Shakespeare
in musica si intitola il concerto dell’Orchestra Sinfonica
di Milano di questa settimana; a dirigerlo il Direttore Principale
Ospite, Jaume Santonia. Opere di due autori
ormai da tempo entrati nella storia della musica che ne incastonano una di un’autrice
che più contemporanea di così non si può!
Si parte
quindi con Macbeth (op.23) che Richard Strauss compose nel 1887-88 (quindi a 23-24
anni!) e poi ultimata nel 1891, praticamente insieme ai (e pure prima dei…) più
fortunati Don Juan (op.20) e Tod und Verklärung (op.24). Hans
von Bülow trovava in questa musica (che pure, da fedele wagneriano,
apprezzava per l’alto tasso di innovazione) delle autentiche mostruosità…
E Hugo Wolf (non certo un adepto di Hanslick) arrivò a definirla raccapricciante!
E persino il padre Franz continuò fino all’ultimo a consigliare al figlio
severe revisioni della partitura, per depurarla da eccessive pesantezze…
Non parliamo
poi dell’eterno problema legato alla musica-a-programma: la pertinenza
dei suoni messi sulla carta dal compositore con i riferimenti extra-musicali
(letterari, nella fattispecie) dell’opera. Le discussioni e le diatribe
iniziarono addirittura prima che la musica fosse pubblicata ed eseguita! Il
citato von Bülow fu persino responsabile del radicale mutamento del finale
dell’opera rispetto a quanto previsto in origine (versione mai pubblicata) da
Strauss: che contemplava, dopo il RE minore che costantemente identifica la
personalità di Macbeth, di chiudere il poema sinfonico in RE maggiore, con la
marcia trionfale di Macduff e compagni che – arrivano i nostri! – mettono fine
al dispotismo e al despota.
No no no! questa
sarebbe una gran baggianata! protestò l’ex-marito di Cosima Liszt-Wagner,
e così il suo allievo Strauss si decise a lasciare nella partitura definitiva
solo 6 (sei!) battute in RE maggiore evocanti i liberatori, per poi chiudere
tornando sul protagonista del dramma, con 15 battute in RE minore.
E ancora oggi
ci sono discussioni e diatribe fra i critici musicali riguardo l’individuazione
delle strette relazioni fra la musica e il soggetto esterno. C’è discordanza,
per dire, su dove collocare nella partitura – visto che Strauss non l’ha fatto
- il momento dell’arrivo di Duncan, quello del suo assassinio o quello della
morte dello stesso Macbeth. E se nella musica si debba anche individuare
qualche riferimento a Banqo e figlioletti! E come interpretare le 6 battute in
RE maggiore della coda, se evocanti Macduff o la fallacia della presa del
potere di Macbeth…
E altre
diversità di vedute si riscontrano addirittura nello stabilire i confini
musicali fra esposizione dei temi, loro sviluppo e ricapitolazione,
come vorrebbero i criteri della forma-sonata, sia pure eterodossamente
applicata al caso in questione.
Chi desideri
approfondire questi aspetti può leggere questo
interessante saggio, dove si propone una possibile (e assolutamente
plausibile, per carità) esegesi dell’opera con precisi riferimenti al plot
shakespeare-iano. Ma resta il fatto che Strauss ha esplicitamente riportato in
partitura soltanto due indicazioni didascaliche:
1. Battuta 6:
la semplice dicitura Macbeth;
2. Battuta 64:
la dicitura Lady Macbeth, corredata da 5 versi di Shakespeare (Atto I,
Scena 5) dove si prefigura la seduttiva adulazione della Lady al marito, per
spingerlo al crimine.
Per il resto, nessun’altra indicazione, niente. E da
qui il proliferare di ipotesi le più diverse – plausibili o campate in aria - su
come interpretare i vari passaggi musicali dell’opera. Ennesima conferma che la
musica, da sola, non è in grado di narrare alcunchè di preciso; salvo,
appunto, se stessa.
Ascoltandola possiamo
certo convenire che la struttura del brano sia vicina alla forma-sonata,
principalmente perché ci espone due temi ben scolpiti:
A=Macbeth, maschio e volitivo, caratterizzato da una vertiginosa salita di
12ma (il successo?) immediatamente seguita da un rovinoso precipitare di 7ma (la rovina?);
tonalità RE minore;
B=Lady, femminile e insinuante, in FA#, ma poi canonicamente chiuso sul FA
maggiore;
temi preceduti da una specie di motto (M) che tornerà mille volte
a farsi udire, caratterizzato da un arpeggio (tonica-dominante) sulla scala di LA, chiuso da un
accordo di quinta vuota.

Lo sviluppo e
la ricapitolazione mostrano la grande abilità manipolatoria di Strauss e le sue
indiscusse doti di orchestratore; tuttavia verrebbe da dar ragione al padre
Franz riguardo all’eccessiva pesantezza di molti passaggi…
Del tutto
gratuita poi la comparsa, nella coda, della marcetta con fanfara in RE
maggiore, che non ha (escludendo gli arpeggi delle trombe) alcun riferimento musicale con
tutto il resto; per cui bene fece Strauss a ridurla – obbedendo al navigato e
smaliziato von Bülow - ad un moncherino di 6 battute:

E alla fine domandiamoci
quindi perché Macbeth, cui pure Strauss attribuì un’importanza
preminente nella sua produzione, sia da sempre il meno eseguito (ed
oggettivamente il più ostico da afferrare) dei suoi Tondichtungen.
