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Bayreuth: conclusa la settimana santa
31 luglio, 2013
Bayreuth 2013: un Ring al tramonto
30 giugno, 2013
Un po’ di Bayreuth a Milano (4)
23 maggio, 2013
Un vuoto Crepuscolo alla Scala
02 agosto, 2009
Il Ring di Bayreuth09 (IV)
Che dire… Uno scampato pericolo? Poteva andar peggio? Salvata la faccia?
Era cominciata come era finito Siegfried, con i due protagonisti a mostrare l’aspetto peggiore delle loro qualità. Poi, miracolosamente, le cose sono lentamente migliorate e alla fine ne è uscito un Crepuscolo dignitoso, pur nel livello non eccelso che da anni caratterizza il lato C (quello del canto, cioè il più importante!) di Bayreuth.
Christian Franz ha continuato a urlacchiare per tutto il prologo e il primo atto. Nella scena con Gunther, dopo l’assunzione del filtro, addirittura in modo sguaiato, avendo evidentemente travisato del tutto l’effetto della pozione: che non è un superalcolico che fa ubriacare, ma soltanto un anestetico della memoria, lungi dal revocare per l’interprete il dovere di cantare. Poi ha cominciato a migliorare nel secondo atto, e nel terzo ha raggiunto un livello di dignitosa decenza, fino alla nobile esposizione del ricordo di Brünnhilde.
La quale Linda Watson nel prologo e primo atto, per me fu disastrosa: voce chioccia, urlati gli acuti, stonacchiamenti vari, il tutto culminato nel finale della scena con Siegfried(Gunther), dove mi sono segnato un improperio che non riporto per decenza. Poi anche lei, col passare del tempo, sempre meno peggio e diciamo pure benino, nella scena madre del secondo atto e poi, con König e Lukas, in un efficacissimo terzetto della camera di consiglio che decreta la morte di Siegfried. Ma la gradevole sorpresa arriva nel finale, dove Brünnhilde deve prendere in mano la situazione e torreggiare su tutti: qui devo dire che la Watson se l’è cavata più che onorevolmente, legando bene ed evitando urla e emissioni forzate. Il che dimostra che – se vuole e si impegna – può anche essere una buona Brünnhilde.
Brava la Waltraute di Christa Mayer, che ha cantato con grande pathos, e nella scena con Brünnhilde spiccava ancor più a confronto delle manchevolezze della Watson.
Gutrune e Gunther (Edith Haller, che fa anche la 3a Norna e Ralf Lukas, già udito come Donner) mi sono piaciuti abbastanza: voci solide e piene, niente (o pochissimi) urli o sgradevoli vibrati.
Hans-Peter König è un grande Hagen. Devo dire che al Maggio, nell’allestimento Fura-Mehta lo avevo assai apprezzato anche dal punto di vista della presenza scenica.
Anche in una parte ristretta, Andrew Shore ha dato il meglio: un Alberich davvero impeccabile!
Norne e Ondine dignitose, senza infamia nè lode, ad eccezione della citata Haller, che ha avuto però la chance della parte solistica.
E ora Thielemann che, nella generale eccellenza della sua direzione, non riesce ormai più a rinunciare ai suoi effetti speciali, ottenuti scrivendo di suo pugno sulla partitura originale dei segni (generalmente di pausa o rallentamento) che Wagner non si era minimamente sognato di annotare. Alcuni (come il chiaro rallentamento alla prima entrata del tema dell’eroismo di Siegfried, nei 6 corni, nel Prologo o quello in prossimità dell’apertura del primo atto) si possono anche tollerare, perché non guastano poi più di tanto l’atmosfera generale. Ma altri personalmente non li digerisco, e non per un malinteso principio di censura a chiunque si macchi del delitto di lesa maestà verso l’autore, ma perché li ritengo musicalmente dannosi, o addirittura fuorvianti nella comprensione dell’intero Ring. Vediamo.
Nella cosiddetta marcia funebre Thielemann rallenta vistosamente al momento di suonare il terzo inciso (tema della morte) subito prima dell’esposizione della seconda sezione del tema dei Wälsi: una scelta invero arbitraria, chè potrebbe allora applicarsi a molti altri passaggi. Ma peggio accade poco dopo, laddove ricompare il tema dell’eroismo di Siegfried (una variante appesantita del tema di Siegfried giovane) già udito – con carattere appena un po’ meno enfatico - nel Prologo. Orbene, nella seconda sezione, poderosamente esposta da ottoni e fagotti, Thielemann introduce un’arbitraria e per nulla impercettibile pausa dopo il primo quarto (LAb-SOL/FA in corni e trombe) e le due successive terzine (SIb-LAb-SOL / LAb-SOL-FA): un effetto per nulla gradevole all’orecchio e carico di un’enfasi retorica del tutto pleonastica e per me controproducente.
Ma il peggio è la pausa di una semiminima che il nostro si inventa prima delle fatidiche ultime sette misure, cioè in corrispondenza della fine del tema del Crepuscolo e l’inizio del tema cosiddetto della Redenzione. Lì c’è condensata l’essenza dell’intero Ring: un mondo muore, nel rogo del Walhall e nell’esondazione del Reno, e un altro mondo nasce, appunto sperando di redimersi. Wagner, dopo la discesa crepuscolare negli strumentini e prima del tema della redenzione, si limita a non mettere alcun segno di legato con le note precedenti. Ma non scrive né una pausa, né tanto meno una corona puntata, e neanche una piccola virgola di respiro. Evidentemente a significare che fra il vecchio mondo che muore e il nuovo che rinasce speranzoso non c’è soluzione di continuità, come ci conferma l’analisi delle prime 4 delle ultime 7 misure, dove sono condensati tutti i cromosomi del mondo morente. C’è poi un altro riferimento inquietante legato al tema della Redenzione: che era apparso molto prima (Walküre, atto III) in SOL e adesso chiude il Ring in REb. Cioè degradato di un tritono, il fetente diabolus in musica! E non è finita; un rapido censimento dei sopravvissuti al grande amba-aradam ci dice che, a parte l’insignificante Gutrune e la folla anonima dei Ghibicunghi, lì restano a cominciare il nuovo corso: le Figlie del Reno e Alberich! Ecco perché quella pausa è per me filosoficamente inaccettabile, come sarebbe far eseguire testo e musica del 1852 o quelli del 1856.
Quanto all’accoglienza in teatro, è stata assai perplessa – è parso di cogliere – alla fine del primo atto… poi, col progredire della carburazione dei due protagonisti, grande trionfo. Meglio così.
04 maggio, 2009
Götterdämmerung al Maggio
Intanto, qualche ulteriore puntualizzazione sull’oggetto.
Götterdämmerung era nata (col titolo di Siegfrieds Tod) nella mente di Wagner come una “grande opera eroica”. Vi era condensato – nel Prologo – tutto l’antefatto sommariamente descritto nel suo Nibelungen-Mythus. Dopo i ripensamenti seguiti al 1848, grandissimo merito di Wagner fu di averne saputo cambiare “in corsa” obiettivi e significato, senza minarne in alcun modo le macro-strutture, ma ri-adattandole alla nuova concezione, filosofica e artistica, che aveva nel frattempo maturato. Oggi ci è davvero difficile immaginare cosa sarebbe quest’opera, se fosse rimasta isolata, come Lohengrin, o Tannhäuser, o Holländer; e come noi l’ascolteremmo, e quali significati avrebbe per noi, quali emozioni ci darebbe (o meglio: ci negherebbe!)
