trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta prokofiev. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta prokofiev. Mostra tutti i post

29 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.22 – Tjeknavorian

Già poco dopo l’inizio della sua prima stagione come Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica di Milano il rampante Tjek è diventato un idolo del pubblico e pure della critica, che gli ha assegnato di recente il prestigioso Premio Abbiati. Così ieri sera si è portato appresso anche la famigliola (a partire dal padre-d’arte Loris) in platea ad applaudirlo. [A proposito, chissà se è mai successo, o che effetto farebbe vedere padre e figlio in scena insieme, il primo sul podio e il secondo imbracciando il violino…]

Dopo lo Shostakovich patriottico, ecco ancora un programma tutto russo, con la coppia Borodin-Prokofiev, due personaggi curiosamente provenienti dalle periferie dell’impero zarista e poi sovietico: Georgia (il padre di Borodin) e Ukraina orientale (Prokofiev).

Di Aleksandr Borodin è in programma una selezione di brani da Il Principe Igor, precisamente:

1. Ouverture dell’opera,
2. Marcia dei guerrieri polovesiani (Preludio atto III),
3. Danza delle fanciulle polovesiane (secondo numero dell’Atto II),
4. Danze polovesiane (ultimo numero dell’Atto II).

Detto che la musica che si ascolta è un poco anche farina del sacco di Rimski e Glazunov, che si presero l’onere di completare una partitura lasciata dall’Autore come un colabrodo… c’è da dire che questo Borodin non a caso ricorda da vicino Musorgski, per la crudezza, quasi barbarie, dei temi di estrazione popolare che costellano la partitura. L’unica eccezione è quella rappresentata dalla sognante melodia delle fanciulle, poi ripresa dall’intero coro, che innerva la scena delle Danze polovesiane. [I diversamente giovani ricorderanno l’impiego di questo tema fatto nel musical Kismet, con il titolo di Stranger in Paradise, qui a 2’00”, che fece conoscere anche a parecchi musicomani l’esistenza di Borodin!]

Quasi sempre le esecuzioni in sala da concerto impiegano solo l’orchestra, ma questa signora Orchestra è anche affiancata da un gran Coro (diretto da Massimo Fiocchi Malaspina), il che ci ha consentito di ascoltare le Danze complete anche delle voci, così come previsto dall’Autore. Danze che hanno chiuso in gran spolvero un’esecuzione a dir poco entusiasmante.

Dobbiamo davvero ringraziare l’Orchestra, il Coro e i loro condottieri per questo autentico regalo – una cosa più unica che rara! - che ci hanno fatto. E il pubblico è letteralmente impazzito riservando a tutti un’accoglienza trionfale.

___
Sergej Prokofiev, che già due settimane fa aveva monopolizzato il programma, torna con quella che personalmente considero una delle musiche più straordinarie prodotte nell’intero ‘900: il balletto Romeo & Giulietta, del quale abbiamo ascoltato un estratto dalle tre Suite, comprendente [numeri Suite da numeri Balletto]:

1. Danza del mattino [S3-2 da B-4]

2. La strada si risveglia [S1-2 da B-3]
3. Maschere [S1-5 da B-12]
4. Morte di Tibaldo [S1-7 da B-33-6-35-36]
5. Montecchi e Capuleti [S2-1 da B-7-13]
6. La giovane Giulietta [S2-2 da B-10]
7. Danza delle 5 coppie [S2-4 da B-24]
8. Romeo e Giulietta prima della separazione [S2-5 da B-38-39-43]
9. Romeo presso la tomba di Giulietta [S2-7 da B-51-52]

Impaginazione decisa dal Tjek in persona, pescando numeri dalle tre Suite proposte direttamente dall’Autore. Ma questa è musica talmente bella che qualsivoglia selezione e ordinamento dei brani garantisce infallibilmente il gradimento del pubblico.

Come è puntualmente accaduto anche ieri, dopo che l’ottavino ha guidato gli archi sul DO maggiore della conclusione spirituale, eterea, di Giulietta addormentata per l’eternità. Il Tjek ha imposto almeno 20 secondi di religioso silenzio; poi, l’entusiasmo incontenibile del pubblico ha letteralmente scosso l’Auditorium dalle fondamenta!

Fra Direttore e musicisti e fra entrambi e il pubblico si è instaurata un’atmosfera di totale comunione: un momento magico che speriamo duri il più a lungo possibile…


15 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.20 – Andrew Litton

È il 66enne newyorkese Andrew Litton il Direttore che sale sul podio dell’Auditorium per presentarci un concerto all-Prokofiev! Tradizionalmente impaginato in tre componenti: breve brano di apertura, concerto solistico e sinfonia.

Si parte quindi con una Ouverture, quella che, insieme all’Epigrafe del coro, apre l’opera Guerra e Pace (composta pochi anni prima - 1941-43 - della versione della Sinfonia che chiude il programma). Trattasi di un piccolissimo cammeo (poco più di 5 minuti) che introduce un autentico kolossal (quasi 4 ore di musica, neanche fosse… Parsifal!) Fra l’altro, viene usualmente omessa, così come l’Epigrafe, nelle rappresentazioni moderne, che iniziano direttamente con l’aria di Andrej.   

Il brano inizia e termina con piglio eroico, fanfare e marce guerresche (la seconda parte dell’opera) ed ha una sezione centrale più intimistica (la prima parte dell’opera, con relative vicende sentimentali).

Insomma, un modo come un altro per… scaldare i motori all’orchestra e permettere a qualche ritardatario di entrare in sala per la parte sostanziosa del concerto… 

___
Che si apre con il 42enne Alessandro Taverna che arriva per deliziarci con il Secondo concerto per pianoforte. Concerto composto prima dell’inizio della WWI e poi usato come… combustibile (tipo Bohème, per intenderci) durante la Rivoluzione d’Ottobre e faticosamente ricostruito dall’Autore, anni dopo, a memoria! Qui un mio personale tormentone esplorativo, dove si sottolinea (magari nel bene e nel male) la complessità della struttura del concerto: non solo quella macro (i 4 movimenti) ma anche e soprattutto quella micro, ricchissima (forse fin troppo) di materiale, il che comporta per l’ascoltatore parecchie difficoltà nell’individuarvi una narrativa chiara e lineare.

