludio-1. Kammerkonzert-2 (baritono-soprano). Incontro (mancato) con Adorno.

5. Interludio-2. Concertante-2 (baritono-soprano). L’amore per le poesie di Mandel’stam; brevi passaggi da Rilke.

6. Marcia funebre. Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Heidegger a Todtnauberg.

7. Kammerkonzert-3 (soprano-baritono). Vita di esule a Parigi; il Maggio francese; la Primavera di Praga.  

Come si può arguire, già il soggetto dell’opera non è dei più riposanti, per così dire; se poi aggiungiamo che il buon Melchiorre - da vecchio discepolo di Darmstadt - non ha fatto proprio nulla per addolcirci la pillola… ehm… ci siamo capiti, insomma. Atmosfere spettrali, canto spesso orientato allo Sprechgesang, insomma un piatto di digestione complicata, come minimo.
Naturalmente - e come è doveroso - il pubblico non ha lesinato applausi ad interpreti ed Autore, salito sul palco a ringraziare tutti.
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Per ripagarci del… fioretto (so che è una battuta tanto facile quanto irriverente) è seguito subito, come antidoto (!?) il celeberrimo Capriccio italiano di Ciajkovski. (Qui una mia succinta descrizione del brano.) 

Travolgente, manco a dirlo, il successo per Orchestra e Direttore.
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Dopo la pausa, di Renzo Rossellini è stata eseguita la rapsodia Canti del Golfo di Napoli, (qui, da 4’30”impiegata poi per l’omonimo balletto del 1954.  

Vi scorrono melodie popolari partenopee, su tonalità che si muovono dall’introduzione lenta in MI minore al LA minore (4’59”) e da qui a LA maggiore (6’29”) dove si ode la celebre ‘A vucchella, con le irruzioni del flauto. Subentra subito (7’38”) la tarantella, ancora in LA minore, che si sviluppa con un altro brusco passaggio (8’22”) al SOL minore. Lunga transizione su un SI tenuto e poi ecco, in MI maggiore (10’42”), la famosa Ie te vurria vasà… ripresa ancora da MI minore a maggiore (14’44”). Poi (15’21”) un rapido e ardito passaggio a FA maggiore, LAb maggiore e LA maggiore. Si torna drammaticamente (16’52”) a LA minore per l'iniziale tarantella che chiude brillantemente il brano sull’accordo di LA maggiore.
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Ha chiuso la serata la Suite romantica (1907) di Franco Alfano. Qui la recente registrazione di Grazioli proprio con laVerdi.

La Suite, che evoca sensazioni ed esperienze di due innamorati in giro per l’Italia, da Venezia a Napoli attraversando l’Appennino, è strutturata in 4 sezioni:

1. Notte adriatica. Struttura tripartita: gli estremi lenti (intimità degli innamorati a Venezia) e la sezione centrale (il carnevale) assai mossa. Scrittura che sfiora l’atonalità (vagamente richiama la Verklärte Nacht di Schönberg).

2. Echi dell’Appennino: intermezzo bucolico fra greggi e pastori. Introduzione lenta, con il corno inglese (cornamusa) in primo piano. Poi poco a poco l’atmosfera si anima e una danza in tempo ternario si fa largo, fino a sfociare in puro parossismo, a piena orchestra. Un breve passaggio in 6/8 conduce al tempo di 3/4 della sezione conclusiva, una specie di lungo sguardo su prati e vallate. Torna alla fine l’intimità dei due innamorati.   

3. Al chiostro abbandonato: parentesi d’amore in luogo sconsacrato, ma pur sempre… sacro. Introduzione lenta, primi passi in quel luogo spettrale. Poi la musica si agita poco a poco, come ad evocare gli antichi fasti del luogo, le solenni cerimonie di cui era testimone… fino all’inesorabile declino e alla rovinosa caduta. Agli amanti non resta che allontanarsi mestamente.