Quando ascoltiamo dalle Norne il racconto dei “tempi remoti”, ci emozioniamo perché questi tempi li abbiamo vissuti noi stessi da spettatori, viceversa quel racconto ci lascerebbe quanto meno indifferenti… Quando incontriamo Siegfried e Brünnhilde “adulti”, con la loro personalità matura, restiamo stupefatti, proprio come quando ci capita di rivedere dopo alcuni anni delle persone che avevamo visto come ragazzi (nulla di tutto ciò accade quando ci troviamo di fronte direttamente persone adulte, sconociute fino a poco prima…) Alberich che invita il figlio Hagen a dedicarsi al recupero dell’anello ci apparirebbe come uno psicopatico malato, se non conoscessimo tutto l’insieme e l’intreccio dei fatti, ma soprattutto dei sentimenti, che ne hanno caratterizzato l’esistenza… Certi atteggiamenti di Siegfried ci sembrerebbero gratuiti o sciocchi, se non fossimo stati testimoni diretti della sua adolescenza, delle condizioni in cui il ragazzo diventò uomo e di come si fece largo nella storia dell’umanità… Sono i ricordi diretti della Brünnhilde Valchiria, della sua scoperta dell’amore e della sua giustificazione, e poi del suo risveglio e del suo “divenire donna”, che ci fanno commuovere fino alle lacrime, quando ne ascoltiamo la conclusiva orazione… Il Wotan menzionato da Waltraute e intravisto – solo in didascalìa – nel Walhall che brucia ci risulterebbe del tutto estraneo, incomprensibile e avulso dal contesto, se non ne avessimo seguito le complesse e straordinarie vicende, estese su ben tre opere precedenti e non ne avessimo conosciuto per esperienza diretta la complessa personalità… Persino “corpi inanimati”, come Reno, Fuoco e Walhall, ci risulterebbero freddi e distaccati, se non ne avessimo avuto intimo e diretto contatto in precedenza… E (come dubitarne!) tutta questa diversa luce in cui noi vediamo Götterdämmerung e i suoi personaggi proviene null’altro che dalla musica, dai temi (i Leit-motive) che abbiamo conosciuto “da giovani” ed ora rivediamo maturi (addirittura, in certi casi, moribondi…) e dalle loro variazioni, che ci testimoniano il continuo ed inesorabile fluire del tempo-spazio.
È quasi naturale che una storia, nata come singola epopea di un giovane eroe, e poi divenuta “cosmica”, finisca per comportare inevitabili dissimmetrie e qualche incongruenza, come abbiamo ricordato nel sunto del plot.
Padrissa. Ha forse esagerato nel caricare eccessivamente Götterdämmerung di tratti da opera buffa (nemmeno da grand-opéra, come doveva essere in origine): gli atteggiamenti decisamente macchiettistici di Gunther e peggio ancora di Siegfried - quello drogato - mi sono francamente parsi un po’ forzati. Gibichheim è dipinta - sullo sfondo - come una città industriale-finanziaria e Hagen sulle spalle porta la scritta “Gibi Stockmarket”, il che mi pare un riferimento, eccessivamente politico, ai nostri tempi moderni. E abiti moderni vestono i Ghibicunghi: giacche e cravatte, pants, “divise” da yuppies della City, etc. In realtà i vestimenti di questi personaggi dovrebbero rappresentarci semplicemente il fatto che Siegfried, che viene da un mondo dove ci si veste di pelli, è ora approdato in una società civile (o che tale si crede) fatta di uomini, anzi di omuncoli e donnicciole. È insomma testimone e soggetto al tempo stesso di un cambio di epoche storiche: si è lasciato alle spalle (finalmente! come reclamava nella seconda giornata: Aus dem Wald fort in die Welt ziehn) il mondo piccolo, arcaico, anche se leggendario e per certi versi nobile, di Wotan, Mime, Fafner, e adesso incontra il mondo vero, fatto di uomini veri e delle loro meschinità e volgarità.
Però che Gunther mostri al pubblico che Siegfried puzza (di selvatico) e - prima di fargli bere il filtro - lo faccia lavare, cambiare e vestire con giacca e cravatta, mi pare una trovata eccessiva di Padrissa, che sembra volerci presentare un Siegfried ben disposto a farsi corrompere, se non già corrotto di bel suo, prima ancora di cadere nel tranello tesogli da Hagen. Così come il Siegfried che - dopo aver bevuto il filtro - si butta su Gutrune come un arrapato, sdraiandola su un tavolo e mimando quasi uno stupro, credo che non avrebbe trovato l’approvazione di Wagner. Siegfried, anche da drogato e smemorato (ma non ubriaco, come Padrissa ce lo rappresenta) resta pur sempre quello che è, un ragazzone impulsivo e ingenuo forse, ma non un freak, insomma. E lo stesso Gunther è comunque un nobile (nobilastro magari) con una sua dignità, non un povero vanesio mezzo effeminato.
Ho già accennato, nel precedente commento ai costumi, alla forzatura consistente nell’ornare con simboli del denaro gli abiti di Hagen (il chè è perfetto) ma anche di Gunther e Gutrune, oltre che l’intera società ghibicunga (il che è piuttosto fuori luogo). Non dimentichiamoci che anche G&G sono, come Siegfried e Brünnhilde, vittime e non già complici dei disegni del figlio di Alberich, l’unico fra tutti ad essere cromosomicamente ossessionato dall’oro.
Altro particolare curioso è la visione del mondo (o di certi aspetti) a testa in giù: non solo il Siegfried che viene appeso per i piedi al momento di chiarire i particolari della (seconda) conquista di Brünnhilde, ma anche l’inversione alto-basso delle posizioni di Brünnhilde e Siegfried (lei vede lui allontanarsi su un Grane ancora ippogrifo) di Hagen e Alberich (costui scende ed incombe librandosi sul figlio, proprio come un’apparizione onirica, il che contraddice le precise indicazioni di Wagner) e ancora Siegfried che guarda dal basso in alto verso le Ninfe, che fanno il bagno in ...vasche appese al soffitto.
Di grande effetto il passaggio attraverso la platea del corteo funebre, il che però reca un notevole scompiglio in sala, rischiando di distogliere l’attenzione del pubblico dalla direzione di Mehta, che affronta da par suo la Trauermarsch, con tutte le sue dissimmetrie, in modo potente, ma mai enfatico nè retorico e soprattutto senza inventarsi effetti a sensazione.
Altra responsabilità che Padrissa si prende - nel finale - è di proiettare sugli schermi i versi che Wagner aveva scritto nel 1852 “...fate che solo esista l’amore”: iniziativa discutibile - quanto la croce ricamata sulla pettorina di Brünnhilde - in quanto pretende di indirizzare in modo preciso e univoco il finale del Ring, laddove Wagner, dopo mille ripensamenti e incertezze, fra la soluzione originaria del 1848, quella del 1852 e quella pessimistica del 1856, scelse una via di mezzo, o meglio una soluzione buona per tutte le stagioni e tutte le interpretazioni (che però andrebbero lasciate alla sensibilità del singolo spettatore).
Insomma, una regìa che - secondo me - si è spinta un po’ troppo in là nel cercare effetti a buon mercato: davvero più Meyerbeer che Wagner, potremmo dire.
Mehta e i cantanti
Strabiliante a dir poco Hans-Peter König: sembra nato apposta per impersonare Hagen! Non so quanto sia merito di Padrissa o (più probabilmente) suo, ma davvero è stato a dir poco perfetto. Nel portamento e - ciò che conta di più - nel canto.
Su Lance Ryan avevo avuto delle perplessità dopo l’ascolto radiofonico della prima: maggiore è stata quindi la sorpresa nel trovarlo ieri - se non perfetto - di assoluto livello. Forse la precedente esperienza gli ha insegnato a meglio distribuire le forze lungo le cinque ore.
Jennifer Wilson (ma è ingrassata ulteriormente dallo scorso novembre?) è una buona Brünnhilde, ma per diventare ottima deve ancora (ahilei e la sua linea!) “mangiare tanta polenta”. Speriamo che l’ovazione tributatale dal prodigo pubblico del Maggio la incoraggi a studiare ancora e più.
