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22 febbraio, 2020

laVerdi-19-20 - Concerto n°17


Atteso ritorno in Auditorium di Oleg Caetani, che ci presenta Mozart e Scriabin, in un concerto dall’impaginazione classica: Ouverture, concerto solistico e sinfonia.

La serata si apre con Così fan tutte, l’Ouvertura dell’ultima collaborazione Mozart-DaPonte, un brano di meno i 5 minuti che serve davvero a dare la carica a Orchestra e ascoltatori! Una cascata di crome svolazzanti, che impegnano gli archi ma soprattutto i legni e in particolare ancora le prime parti al flauto, oboe e fagotto (un po’ meno al clarinetto). L’Orchestra è guidata dal concertino Danilo Giust, promosso per Mozart a far da spalla; Caetani lascia briglia sciolta e ne esce uno spumeggiante antipasto che mette tutti (i pochi ma buoni in sala...) di buonumore.  
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Ancora Mozart e un concerto - il K242 - che pone serie difficoltà esecutive... ma non tanto a chi suona (fu composto per tre dilettanti, una signora e le due figlie...) bensì a chi deve preparare il palco: come sistemare tre pianoforti! Ecco una soluzione con i tre strumenti allineati e senza il podio direttoriale: è Solti che dirige la English Chamber e suona la parte facile (piano-3) con Schiff al piano-1 e Barenboim al 2. Qui da noi invece i tre catafalchi sono stati messi fianco-a-fianco (piano 1 e 3 con tastiera a sinistra per chi guarda) proprio come in questa esecuzione giapponese dove la grande Argerich fa la... piccola al piano-3, lasciando le due parti principali ai figli d’arte del grande Friedrich Gulda: unica differenza la posizione del podio, che in Auditorium è davanti ai tre pianoforti.

I tre pianisti sono Igor Andreev (32enne di Kaliningrad); Hans Hyung-Min Suh (30enne coreano trapiantato in USA, dove ahilui ha anche avuto qualche disavventura... extramusicale) e Lin Ye (28enne cinese ormai di casa in Europa e USA). Furono i tre primi classificati al Concorso pianistico Rina Sala Gallo (Monza, 2018, Vladimir Ashkenazy presidente di giuria) dove suonarono la prova finale proprio con laVerdi.

Pezzo abbastanza facile (credo) da suonare e gradevole da ascoltare, ed esecuzione accolta con calore e ripetute chiamate per i tre giovani pianisti.
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Dopo un intervallo più lungo del solito (per far scomparire nelle viscere dell’Auditorium i tre pianoforti...) si chiude con la Terza di Scriabin, che l‘immaginifico compositore russo sottotitolò, con impareggiabile modestia (credendosi Dante...) Poema divino! Una delle tappe (con gli altri due poemi-sinfonie, l’Estasi e il Fuoco) verso la fine dell’Umanità e il raggiungimento dell’estasi universale, un progetto da nulla, che per fortuna (o purtroppo, visto che la sua realizzazione avrebbe fermato la storia più di un secolo fa, risparmiando al mondo qualche piccola disgrazia...) rimase in gran parte sulla carta.

Avendo già scritto (denigrazioni incluse, haha...) del Divin poème a suo tempo, non sto qui a ripetermi. Caetani arriva con la bacchetta in una mano e un microfono nell’altra: ma non per spiegarci la sinfonia, bensì per raccontarci aneddoti biografici sull’Autore (evabbè...) L’Orchestra si è ingigantita e vonDellingshausen si è ripreso la sedia del Konzertmeister. Caetani dispone le due arpe alle estremità opposte del palco, per ragioni... stereofoniche; le viole sono al proscenio.

A dispetto dell’indicazione agogica Lento, il maestro parte in quarta, facendo eseguire ai bassi di fiati e archi il motto della Sinfonia a passo di carica! E poi per tutto il tempo non fa che mettere in risalto ogni possibile contrasto. Con ciò rendendo sicuramente più digeribile questa velleitaria mappazza del visionario moscovita.

Il che garantisce sempre un successo travolgente, il cui merito personalmente distribuisco per il 90% alla bravura degli esecutori e del Direttore, lasciando all’Autore le briciole!    

13 novembre, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 59


C’è ancora molta Russia in Auditorium. Il concerto di questa settimana, diretto da John Axelrod, dopo le divagazioni di Campogrande sull’Inno dell’Oman, e una novità assoluta di Boccadoro, presenta due lavori del primo ’900, che per diverse ragioni hanno lasciato il segno nella storia della musica. 
   