4. Natale campanoil viaggio dei due innamorati si conclude a Napoli, entrando direttamente nel clima festoso, che solo temporaneamente lascia spazio a qualche delicata nenia natalizia. Ma presto è la festa partenopea a riprendere il sopravvento, fino all’esilarante chiusura.
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Beh, questi brani di Rossellini e Alfano non saranno forse delle vette della musica strumentale italiana, ma lo specialista Grazioli ce le ha rese almeno godibili. Quindi, alla fine trionfo per tutti. E tutto sommato, una proposta intelligente e da apprezzare!

20 gennaio, 2020

La Risurrezione di Firenze


Eccomi quindi a riferire della seconda recita (ieri pomeriggio in un’OF ben affollata - mentre pare che così non fosse alla prima di venerdi...) dell’alfaniana Risurrezione.

L’ascolto della prima su Radio3 mi aveva positivamente impressionato: non già per la qualità della musica, che è quella che è... ma per quella degli interpreti (voci e strumenti) che mi era sembrata di buon livello. E devo dire che l’ascolto dal vivo ha confermato sostanzialmente questa impressione.

Anne Sophie Duprels è stata la regina della serata: voce abbastanza solida e corposa di soprano lirico-drammatico, ha proposto una Katiusha convincente nelle tre diverse prospettive nelle quali il personaggio si materializza: l’ingenua, spaurita ma infine voluttuosa adolescente; la spoetizzata e involgarita condannata-prigioniera; e infine la donna che trova la via della redenzione, pur non rinnegando i suoi sinceri sentimenti legati al tempo dell’ingenuità. 

Degna di apprezzamento la performance del tenore Matthew Vickers, un Dimitri a momenti spavaldo, oppure sconvolto (la rivelazione del figlio perduto) o ancora sinceramente premuroso con Caterina e leale con Simonson. La voce, che Alfano impegna spesso e volentieri nell’ardua zona di passaggio, è squillante e abbastanza ben proiettata, gli acuti sono staccati senza problemi. I duetti con Caterina sono stati fra le perle della serata.

Il catto-comunista Simonson era Leon Kim, che ha affrontato a viso aperto una parte baritonale per nulla facile, per quanto limitata al solo ultimo atto, mostrando buona intonazione e sicurezza anche nelle impervie salite al FA e al SOL cui lo chiama la partitura.

Applauditissima Romina Tomasoni, che ha incarnato la Matrena Pavlovna e (nel second’atto alla stazione) la fedele e premurosa Anna.

Francesca Di Sauro (Sofia Ivanovna) e Ana Victoria Pitts (sdoppiatasi in Korableva e Vera) hanno completato il cast dei ruoi principali con pieno merito.

Benissimo il Coro di Lorenzo Fratini, di rilievo quantitativamente non debordante, ma fondamentale, con interventi a bocca chiusa e a cappella. In più, alcune voci femminili hanno ricoperto ruoli non marginali, in particolare nel terz’atto della prigione.

Francesco Lanzillotta ormai non è più una promessa, e la sua concertazione ne è testimonianza, per accuratezza e costante ricerca del miglior equilibrio dei suoni di voci e strumenti. Poi, nei diversi passaggi puramente strumentali, il Direttore fa tesoro della lunga esperienza alla guida di Orchestre Sinfoniche.
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L’allestimento è affidato a Rosetta Cucchi, che si avvale delle scene - essenziali, ma di sicuro impatto - di Tiziano Santi e degli appropriati costumi di Claudia Pernigotti. Le luci, ideate da D.M.Wood, sono curate da Ginevra Lombardo e nella loro essenzialità ben supportano l’ambientazione ora serena, più spesso cruda, dell’opera. 

