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17 gennaio, 2020

laVerdi-19-20 - Concerto n°13


La Vienna di Haydn e Mozart è protagonista dell’appuntamento settimanale in Auditorium, propostaci dal Direttore Principale Ospite. Ma forse sarebbe meglio dire: l’Impero austro-ungarico, visto che il concerto si apre con un’opera composta ed eseguita originariamente (come moltissime altre di Haydn) in quel di Eszterháza, residenza magiara dei principi mecenati dai quali il compositore era stipendiato. Il programma si articola su tre tappe di un ventennio di fine ‘700, dal ’68 all’86.   

Ecco quindi la Sinfonia N°49, del 1768, nota col nickname La Passione che - come quasi tutti i nomignoli affibbiati a sinfonie di Haydn - è tutto fuorchè farina del sacco dell’Autore. Se proprio si vuol trovare un nesso fra il sottotitolo e la musica, il più plausibile (o il meno contorto) è dato dalla tonalità minore (FA) che caratterizza tutti e quattro i movimenti della Sinfonia.

Come supporto per una sua sommaria analisi, propongo questa esecuzione registrata proprio nel luogo dove la Sinfonia venne alla luce, e diretta da quel Fischer Ádám (in Ungheria si usa sempre mettere il cognome prima del nome) che, con il fratello Iván, è un illustre esponente della tradizione musicale austro-ungarica.
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La struttura generale è derivata da quella della barocca Sonata-da-chiesa, che prevede quattro movimenti, alternati lento-veloce. Se si esclude il Menuetto (che ha una forma canonica, con Trio) gli altri tre movimenti replicano regolarmente la stessa struttura interna, suddivisa in due parti da replicare: esposizione e sviluppo+ricapitolazione, una forma-sonata sui-generis. Se si escludono sporadiche modulazioni ad altre tonalità e il FA maggiore del Trio, l’intera Sinfonia presenta temi in FA minore e nella relativa LAb maggiore.

Si inizia quindi con un Adagio in 3/4, la cui prima sezione è aperta (20”) da 6 battute di introduzione in FA minore, cui segue (43”) il tema principale che modula (1’22”) al LAb maggiore, dove troviamo un secondo motivo che si sviluppa fino ad una coda (2’28”) e alla chiusura (2’46”) della sezione, che viene ripetuta. La seconda sezione (5’15”) inizia ancora in LAb maggiore con l’esposizione del tema, che ora modula (5’48”) a FA minore (in sostanza si scambiano le tonalità rispetto alla prima sezione). Sempre in FA minore (6’16”) ecco la ricapitolazione con il ritorno dell’introduzione e dei due temi (con un breve passaggio a REb maggiore) seguiti dalla coda (8’00”) che chiude in FA minore la seconda sezione (8’20”) non ripetuta da Fischer.

Ecco ora un Allegro di molto, 4/4, ancora in FA minore. Le due sezioni da ripetersi sono anche qui in tonalità FA minore e relativa LAb maggiore, cui si aggiungono - nello sviluppo soprattutto - altre modulazioni. A 8’38” attacca il primo tema, assai mosso, caratterizzato da intervalli piuttosto ampi (anche nell’accompagnamento) in FA minore. Esso chiude sulla dominante LAb e da qui (8’56”) ecco il secondo tema, in questa tonalità, di carattere più lirico, che poi (9’09”) ha un’impennata sulla dominante MIb, per tornare presto a LAb, dove il primo motivo riprende, sviluppandosi poi ulteriormente fino alla chiusura della sezione di esposizione (9’50”) che viene integralmente ripetuta. La seconda sezione (11’02”) parte dal primo tema, ma in LAb maggiore, che chiude però sul SOL (11’31”) mediante del MIb maggiore che riprende il secondo motivo, il quale modula ulteriormente alla relativa DO minore (11’58”). Torna fugacemente il LAb maggiore (12’03”) che presto fa spazio al FA minore di impianto. Da qui la ripresa dei temi che conduce (13’07”) al termine della sezione (non ripetuta da Fischer).