Lavoro commissionato da laVERDI, Orbis tertius si struttura in cinque aforismi, dichiaratamente ispirati al modello di Webern. Ma, certifica l’Autore, completamente diversi (e ‘tte credo!) Devo dire che… si lasciano ascoltare volentieri, ecco. Quando capiterà di ascoltarli ancora, altra questione è.
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La parte russa del concerto inizia con Scriabin e il suo Prométhée, o Poema del Fuoco, o 5a Sinfonia, del 1909-11. Un lavoro impregnato di simbolismo e teosofismo, come ben lascia capire la stessa illustrazione pubblicata a fronte della partitura, commissionata al simbolista belga Jean Delville:


Vi compaiono: la lira, che nasce da un fiore di loto (la vagina o mente dell’Asia); poi i due triangoli intrecciati (materia e spirito, ma anche la stella di Davide, simbolizzante Lucifero); al centro il volto di Prometeo, con i penetrantissimi occhi, contornato dalle fiamme e con la fiamma grande centrale al posto del terzo occhio e in corrispondenza della quarta corda della lira; all’esterno l’intero Universo, con stelle e galassie; in alto i raggi promananti dal trascendente.

Un lavoro tanto ambizioso quanto ambiguo, in tutti i sensi: non è propriamente una Sinfonia (ha un solo movimento e rispetta in modo assai vago e contorto la forma-sonata); non è un Concerto (a dispetto della presenza del solista al pianoforte); e non è una Cantata, anche se prevede (ma non sempre viene impiegato) un coro.

Il lavoro prevede(rebbe) piuttosto l’impiego (ma anche qui è raro che ciò avvenga) di un particolarissimo strumento, notato sul rigo più alto della partitura col nome Luce:


Uno strumento che – unico fra tutti – non smette mai di suonare per tutte le 606 battute dell’opera! In realtà i suoi suoni sono appunto… luci colorate: nella mente fervida e mistica del sinestetico Scriabin suono e luci vanno insieme e ad ogni suono si associa un colore, secondo questa tabella di corrispondenza, che segue il circolo delle quinte:

nota
colore


DO
rosso
SOL
arancione
RE
giallo
LA
verde
MI
azzurro verdastro
SI
blu
FA# - SOLb
blu scuro
DO# - REb
violetto
SOL# - LAb
lilla
RE# - MIb
blu metallico
LA# - SIb
grigio metallico
FA
rosso scuro

Uno speciale strumento a tastiera (tipo organo) si dovrebbe incaricare di illuminare uno schermo, o meglio ancora di avvolgere tutto l’ambiente, con la luce del colore indicato dalla nota in partitura. Come si può osservare dall’esempio riportato sopra, lo strumento Luce può suonare contemporaneamente due note, permettendo con ciò di realizzare combinazioni diverse di colori. Ad esempio l’incipit (FA#-LA) deve produrre una luce blu con riflessi verdi. Ecco come si può presentare il tutto in questa esecuzione (successivamente montata in film) della premiata coppia Abbado-Argerich, con i Berliner nella Philharmonie.

Sul fronte musicale, il brano ha fatto assurgere a fama imperitura (quasi quanto quella del Tristanakkord) il cosiddetto accordo mistico, formato da sei note che (nella forma poggiante sul DO) sarebbero DO-FA#-SIb-MI-LA-RE:


Le sei note sarebbero (liberamente) ricavate dalla serie degli armonici naturali (dall’ottavo in su): come si vede si tratta di una successione di quarte di tre specie: aumentata (=tritono), diminuita (=terza maggiore) e giusta. Ora, che un accordo definito mistico comprenda non uno ma ben due tritoni (il diabolus!) sembrerebbe a prima vista una presa in giro bella e buona, se non proprio una bestemmia in piena regola, ma in realtà la cosa si spiega filosoficamente, e pure religiosamente, con le credenze che attribuiscono pari dignità a Dio e a Lucifero, ecco.