Approntata per un appuntamento irlandese, questa messinscena si fa innanzitutto apprezzare per la fedeltà rigorosa (parlo della sostanza) al testo originale: la storia che ci viene raccontata è precisamente quella che esce dal libretto di Hanau. Dopodichè la regista ci deve mettere qualcosa di suo, come l’apparizione in scena di una bimbetta che rappresenta la Caterina nella sua infanzia spensierata; oppure ambientare il carcere in cui è rinchiusa la donna in un laboratorio di cucito, con una selva di macchine Singer, la cui presenza nella Russia del 1880-90 è dubbia; o ancora mostrarci nel quarto atto i binari di una Transiberiana che era con tutta probabilità ancora di là da venire... e altre cosucce francamente innocue, ecco. Assai efficace la resa dei personaggi e delle loro interazioni. Mirabile ed emozionante, senza scadere nel banale, la scena ultima, con l’apparizione di un luminoso paesaggio agreste nel quale si incontrano la Caterina risorta e la sua piccola controfigura.
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Che dire, in definitiva? Lo spettacolo è di ottimo livello e l’accoglienza del pubblico è stata oltremodo calorosa. Insomma, un'azzardata scommessa (chè tale era e rimane) ampiamente vinta!

12 gennaio, 2020

Rarità in arrivo a Firenze: Risurrezione


Per quanto gli uomini, ammucchiati in uno stretto spazio a centinaia di migliaia, cercassero di isterilire quella terra sulla quale si stringevano; per quanto coprissero quella terra di pietre affinchè nulla più ci crescesse; per quanto estirpassero ogni stelo di erba che vi germogliava; per quanto appestassero l’aria col carbon fossile ed il petrolio; per quanto tagliassero le piante e cacciassero tutti gli animali e tutti gli uccelli; – pur tuttavia la primavera era la primavera, anche in città. Il sole riscaldava, l’erba spuntava, cresceva e verdeggiava dovunque non la strappavano, e non solo sulle zolle dei giardini pubblici, ma anche fra i ciottoli delle vie; e le betulle, i pioppi, i viscioli allargavano i loro rami e le loro foglie odorose, ed i tigli gonfiavano le loro gemme pronte a sbocciare; i corvi, i passeri ed i colombi preparavano allegramente i loro nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri delle case, riscaldati dal sole. Ed erano allegri gli uccelli, gl’insetti, e le piante, ed i bimbi. Ma gli uomini – gli uomini adulti – non cessavano dall’ingannare e dal tormentare sè stessi e gli altri. Gli uomini consideravano per savia ed importante non quella mattinata primaverile, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutti gli esseri, – quella bellezza che predisponeva alla pace, all’accordo, all’amore; ma invece solo sacro ed importante ciò che essi stessi avevano inventato per dominare gli uni sugli altri.

Greta? Francesco?

Queste parole di assoluta attualità sono l’apertura di Risurrezione di Leo Tolstoi, 1899. Da questa novella nel 1902 Henry Bataille trasse il testo di una pièce teatrale che fu vista da Franco Alfano. Il quale ne rimase tanto colpito da decidere di metterla in musica; ma le pretese eccessive del letterato francese indussero il compositore a ripiegare su una soluzione diversa: un libretto (affidato a Cesare Hanau, supportato dal drammaturgo Camillo Antona-Traversi) direttamente ispirato a Tolstoi e non a Bataille, il che spiega le non banali divergenze fra il testo del francese e quello dell’italiano.

L’OF ospiterà fra pochi giorni quattro rappresentazioni di quest’opera che ebbe un discreto successo al suo apparire, per poi... sparire o quasi dai cartelloni dei Teatri. Quando Alfano la presentò a Torino Giacomo Puccini aveva da meno di un anno sfornato la Butterfly, e certo non immaginava che una ventina d’anni dopo proprio al giovane collega partenopeo sarebbe stata affidata la sua tormentata e incompiuta Turandot per portarla... all’altare.

Il lavoro di Tolstoi ha caratteristiche piuttosto particolari, anche se non certo insolite per un’opera letteraria di quel genere: è infatti un racconto pieno di flash-back che mal si adatta al teatro (di prosa o musicale, cambia poco) e che la stessa cinematografia ha le sue belle gatte da pelare per rendere in modo efficace. Tolstoi apre il suo racconto proprio in-medias-res, in questo caso nel bel mezzo cronologico della sua storia (il processo a Caterina) metà della quale apprenderemo via via, appunto, come ricordi e riferimenti al passato, e l’altra metà come descrizione di eventi successivi, fino alla catartica conclusione. La pièce di Bataille e il libretto di Alfano-Hanau seguono invece un percorso rettilineo, che parte dall’evento scatenante del dramma (il prolifico incontro nella notte di Pasqua fra Dimitri e Caterina) e da lì procede fino alla fine.

