La Vienna
di Haydn e Mozart è protagonista dell’appuntamento settimanale in Auditorium,
propostaci dal Direttore
Principale Ospite. Ma forse sarebbe meglio dire: l’Impero
austro-ungarico, visto che il concerto si apre con un’opera composta ed
eseguita originariamente (come moltissime altre di Haydn) in quel di Eszterháza, residenza magiara dei principi mecenati dai quali il
compositore era stipendiato. Il programma si articola su tre tappe di un
ventennio di fine ‘700, dal ’68 all’86.
Ecco
quindi la Sinfonia N°49, del 1768, nota col nickname
La
Passione che - come quasi tutti i nomignoli affibbiati a sinfonie di
Haydn - è tutto fuorchè farina del sacco dell’Autore. Se proprio si vuol
trovare un nesso fra il sottotitolo e la musica, il più plausibile (o il meno
contorto) è dato dalla tonalità minore
(FA) che caratterizza tutti e quattro i movimenti della Sinfonia.
Come
supporto per una sua sommaria analisi, propongo questa esecuzione
registrata proprio nel luogo dove la Sinfonia venne alla luce, e diretta da
quel Fischer Ádám (in Ungheria si usa
sempre mettere il cognome prima del nome) che, con il fratello Iván, è un illustre esponente della tradizione
musicale austro-ungarica.
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La
struttura generale è derivata da quella della barocca Sonata-da-chiesa, che prevede quattro movimenti, alternati
lento-veloce. Se si esclude il Menuetto (che ha una forma canonica, con Trio) gli altri tre movimenti replicano regolarmente
la stessa struttura interna, suddivisa in due parti da replicare: esposizione e sviluppo+ricapitolazione, una forma-sonata sui-generis. Se si
escludono sporadiche modulazioni ad altre tonalità e il FA maggiore del Trio, l’intera Sinfonia presenta temi in
FA minore e nella relativa LAb
maggiore.
Si
inizia quindi con un Adagio in 3/4,
la cui prima sezione è aperta (20”) da 6 battute di introduzione in
FA minore, cui segue (43”) il tema principale che modula (1’22”)
al LAb maggiore, dove troviamo un secondo motivo che si sviluppa fino ad una
coda (2’28”) e alla chiusura (2’46”) della sezione, che viene
ripetuta. La seconda sezione (5’15”) inizia ancora in LAb maggiore
con l’esposizione del tema, che ora modula (5’48”) a FA minore (in
sostanza si scambiano le tonalità rispetto alla prima sezione). Sempre in FA
minore (6’16”) ecco la ricapitolazione
con il ritorno dell’introduzione e dei due temi (con un breve passaggio a REb
maggiore) seguiti dalla coda (8’00”) che chiude in FA minore la
seconda sezione (8’20”) non ripetuta da Fischer.
Ecco
ora un Allegro di molto, 4/4, ancora
in FA minore. Le due sezioni da ripetersi sono anche qui in tonalità FA minore
e relativa LAb maggiore, cui si
aggiungono - nello sviluppo soprattutto - altre modulazioni. A 8’38”
attacca il primo tema, assai mosso, caratterizzato da intervalli piuttosto ampi
(anche nell’accompagnamento) in FA minore. Esso chiude sulla dominante LAb e da
qui (8’56”)
ecco il secondo tema, in questa tonalità, di carattere più lirico, che poi (9’09”)
ha un’impennata sulla dominante MIb, per tornare presto a LAb, dove il primo
motivo riprende, sviluppandosi poi ulteriormente fino alla chiusura della
sezione di esposizione (9’50”)
che viene integralmente ripetuta. La seconda sezione (11’02”) parte dal primo
tema, ma in LAb maggiore, che chiude però sul SOL (11’31”) mediante del MIb
maggiore che riprende il secondo motivo, il quale modula ulteriormente alla
relativa DO minore (11’58”). Torna fugacemente il LAb maggiore (12’03”)
che presto fa spazio al FA minore di impianto. Da qui la ripresa dei temi che
conduce (13’07”) al termine della sezione (non ripetuta da Fischer).
Arriva
ora il Menuetto, 3/4, FA minore.