Anche Stefan Stoll ha coperto più che dignitosamente il suo ruolo, che in fin dei conti non presenta difficoltà insormontabili. (del resto ha poi avuto modo di riposare, steso per un quarto d’ora - dopo essere stato “sparato” da Hagen - in un angolo del palcoscenico).
Invece Bernadette Flaitz - ahilei - ha confermato (alle mie orecchie) le lacune già emerse mercoledi: inesistenti le note medio-basse, urlati barbaramente gli acuti. Gutrune è una poveretta, ma ciò non giustifica che venga tanto bistrattata anche nel canto. (però ovazioni - sull’onda dell’entusiasmo - anche per lei...)
Franz-Joseph Kapellmann e Catherine Wyn-Rogers davvero due comprimari di prim’ordine: soprattutto la Valchiria, a dir poco impeccabile.
Norne e Ninfe, imbragate a mezz’aria e/o immerse in volanti vasche trasparenti, hanno ben cantato le loro non secondarie parti.
Un applauso anche a Nicolò Ayroldi e Fabio Bertella: due particine corte-corte, ma interpretate al meglio.
Sontuoso il Coro del Maggio, alle prese con quell’ambiguo obiettivo wagneriano: dover rappresentare “al meglio” il-peggio-del-peggio-del-grand-opéra, in modo da farcelo disprezzare!
Di Mehta e dell’Orchestra non posso dir che bene: ottoni poderosi come si conviene (anche ad imitare gli Stierhorn). Archi leggeri e compatti. Bravi anche i percussionisti e le due arpe, appollaiate come sempre in un palco sopra corni e strumentini. Alla fine tutti in proscenio a meritarsi l’interminabile ovazione.
Come si dice abbia esclamato Wagner al termine del primo ciclo bayreuthiano: “se lo vorrete, avremo un’arte”. Speriamo che Bondi lo voglia.
30 aprile, 2009
Götterdämmerung del Maggio (per ora) alla radio
Una prima nota di biasimo per la presentazione: visto che (poco, magari) li paghiamo, gli esperti di Radio3 che commentano questi collegamenti dovrebbero meritarsi la parcella, evitando di raccontare banalità o - peggio - stupidaggini o imprecisioni apparentemente piccole, ma in realtà gravi. Ne cito alcune.
1. Prologo: “Siegfried e Brünnhilde non conoscono cosa si cela (la maledizione) dietro l’anello”. Scusate, ma vuol dire non conoscere nulla del Ring: poichè Siegfried, effettivamente, nulla sa della maledizione di Alberich, ma Brünnhilde sì che lo sa, e molto bene, avendolo appreso nientemeno che dal padre, nel secondo atto della Walküre.
2. Atto I (scena II): “Siegfried racconta ai Ghibicunghi la sua vita, la lotta col drago, il possesso dell’anello e la conquista di Brünnhilde”. Falso, della Valkiria non parla proprio, si limita a brindare a lei, nominandola fra sè e sè, ma nulla di lei rivela a Gunther e Gutrune (Hagen sa già tutto dal padre...).
3. Atto II (scena I): “Scena onirica: Hagen sogna il padre Alberich”. Invenzione bella e buona: Hagen è inizialmente nel dormiveglia, ma Alberich è lì, aggrappato alle sue ginocchia, e il loro colloquio è tutto fuorchè un sogno.
4. Atto III, scena II, racconto di Siegfried: “Siegfried è sempre più inorridito da ciò che ha fatto, ricordando Brünnhilde”. Inorridito? La didascalìa recita: “esaltandosi sempre di più”.
Insomma: superficialità francamente incredibili ed imperdonabili.
Venamo al merito:
Ryan/Siegfried all’inizio è piatto e dalla cantata volgare, aperta; piccolo, ma importante particolare: quando fa Gunther, ha sempre la stessa voce di Siegfried (!?) Migliora un pochino con l’andare del tempo, ma poi alla fine imbrocca a malapena il suo DO acuto e chiude con grande fatica e assai poca poesia.
Wilson/Brünnhilde potente, precisa, ma apparentemente senza quell’autorevolezza da protagonista assoluta del dramma, che il personaggio richiederebbe.
Hönig/Hagen e Kapellmann/Alberich impeccabili, come canto ed espressione.
Stoll/Gunther onesto, senza infamia nè lode.
Flaitz/Gutrune davvero modesta, urlatrice più che cantante.
Wyn-Rogers/Waltraute bravissima, voce e portamento sontuosi.
Norne e ninfe oneste, nulla più.
Coro molto compatto e preciso, anche nella prescritta sguaiataggine.
Mehta ha festeggiato al meglio i suoi 73 (forse non è lecito pretendere di più?): qualche libertà nei tempi (Rheinfahrt, introduzione atto II); lodevole peraltro l’equilibrio con cui ha condotto la Trauermarsch, dove anche specialisti tipo Thielemann cadono a volte in gratuite gigionerìe. E soprattutto il finale, il famoso passaggio alle ultime sette misure, dove Wagner ha semplicemente omesso segni di legatura, ma non ha notato alcuna pausa o corona puntata, che invece maestri anche famosi si inventano, secondo il presupposto arbitrario che quelle ultime misure debbano rappresentare la nascita di un mondo completamente nuovo e migliore di quello che crolla e brucia.
Professori bene in genere, con qualche sbavatura qua e là, ma in un quadro ampiamente positivo.
Vedremo prossimamente dal vivo, in particolare l’allestimento furioso.
25 aprile, 2009
Aspettando che arrivi il Crepuscolo: un ripasso critico del “plot“
In attesa di ascoltare (Radio3, mercoledi 29, ore 18) e poi di assistere dal vivo al Götterdämmerung del Maggio, faccio un rapido ripasso della trama, mettendone anche in evidenza alcune piccole o grandi smagliature.
Le vicende narrate in Götterdämmerung costituiscono uno dei più intricati, contorti ed anche improbabili soggetti che un dramma in musica abbia mai avuto. Perchè tale è il soggetto - di cui Wagner volle rappresentare una parte sostanziosa - del Nibelungenlied, un tremendo e indigeribile polpettone medievale austro-germanico. Cosa ci troviamo? Vicende di vita quotidiana presso corti, castelli, villaggi; rendiconti di viaggi, spedizioni, traghettamenti, visite di stato, matrimoni regali, innumerevoli battaglie e faide di vario genere; poi ancora aggiornamenti sui colloqui e battibecchi che intercorrono fra persone che fanno tranquillamente il bagno nel fiume; e, naturalmente, ci troviamo anche pettegolezzi, invidie, rivalità, antipatie, “corna” (oltre che amori). Il poema si conclude infine con un’indigestione apocalittica di stragi, ammazzamenti, sangue e orrori (un solo esempio: pranzo con menu a base di cuore umano, annaffiato con sangue, umano anch’esso…) descritti con tale realismo da far impallidire certa filmografia moderna...
Bene, da questo ammasso di frattaglie Wagner estrasse prima un abbozzo (Der Nibelungen-Mythus, il Mito dei Nibelunghi) e poi la Siegfrieds Tod, ovvero la Morte di Sigfrido, una “grande opera eroica” (per non dire - tout cour - un Grand Opéra). Vi era condensato – nel Prologo – tutto l’antefatto sommariamente descritto nel suo Nibelungen-Mythus. Evidentemente – nel 1848 - Wagner non aveva ancora maturato le geniali intuizioni che – di lì a poco – lo avrebbero portato ad inaugurare letteralmente una nuova “era geologica” nel campo del dramma in musica e poi non era ancora sufficientemente temerario da immaginare un “ciclo” di quattro melodrammi su cui spalmare le vicende della sua personalissima rielaborazione delle saghe eddico-germaniche.