Va subito sottolineato come le due riduzioni teatrali (Bataille e Alfano-Hanau) si concentrino esclusivamente (e, direi, appropriatamente, essendo opere destinate al teatro) sulla vicenda umana dei due protagonisti (Dimitri e Caterina) che invece in Tolstoi rappresenta - si potrebbe dire - solo il pretesto per l’esposizione di un vero e proprio trattato scientifico-antropologico-politico-giuridico-religioso, con tanto di critica corrosiva della società del suo tempo! Nel racconto del russo - che ha risvolti autobiografici - troviamo lunghissime dissertazioni sulla problematica della proprietà privata, in particolare di quella delle terre; e le proposte concrete, con tanto di contrattualistica, che il Principe Dimitri fa ai contadini dei suoi poderi essendo intenzionato a cedere loro la terra. Non parliamo poi della tematica relativa all’amministrazione della giustizia e delle carceri, con tanto di analisi dettagliate di leggi, norme, consuetudini e soprattutto con l’elencazione di casi che testimoniano infinite storture e brutalità del sistema. Ancora: argomenti squisitamente politici e ideologici, che occupano la mente di Dimitri, la cui parabola passa da un ingenuo idealismo adolescenziale, al conformismo che subentra con la maggiore età e il contatto con l’ambiente della nobiltà e dell’esercito, comprese le attitudini da libertino verso le donne (testimoniate anche da una relazione con una nobile sposata) di cui la povera Caterina diventa vittima; e infine - dopo il drammatico e quasi casuale incontro in tribunale con la ragazza sedotta anni prima e ora imputata di omicidio - il subentrare, attraverso il senso di colpa, di una volontà di riparazione, non solo del male fatto alla ragazza, ma del male dell’intero universo... maturando con ciò idee che oggi definiremmo catto-comuniste, un misto di radicalismo e filantropia, di cui è lampante esempio l’incontro-scontro con il cognato, membro dell’establishment dell’amministrazione giudiziaria e portatore di idee conservatrici, se non proprio reazionarie. Il racconto di Tolstoi si chiude con Dimitri che rilegge il Vangelo dopo l’addio di Caterina, rifiutatasi di accettare la sua proposta di matrimonio riparatore, il che fa esplodere in lui una profonda fede religiosa, che ispirerà la sua vita futura (Risurrezione!)

La mappa che segue reca le indicazioni delle principali località di cui si parla nel romanzo:


Panovo è la residenza delle zie di Dimitri, presso le quali il giovane aveva passato, da laureando, un periodo di vacanza, iniziando una tenera amicizia con la piccola Caterina. A distanza di pochi anni - ufficiale dell’Esercito - ci torna per trascorrere la Pasqua prima di andare a Odessa, e di lì al fronte per la guerra contro i turchi. Nella notte di Pasquetta mette incinta Caterina. (Si noti che Tolstoi ci rivela il nome del villaggio solo al 62° capitolo del racconto, dopo averne parlato già in lungo e in largo!) Alla periferia sud-est di Mosca (Kusminskoie) c’è il possedimento della madre di Dimitri, che lui deciderà poi di cedere ai suoi contadini. A Mosca (lo si deduce dal contesto, non viene detto esplicitamente!) si svolge anche - dopo qualche anno da quella Pasqua con Caterina - il processo alla ragazza (nel frattempo finita in casa di tolleranza) nel quale Dimitri fa da giurato popolare. A Pietroburgo si svolge la sessione del Senato in cui si discute la richiesta di cassazione del processo a Caterina, richiesta promossa da Dimitri ma respinta, il che comporta per la donna l’esecuzione della pena: lavori forzati in Siberia. Nizni (allora capolinea della ferrovia) Perm, Ekaterinburg, Tjumen e Tomsk sono le città citate nel romanzo e incontrate sul percorso di Caterina e dei deportati in Siberia, che Dimitri ha seguito, intenzionato a convincere la donna a sposarlo: dopo Tomsk la marcia prosegue ancora, ma senza che venga esplicitamente citata la località (forse Krasnojarsk...o l’ancor più remota Irkutsk) dove avviene la definitiva separazione fra Dimitri e Caterina.    