Taverna da parte sua ha sfoderato tutta l’energia e la tecnica di cui dispone, aggredendo letteralmente lo strumento (che in effetti, per Prokofiev, è proprio… a percussione!) ma traendone anche, ove dovuto, suoni di grande trasparenza ed espressività.

Per lui un grandioso trionfo, con applausi ritmati e boati di approvazione, di fronte ai quali non ha potuto esimersi da un mirabolante bis (Gulda, Play Piano Play N°6, Toccata presto possibile) suonato quasi in souplesse, dopo quel po’po’ di riscaldamento prokofieviano!

___
Ha chiuso la serata la Quarta Sinfonia. Che ebbe curiose affinità di… parto con la precedente Terza. Entrambe nacquero in parallelo e come ripiego a due (iniziali o parziali) insuccessi di opere teatrali (o para-): rispettivamente l’opera L’angelo di fuoco e il balletto L’enfant prodigue.

Prokofiev ripercorse in questo la strada ampiamente battuta anni prima da tale Gustav Mahler, che aveva infarcito le sue prime cinque sinfonie di non meno di 11 riferimenti (più o meno precisi) ad altrettanti Lieder composti in precedenza.

Per di più, di questa Sinfonia l’Autore ha lasciato due versioni abbastanza diverse, tanto da essere catalogate con separati opus-number: la prima, op.47, del 1930 (prevalentemente composta in USA) e la seconda, ascoltata qui, op.112, approntata nel 1947 (quando Prokofiev risiedeva  da anni stabilmente in URSS). [Le partiture di Bosey£Hawkes contano rispettivamente 108 e 205 pagine, per durate che passano da circa 25 a circa 40 minuti!] Prokofiev non ebbe però il piacere – nel caso della prima versione per banali ragioni logistiche, in quello della seconda per via dei soliti fastidi sollevati dai simpatici censori sovietici - di poter ascoltare nulla di tutto ciò! 

Personalmente (per quanto possa valere) il mio voto più alto va alla partitura originale; la seconda mi pare – esempi lampanti i due movimenti esterni – troppo sovraccaricata di materiale non eccelso, oltre che troppo bombastica (forse per aggirare… Zdanov?!)

Salomonico e cerchiobottista (oltre che impreciso, riguardo al balletto sottostante) è, al proposito, il supremo Oracolo-IA! Di cui è da condividere comunque il suggerimento finale (ascoltarle entrambe); suggerimento che si può facilmente mettere in pratica, grazie alla grande rete; per esempio da Gergiev-47 e da Gergiev-112. Per poi decidere (se proprio si vuole) se ci convinca di più la prima o la seconda, o… entrambe o nessuna!

Il primo movimento è introdotto da una languida melodia in Andante assai, esposta prevalentemente dai legni, con brevi interventi degli archi. Il corpo è in forma-sonata, (piuttosto… eterodossa) con un primo tema in DO maggiore, Allegro eroico, dove compare ripetutamente una chiara reminiscenza mahleriana, dal primo movimento della Sesta:

Dopo una transizione che passa dal RE maggiore (Meno mosso) ecco arrivare (in Allegretto) il secondo tema, canonicamente nella dominante SOL maggiore.

Il ritorno dell’Allegro eroico chiude l’esposizione, e si passa ad un complesso sviluppo, dove ai temi principali si aggiunge molto nuovo materiale, di discutibile coerenza con il resto, incluse ardite modulazioni; l’atmosfera dell’Allegro eroico torna ripetutamente, quasi a forma di rondò, alternandosi a squarci più luminosi, tipici di musiche da film. Si arriva così ad una ripresa, anch’essa assai variata, dei due temi principali, ora entrambi in DO, come da sacri canoni. È sempre il primo a chiudere il movimento.  

Ecco poi l’Andante tranquillo, ancora in DO maggiore. La macro-forma è un ibrido di rondo e sonata, ma anche qui arricchita da motivi accessori. Dopo una breve introduzione con arpeggi di flauti e archi, il flauto solo espone la bellissima melodia del tema principale, poco dopo ripresa maestosamente dagli archi. Un breve intervento del clarinetto (in FA maggiore) porta alla sezione centrale, dove un motivo animato anche da marziali accordi del pianoforte incastona un passaggio (Più mosso) in SI.

Torna il tema principale, esposto però dai legni nella relativa MIb maggiore e ancora da archi bassi e fiati in SI maggiore, chiuso da pesanti accordi in minore. Ora subentra una transizione in MI minore, poi ancora sfociante in SI e poi al DO maggiore, che ci avvia alla fine (Un poco gravemente) con una reminiscenza dell’attacco della Sinfonia, seguita (Più largamente) dall’ultima, solenne riproposizione a piena orchestra del tema principale, che si adagia infine sull’ultimo DO dei fiati.

Segue il Moderato, quasi allegretto, che occupa il posto dello Scherzo. E in effetti ne ha qualche vaga caratteristica. Contrariamente allo Scherzo classico, che prese il posto del Minuetto e quindi è normalmente in 3/4 (salvo magari il Trio), qui, eccettuate due singole battute di collegamento, è tutto in 2/4. I motivi sono peraltro… scherzosi e proprio in punta di piedi, come del resto si addice alle sue origini, di brano preso di peso da un… balletto!     

Il finale è un Allegro risoluto, DO maggiore. Il rimaneggiamento cui Prokofiev sottopose quello dell’op.47 gli ha fatto perdere totalmente… i connotati! Della originaria forma-sonata non rimane praticamente nulla, sostituita com’è da una serie di invenzioni, o fantasie, motivi ora saltabeccanti, ora ondeggianti, misti a slanci eroici che ammiccano ai dettami di un patriottismo evidentemente auto-imposto per… necessità familiari (e purtroppo proprio la famiglia di Prokofiev, la moglie per la precisione, fu vittima di quel totalitario patriottismo).