Solo che la posteriore scrittura, andando a ritroso nel tempo, delle altre due giornate e della vigilia finì per comportare inevitabili dissimmetrie e parecchie incongruenze. In Götterdämmerung possiamo proprio dire che tutti i nodi vengono al pettine, e fatalmente Wagner faticò a riannodare coerentemente tutti i “fili pendenti”. Per salvare l’intero dramma si vide costretto anche ad accettare qualche forzatura al realismo, ad ammettere qualche comportamento di taluni personaggi francamente improbabile o illogico. Il risultato è che Götterdämmerung è infarcito di incongruenze grandi e piccole, legate proprio alle modalità e ai tempi con cui il Ring fu composto.
Intanto: quanto dura, in termini di tempo effettivo? Si parte nel bel mezzo di una notte; poi si vive un’intera giornata, fino alla fine del primo atto; il secondo atto occupa a sua volta un’intera giornata; e un’altra ne occupa, fino a tarda notte, il terzo atto. Quindi, in tutto: tre giorni pieni.
Tutto il canto delle Norne non è che l’ennesimo (ma il primo, nella cronologia della stesura dei poemi del Ring) “bigino di storia cosmica” che Wagner ci propone. In effetti nel racconto delle Norne non ci sono fatti e notizie che già non ci siano noti da dirette precedenti esperienze all’interno del Ring, o come minimo da altri racconti già uditi prima (come quelli dell’incontro Mime-Viandante nella seconda scena di Siegfried). Peraltro, cominciamo a notare proprio qui una delle tante incongruenze cui Wagner non potè sfuggire, data la gigantesca mole della sua opera. La prima Norna ci racconta di Wotan che viene a bere alla fonte sgorgante dal frassino (Yggdrasil, per la cronaca) e cede un occhio (per averne in cambio sapienza, come ci informano le Saghe). Abbiamo però appreso, nel Rheingold (scritto e composto successivamente) che Wotan cedette un occhio per avere in moglie Fricka. Quest’ultima è un’invenzione – certamente suggestiva - di Wagner, che però si è poi scordato di renderla coerente con il testo del Götterdämmerung, scritto in precedenza.
Ora arrivano i due “sposini”, freschi di una notte d’amore (la prima e ultima?): si preparano a lasciarsi, non prima di essersi scambiati doni e profferte amorose. Così Siegfried consegna a Brünnhilde l’anello (per la prima volta nella Storia, e sarà anche la penultima, l’Anello viene spontaneamente ceduto, e non forzatamente sequestrato! Ciò è reso possibile dall’ignoranza, da parte di Siegfried, delle proprietà e dei retroscena che lo caratterizzano) ricevendone in cambio lo scudo e il destriero Grane, ormai divenuto “terreno” - proprio come la padrona - e privato delle sue prerogative di “ippogrifo”.
Domandiamoci: ma perchè due che si amano - e che hanno a mala pena cominciato a stare insieme - devono subito lasciarsi? Non solo, ma è la donna ad accettare quasi con entusiasmo questa separazione, riconoscendo di non poter più “dare nulla” al compagno, ma di poter solamente “acconsentire” alla di lui volontà. E lui si chiede se è solo per la di lei virtù che dovrà compiere nuove e gloriose imprese... Beh, molti anni più tardi Freud scriverà cosucce interessanti sull’abbandono, ma ancora una volta Wagner dimostra di saperla lunga sulla psicologia del rapporto di coppia: un amore non può “essere consumato e basta”, deve essere rigenerato continuamente, ed ecco quindi la proposizione della catena: “amore > imprese > amore”, legata strettamente ad un’altra: “imprese > rischio > pericolo > rinunzia all’amore medesimo”.
Facciamo qui una considerazione sull’anello, ora in possesso di Brünnhilde: Siegfried lo dona alla compagna come simbolo delle sue passate eroiche gesta e come pegno d’amore. Qui, correttamente, Siegfried afferma che l’anello è la conseguenza, l’effetto delle sue gesta, non già la causa e il fine originario: in effetti lui non ne conosceva nemmeno l’esistenza, lo ha avuto come premio – su indicazione dell’Uccellino - per il suo coraggio e la sua bravura. Vedremo come Siegfried modificherà sostanzialmente la sua versione dei fatti nel dialogo con le Ninfe all’inizio del terzo Atto (ancora sotto l’effetto del filtro di Hagen) per poi ritornare su quella corretta - una volta “tornato normale” - nel ricordo finale. Attenzione però: Siegfried poco o nulla sa dei retroscena, maledizione inclusa (per la verità il morente Fafner gli ha genericamente parlato di “oro maledetto”) che riguardano quel manufatto e l’Uccellino gli ha parlato di un “anello che rende padroni del mondo”, nulla più. Invece Brünnhilde sì che conosce tutto per filo e per segno: ha appreso dalla viva voce di Wotan (Walküre, Atto II, Scena II) tutta la storia, nei minimi particolari; sa da dove viene l’anello, sa che sui suoi possessori grava la maledizione di Alberich e che soltanto la restituzione dell’anello al Reno potrà salvare Wotan e il relativo “ordine costituito”; sa anche che il tesoro, anello compreso, era custodito da Fafner (e del resto persino la sorella Schwertleite, nel terzo atto di Walküre, aveva dimostrato di conoscere perfettamente questo particolare) e adesso sa che l’anello donatole da Siegfried è esattamente “quell’anello”, che il ragazzo ha prelevato dal tesoro custodito dal drago. Dovremo ricordarci di questo importante particolare nella terza scena del primo Atto, al momento dell’incontro di Brünnhilde con la sorella Waltraute.
Veniamo ai Ghibicunghi, Atto I: Hagen propone a Gunther di conquistare Brünnhilde, per avere una moglie degna di lui, ma afferma che solo Siegfried può riuscire nell’impresa, e che a ciò verrà convinto dal filtro magico. Una delle tante domande che sorgono spontanee in relazione alla plausibilità della vicenda qui narrata riguarda il fatto che Hagen, raccontandola ai fratellastri, mostra di conoscere perfettamente la storia di Siegfried, ma solo fino all’uccisione del drago Fafner (come se la notizia della conquista di Brünnhilde non fosse ancora arrivata alle sue orecchie…) In realtà la spiegazione logica della incompletezza del racconto di Hagen a Gunther e Gutrune è che lui conosce già il seguito, ma lo tace deliberatamente, per poter così ordire la sua trama, volta al recupero dell’anello, che assegna il ruolo di vittime anche a loro, oltre che a Siegfried e Brünnhilde. In effetti, Hagen (come risulterà via via sempre più chiaro) ha saputo tutto da sempre (non per nulla suo padre è tale Alberich!) ed ora sta iniziando a mettere in atto la sua infernale macchinazione. Essa comporta che Gunther e Gutrune ignorino dell’avvenuto incontro carnale fra Siegfried e Brünnhilde, in modo da giudicare perfettamente lecito l’uso del filtro magico che farà innamorare di Gutrune “lo scapolo Siegfried”, rendendolo disponibile a conquistare per Gunther “la nubile Brünnhilde”, come contropartita per la mano di Gutrune. Hagen invece sa perfettamente che ciò porterà – tramite la reazione dell’ignara ex-Valchiria – allo scoppio di uno scandalo planetario da cui lui, e nessun altro, potrà trarre profitto, recuperando l’anello!
