La seconda recita del bolognese Tristan und
Isolde ha visto in scena i due protagonisti del (cosiddetto)
secondo cast, Bryan Register e Catherine
Foster, che hanno rimpiazzato la coppia titolare (Vinke-Petersen) esibitasi lo scorso venerdi. Devo dire che (almeno
ricordando l’ascolto radiofonico) i due secondi
non mi son parsi inferiori agli alfieri.
Ovviamente è rimasto il barbaro taglio
del gran duetto dell’atto secondo, che mi lascia sempre l’amaro in bocca
nelle orecchie e nel cervello, ma tant’è, accontentiamoci di tutto ciò di
positivo che comunque questa produzione ci ha propinato.
A cominciare dalla Direzione di Juraj Valčuha, che già mi aveva
impressionato (almeno riguardo l’agogica)
all’ascolto radiofonico (i tempi sono stati praticamente identici a quelli
della prima) e che ieri ha fatto
altrettanto anche sotto il profilo delle dinamiche (che dalla radio arrivano
sempre inevitabilmente distorte). L’intero Preludio
e l’attacco dell’atto terzo sono per
me (e non solo per me) la cartina di tornasole che rivela l’eccellenza di
un’interpretazione, e il Direttore slovacco ha superato la prova in modo
impeccabile. Ma ovviamente il giudizio positivo va doverosamente esteso
all’intero arco delle quasi quattro ore di musica, e necessariamente alla
prestazione maiuscola dell’orchestra, che evidentemente deve essersi preparata
in modo particolare per questo appuntamento.
Bryan
Register (già
protagonista nell’edizione belga dello scorso anno) non sarà certo un Tristan che
passerà alla storia, ma la sua prestazione è stata apprezzabile sotto il profilo
della sensibilità intrepretativa. La voce non è (più?) stentorea ma ancora ben
proiettata e la tenuta alla distanza è stata più che
soddisfacente.
Catherine
Foster
ha un gran vocione, ma un po’ fuori controllo, come testimoniano gli acuti
stentorei ma spesso poco puliti (un paio di calate
e proprio il conclusivo Lust ghermito
alla sperindio); centri non troppo solidi e scarsamente penetranti. Lei è stata
un’Isolde arrabbiata (una maschera
davvero luciferina) dalla presenza scenica invadente.
Discreta la Brangäne
di Ekaterina Gubanova, che si è fatta
apprezzare nei due interventi nel duettone (sfrondato...) del second’atto.
Il Kurwenal di Martin Gantner mi ha abbastanza convinto: voce solida e ben
impostata, sempre passante e... perfettamente comprensibile. Ammirevole, per
portamento e presenza, l’inossidabile Albert Dohmen, un Marke nobilissimo e
commovente.
Degli altri due comprimari ho apprezzato
Klodian Kaçani, come marinaio, bravo anche a rompere il
ghiaccio al levar del sipario; come Pastore, normale amministrazione. Dignitoso
Tommaso Caramia, che aveva le due
parti più contenute della compagnia.
Efficace il coro maschile di Alberto Malazzi, che accompagna con i
suoi interventi, culminanti nella trionfale chiusa del prim’atto, il viaggio da
Irlanda a Cornovaglia.
___
Tristan - si sa - è un’opera quasi
impossibile da rappresentare in modo efficace, tale è la sua astrazione da
qualunque clichè tradizionale. Lo scoprì per primo proprio... Wagner! Personalmente
detesto le interpretazioni secolarizzate
(mi viene in mente Guth) poichè ci
presentano la materia prima grezza e prosaica invece del prodotto finito
distillato da Wagner, un’entità astratta che vive nello spazio metafisico.
Ecco perchè ho apprezzato assai l’impostazione
del regista Ralf Pleger e del suo scenografo Alexander
Polzin, che hanno cercato (magari con alterni risultati) di guidarci alla
scoperta di questo universo immateriale, spogliato da ogni drammaturgia, per
lasciar posto esclusivamente alle oscure
sensazioni (uso un termine mahleriano) che solo la musica (questa musica!) sa
suscitare nel nostro animo.
___
Pubblico folto (ma con diverse poltrone
vuote) e comunque ben disposto e prodigo di applausi per l’intera compagnia di musicanti
e allestitori. Insomma - torno ad usare la mia metafora
sportiva - una partita di alto livello in serie-A2!
(E infine grazie a Bologna ed Emilia per aver
ridimensionato un buzzurro che l’arte non sa nemmeno dove stia di casa...)
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