Andrew Litton è un esperto di Prokofiev, avendone inciso tutte le Sinfonie (e molto altro…) con la Filarmonica di Bergen, di cui è stato per anni Direttore. E ieri sera ha mostrato di saper padroneggiare anche questa ostica partitura, guidando l’orchestra – al suo primo contatto con quest’opera? - con gesto sobrio e misurato (magari qualche agitazione in più gioverebbe, ehm… alla sua linea piuttosto rotondeggiante!)

E così il pubblico dell’Auditorium (anche ier sera non proprio sovraffollato) ha mostrato il suo apprezzamento, gratificando tutti di applausi e ovazioni.

20 gennaio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.9

Ancora musiche da balletto nel nono Concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio il redivivo Stanislav Kochanovsky, orami vecchio ospite dell’Auditorium. Quasi naturale che il programma sia monopolizzato da autori russi (o ukraini, nella fattispecie, ma di un’epoca dove fra i due popoli c’erano rapporti un filino meno tesi rispetto ad oggi...)

E come per il concerto precedente, anche qui si doveva aprire con il romantico per antonomasia (Ciajkovski) e chiudere con un moderno, Prokofiev. Ma il Direttore russo ha pensato (bene?) di servirci in tavola per primo il piatto… salato, e poi quello dolce (con brindisi finale…) 

E così ecco subito la Suite da un balletto (1915-20) dell’ukraino del Donbass (ma nato sotto lo Zar) Prokofiev, balletto e musica che non hanno francamente avuto molta fortuna negli anni: La storia del buffone (Chout). È basata su un racconto di Afanasiev che mescola ingredienti di fantastico, surreale, orrido, macabro e sarcastico (a dir poco…); quindi l’ideale per stimolare la fantasia di un musicista di belle speranze come Prokofiev, desideroso di mettersi in mostra e far carriera in Russia e nel mondo, partendo da Parigi.

La Suite consta di 12 numeri, è abbastanza corposa (circa 38’ contro i 55’ del balletto integrale in 6 Quadri e 5 Intermezzi, quindi quasi i 2/3) ed è ottenuta per parziale sfrondamento della partitura del balletto, più qualche ritocco, come il riutilizzo di parti di Entr’acte, o raccordi e cadenze. (Qui riporto una schematica ma dettagliata visione della struttura delle due opere, con le parti colorate a rappresentare il riutilizzo di brani del balletto nella suite.)

A differenza, per dire, di Romeo e Giulietta (arrivato peraltro quasi 20 anni dopo) la cui musica si può benissimo godere integralmente anche senza la coreografia, qui francamente le sole note lasciate a se stesse finiscono per creare più di qualche problema, come si può ad esempio verificare in questa registrazione di Gennadi Rozhdestvensky. Dove si avverte una certa ripetitività di stilemi che finisce – in assenza di immagini di danza, appunto – per diventare piuttosto stucchevole e persino noiosa.

Viceversa nella Suite (qui Neeme Järvi) la maggior concisione garantisce al brano scorrevolezza e varietà di accenti tale da migliorarne assai la godibilità.  

Certo, rispetto al Lago ciajkovskiano c’è un filino di differenza, come del resto è capitato una settimana fa con l’Uccello di Stravinski arrivato dopo lo Schiaccianoci…

Ma un’ottima esecuzione - come quella ascoltata ieri – può benissimo far apprezzare anche questo Prokofiev quanto Ciajkovski. Ed è proprio ciò che è successo in Auditorium, con convinti applausi per l’orchestra e ripetute chiamate per il Direttore.
___
Si è quindi chiuso con una Suite dal Lago dei Cigni, opera di un russo che in Ukraina ci andava spesso e volentieri da turista, ed anche per prendere ispirazione per le sue musiche (si veda la Seconda Sinfonia, la Piccola Russia).

Perché una e non la Suite? Perché Kochanovsky (non è il primo né l’ultimo a farlo…) ha scelto una sequenza di numeri del balletto che differisce assai da quella che fu proposta dalla pubblicazione postuma di Jurgenson, e precisamente presenta questi 8 numeri:

Kochanovsky
Jurgenson
1. Introduzione
1. N.10 Scena (Atto II)
2. N. 1 Scena n.1 (Atto I)
2. N.  2 Valse (Atto I)
3. N. 5 Passo a Due parte I (Atto I)
3. N.13 Danza dei cigni parte IV (Atto II)
4. N.10 Scena (Atto II)
4. N.13 Scena (Danza dei cigni parte V - Atto II)
5. N.11 Scena (Atto II)
5. N.20 Danza ungherese. Czardas (Atto III)
6. N.13 Danza dei Cigni parte V (Atto II)
6. N.28 Scena (Atto IV)
7. N.28 Scena (Atto IV)
 
8. N.29 Scena Finale
 

Personalmente in questo collage sento la mancanza (rispetto alla versione Jurgenson) del grandioso n°2 del primo atto (Valse)… ma pazienza, ecco.

Esecuzione comunque trascinante e gran trionfo assicurato. Così Direttore e Orchestra ci congedano con un numero-extra del balletto, il n°21 del terz’atto, Danza Spagnola.

Si replica domani alle 16.  

25 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. 17

Shakespeare in musica si intitola il concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano di questa settimana; a dirigerlo il Direttore Principale Ospite, Jaume SantoniaOpere di due autori ormai da tempo entrati nella storia della musica che ne incastonano una di un’autrice che più contemporanea di così non si può!

Si parte quindi con Macbeth (op.23) che Richard Strauss compose nel 1887-88 (quindi a 23-24 anni!) e poi ultimata nel 1891, praticamente insieme ai (e pure prima dei…) più fortunati Don Juan (op.20) e Tod und Verklärung (op.24). Hans von Bülow trovava in questa musica (che pure, da fedele wagneriano, apprezzava per l’alto tasso di innovazione) delle autentiche mostruosità… E Hugo Wolf (non certo un adepto di Hanslick) arrivò a definirla raccapricciante! E persino il padre Franz continuò fino all’ultimo a consigliare al figlio severe revisioni della partitura, per depurarla da eccessive pesantezze…

Non parliamo poi dell’eterno problema legato alla musica-a-programma: la pertinenza dei suoni messi sulla carta dal compositore con i riferimenti extra-musicali (letterari, nella fattispecie) dell’opera. Le discussioni e le diatribe iniziarono addirittura prima che la musica fosse pubblicata ed eseguita! Il citato von Bülow fu persino responsabile del radicale mutamento del finale dell’opera rispetto a quanto previsto in origine (versione mai pubblicata) da Strauss: che contemplava, dopo il RE minore che costantemente identifica la personalità di Macbeth, di chiudere il poema sinfonico in RE maggiore, con la marcia trionfale di Macduff e compagni che – arrivano i nostri! – mettono fine al dispotismo e al despota.