“Knechte sind ihm die Nibelungen”, dice Hagen ai fratellastri: i Nibelunghi gli sono schiavi (a Siegfried). Nel Nibelungenlied (avventura 8) si racconta di Alberich, potente capo degli elfi scuri, dotato di elmo, di maglia metallica e di frusta d’oro, che soccombe in combattimento a Siegfried (che lo immobilizza con una curiosa mossa di wrestling, afferrandolo cioè per la barba!) e diviene suo schiavo, con tutti i sudditi: quest’ultimo particolare viene qui da Wagner citato, coerentemente con la saga, ma del tutto a sproposito rispetto alle vicende del Ring. Evidentemente Wagner lo inserì nella stesura iniziale della Siegfrieds Tod, dimenticandosi poi di espungerlo quando mutò radicalmente la trama del “suo mito”, dove Siegfried ed Alberich nemmeno hanno occasione di incontrarsi di persona. E del resto, sarebbe inspiegabile come i Nibelunghi possano essere tuttora schiavi di Siegfried, mentre il loro capo Alberich se la spassa tranquillamente in libertà presso il figlio Hagen, alla corte dei Ghibicunghi.
Siegfried afferma di aver preso il Tarnhelm, senza conoscerne le qualità, e così è Hagen (figlio del committente e nipote del costruttore!) a spiegargliele a dovere (ma fra pochissimo vedremo come questa rivelazione sia da Wagner collocata nel tempo in modo illogico.) Siegfried rivela di aver arraffato anche un anello, che ha poi lasciato in custodia ad una nobile donna (Brünnhilde! sussurra fra sè Hagen, mentre Gunther sembra non fare caso a questo particolare, evidentemente considerando normale che Siegfried abbia avuto delle amanti, ma non pensando lontanamente che abbia già conquistato la ex-Valkiria). Anche qui Siegfried la racconta giusta, riguardo l’anello: lo prese dal tesoro, da lui scoperto solo dopo aver ucciso Fafner, e grazie al suggerimento dell’Uccellino (ripeto che, nel terzo Atto, Siegfried darà una versione assai diversa del suo possesso dell’anello).
Siegfried beve la pozione, che ha effetto immediato, e lui comincia subito a perdere la memoria. Altro fatto da “mettere agli atti”: qui, secondo Wagner, Siegfried perde completamente la memoria (la didascalìa in partitura non lascia dubbio alcuno in proposito). E del resto, solo così si potrebbe riconoscere che tutte le successive azioni del giovane siano fatte, ancora e sempre, in perfetta buona fede, anche se potranno risultare del tutto incomprensibili ed inspiegabili (o spiegabili con motivazioni sbagliate, comportando altrettanto sbagliate reazioni) a chi aveva già consuetudine con lui (leggi Brünnhilde): e ciò è esattamente quello che Hagen vuole che accada, per trarne profitto per sè. Peraltro, lo stesso Wagner sarà successivamente indotto in piccole o grandi contraddizioni nella gestione dei ricordi di Siegfried, per necessità legate allo sviluppo del dramma. E lo vedremo via via. Resta però aperto un punto di capitale importanza: il tradimento di Siegfried verso Brünnhilde è davvero un atto inconsapevole, perché commesso “fuori dal possesso delle proprie facoltà mentali”? Se sì, non si vede allora perché Brünnhilde, alla fine dell’opera, ne faccia addebito all’eroe… se no, allora Siegfried non si meriterebbe più le onoranze che gli verranno tributate, e tutto il significato dell’opera rischierebbe di venirne pericolosamente stravolto.
Siegfried si offre a far da “procacciatore di moglie” a Gunther, in cambio della mano di Gutrune. E lui stesso spiega come farà: usando il Tarnhelm per trasformarsi in Gunther. Ecco qui un’altra – labile, per la verità – incongruenza in cui Wagner cade: abbiamo appena visto che Siegfried ha totalmente perso la memoria, dopo aver bevuto il filtro di Hagen. Ma allora, chiediamoci: come fa a ricordare adesso una cosa (il magico potere dell’elmo) che Hagen gli ha insegnato prima dell’assunzione della droga? È chiaro d'altronde che tutto ha un limite (Siegfried, ad esempio, continua a riconoscere i padroni di casa ghibicunghi, quindi non è totalmente “svanito”…) e che Wagner dovette accettare qualche compromesso - piccolo, come qui, o grande, come vedremo più avanti - sul piano dello stretto realismo della sua favola.
Siegfried e Gunther si avviano alla barca, che Siegfried spinge in mezzo al fiume, cominciando a remare controcorrente; ancora un marginale appunto da fare a Wagner: Siegfried è arrivato - provenendo verosimilmente dalla rupe di Brünnhilde - controcorrente (così ci aveva detto Hagen poco prima); adesso deve tornare verso la stessa rupe, e rema ancora... controcorrente.
Ora siamo da Brünnhilde, presso cui arriva una sorella. Il lungo racconto di Waltraute contiene un’evidente incongruenza, riguardo al legame fra l’anello e la sorte degli dèi e del Walhall. Dapprima essa afferma che Wotan aspetta dai corvi la “buona novella” che lo farebbe sorridere ancora una volta sì, ma per l’ultima volta... Ciò è esattamente quel che accadrà alla fine, ma la cosa è in contrasto con quanto da sempre ci è stato notificato: cioè che la restituzione dell’anello al Reno farebbe la salvezza di Wotan&C. E infatti Waltraute, proprio pochi versi dopo e prima di implorare la sorella di cedere l‘anello, le riferisce le parole di Wotan, che è tuttora convinto della propria redenzione, nel caso di un “bel gesto” della figlia ribelle.
Brünnhilde liquida sdegnosamente l’implorazione della sorella. Ci eravamo soffermati poco fa (nel Prologo) sul rapporto di Brünnhilde con l’Anello, sottolineando il fatto che lei ne conosce alla perfezione tutti i retroscena ed è anche informata della serietà della maledizione che grava su di esso: che i due Giganti ne sono già stati vittime glie lo hanno riferito Wotan (nella Walküre, per Fasolt) e Siegfried medesimo nel citato Prologo (per Fafner). Ma allora, perchè mai Brünnhilde non decide di liberarsene in tempo, ma compirà il nobile gesto solo alla fine del Ring, e per di più “in ritardo” rispetto al fuoco di Loge che avvolgerà Wotan e tutti gli dèi? La sua spiegazione è convincente solo fino ad un certo punto: vero è che a lei l’anello è stato donato come pegno d’amore e in modo del tutto disinteressato, da un uomo che ne ignora le drammatiche proprietà; ma è pur vero che a lei tali proprietà sono perfettamente conosciute. Invece purtroppo anche la ex-Valkiria commette un atto di superbia, come Wotan prima, Fasolt e Fafner poi: pensare di poter “controllare” le proprietà dell’anello, in sostanza di “usarlo a fin di bene” (venale o etico poco importa). Non per nulla giustifica la volontà di tenere per sè l’anello con ragioni - sul piano etico - non poi molto dissimili da quelle - sul piano venale - accampate da Alberich nel Rheingold. E ciò inevitabilmente la perderà. (Una spiegazione più banalizzante di questa incongruenza della Valchiria può trovarsi, al solito, nella sequenza di composizione dei poemi del Ring: quando Wagner scrisse la Siegfrieds Tod non conosceva nemmeno lui cosa sarebbe successo - prima-dopo - in Siegfried, Walküre e Rheingold...)
Arriva sulla rupe Siegfried, annunciato dallo squillo del suo corno. Dal punto di vista della logica, la cosa ha pochissimo senso: perchè mai Siegfried, che opera sotto le mentite spoglie di Gunther, dovrebbe “farsi riconoscere” così platealmente? Diverso il discorso dal punto di vista psicologico-musicale: quel suono annuncia a Brünnhilde l’arrivo di qualcuno, e per lei questo qualcuno non può essere - per definizione - che Siegfried. Nello scontro con Siegfried-Gunther, Brünnhilde gli oppone l’anello, ma Siegfried, dopo un breve corpo-a-corpo, glielo strappa (con maniere non meno brusche di quelle impiegate a suo tempo da “nonno Wotan” per sfilare l’anello dal dito di Alberich e poi da Fafner per strapparlo a Fasolt!) e se lo infila al dito. Vedremo fra poco come questo gesto condizioni tutto il seguito della vicenda. La logica - e le stesse parole di Siegfried-Gunther al riguardo - vorrebbe che l’anello venga poi consegnato appunto a Gunther, insieme alla Valchiria; ma ciò non avverrà… per salvare la Tetralogia!
