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27 gennaio, 2020

Tristano-2 a Bologna


La seconda recita del bolognese Tristan und Isolde ha visto in scena i due protagonisti del (cosiddetto) secondo cast, Bryan Register e Catherine Foster, che hanno rimpiazzato la coppia titolare (Vinke-Petersen) esibitasi lo scorso venerdi. Devo dire che (almeno ricordando l’ascolto radiofonico) i due secondi non mi son parsi inferiori agli alfieri.

Ovviamente è rimasto il barbaro taglio del gran duetto dell’atto secondo, che mi lascia sempre l’amaro in bocca nelle orecchie e nel cervello, ma tant’è, accontentiamoci di tutto ciò di positivo che comunque questa produzione ci ha propinato.

A cominciare dalla Direzione di Juraj Valčuha, che già mi aveva impressionato (almeno riguardo l’agogica) all’ascolto radiofonico (i tempi sono stati praticamente identici a quelli della prima) e che ieri ha fatto altrettanto anche sotto il profilo delle dinamiche (che dalla radio arrivano sempre inevitabilmente distorte). L’intero Preludio e l’attacco dell’atto terzo sono per me (e non solo per me) la cartina di tornasole che rivela l’eccellenza di un’interpretazione, e il Direttore slovacco ha superato la prova in modo impeccabile. Ma ovviamente il giudizio positivo va doverosamente esteso all’intero arco delle quasi quattro ore di musica, e necessariamente alla prestazione maiuscola dell’orchestra, che evidentemente deve essersi preparata in modo particolare per questo appuntamento.  

Bryan Register (già protagonista nell’edizione belga dello scorso anno) non sarà certo un Tristan che passerà alla storia, ma la sua prestazione è stata apprezzabile sotto il profilo della sensibilità intrepretativa. La voce non è (più?) stentorea ma ancora ben proiettata e la tenuta alla distanza è stata più che soddisfacente.

Catherine Foster ha un gran vocione, ma un po’ fuori controllo, come testimoniano gli acuti stentorei ma spesso poco puliti (un paio di calate e proprio il conclusivo Lust ghermito alla sperindio); centri non troppo solidi e scarsamente penetranti. Lei è stata un’Isolde arrabbiata (una maschera davvero luciferina) dalla presenza scenica invadente.

Discreta la Brangäne di Ekaterina Gubanova, che si è fatta apprezzare nei due interventi nel duettone (sfrondato...) del second’atto.

Il Kurwenal di Martin Gantner mi ha abbastanza convinto: voce solida e ben impostata, sempre passante e... perfettamente comprensibile. Ammirevole, per portamento e presenza, l’inossidabile Albert Dohmen, un Marke nobilissimo e commovente.

Degli altri due comprimari ho apprezzato Klodian Kaçani, come marinaio, bravo anche a rompere il ghiaccio al levar del sipario; come Pastore, normale amministrazione. Dignitoso Tommaso Caramia, che aveva le due parti più contenute della compagnia.

Efficace il coro maschile di Alberto Malazzi, che accompagna con i suoi interventi, culminanti nella trionfale chiusa del prim’atto, il viaggio da Irlanda a Cornovaglia.
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Tristan - si sa - è un’opera quasi impossibile da rappresentare in modo efficace, tale è la sua astrazione da qualunque clichè tradizionale. Lo scoprì per primo proprio... Wagner! Personalmente detesto le interpretazioni secolarizzate (mi viene in mente Guth) poichè ci presentano la materia prima grezza e prosaica invece del prodotto finito distillato da Wagner, un’entità astratta che vive nello spazio metafisico.

Ecco perchè ho apprezzato assai l’impostazione del regista Ralf Pleger e del suo scenografo Alexander Polzin, che hanno cercato (magari con alterni risultati) di guidarci alla scoperta di questo universo immateriale, spogliato da ogni drammaturgia, per lasciar posto esclusivamente alle oscure sensazioni (uso un termine mahleriano) che solo la musica (questa musica!) sa suscitare nel nostro animo.
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Pubblico folto (ma con diverse poltrone vuote) e comunque ben disposto e prodigo di applausi per l’intera compagnia di musicanti e allestitori. Insomma - torno ad usare la mia metafora sportiva - una partita di alto livello in serie-A2!

(E infine grazie a Bologna ed Emilia per aver ridimensionato un buzzurro che l’arte non sa nemmeno dove stia di casa...)

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