No no no! questa sarebbe una gran baggianata! protestò l’ex-marito di Cosima Liszt-Wagner, e così il suo allievo Strauss si decise a lasciare nella partitura definitiva solo 6 (sei!) battute in RE maggiore evocanti i liberatori, per poi chiudere tornando sul protagonista del dramma, con 15 battute in RE minore.

E ancora oggi ci sono discussioni e diatribe fra i critici musicali riguardo l’individuazione delle strette relazioni fra la musica e il soggetto esterno. C’è discordanza, per dire, su dove collocare nella partitura – visto che Strauss non l’ha fatto - il momento dell’arrivo di Duncan, quello del suo assassinio o quello della morte dello stesso Macbeth. E se nella musica si debba anche individuare qualche riferimento a Banqo e figlioletti! E come interpretare le 6 battute in RE maggiore della coda, se evocanti Macduff o la fallacia della presa del potere di Macbeth…

E altre diversità di vedute si riscontrano addirittura nello stabilire i confini musicali fra esposizione dei temi, loro sviluppo e ricapitolazione, come vorrebbero i criteri della forma-sonata, sia pure eterodossamente applicata al caso in questione.

Chi desideri approfondire questi aspetti può leggere questo interessante saggio, dove si propone una possibile (e assolutamente plausibile, per carità) esegesi dell’opera con precisi riferimenti al plot shakespeare-iano. Ma resta il fatto che Strauss ha esplicitamente riportato in partitura soltanto due indicazioni didascaliche:

1. Battuta 6: la semplice dicitura Macbeth;

2. Battuta 64: la dicitura Lady Macbeth, corredata da 5 versi di Shakespeare (Atto I, Scena 5) dove si prefigura la seduttiva adulazione della Lady al marito, per spingerlo al crimine.

Per il resto, nessun’altra indicazione, niente. E da qui il proliferare di ipotesi le più diverse – plausibili o campate in aria - su come interpretare i vari passaggi musicali dell’opera. Ennesima conferma che la musica, da sola, non è in grado di narrare alcunchè di preciso; salvo, appunto, se stessa.

Ascoltandola possiamo certo convenire che la struttura del brano sia vicina alla forma-sonata, principalmente perché ci espone due temi ben scolpiti:

A=Macbeth, maschio e volitivo, caratterizzato da una vertiginosa salita di 12ma (il successo?) immediatamente seguita da un rovinoso precipitare di 7ma (la rovina?); tonalità RE minore;

B=Lady, femminile e insinuante, in FA#, ma poi canonicamente chiuso sul FA maggiore;

temi preceduti da una specie di motto (M) che tornerà mille volte a farsi udire, caratterizzato da un arpeggio (tonica-dominante) sulla scala di LA, chiuso da un accordo di quinta vuota.

Lo sviluppo e la ricapitolazione mostrano la grande abilità manipolatoria di Strauss e le sue indiscusse doti di orchestratore; tuttavia verrebbe da dar ragione al padre Franz riguardo all’eccessiva pesantezza di molti passaggi…

Del tutto gratuita poi la comparsa, nella coda, della marcetta con fanfara in RE maggiore, che non ha (escludendo gli arpeggi delle trombe) alcun riferimento musicale con tutto il resto; per cui bene fece Strauss a ridurla – obbedendo al navigato e smaliziato von Bülow - ad un moncherino di 6 battute:

E alla fine domandiamoci quindi perché Macbeth, cui pure Strauss attribuì un’importanza preminente nella sua produzione, sia da sempre il meno eseguito (ed oggettivamente il più ostico da afferrare) dei suoi Tondichtungen

Non sarà per caso perchè la musica in sé non eccita immediatamente il nostro interesse e le nostre emozioni, come accade ascoltando i vari DonJuan, Till, Zarathustra, Quixote, Heldenleben, Alpensinfonie… ? Certo, il riferimento letterario è un dramma dalle tinte oscure, abitato da due personaggi negativi e dalla psiche alterata… ma è pur vero che quello stesso soggetto ispirò a tale Verdi ben altra musica per le nostre orecchie!

Beh, Santonja e i ragazzi vanno encomiati in blocco per aver fatto il massimo per valorizzare questa difficile partitura: certo la sostanza di fondo non la si può cambiare, e a me personalmente questo lavoro lascia sempre parecchie perplessità, come qualcosa di troppo artefatto, di velleitario, magari spiegabile con l’impeto e il furore innovativo del giovane Strauss, ecco…       
___
La compositrice-in-residence Silvia Colasanti torna protagonista in Auditorium con una nuova opera eseguita in prima assoluta: Time's Cruel Hand, tre sonetti di Shakespeare affidati alla voce del controtenore Alex Potter.

Nel primo sonetto della composizione (n°64) il solo pensiero che il tempo si porti via la persona amata mette la morte nell’anima. Il sonetto 19 - secondo dell’opera - sfida il tempo a fare il suo corso e a scolpire profonde rughe nella nostra pelle.

Il soggetto, come ben lascia intendere il titolo dell’opera (tratto dall’ultimo verso del Sonetto 60, che chiude la composizione) è precisamente l’incessante, inesorabile ed impietoso scorrere del tempo, la cui mano crudele non lascia scampo a nulla e nessuno. (Siamo ad Anassimandro e al destino che impone ad ogni creatura, per la sola colpa di esserne uscita, di ritornare all’apeiron.)

Ma all’Uomo resta sempre un’arma di difesa: l’ArteCome recitano gli ultimi tre versi:

Nulla resiste, di ciò che miete la sua falce crudele,
Ma incrollabile sia il mio verso, nel tempo che verrà,
a tua lode, e quelle mani crudeli sfiderà.