Tempo lezioso e primo tema (13’28”) che sfocia sulla dominante
LAb maggiore, per poi essere ripetuto (13’50”). Secondo motivo (14’13”)
più sviluppato, tutto in FA minore, fino ad una coda (15’27”) che porta alla
sua chiusura (15’44”). Fischer non ripete questa seconda parte del Menuetto,
passando direttamente al Trio, in
tonalità FA maggiore, canonicamente suddiviso in due sezioni, entrambe da
ripetersi. La prima viene ripetuta (15’54”) e la seconda segue (16’04”)
con ripetizione (16’19”). Si ritorna poi al Menuetto
(16’34”)
eseguito - come di prammatica - senza ripetizioni, e chiuso a 17’42”.
Chiude
il Finale, Presto, 4/4 alla breve, FA minore. Torna la
struttura bipartita, con due sezioni da ripetersi. A 17’59” attacca il primo
tema in FA minore, dal piglio energico caratterizzato dai tre strappi violenti,
poi calmandosi fino a cadere sulla tonica. Ora (18’14”) subentra
ex-abrupto un secondo motivo in LAb maggiore, con i fiati a tenere lunghe note
e gli archi ad accompagnare con crome veloci. La sezione si chiude a 18’34”
e viene ripetuta. La seconda parte di sviluppo (19’10”) inizia ancora in LAb
con la riproposizione del primo tema, seguito poi dal secondo che porta ad una provvisoria
modulazione (19’31”) a DO minore, dove i fiati, per terze, ripropongono il primo tema. A 19’36” si torna a FA
minore, per la chiusa (20’03”). Questa volta Fischer,
appropriatamente direi, ripete anche la seconda sezione.
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Bisogna
riconoscere che alla monotonia (delle
tonalità e della struttura dei movimenti) non corrisponde affatto una monotonia
per l’udito dell’ascoltatore, al contrario sempre tenuto in tensione dalla
vivacità e dalla gradevolezza dei temi. Fournillier ci propone questo cammeo
con la dovuta delicatezza, eseguendo fra l’altro tutti i da-capo, escluso quello della seconda sezione del primo movimento. E
la smagrita, cameristica compagine strumentale (meno di 40 esecutori in tutto,
guidati da Dellingshausen) ne asseconda
alla perfezione gli intenti, facendosi apprezzare per la limpidezza del suono.
Così il pubblico
(non proprio da tutto-esaurito...) mostra il suo apprezzamento con convinti
applausi.
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Ci si
sposta di quasi 10 anni (1777) per incontrare il Mozart del Concerto per oboe (K314) già udito qui quasi 4 anni orsono proprio
con Fournillier (e il solista bolognese Paolo
Grazia). Il Teofilo lo riciclerà come secondo
concerto per flauto, portandolo dal DO al RE maggiore; poi il terzo movimento
fornirà (in SOL maggiore) il supporto musicale ai versi Welche Wonne,
welche Lust di Blondine nel
second’atto del Serraglio.
Ad
interpretare la parte solistica è chiamato questa volta uno dei due principal all’oboe de laVerdi,
Luca Stocco. Che sciorina una
prestazione davvero strepitosa, se si considera che il brano presenta impervie
difficoltà per l’esecutore (non per nulla Mozart lo ritenne degno del...
flauto, assai più a suo agio in quel territorio).
Per
ripagare gli scroscianti applausi, il moschettiere si esibisce nella prima
delle Sei Metamorfosi di Benjamin Britten (Pan).
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La chiusura
della serata è affidata alla quart’ultima Sinfonia di Mozart: la cosiddetta Praga.
Che è del 1786, quindi dal concerto per oboe abbiamo fatto altri 10 anni (quasi)
di strada e siamo ormai all’inizio del lungo rettilineo d’arrivo del percorso
mozartiano (di lì a poco proprio Praga ospiterà trionfalmente Don Giovanni, che con questa sinfonia ha
più di un punto di contatto).
Sinfonia
in tre movimenti, mancando del tradizionale Menuetto
(la causa precisa di ciò non è mai stata accertata con esattezza). Sinfonia che
parte con un’Introduzione lenta che
ricorda Haydn, non solo nella forma,
ma anche nella cupa sostanza Sturm-und-Drang.
Fournillier la dirige a memoria e senza bacchetta, dandocene un’interpretazione
davvero coinvolgente. E l’Orchestra - ben rimpolpata nei ranghi rispetto ai
primi due brani - ha risposto (come sempre) alla grande.
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