Tolstoi non dà precise indicazioni sull’epoca degli avvenimenti, ma il periodo storico si può abbastanza plausibilmente individuare in quella decina d’anni che decorre dallo scoppio della seconda guerra Russia-Turchia (1877): un indizio di ciò è nella presenza della ferrovia che passa nei pressi di Panovo, che Dimitri usa per andare al fronte turco, che certo non poteva esistere al tempo della prima guerra (quella di Crimea, per intenderci, che è del 1853-56).

Ora, dovendo ridurre un tomo di 800 pagine (129 capitoli suddivisi in tre parti) ad un testo teatrale, o a libretto d’opera, è evidente che si dovessero fare delle scelte. Lo schema sottostante riporta sinteticamente la struttura dei due lavori teatrali di Bataille e Hanau(-Alfano):


Come si può notare, le due riduzioni hanno alcune parti importanti in comune, ma altre diverse, a conferma dell’indipendenza del libretto di Hanau dal testo di Bataille. Entrambi contengono inoltre parecchie divergenze rispetto all’originale di Tolstoi, quasi inevitabili in casi come questo: quando si prendono, da un enorme mosaico, soltanto alcune tessere per costruirne uno più ridotto, è fatale che le tessere scelte poi non combacino più perfettamente, il che costringe a qualche... acrobazia per far tornare i conti. Incominciamo da Hanau. Il quale, nel secondo atto, modifica radicalmente la vicenda del mancato incontro fra Caterina e Dimitri alla stazione di Panovo.

Tolstoi: Dimitri è di ritorno dal fronte, ma fa sapere alle zie di non aver tempo di fermarsi nemmeno un giorno; è probabile che voglia evitare di incontrarsi con Caterina, che ancora abita lì (la sua gravidanza è tuttora un segreto, scoperto il quale verrà brutalmente cacciata): lei quindi, avendo evidentemente avuto l’informazione del giorno e ora di passaggio da Panovo del treno su cui viaggia Dimitri, si propone di parlargli in quei tre minuti di sosta del treno alla stazione, in piena notte. Purtroppo non ci riesce, per banali contrattempi.

Ora, costruire su questo prosaico episodio un intero atto d’opera sarebbe davvero dura... ed ecco che allora Hanau si inventa tutto di sana pianta: che Dimitri si ferma dalle zie per qualche giorno e (per matematica conseguenza) che la gravidanza di Caterina è stata già scoperta, portando alla cacciata della giovane dalla casa (altrimenti i due si incontrerebbero proprio lì, dalle zie...) Quindi si vede costretto ad inventare che Caterina abbia saputo da qualcuno della presenza a Panovo di Dimitri e del giorno della sua partenza, e che si rechi quindi alla stazione per incontrare il padre della creatura che porta in pancia (domanda: perchè non va direttamente a cercare Dimitri?) Ma adesso bisogna anche inventare un motivo per il quale l’incontro va a vuoto: ed ecco quindi la creazione del personaggio (muto) di Nora, che accompagna Dimitri e la cui presenza trattiene Caterina dal farsi avanti con l’amato (!)

Transigiamo sull’inspiegabile scambio di ruoli nel ricordo della corsa nei prati (in Tolstoi è lui che cade in mezzo alle ortiche, non lei, come nell’opera!) e sulla collocazione di Hanau della prigione di Caterina a Pietroburgo, invece che a Mosca, come correttamente fa Bataille. Il quale, da parte sua, costruisce il suo secondo atto mescolando due distinti episodi del romanzo: il battibecco a sfondo ideologico fra Dimitri e il cognato, e la rottura del fidanzamento dello stesso Dimitri con Missy. Comune a Bataille e Hanau è l’invenzione - nell’ultimo atto - della Pasqua in Siberia (in Tolstoi il racconto si chiude ancora in pieno inverno e sul mistico colpo-di-fulmine di Dimitri).
     