Ecco, la sfida dell’Arte all’inesorabile azione del tempo e alla conseguente ossessione umana per la morte: pare proprio il programma estetico di tale Richard Wagner!

E Colasanti interpreta in modo convincente lo spirito di questo Shakespeare, rivestendo i tre testi (come sempre opportunamente proiettati sugli schermi sovrastanti il palco, nella lingua originale e nella eruditissima traduzione di Quirino Principe, presente in sala) di note coinvolgenti e cariche di profonda compassione (nel senso etimologico del patire insieme).

Musicalmente i sonetti sembrano ricoperti di atonalità, anche se il primo mi pare avere un centro gravitazionale sul LA (minore) chiudendo sulla dominante MI e il secondo, più agitato, tenda a gravitare sul RE-SOL. Il terzo giurerei proprio che sia nella classica e pura tonalità di MI minore!

Pregevole l’interpretazione di Alex Potter, che ha messo la sua voce e la sua sensibilità al servizio di quest’opera che merita davvero l’accoglienza trionfale che il pubblico dell’Auditorium le ha riservato. Trionfo che ovviamente ha coinvolto la compositrice, salita sul palco a ringraziare tutti i musicisti che hanno così efficacemente illustrato il suo lavoro.
___    
Chiude la serata il Prokofiev di Romeo&Giulietta, di cui viene eseguito un mix delle tre Suite che il nativo del Donbass ricavò dalle musiche per l’omonimo balletto. [Qui un mio schematico sunto delle relazioni fra numeri del Balletto e Suite, all’interno di un commento ad una precedente esecuzione.]

Qui sono stati presentati i seguenti 9 numeri (indicati coni corrispondenti del balletto):

1. II-1.  Montecchi e Capuleti
2. II-2.  Giulietta fanciulla
3. III-1. Romeo 
4. III-2. Danza mattutina 
5. I-4.   Arrivo degli ospiti (Minuetto)
6. I-5.   Maschere
7. I-6.   Scena del balcone
8. II-7.  Funerale di Giulietta
9. I-7.   Morte di Tebaldo

Ribadisco una mia convinzione: è musica (tutto il balletto, non solo le Suite) che reputo fra la più straordinaria prodotta in tutto il ‘900. E anche l’esecuzione di ieri me lo ha confermato in pieno.

Quindi, onore e gloria per tutti: dal Direttore ai musicisti (ieri guidati da Dellingshausen) e – last but not least – al bardo di Stratford-upon-Avon! 

14 marzo, 2022

La realtà supera la fantasia

In un mio recente post avevo fatto un commento alla vicenda Scala-Gergiev e all’ostracismo del Teatro per il Direttore russo osservando come - per coerenza - si sarebbe allora dovuto anche bandire da teatri e sale da concerto un tale Ciajkovski, essendo costui un russo fedelissimo dello Zar e reo di occupare spesso territorio ukraino, avendo colà composto una sinfonia ispirata a quel Paese (la sua Seconda) titolata Piccola Russia.

Beh, è accaduto! Precisamente nel democratico Galles, dove l’Orchestra di Cardiff ha deciso il bando al compositore russo, cancellando da un concerto la belligerante Ouverture 1812 e sostenendo che... the orchestra was made aware that the title, “Little Russian” of Symphony No 2, could be deemed offensive to Ukrainians.

Confermate invece inspiegabilmente le esecuzioni di musiche di Prokofiev: uno che aveva abbracciato l’Unione Sovietica, ed era ukraino filorusso del Donbass!


23 gennaio, 2020

Il Maeschtre è tornato alla Scala


Ieri sera Riccardo Muti è tornato - dopo quasi tre anni - a calcare il podio scaligero. Portandosi ancora dietro... tutta la numerosa famiglia americana, con la quale sta girando mezza Europa e dopo aver già fatto soste a Napoli e Firenze, due città che - ma chissà poi perchè - pare gli siano molto care.

Come a Napoli e a Firenze (dove si è registrato il tutto-esaurito da settimane) anche il Piermarini era affollato, anche se non proprio come un barile di sardine... Dove Muti ha eseguito lo stesso programma presentato proprio lo scorso lunedi all’OF: programma davvero impegnativo, oltre che interessante dal punto di vista dei contenuti. Val la pena sottolineare il diverso grado di oggettiva difficoltà (per l’ascoltatore, quindi per il pubblico) dei due programmi italiani (Ouverture wagneriana a parte): quello di Napoli (il Prokofiev trascinante di Romeo&Giulietta e l’inflazionato Dvorak del Nuovo Mondo) è fatto di musica, per così dire, facile, che si può godere anche ad un ascolto passivo, tanto accattivanti sono temi e motivi che la innervano. Quello di Firenze-Milano (presentato anche nella prima delle tre fermate viennesi della tournée della CSO) propone due sinfonie poco conosciute al vasto pubblico, proprio perchè sono musica piuttosto ostica, cerebrale, di non immediata presa.

Credo difficile pensare che questa differenziazione di programmi (tra NA e FI-MI) sia stata frutto del caso o di scelte fatte tirando la monetina o condizionate da qualche esigenza tecnica, e non sia invece stata influenzata anche da ragioni... geopolitiche (ciascuno ne tragga poi le conclusioni che crede!)

Così anche ieri alla Scala, dopo l’Ouverture dell’Holländer, sono state eseguite due Sinfonie che ebbero curiosamente gestazioni simili (e assai complicate) negli anni ‘30 e ‘20 del ‘900: entrambe infatti furono composte impiegando materiale di opere teatrali che gli autori stavano completando o che avevano appena completato, ma che avevano difficoltà a mettere in scena. Mathis der Maler fu composta da Hindemith nel ‘33-34, mentre l’opera vide la luce solo nel ‘38, e non in Germania, causa... Hitler. La Terza di Prokofiev è del ‘28-29, mentre l’opera L’Angelo di fuoco (del ‘22, cui la Sinfonia è debitrice) addirittura non sarà mai rappresentata vivente l’Autore.