Arriva ora il Menuetto, 3/4, FA minore. Tempo lezioso e primo tema (13’28”) che sfocia sulla dominante LAb maggiore, per poi essere ripetuto (13’50”). Secondo motivo (14’13”) più sviluppato, tutto in FA minore, fino ad una coda (15’27”) che porta alla sua chiusura (15’44”). Fischer non ripete questa seconda parte del Menuetto, passando direttamente al Trio, in tonalità FA maggiore, canonicamente suddiviso in due sezioni, entrambe da ripetersi. La prima viene ripetuta (15’54”) e la seconda segue (16’04”) con ripetizione (16’19”). Si ritorna poi al Menuetto (16’34”) eseguito - come di prammatica - senza ripetizioni, e chiuso a 17’42”.     

Chiude il Finale, Presto, 4/4 alla breve, FA minore. Torna la struttura bipartita, con due sezioni da ripetersi. A 17’59” attacca il primo tema in FA minore, dal piglio energico caratterizzato dai tre strappi violenti, poi calmandosi fino a cadere sulla tonica. Ora (18’14”) subentra ex-abrupto un secondo motivo in LAb maggiore, con i fiati a tenere lunghe note e gli archi ad accompagnare con crome veloci. La sezione si chiude a 18’34” e viene ripetuta. La seconda parte di sviluppo (19’10”) inizia ancora in LAb con la riproposizione del primo tema, seguito poi dal secondo che porta ad una provvisoria modulazione (19’31”) a DO minore, dove i fiati, per terze, ripropongono il primo tema. A 19’36” si torna a FA minore, per la chiusa (20’03”). Questa volta Fischer, appropriatamente direi, ripete anche la seconda sezione.
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Bisogna riconoscere che alla monotonia (delle tonalità e della struttura dei movimenti) non corrisponde affatto una monotonia per l’udito dell’ascoltatore, al contrario sempre tenuto in tensione dalla vivacità e dalla gradevolezza dei temi. Fournillier ci propone questo cammeo con la dovuta delicatezza, eseguendo fra l’altro tutti i da-capo, escluso quello della seconda sezione del primo movimento. E la smagrita, cameristica compagine strumentale (meno di 40 esecutori in tutto, guidati da Dellingshausen) ne asseconda alla perfezione gli intenti, facendosi apprezzare per la limpidezza del suono.

Così il pubblico (non proprio da tutto-esaurito...) mostra il suo apprezzamento con convinti applausi. 
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Ci si sposta di quasi 10 anni (1777) per incontrare il Mozart del Concerto per oboe (K314) già udito qui quasi 4 anni orsono proprio con Fournillier (e il solista bolognese Paolo Grazia). Il Teofilo lo riciclerà come secondo concerto per flauto, portandolo dal DO al RE maggiore; poi il terzo movimento fornirà (in SOL maggiore) il supporto musicale ai versi Welche Wonne, welche Lust di Blondine nel second’atto del Serraglio.

Ad interpretare la parte solistica è chiamato questa volta uno dei due principal all’oboe de laVerdi, Luca Stocco. Che sciorina una prestazione davvero strepitosa, se si considera che il brano presenta impervie difficoltà per l’esecutore (non per nulla Mozart lo ritenne degno del... flauto, assai più a suo agio in quel territorio).

Per ripagare gli scroscianti applausi, il moschettiere si esibisce nella prima delle Sei Metamorfosi di Benjamin Britten (Pan).
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La chiusura della serata è affidata alla quart’ultima Sinfonia di Mozart: la cosiddetta Praga. Che è del 1786, quindi dal concerto per oboe abbiamo fatto altri 10 anni (quasi) di strada e siamo ormai all’inizio del lungo rettilineo d’arrivo del percorso mozartiano (di lì a poco proprio Praga ospiterà trionfalmente Don Giovanni, che con questa sinfonia ha più di un punto di contatto).

Sinfonia in tre movimenti, mancando del tradizionale Menuetto (la causa precisa di ciò non è mai stata accertata con esattezza). Sinfonia che parte con un’Introduzione lenta che ricorda Haydn, non solo nella forma, ma anche nella cupa sostanza Sturm-und-Drang. Fournillier la dirige a memoria e senza bacchetta, dandocene un’interpretazione davvero coinvolgente. E l’Orchestra - ben rimpolpata nei ranghi rispetto ai primi due brani - ha risposto (come sempre) alla grande.

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