Non
sarà per caso perchè la musica in sé non eccita immediatamente il nostro
interesse e le nostre emozioni, come accade ascoltando i vari DonJuan, Till, Zarathustra,
Quixote, Heldenleben, Alpensinfonie… ? Certo, il riferimento letterario è un
dramma dalle tinte oscure, abitato da due personaggi negativi e dalla psiche
alterata… ma è pur vero che quello stesso soggetto ispirò a tale Verdi
ben altra musica per le nostre orecchie!
Beh, Santonja
e i ragazzi vanno encomiati in blocco per aver fatto il massimo per valorizzare
questa difficile partitura: certo la sostanza di fondo non la si può cambiare,
e a me personalmente questo lavoro lascia sempre parecchie perplessità, come
qualcosa di troppo artefatto, di velleitario, magari spiegabile con l’impeto e
il furore innovativo del giovane Strauss, ecco…
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La compositrice-in-residence Silvia Colasanti torna
protagonista in Auditorium con una nuova opera eseguita in prima assoluta: Time's
Cruel Hand, tre sonetti di Shakespeare affidati alla voce del
controtenore Alex Potter.
Nel primo sonetto
della composizione (n°64) il solo pensiero che il tempo si porti via la persona
amata mette la morte nell’anima. Il sonetto 19 - secondo dell’opera
- sfida il tempo a fare il suo corso e a scolpire profonde rughe nella nostra
pelle.
Il soggetto, come ben lascia intendere
il titolo dell’opera (tratto dall’ultimo verso del Sonetto 60, che chiude la
composizione) è precisamente l’incessante, inesorabile ed impietoso scorrere
del tempo, la cui mano crudele non lascia scampo a nulla e nessuno. (Siamo ad Anassimandro
e al destino che impone ad ogni creatura, per la sola colpa di esserne uscita,
di ritornare all’apeiron.)
Ma all’Uomo resta sempre un’arma di
difesa: l’Arte! Come recitano gli ultimi tre versi:
Nulla resiste, di ciò che miete la sua falce crudele,
Ma incrollabile sia il mio verso, nel tempo che verrà,
a tua lode, e quelle mani crudeli sfiderà.
Ecco, la sfida dell’Arte all’inesorabile
azione del tempo e alla conseguente ossessione umana per la morte: pare proprio
il programma estetico di tale Richard Wagner!
E Colasanti interpreta in modo
convincente lo spirito di questo Shakespeare, rivestendo i tre testi (come
sempre opportunamente proiettati sugli schermi sovrastanti il palco, nella
lingua originale e nella eruditissima traduzione di Quirino Principe, presente
in sala) di note coinvolgenti e cariche di profonda compassione (nel
senso etimologico del patire insieme).
Musicalmente i sonetti sembrano ricoperti
di atonalità, anche se il primo mi pare avere un centro gravitazionale sul LA
(minore) chiudendo sulla dominante MI e il secondo, più agitato, tenda a gravitare
sul RE-SOL. Il terzo giurerei proprio che sia nella classica e pura tonalità di MI
minore!
Pregevole l’interpretazione di Alex
Potter, che ha messo la sua voce e la sua sensibilità al servizio di quest’opera
che merita davvero l’accoglienza trionfale che il pubblico dell’Auditorium le
ha riservato. Trionfo che ovviamente ha coinvolto la compositrice, salita sul
palco a ringraziare tutti i musicisti che hanno così efficacemente illustrato
il suo lavoro.
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Chiude la serata il Prokofiev di Romeo&Giulietta,
di cui viene eseguito un mix delle tre Suite che il nativo del Donbass
ricavò dalle musiche per l’omonimo balletto. [Qui un mio schematico
sunto delle
relazioni fra numeri del Balletto e Suite, all’interno di un commento ad una
precedente esecuzione.]
Qui sono stati
presentati i seguenti 9 numeri (indicati coni corrispondenti del balletto):
1. II-1. Montecchi e Capuleti
2. II-2.
Giulietta fanciulla
3. III-1.
Romeo
4. III-2.
Danza mattutina
5. I-4. Arrivo degli ospiti (Minuetto)
6. I-5. Maschere
7. I-6. Scena del balcone
8. II-7. Funerale di Giulietta
9. I-7. Morte di Tebaldo
Ribadisco una
mia convinzione: è musica (tutto il balletto, non solo le Suite) che reputo fra
la più straordinaria prodotta in tutto il ‘900. E anche l’esecuzione di ieri me
lo ha confermato in pieno.
Quindi, onore
e gloria per tutti: dal Direttore ai musicisti (ieri guidati da Dellingshausen)
e – last but not least – al bardo di Stratford-upon-Avon!