Due lavori che sono anche vagamente accomunati da una componente, per così dire, mistica, pur se in scenari quasi agli antipodi: sinceramente religioso, nel raccoglimento come nel trionfo, quello di Hindemith; nobile, ma con accenti talvolta quasi sacrileghi quello di Prokofiev!
___
Sull’eccelsa qualità della CSO è inutile dilungarsi; che circa 10 anni orsono abbia fortemente voluto come guida Riccardo Muti testimonia invece dell’alta considerazione in cui il Maeschtre è tenuto in tutto il mondo. E il rifiuto dei professori ad alzarsi, alla terza uscita finale, la dice lunga della stima di cui Muti gode dentro la compagine orchestrale.  

Fulminante il biglietto da visita con cui l’Orchestra si è presentata: l’attacco dell’Olandese, con gli archi (violini e viole) in un tremolo letteralmente tagliente! Muti ci ha poi messo del suo, chiedendo a corno inglese ed oboe la massima espressività nella presentazione del tema della Redenzione (la ballata di Senta) e poi evitando facili sguaiatezze nei motivi dei marinai norvegesi. Poderoso il pieno orchestrale in chiusura dell’Ouverture, accolta da ovazioni.

Mathis è una  composizione che meriterebbe più attenzione da chi programma concerti: ricordo una benemerita esecuzione de laVerdi nel 2013 (con Xian) ma non ci sono in giro molti casi analoghi. L’esecuzione di Muti con la CSO ha confermato la qualità di questa musica, che il Maestro ha ulteriormente valorizzato, accentuandone proprio il carattere di religiosità composta e nobile, quella ispirata alle pale dipinte dal pittore cinquecentesco a Isenheim.     

Della Terza del compositore ukraino Muti ha scavato le profondità espressioniste, così legate al soggetto teatrale cui già Prokofiev aveva dato forma anni prima, pur non essendo ancora riuscito a farlo rappresentare. È una musica che si fatica a digerire se si prescinde dalla sua sorgente, che invece le conferisce quella narrativa (il conflitto aspro e insanabile tra religione e stregoneria) che ce la rende apprezzabile, spiegandocene le apparenti contraddizioni.          

Alla fine Muti ha offerto lo stesso bis di Firenze, il mirabile Andante cantabile in MI maggiore dall’Intermezzo del second’atto di Fedora, dopo aver reso omaggio a Milano e a due musicisti cui deve tutto: il suo maestro e pigmalione Antonino Votto e il grande Gianandrea Gavazzeni. Poi ha fatto ciao-ciao a due mani e si è portato via i suoi ragazzi, tutti subissati da strameritati applausi...

29 novembre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°9


Il nono appuntamento della stagione principale vede il ritorno in Auditorium di un direttore e un solista che già vi hanno messo piede in passato: l’uzbeko Aziz Shokhakimov e il russo-italico Boris Petrushansky. Per offrirci un interessante programma romantico, di un romanticismo che però si estende dall’800 alla metà del ‘900.

Si comincia con il Primo Concerto uscito dalla penna del compositore più rappresentativo (almeno in campo pianistico) del romanticismo ottocentesco, Fryderyk Chopin. Parlare di capolavoro per questo... lavoro sarebbe eccessivo, personalmente lo colloco fra le cose interessanti e soprattutto godibili. Come quelli di Schumann, per dire, o di Grieg, ecco.

Solista e direttore sembrano assai ben affiatati (fecero già coppia qui anche tre anni fa, allora per Rachmaninov): Petrushansky con la tastiera ci va in guanti di velluto, e non solo nella Romanza, mentre Shokhakimov con l’orchestra non risparmia i decibel, ma questo contrasto ci sta assai bene. Il pubblico è da pochi-ma-buoni ed apprezza molto, così il canuto Boris ci regala un altro Chopin, quello del celeberrimo Walzer op.64-2.
___
Secondo e ultimo brano in programma una Suite dal balletto in tre atti Zolushka (Cenerentola per gli amici...) di Sergei Prokofiev. Composto durante la guerra, su commissione del Kirov di Leningrado e presentato a fine 1945, il balletto marca un vero e proprio ritorno di Prokofiev al romanticismo in stile-Ciajkovski: sia per combattere con ottimismo i dolori e le miserie del conflitto, sia (chissà) per accattivarsi un establishment che ogni tanto gli faceva (come gli farà ben presto, ahilui) brutti scherzi... I tre atti ripercorrono la leggenda di Perrault (originata a sua volta da antichissime leggende egiziane). Dai 50 numeri del balletto Prokofiev ricavò, ancora durante la composizione, tre estratti per pianoforte (3, 10, 6 pezzi) e poi, nel 1946, tre diverse Suites (di 8, 7, 8 numeri) la prima della quale viene eseguita in questo concerto.

Come spesso accade in casi come questi - e come è abbastanza logico che sia, a pensarci bene, visto che si tratta di musica da eseguirsi senza la danza - la sequenza dei brani della Suite non rispetta rigorosamente quella della trama del balletto. Data la natura del soggetto, è musica accattivante, anche se piuttosto... datata: il confronto con Romeo&Giulietta è al proposito piuttosto impari. Tuttavia ciò non ha impedito al balletto di avere (anche tuttora) un buon successo di pubblico.

Successo che non è mancato ieri: per il Direttore, che con gli anni sembra mettere... la testa a posto; e ovviamente per l’Orchestra, davvero impeccabile nel domare questa partitura per nulla facile.

26 ottobre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°4


TTutta Russia (ma anche... Ukraina) per il settimanale concerto de laVerdi: si va a ritroso nel tempo, dal Prokofiev in procinto di rientrare in URSS al Ciajkovski entrato... nella piena maturità. Sul podio il redivivo e sempre convincente Stanislav Kochanovsky.

Con lui si presenta la bella Carolin Widmann per offrirci il Secondo Concerto per violino del russo (nato nell’est dell’Ukraina) Prokofiev.

Si tratta in pratica dell'ultima composizione portata a termine da Prokofiev in prossimità del suo ritorno in URSS e - per compiacere l’establishment, oltre e forse più ancora del pubblico - presenta una struttura assai tradizionale. Un Allegro moderato rigorosamente in forma-sonata, con i due temi contrastanti (SOL minore il primo, scuro e pensoso, e SIb maggiore il secondo, più contemplativo); un Andante assai, dove il violino espone una lunghissima e appassionata melodia in MIb, cui segue un Allegretto in RE; infine un Allegro ben marcato, un Rondo in SOL minore dalla struttura assai semplice (A-B-A-C-A-B-A-Coda).   