L’opera di Alfano viene (non proprio unanimemente) definita come verista: ma è un verismo (almeno secondo me) che si riduce a qualche contenuto musicale particolarmente carico di colori ed eccessi drammatici. Nella sostanza, il verismo autentico è in Tolstoi! Insieme all’assoluta coerenza del testo. Basta osservare come ci viene presentata dallo scrittore russo la vicenda della seduzione pasquale: Dimitri si era già, per così dire, traviato nei tre anni precedenti, con l’ingresso in società e il suo approccio verso Caterina in quella fatale Pasqua-Pasquetta, dopo un iniziale quanto fugace slancio romantico, fu di pura libidine e carnalità, desiderio maschilista di possesso: per tutta la giornata di Pasqua lui non fece che pensare a come possederla e per tutta la notte successiva non fece altro che darle letteralmente la caccia, fino a raggiungere il suo libidinoso obiettivo (infatti ricompensato con una banconota da 100 rubli, consegnata quasi di forza alla povera ragazza, trattata quindi come una prostituta!)

Nell’opera tutto ciò risulta assai edulcorato (verismo? haha...) ed anzi troviamo il giovane ancora ingenuo e romantico di qualche anno prima (cita addirittura Carducci: ecco l’albero a cui stendevi invano la piccioletta man...) L’unione fra i due alla chiusura del primo atto, a parte qualche timida esitazione di lei prima di abbandonarsi, è proprio la classica scena d’amore da melodramma tradizionale (...è il dì che unisce i nostri cuori in un solo destin!) La verità (di Tolstoi) la verremo sorprendentemente a sapere solo nel terzo atto, quando sarà proprio Caterina a svelarcela, rinfacciando a Dimitri l’affronto dei 100 rubli!

La stessa chiusa dell’opera è quanto di più melodrammatico (ma anche banalotto) si possa immaginare: il duetto strappalacrime fra due che si giurano amore e contemporaneamente si lasciano... e l’invenzione (mutuata da Bataille) della Pasqua siberiana con quella reiterata invocazione Cristo è risuscitato! che sa tanto di sagra paesana (dove magari spadroneggia la più grande ipocrisia). Tolstoi al contrario ci mostra il distacco fra Dimitri e Caterina con grande realismo (i due si lasciano come buoni amici, senza alcuna enfasi); e poi chiude con un fulminante concetto: dopo la lettura del Vangelo, che Dimitri fa la notte successiva, preparandosi a tornare in Russia, nulla - per lui, almeno - sarà più come prima!
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Sul piano musicale siamo di fronte - sempre a parere mio personale - ad un velleitarismo degno di miglior causa. Per carità, si può apprezzare la buona volontà di questo 28enne che cerca di farsi largo seguendo la corrente italiana che in quel momento pareva prevalere, ma i risultati sono piuttosto modesti. E non a caso lo stesso compositore abbandonerà assai presto il filone verista per cercare altre strade originali (Sakuntala ne sarà un frutto apprezzabile). Tornando a Risurrezione, a parte pochi spunti (da contarsi col contagocce) non trovo in quelle quasi due ore di musica molto di coinvolgente, nulla che faccia vibrare genuinamente qualche corda interiore. È un quasi continuo recitativo accompagnato (o arioso al massimo) su motivi abbastanza anonimi, poco scolpiti e poco penetranti, che devono oltretutto supportare un testo di per sè piuttosto piatto e incolore. Qui una delle poche registrazioni dell’opera, dove di apprezzabile c’è soprattutto la straordinaria voce di Magda Olivero. 

Insomma: un’opera appena appena interessante, certo non bella. Possiamo sperare che il bravo Lanzillotta e la creativa Cucchi ce la rendano almeno interessante! Venerdi 17 alle 20 su Radio3 la prima.