Siegfried e Brünnhilde si preparano a passare la notte insieme ma – a differenza del primo incontro, alla fine della seconda giornata del Ring - qui Siegfried, rimanendo perfettamente fedele al patto con Gunther, di cui ha temporaneamente assunto le sembianze, pone fra sé e la ex-Valchiria la propria Nothung, a far da “custode della castità” della donna che dovrà andare in moglie al sodale. Si tratta di uno degli aspetti più controversi dell’intero Ring, dal punto di vista della plausibilità della vicenda. Ciò deriva, in primis, dalla farraginosità dei contenuti delle saghe. Cosa ci troviamo, al proposito?
- Snorri (Skaldskaparmal) ci dà questa versione, in se stessa coerente, anche se povera di contenuti drammatici e psicologici: Sigurd(Siegfried) che ha già svegliato Brynhild(Brünnhilde) - senza però unirsi a lei e senza regalarle l’Andvaranaut, l’anello di Andvari(Alberich) - si reca da Gjuki e ne sposa la figlia Gudrun(Gutrune) senza alcun intervento di filtri magici o altro trucco-inganno. Poi conquista Brynhild (nel frattempo protetta dal fuoco) in nome e per conto del cognato Gunnar(Gunther) di cui assume temporaneamente le sembianze. Passa con lei tre notti “caste” (ponendo la sua spada fra sé e la donna). Dona, solo adesso, a Brynhild l’Andvaranaut e riceve in cambio un altro anello d’oro. In seguito, facendo il bagno nel Reno, Brynhild apprende da Gudrun (che le mostra proprio quell’anello da lei donato in cambio dell’Andvaranaut a Sigurd, creduto Gunnar) che il suo conquistatore fu appunto Sigurd e non Gunnar, quindi fa ammazzare Sigurd. Poi la storia continua su un percorso divergente (per nostra fortuna!) da quello del Ring wagneriano.
- La Völsunga Saga introduce il filtro magico, che fa scordare a Sigurd il precedente legame con Brynhild. Anche qui c’è il riferimento alla spada usata come “separatore”, mentre si inverte il passaggio di anelli: Brynhild restituisce spontaneamente a Sigurd(Gunnar) l’Andvaranaut, avuto da lui nel primo incontro, anello che poi – al bagno - vede al dito di Gudrun, dalla quale è informata dello scambio Sigurd-Gunnar…
- Stessa solfa, più o meno, nel Nibelungenlied, seguita dalle orripilanti vicende con Attila e soci…
Tornando ora a Wagner: Siegfried nulla ricorda del precedente rapporto con Brünnhilde, essendo sotto l’influsso del filtro di Hagen (viceversa l’intero intreccio non avrebbe alcun senso logico). Ma allora, insinuano maliziosamente alcuni critici-spacca-capello-in-quattro, visto che lui in quel momento rappresenta in tutto e per tutto Gunther (e ammettendo che il Tarnhelm funzioni come da specifiche tecniche…) perché mai si deve mantenere casto con Brünnhilde, dopo averla eroicamente (ri)conquistata ed averle esplicitamente detto che lì, nella sua stanza, lei dovrà essere sua? Sì (continuano) perchè lei non può non essere sorpresa e non trovare strano e insolito un tale comportamento: in fin dei conti, lei crede che (anche) Gunther, dopo Siegfried, sia stato capace dell’impresa e sa che (anche) a lui è tenuta inevitabilmente a soggiacere (e difatti se l’è già presa, per questo, con Wotan…) Inoltre, in caso lei ricordasse più tardi al vero Gunther il loro rapporto avvenuto immediatamente dopo la “conquista”, Siegfried potrebbe tranquillamente giustificare, agli occhi del sodale, il suo comportamento con la necessità di rendere più “realistica” l’intera vicenda agli occhi della donna appena conquistata. Ma in tal modo lo “scandalo” verrebbe risolto, e ciò che ne consegue sarebbe del tutto evitato (con tanti saluti al resto del Ring!) A questi critici si può obiettare, con Wagner, che Siegfried ha due nobili ragioni per comportarsi in quel modo onesto: il rispetto dei patti con Gunther e la fedeltà a Gutrune. Ma poi ci si mette di mezzo anche l’anello, che Siegfried ha strappato a Brünnhilde come pegno di nozze per Gunther e che poi si tiene incomprensibilmente al dito, invece di consegnarlo al cognato, come vorrebbero la logica e quel medesimo rispetto dei patti invocato per mantenere la “castità della notte”… Insomma, Wagner stesso deve essersi reso conto che c’erano parecchi scricchiolii in tutta questa storia complicata, e si è evidentemente adoperato per (quantomeno) “limitare i danni”, in modo da poter perseguire comunque i suoi obiettivi artistici.
All’inizio dell’Atto II troviamo Alberich-Hagen: si tratta di una delle scene più strabilianti di tutto Wagner, sotto il profilo drammatico, espressivo e musicale. Val la pena intanto considerare come Wagner scolpisce gli atteggiamenti di padre e figlio: Alberich, il padre invecchiato e fisicamente malconcio, ha però ancora una carica tremenda di vitalità, che si esprime musicalmente con frasi di andamento mosso e parlata frettolosa e concitata, quella di chi ha un animo in ansia e teme di perdere definitivamente (con la possibile e temuta restituzione dell’oro alle tre Ninfe e al Reno) il suo patrimonio; Hagen, il figlio, che invece mostra una calma olimpica, quella di chi sta ormai portando a compimento un disegno perfettamente, scientificamente organizzato in tutti i particolari, che matematicamente garantirà il risultato atteso. Si confronti il rapporto Hagen-Alberich con quello - antipodico - Amfortas-Titurel nel Parsifal: là avremo un vecchio padre religiosamente rassegnato alla santa morte e desideroso soltanto di godere, una volta ancora, della beatitudine del Gral, ed un figlio dilaniato - non solo fisicamente, ma soprattutto esistenzialmente - da una ferita incurabile e conseguentemente ridotto in uno stato di spaventevole agitazione. Alberich incalza: “Ein weises Weib lebt dem Wälsung zu Lieb'...“, una saggia donna vive per l’amore del Wälso. Abbiamo qui un ulteriore indizio del fatto che Alberich sappia tutto, ma proprio tutto, di Siegfried (e quindi anche Hagen con lui…)
Siegfried è il primo ad arrivare, da solo, spostandosi alla velocità della luce (Siegfried ha davvero imparato a meraviglia a sfruttare una delle fondamentali proprietà del Tarnhelm: quella di trasportatore di materia! Solo nei film di fantascienza di due secoli dopo - tipo StarTrek - verranno inventate simili diavolerie tecnologiche): Gunther e Brünnhilde seguono a distanza, in barca. Anche qui abbiamo una gratuita smagliatura nella vicenda: Siegfried-Gunther, la sera prima, ha strappato l’anello a Brünnhilde e se lo è infilato al dito; adesso Brünnhilde passa diverso tempo in barca col vero Gunther: possibile che non noti che costui non ha (più) l’anello al dito? Però, se lo notasse, e magari ne chiedesse conto a Gunther, tutta la successiva scena-madre (al momento per Brünnhilde di veder l’anello al dito di Siegfried) andrebbe a farsi friggere!
Siegfried racconta ad Hagen e Gutrune di come ha conquistato Brünnhilde. Comprensibilmente, Gutrune si informa sui dettagli della notte trascorsa sulla roccia; Siegfried risponde, come sempre, in perfetta buona fede e dicendo la verità: non ha nemmeno sfiorato la ex-Valchiria.
