Ieri sera Riccardo
Muti è tornato - dopo quasi tre anni - a calcare il podio
scaligero. Portandosi ancora dietro... tutta la numerosa famiglia americana,
con la quale sta
girando mezza Europa e dopo aver già fatto soste a Napoli e Firenze,
due città che - ma chissà poi perchè - pare gli siano molto care.
Come a Napoli e a Firenze (dove si è
registrato il tutto-esaurito da settimane) anche il Piermarini era affollato,
anche se non proprio come un barile di sardine...
Dove Muti ha eseguito lo stesso programma presentato proprio lo scorso lunedi
all’OF:
programma davvero impegnativo, oltre che interessante dal punto di vista dei contenuti.
Val la pena sottolineare il diverso grado di oggettiva difficoltà (per l’ascoltatore, quindi per il pubblico)
dei due programmi italiani (Ouverture
wagneriana a parte): quello di Napoli (il Prokofiev trascinante di Romeo&Giulietta e l’inflazionato
Dvorak del Nuovo Mondo) è fatto di
musica, per così dire, facile, che si
può godere anche ad un ascolto passivo, tanto accattivanti sono temi e motivi
che la innervano. Quello di Firenze-Milano (presentato anche nella prima delle
tre fermate viennesi della tournée della CSO) propone due sinfonie poco
conosciute al vasto pubblico, proprio perchè sono musica piuttosto ostica,
cerebrale, di non immediata presa.
Credo difficile pensare che questa
differenziazione di programmi (tra NA e FI-MI) sia stata frutto del caso o di
scelte fatte tirando la monetina o condizionate da qualche esigenza tecnica, e
non sia invece stata influenzata anche da ragioni... geopolitiche (ciascuno ne
tragga poi le conclusioni che crede!)
Così anche ieri alla Scala, dopo l’Ouverture dell’Holländer, sono state eseguite due Sinfonie che
ebbero curiosamente gestazioni simili (e assai complicate) negli anni ‘30 e ‘20
del ‘900: entrambe infatti furono composte impiegando materiale di opere
teatrali che gli autori stavano completando o che avevano appena completato, ma
che avevano difficoltà a mettere in scena. Mathis der Maler fu composta da
Hindemith nel ‘33-34, mentre l’opera vide la luce solo nel ‘38, e non in
Germania, causa... Hitler. La Terza di Prokofiev è del ‘28-29, mentre l’opera L’Angelo di fuoco (del ‘22, cui la Sinfonia è debitrice) addirittura
non sarà mai rappresentata vivente l’Autore.
Due lavori che sono anche vagamente
accomunati da una componente, per così dire, mistica, pur se in scenari quasi agli antipodi: sinceramente
religioso, nel raccoglimento come nel trionfo, quello di Hindemith; nobile, ma
con accenti talvolta quasi sacrileghi quello di Prokofiev!
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Sull’eccelsa qualità della CSO è inutile
dilungarsi; che circa 10 anni orsono abbia fortemente voluto come guida Riccardo Muti testimonia invece
dell’alta considerazione in cui il Maeschtre
è tenuto in tutto il mondo. E il rifiuto dei professori ad alzarsi, alla terza
uscita finale, la dice lunga della stima di cui Muti gode dentro la compagine
orchestrale.
Fulminante il biglietto da visita con
cui l’Orchestra si è presentata: l’attacco dell’Olandese, con gli archi
(violini e viole) in un tremolo letteralmente tagliente! Muti ci ha poi messo
del suo, chiedendo a corno inglese ed oboe la massima espressività nella presentazione
del tema della Redenzione (la ballata
di Senta) e poi evitando facili sguaiatezze nei motivi dei marinai norvegesi.
Poderoso il pieno orchestrale in chiusura dell’Ouverture, accolta da ovazioni.
Mathis è una composizione che meriterebbe più attenzione
da chi programma concerti: ricordo una benemerita
esecuzione de laVerdi nel
2013 (con Xian) ma non ci sono in
giro molti casi analoghi. L’esecuzione di Muti con la CSO ha confermato la
qualità di questa musica, che il Maestro ha ulteriormente valorizzato,
accentuandone proprio il carattere di religiosità composta e nobile, quella ispirata
alle pale dipinte dal pittore cinquecentesco a Isenheim.
Della Terza del compositore
ukraino Muti ha scavato le profondità espressioniste, così legate al soggetto
teatrale cui già Prokofiev aveva dato forma anni prima, pur non essendo ancora riuscito
a farlo rappresentare. È una musica che si fatica a digerire se si prescinde
dalla sua sorgente, che invece le conferisce quella narrativa (il conflitto aspro e insanabile tra religione e stregoneria) che ce
la rende apprezzabile, spiegandocene le apparenti contraddizioni.
Alla fine Muti ha offerto lo stesso bis di Firenze, il mirabile Andante cantabile in MI maggiore dall’Intermezzo
del second’atto di Fedora, dopo aver
reso omaggio a Milano e a due musicisti cui deve tutto: il suo maestro e pigmalione
Antonino Votto e il grande Gianandrea Gavazzeni. Poi ha fatto ciao-ciao
a due mani e si è portato via i suoi ragazzi, tutti subissati da strameritati
applausi...
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