A dispetto della normalità formale, il pezzo presenta difficoltà non trascurabili e ciò non ha fatto che esaltare i meriti della 43enne monacense, ben supportata da Kochanovsky e dall’Orchestra. Ne è uscita un’esecuzione da incorniciare, e come cornice lei ci ha regalato un prezioso bis bachiano, un pezzo che non si smetterebbe mai di gustare: la Sarabanda dalla Seconda partita, in RE minore.
___
Un russo che in Ukraina (ma all’ovest) ci faceva lunghe vacanze (e pure ci componeva capolavori) era Ciajkovski, che a Kamenka, ospite nei possedimenti del cognato Davidov, sfornò nel 1884 la sua Terza Suite per orchestra.

Le quattro composizioni di questo genere seguono assai da lontano la struttura barocca: l’uso del nome è poco più che un trucco escogitato dall’Autore per liberarsi dai rigidi canoni della forma sinfonica - che resta tuttavia sullo sfondo - e dare più spazio alla sua libera ispirazione. Anche nel caso di questa Terza, come ad esempio in quello della Serenata op.48, si potrebbe infatti parlare di una sinfonia anomala: suddivisa in quattro tempi, ma con l’ultimo che prende l’ipertrofica forma di Tema con Variazioni. Seguiamone l’interpretazione islandese del compianto Gennadi Roždestvenski.
___
Il primo dei quattro movimenti è sottotitolato Elegia, tanto per chiarire da subito che non si tratta di musica a contenuto filosofico, ma sentimentale... Ci troviamo qua e là accenni, anche sfumati a precedenti composizioni, o anticipi di qualcosa che arriverà in seguito nella produzione dell’Autore. É un Andantino molto cantabile in SOL maggiore, 6/8 (2/4) dove troviamo due temi che in effetti si contrastano poco, essendo entrambi di natura contemplativa.

Il primo, che si ode subito negli archi (43”) è seguito da un controsoggetto in minore (1’24”). La breve transizione che segue (2’08”) ricorda da vicino un passaggio della Serenata composta 4 anni prima e un frammento che ricorda l’Andantino della Quarta. Dopo che il primo tema è stato riesposto anche dai fiati, ecco il secondo tema (3’29”) - qui un primo strappo alle severe regole sinfoniche - che è in tonalità di MIb maggiore. Par di sentirvi (3’40”) un presagio di Bella addormentata (Fata lillà) ma soprattutto (4’07”) la Francesca da Rimini, di 8 anni più longeva. Il tema si sviluppa assai introducendo anche un nuovo motivo, poi viene ripreso fino a chiudere l’esposizione.

Curioso poi lo sviluppo-ripresa: a 6’02” riecco il primo tema esposto bizzarramente nella tonalità del... secondo (MIb) e poi (7’45”) il secondo tema in quella del primo (SOL, qui nel rispetto delle regole). Dopo un ritorno della transizione, a 9’34” è ancora il primo tema a chiudere sommessamente sul SOL.

Segue ora la Valse mélancolique, tempo Allegro moderato, 3/4. Come anticipa il titolo, si tratta di una sommessa e a tratti cantilenante danza che richiama musica da balletto, terreno assai congeniale al compositore. È un brano strutturato in tre sezioni ABA, la prima permanendo in ambito SOL (MI minore e SOL maggiore) la seconda sconfinando nella sottodominante DO.

Aprono gli archi (12’21”) seguiti poi dai flauti che espongono il primo dolente tema in MI minore, subito ripreso con un’escursione (13’06”) a SOL maggiore. A 13’17” ecco un breve, veloce passaggio discendente-ascendente dei tre flauti che ancora richiama la Valse dell’op.48. A 13’24” flauti e clarinetti si librano in svolazzi di crome, sempre in SOL maggiore; poi a 13’43” ecco due ampie e solenni scalate che sfociano nel ritorno a MI minore, per la ripresa (14’09”) del primo tema esposto da corno inglese e viole e successivamente sviluppato.

A 15’10” una transizione caratterizzata da salti di ottava delle viole porta (15’23”) alla sezione B, in tonalità DO maggiore, ma sempre di sapore piuttosto mesto e strascicato (sequenza di semiminima-minima): è un’insistente serie di ottave che lentamente va crescendo di spessore, fino a culminare (17’32”) nella riproposizione della sezione A, tornata al MI minore, che va poi lentamente a spegnersi, sulla triade in pppp MI-SOL-SI degli archi.

Come nella forma sinfonica, segue uno Scherzo, tempo bipartito, ma a due facce (6/8 e 2/4) cioè caratterizzato ora da terzine, ora da duine. Quanto alla tonalità, siamo ancora in MI minore, ma sempre a cavallo con la relativa SOL maggiore. Assai vagamente vi possiamo riconoscere le tre classiche sezioni: Scherzo-Trio-Scherzo, ma anche qui non c’è grande contrasto fra i temi. L’attacco dei legni (19’54”) è effettivamente in SOL maggiore, con una frase di tre battute spiritate chiusa dall’accordo sulla triade. Subito gli archi rispondono con una frase più accomodante, in ritmo puntato. Lo scherzo si anima continuamente di nuovi colori finchè (20’56”) sfocia in una seconda parte più enfatica, dominata dagli ottoni, che porta (21’25”) alla riproposizione stringata del tema dello Scherzo, ridotto all’essenziale.

A 21’49” attacca quello che si può definire il Trio: la tonalità svaria tra SOL e RE maggiore, l’andamento ha un che di ripetitivo e ostinato, con frequenti svolazzi dei flauti a intercalare il motivo di carattere marziale. Una pesante progressione ascendente ci riporta (23’47”) al MI minore dello Scherzo, costellato da interventi di piccole percussioni, che va poi a chiudersi con uno schianto generale.