Adesso devono arrivare Gunther e Brünnhilde: Hagen chiama a raccolta il popolo contro un incombente pericolo. E perché mai si dovrebbe nascondere un pericolo nell’arrivo del Re e della sua bella e giovane sposa? Ma questa non è per nulla un’incongruenza di Wagner, al contrario. È stato Hagen ad organizzare tutta la manfrina, ed ora lui vuole raccogliere attorno a sé il popolo, che gli deve servire da testimone non già di un matrimonio, ma di un autentico putiferio, da cui lui conta di uscire con l’anello al dito! Hagen istruisce i suoi guerrieri: “...traf sie ein Leid, rasch seid zur Rache!”, se Brünnhilde subisce dei torti, siate pronti a vendicarla“. Anche questo apparentemente gratuito “mettere in guardia” - perchè mai Brünnhilde, che va sposa ad un RE, dovrebbe subire torti? - si inserisce perfettamente nello scenario della macchinazione di Hagen, che è matematicamente certo dello scandalo che scoppierà di lì a poco, e ne prepara così l’atmosfera ai suoi armigeri, mettendoli sul “chi vive”.
Brünnhilde, che nulla sa del filtro di Hagen, vedendo Siegfried con Gutrune, pensa ovviamente ad un tradimento di Siegfried, che si sarebbe presto dimenticato di lei, per farsela con la principessa ghibicunga. Effettivamente Brünnhilde, fin qui, potrebbe solo accusare (ma senza prove!) Siegfried di averla tradita per Gutrune; in più, non avrebbe (ancora) alcun motivo di dubitare che fosse il vero Gunther colui che l’aveva conquistata la sera precedente. Quindi: sulla questione capitale della loro passata vita coniugale, saremmo alla sua parola contro quella di Siegfried, cosa che non basterebbe a lei, ma soprattutto ad Hagen, per reclamare la punizione dell’eroe, e addirittura la sua morte. Adesso capiremo come invece tutto ciò – con quel che segue - possa accadere… in virtù di una gratuita forzatura di Wagner. Lo abbiamo già anticipato, ma ora vediamo di preciso il perchè.
Brünnhilde vede l’anello al dito di Siegfried! Questo momento davvero topico, da cui scaturisce tutto quanto l’amba-aradam successivo, e su cui – parliamoci chiaro – si regge l’intero disegno criminoso di Hagen (e quindi l’intero disegno drammatico di Wagner) è reso possibile dall’incongruenza - invero gratuita - del comportamento di Siegfried alla fine del primo atto, laddove il nostro eroe rispetta in pieno il patto con Gunther, ma poi si tiene al dito l’anello, invece di consegnarlo al sodale. È chiaro che Wagner non poteva accontentarsi della scialba vicenda descritta nelle saghe, dove Gudrun conosce da sempre la verità e la racconta quasi per caso a Brynhild, suscitandone l’ira mortale verso Sigurd! E così, pur di conservare drammaticità e profondità artistica alla sua opera, ha dovuto fare un pesante “strappo alla logica” e al realismo.
Sorpresa di Gunther e Gutrune. Essi deducono ovviamente che Siegfried abbia “approfittato” della donna al momento di sequestrarla per consegnarla a Gunther, e chiedono a Siegfried di discolparsi dall’accusa di tradimento (nei confronti loro, non già di Brünnhilde!) Osserviamo nuovamente che lo scandalo potrebbe essere facilmente “coperto” con spiegazioni plausibili (come quella che Siegfried darà tra poco a Gunther riguardo al Tarnhelm) se non fosse per l’anello al dito di Siegfried, che dà a Brünnhilde la prova provata che fosse lui, e non Gunther, la persona che la soggiogò la sera prima, e quindi la convince della doppia valenza del tradimento di Siegfried: la prima – tutto sommato comprensibile – di normali “corna”, che non giustificherebbe la pena di morte; e la seconda – questa sì, davvero insopportabile, perché odiosa ed infame – dell’inganno deliberato! Ed è precisamente ed unicamente a questo particolare che Hagen si può aggrappare, nella quinta scena, per convincere Brünnhilde ad allearsi con lui, appoggiandone la “sentenza di morte” per Siegfried.
Siegfried nega che l’anello gli sia venuto da una donna, e ricorda di esserselo procurato a Neidhöhle, dopo aver ucciso un drago. Qui davvero non ci si può esimere dal prendere Wagner in castagna! Poiché si danno solo due possibilità. Se Siegfried è ancora sotto l’effetto della droga di Hagen, allora non dovrebbe ricordare nulla del passato e dovrebbe invece ricordare benissimo ciò che ha fatto la sera precedente, anello in primis! Quindi abbiamo un’incongruenza (il ricordo) o una – del tutto gratuita, oltre che deleteria per l’intero Ring - brutta sorpresa (Siegfried mentitore!) Se invece Siegfried sta cominciando a ricordare, allora non si capisce perché si fermi a Fafner, e non ricordi anche vicende immediatamente successive (col che, tutto il seguito del Ring sarebbe però da rifare di sana pianta!) Anticipiamo qui che Siegfried ricorderà spezzoni del suo passato in altre occasioni, nel terzo atto, fino a quando, solo dopo aver bevuto il “contro-filtro”, poco prima di morire, rievocherà anche gli avvenimenti più recenti (il primo incontro con Brünnhilde). Il che porta a ipotizzare (ma è un’ipotesi quasi offensiva per lui, poiché conduce comunque a conseguenze spiacevoli) che Wagner volesse attribuire al filtro di Hagen poteri di “intervento selettivo” sulla psiche umana, eliminando dalla memoria di Siegfried solo una parte dei ricordi (esclusivamente quella legata ai suoi trascorsi con la ex-Valchiria e all’anello) e non altre. Ma allora rimarrebbe l’incongruenza legata al ricordo dell’anello ai tempi di Neidhöhle (che ancora qui è assolutamente corretto: l’anello avuto come premio per la vittoria sul drago)… e così siamo daccapo, alle prese con una coperta che è sempre corta. Insomma, qui Wagner presta purtroppo il fianco all’accusa di irrealismo e di banalità: la perdita di memoria di Siegfried riguarderebbe solo ciò che serve, di volta in volta, all’artista per “tenere in piedi” la trama del suo Ring. Peraltro, il “convento” (di saghe e racconti) non gli passava di meglio!
Il battibecco fra Brünnhilde e Siegfried è il classico “dialogo fra sordi”, dove tutti e due hanno ragione (o torto, fa lo stesso): lei, poiché ricorda tutta la vita precedente; lui, poiché ricorda solo le ultime 24 ore (qualcuno ha provato a calcolare esattamente il lasso di tempo che intercorre fra l’assunzione della droga da parte di Siegfried e lo scoppio dello scandalo, di cui Hagen è ideatore e regista tanto ingegnoso, quanto diabolico). Per il resto, a ulteriore riprova della “perdita di controllo” su alcuni particolari, di cui Wagner mostra di soffrire (nell’intricatissimo ginepraio di tutti questi accadimenti) notiamo come Siegfried – che ha or ora negato di aver recuperato l’anello la sera prima - ricordi però benissimo la notte appena trascorsa, quando giura di aver posto la Nothung fra sé e Brünnhilde. Mah… bisognerà perdonare al nostro rapsodo queste incongruenze, per goderci la sua arte.
Hagen chiede a Brünnhilde in che modo Siegfried possa essere abbattuto. Lei risponde di averlo schermato in tutto il corpo, tranne che nella schiena, dato che mai Siegfried la potrebbe volgere al nemico. Oltre che ritrovarsi in Omero (il famoso “tallone d’Achille”) la tradizione della vulnerabilità parziale e locale di un eroe viene direttamente dalle saghe nordiche. Che ci raccontano di Balder, figlio prediletto di Odin, ucciso da una freccia di legno di vischio (l’unica cosa al mondo da cui la madre Frigg non aveva pensato a proteggerlo) fabbricata dal malvagio e vendicativo Loki.
All’inizio dell’Atto III ritroviamo le tre Figlie del Reno, i primi esseri viventi che abbiamo incontrato – quanto tempo fa, ormai? – al’inizio della grande Fiaba. È appena il caso di ricordare come – nel Nibelungen-Mythus – Wagner introduca le Ninfe solo a questo punto (all’inizio del racconto ci descrive direttamente un Alberich ammalato di “desiderio di potere”, senza spiegarcene il perchè). Il rapporto – tutto psicologico-filosofico-politico - amore-oro-potere è totalmente assente nell’abbozzo del mito scritto nel 1848, mentre diventerà letteralmente il pilastro del definitivo impianto poetico e musicale del Ring.
Siegfried chiarisce alle ninfe di aver ucciso un pericoloso drago, per procurarsi l’anello. Ancora ritorna a porsi il problema pratico della “memoria selettiva” di Siegfried. Inoltre – e qui sarebbe Wagner a dover dare spiegazioni per una palese, anche se probabilmente involontaria, inversione di nesso causa-effetto - le cose non stanno propriamente come il ragazzo le presenta alle ninfe; a suo tempo, lui può aver ucciso Fafner per millanta ragioni, ma una sola è categoricamente da escludersi: conquistare l’anello!
Siegfried ricorda alle ninfe che la sua spada mandò in pezzi una lancia: parimenti potrà tagliare il filo delle Norne. Quanto alla maledizione, già un drago lo avvertì, ma senza insegnargli la paura; altro inspiegabile e gratuito “spiraglio” nella memoria di Siegfried: ricorda del drago e dello scontro col nonno (avvenuto a ridosso dell’incontro con Brünnhilde)… ma poi ci ripete che la sua unica donna è Gutrune. E altra incongruenza di Wagner: nel Siegfried, Fafner mette in guardia il ragazzo dalla macchinazione di Mime, non già dalla maledizione di Alberich!
Dopo essere stato raggiunto da Hagen, Gunther e compari, Siegfried comincia a raccontare la sua storia, a partire dall’infanzia trascorsa con Mime. A questo punto si può anche realisticamente pensare che l’effetto del filtro di Hagen cominci a sfumare, rendendo così plausibile (anche per il concorso dell’alcool che scorre qui a fiumi…) il crescente ritorno di memoria in Siegfried. Il quale spiega che il nano gli insegnò a temprare e fondere metalli ma che lui stesso dovette ricostruirsi la spada, che Mime giudicò idonea all’impresa… A dir la verità: non è ciò di cui siamo stati testimoni nel Siegfried. Là Mime affermava di aver insegnato “la furbizia” al ragazzo che però, sul fronte della professione di fabbro, ci è stato presentato come un autentico naìf, che l’arte forgiatoria si è inventato di sana pianta e di sua testa, e vi ha avuto successo proprio perché non condizionato dalle ormai obsolete practices di Mime. Evidentemente questo racconto, inserito da Wagner nella stesura originaria della Siegfrieds Tod, riporta (fin troppo) fedelmente ciò che si legge nelle saghe, dove effettivamente Sigurd figura come apprendista del fabbro Regin (che peraltro gli forgia anche la spada Gram). Successivamente, al momento di comporre il Siegfried, Wagner deve aver pensato bene (e quanto!) di cambiare le carte in tavola, dimenticandosi però di sistemare coerentemente le cose nel Götterdämmerung.
Hagen a questo punto versa nel vino un estratto di erbe: possiamo immaginare che si tratti del “contro-filtro”, che deve far tornare completamente la memoria a Siegfried, in specie riguardo alla sua prima unione con Brünnhilde. Infatti Siegfried finalmente racconta del bacio e dell’amplesso con la Valchiria. Qui la reazione di Gunther (“in höchstem Schrecken aufspringend“ – balzando al colmo del terrore – avverte la didascalia in partitura) ci dà la prova provata della sua ignoranza dei precedenti trascorsi fra Siegfried e la ex-Valchiria. Per Hagen, ben lo sappiamo, nessuna sorpresa, anzi: l’avvicinarsi dell’agognato traguardo!
Dopo che Brünnhilde annichilisce Gutrune, paragonandola ad una ballerina e concubina, abbiamo quella che possiamo chiamare l’orazione funebre di Brünnhilde per Siegfried. Come già anticipato, nelle parole di Brünnhilde si parla di Siegfried come di un grande eroe onesto e di un grande traditore allo stesso tempo. Il concetto è di indubbia suggestività e drammaticità… ma non si accorda con i fatti ormai accertati: Siegfried ha tradito inconsapevolmente, in forza di un imbroglio, perpetrato ai suoi danni da Hagen, e perciò dovrebbe essere “assolto con formula piena”, riconoscendo in lui una vittima innocente di giochi che sono passati sulla sua testa. Al massimo gli si potrebbe rimproverare eccessiva dabbenaggine, nel momento in cui si fidò dell’ospitalità “pelosa” dei ghibicunghi. Perché, se viceversa Siegfried fosse un vero traditore, allora che senso avrebbe glorificarlo? È possibile che Wagner abbia cercato, quasi “sinfonicamente”, di far convivere due stati esistenziali di Siegfried: quello soggettivo, vissuto personalmente (l’uomo tutto d’un pezzo, sempre fedele a se stesso e sempre in perfetta buona fede) e quello oggettivo, vissuto di riflesso da Brünnhilde (un grande amatore prima, un grande traditore, sia pure incolpevole, poi).
Sulla chiusa del Ring Wagner stesso ebbe ripensamenti e incertezze: alla fine decise per un finale buono per tutte le stagioni e tutte le interpretazioni. Una cosa è certa, dalla lettura delle didascalìe: alla fine, oltre all’insignificante Gutrune e ai beceri sudditi ghibicunghi, sopravvivono al putiferio universale, e a 15 ore di musica, le tre Figlie del Reno e Alberich... cioè si torna alla casella zero!
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04 aprile, 2009
Götterdämmerung al Maggio: primi indizi
Certo da pochi disegni non c’è molto da decifrare o da ipotizzare o da indurre sull’insieme dell’allestimento del dramma, ma una piccola obiezione si può avanzare (è chiaro che stiamo ragionando sulle sabbie mobili, poichè tutto potrebbe cambiare prima del 29). Come si può verificare, parrebbe che i due fratelli “ingenui” (G&G) vengano abbigliati, come il fratellastro “cattivo” Hagen, con abiti che recano i simboli del denaro. Ecco, questa sarebbe davvero una generalizzazione gratuita e francamente fuori luogo: Hagen è certamente assetato di oro, e dal padre spinto al recupero dell’anello a tutti i costi, ma Gunther e Gutrune, figli di sovrani, non sono certo mossi dalla fregola di arricchirsi di più. Il loro comune desiderio è di trovare, rispettivamente, una moglie ed un marito degni del loro (presunto) blasone. Al proposito la domanda che Gunther pone ad Hagen in apertura del primo atto è quanto mai esplicita: “Wen rätst du nun zu frein, dass unsrem Ruhm' es fromm'?“ “Chi consigli tu, dunque, di sposare,che porti a nostra fama giovamento?” (come traduce impeccabilmente il grande Guido Manacorda). Ed è infatti toccando questo tasto che il cattivone li trascinerà in un’avventura a pessimo fine.
Speriamo che magari Chu ci ripensi, e lasci i simboli di dollaro, yen, euro, sterlina etc. solo sulla giacca di Hagen (e magari su quella di Alberich) e li tolga invece dalle vesti dei due regali ghibicunghi, che almeno si meritano le attenuanti generiche per la loro complicità nell’omicidio di Siegfried...