Colossale davvero, sia per struttura che per durata (pari al 48% dell’intera Suite!) ecco il conclusivo Tema con variazioni, Andante con moto, 4/8, SOL maggiore. Il Tema (24 battute, più una croma di attacco, precisamente come parecchie delle 12 Variazioni) viene esposto dai violini primi, con accompagnamento scandito dal resto degli archi. È un motivo scanzonato, quasi ad evocare un incedere a saltelli delicato o un ballo popolare. Si può suddividere in tre sezioni, ciascuna di 8 battute: soggetto (25’42”) - controsoggetto, con inversione di alcuni intervalli (26’00”) - soggetto (26’17”).

26’33” Variazione 1: Mentre tutti gli archi ripetono il tema in unisono, ma in pizzicato, come a trasformarlo in accompagnamento, flauti e clarinetti lo contrappuntano gaiamente con brillanti figurazioni.  

27’23” Variazione 2 (Molto più mosso): Il tema viene qui scomposto e destrutturato, con i suoi frammenti affidati a strumenti diversi, mentre i violini primi si sbizzarriscono in indiavolate biscrome, dalla prima all’ultima battuta.    

28’08” Variazione 3 (Tempo del tema): É affidata ai soli legni. Il primo flauto espone il soggetto del tema, accompagnato dagli altri legni. Poi ne accompagna (28’30”) il controsoggetto esposto dal secondo clarinetto; infine (28’54”) riprende il soggetto portandolo a conclusione.   

29’19” Variazione 4 (Tempo del tema): É in tonalità SI minore e presenta uno sdoppiamento del controsoggetto, ammontando quindi a 32 battute. Il soggetto viene esposto in minore da corno inglese e clarinetti, seguiti dal resto dei legni. Il controsoggetto, nella sua prima apparizione (29’46”) in SOL maggiore è affidato a violini e viole, ma poi ha una stupefacente ripetizione (Poco più animato, 30’10”) in MI minore, con i tromboni che trascinano l’intera orchestra in un colossale Dies Irae, che poi precipita negli archi fino alla ripresa, in SI minore (30’33”) del soggetto del tema.

30’59” Variazione 5 (Allegro risoluto): É in 3/4 e consta di ben 54 battute. Si presenta quasi come una fuga, con un fitto contrappunto che rende sfumata la suddivisione fra soggetto e controsoggetto del tema.

32’25” Variazione 6 (Allegro vivace): É in 6/8 e la struttura torna quella tripartita (8-8-8 battute). Il soggetto è presentato con pesanti accordi e ritmo marziale tali da renderlo quasi irriconoscibile. Più sciolto e scorrevole il controsoggetto (32’38”) che poi fa spazio al ritorno del soggetto (32’50”) sempre brutalmente scandito.

33’03” Variazione 7 (Moderato): É di appena 18 battute in 2/4 ed è affidata ai soli legni, e ricorda da vicino i corali bachiani. È il soggetto del tema ad esservi esposto e variato, fino a chiudere sulla sopratonica LA e quindi preparare il terreno alla successiva variazione.

33’44” Variazione 8 (Largo): É ancora più breve della precedente: sole 11 battute in 3/4 in tonalità LA minore. É il corno inglese ad intonare il tema con una triste e dolente melopea.

35’00” Variazione 9 (Allegro molto vivace): Sono 40 battute sempre in LA, ma maggiore (più la cadenza finale del primo violino). É uno spezzone del soggetto del tema a farla da padrone, con tutta l’orchestra che ribolle in un crescendo (Più presto, 35’22”) sfociante sul FA# dell’accordo che introduce (35’40”) la cadenza del violino solista. La quale a sua volta fa da apripista per la successiva variazione.

36’19” Variazione 10 (Allegro vivo e un poco rubato): Sono ben 90 battute di 3/8 in tonalità SI minore. È sempre il violino solista a guidare la danza, con sporadici interventi dei legni (che richiamano il soggetto del tema). A 37’40” il fagotto apre la strada all’intervento di clarinetto e oboe, poi corno inglese, che modulano a LA maggiore per esporre una lunga melodia ispirata solo vagamente al tema principale e che sfocia (38’15”) nel ritorno del SI minore intonato dal violino solista, che riprende il suo recitativo e chiude la variazione con una nuova, breve cadenza.

39’55” Variazione 11 (Moderato mosso): Sono 41 battute di 4/4 in SI maggiore. Il soggetto del tema vene qui ampiamente sviluppato, da archi e legni con grande enfasi. A 41’25” si rientra sul SOL maggiore per la chiusura della variazione e la preparazione al gran finale.

41’49” Variazione 12 - Finale - Polacca (Moderato assai): Siamo all’apoteosi, ben 213 battute di 3/4 in SOL maggiore. Dapprima ascoltiamo un’introduzione con fanfare che passano gradatamente dal SI minore al SOL maggiore di impianto. A 42’28” (Allegro moderato) ecco il tema principale farsi largo protervamente nei tromboni e poi nelle trombe; tutta l’orchestra comincia a ribollire e sembra prendere la rincorsa per arrivare (43’00”) al Tempo di polacca, molto brillante.

Difficile individuare un legame chiaro tale da poter considerare il motivo della Polacca come una variazione del tema principale del movimento: Ciajkovski però è un maestro nel farli convivere e ci costruisce un finale dei suoi, enfatico e retorico ma altrettanto trascinante, che non può non esaltare l’ascoltatore.  
___
Beh, non c’è da stupirsi se questa Suite superi in popolarità anche più d’una delle sei sinfonie del compositore russo!

Come l’ha interpretata Kochanovsky? E come l’ha eseguita l’Orchestra? Il giovane maestro russo deve conoscere anche particolari poco pubblicizzati della composizione della Suite, se è vero che ha fatto - specie nel finale polacco - alcune scelte agogiche (brevi ritardando e poi tempi forsennati) che si tramanda essere state pensate da Ciajkovski anche se non riportate nelle edizioni a stampa. L’orchestra lo ha assecondato alla grande: da ricordare le splendide cavate dei celli (ieri guidati da Scarpolini) in specie nel secondo tema dell’Andantino iniziale, ma non solo; o lo sbudellante canto del corno inglese della Scotti; o i virtuosismi di Santaniello, per non parlare degli ottoni nel finale, davvero al calor bianco, tanto da far esplodere la sala (non proprio esaurita, va detto) in applausi entusiastici.