Abbassando il LA a LAb si avrebbero note della scala a toni interi. Per i patiti del metodo di analisi di Allen Forte, si tratta dell’insieme di suoni 6-34 che può essere visto come un sottoinsieme spurio della scala ottotonica. Nelle prime battute assume la forma LA-RE#-SOL-DO#-FA#-SI (il colore verdognolo…) Ecco qui, sempre percorrendo il famigerato circolo delle quinte, le sue 12 trasposizioni - con i relativi colori della nota-base:

    
Scriabin parlò del suo accordo mistico come di accordo del pleroma (occhio, da non confondersi con perizoma, perchè sappiamo che la musica del nostro è assai infarcita di… sesso): un accordo che ci dovrebbe far intravedere (anzi… intrasentire!) ciò che i nostri comuni sensi non ci permettono di afferrare: date voi i connotati che preferite a quest’oggetto misterioso. In effetti la parentela con le scale a toni interi e ottotonica toglie alla musica basata (verticalmente ed orizzontalmente) su quelle note gran parte dell’attrazione tonale, conferendole un che di arcano e… metafisico. Insomma, anche Scriabin si era inventato – come i tre viennesi e Debussy - una sua personale via verso l’atonalità.

Si diceva della struttura del brano in relazione alla forma-sonata: gli analisti sono abbastanza concordi nell’individuare (ma non in modo unanime) le classiche sezioni di esposizione-sviluppo-ricapitolazione-coda (più magari un‘introduzione). Che hanno a che fare con la comparsa e i ritorni dei motivi principali e magari rispecchiano vagamente la struttura del programma filosofico dell’opera: i sette passi del cammino involutivo-evolutivo della razza umana, mutuato da La dottrina segreta di Helena Blavatsky (vedi qui a pag. 300)


Come si vede, le note del rigo Luce sono quelle della scala a toni interi, mentre le sezioni della (spuria) forma-sonata più o meno corrispondono alle macro-fasi evolutive della Blavatsky.

Invece la concatenazione tonale è del tutto avulsa dai principi classici, proprio in forza dell’atonalità di fatto del brano. È il FA# che apre con l’accordo mistico e chiude con una imperiosa quanto inaspettata triade perfetta: insomma, parrebbe che il FA# (che sta precisamente al centro, o al culmine, della nostra scala cromatica) rappresenti, per l’Uomo ancora acerbo (all’inizio del poema) la placenta, il brodo di coltura per la sua successiva evoluzione; e poi, alla fine, si ripresenti (con la triade perfetta maggiore, dove il SI# dell’accordo mistico, il diabolus, sale al consonantissimo e dominante DO#) come manifestazione sensibile del pleroma.
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Esploriamo ora nei tratti principali la citata esecuzione di Abbado-Argerich, seguendone il percorso filosofico-cromatico.

I - Luce: blu-verde (FA#-LA). A 33” l’accordo mistico introduce l’universo al tempo dell’alba dell’Uomo, dove (52” e poi 1’10”) arriva Prometeo (corni) ad innescare la miccia che porta poco dopo all’affermazione (nelle trombe) dell’Io (2’01”, i tritoni) e poi della volontà (2’03”, la scala ascendente). A 2’15” è la ragione (o la consapevolezza) a presentarsi nei flauti prima che esploda (2’29”) l’Uomo (tema mutuato da quello della volontà) le cui gesta sono affidate al pianoforte, sempre contrappuntate dal motivo della ragione. A 3’04” ecco un motivo gioioso, ancora seguito da quello della ragione. Il solista (Uomo) continua la sua opera (3’58”) ora in modo scintillante, fino a raggiungere…

II - Luce: lilla con sfumature rosso scuro (LAb-FA). (4’19”) la voluttà, poi la delizia (riferimento erotico, 4’38”) e infine il desiderio (4’45”, violino solo).

III - Luce: grigio (SIb). Dopo un colpo di timpano, ancora la volontà in evidenza (4’56”) nella tromba, seguita da momenti di emozione e rapimento (nei legni) alternata a squarci di abbandono nel violino solo (il primo a 5’22”). Ora il pianoforte (maestoso, a 5’33”) espone il motivo della creatività (derivato da quello di Prometeo) in un lungo passaggio che si chiude a 6’17”, dopo un tonfo minaccioso nel timpano, cui segue un nuovo intervento sognante del violino. Si continua per un po’ in un clima languido, ancora con il pianoforte e i legni protagonisti, con riapparizioni del motivo della ragione, finchè un nuovo, secco colpo di timpano (8’11”) che fa seguito a tre rintocchi dell’arpa, interrompe questo idillio.

IV - Luce: rosso (DO). Si passa infatti alla fase conflittuale e dopo due richiami in quarta giusta (MI-LA) di tromba e corno, la nuova entrata del pianoforte (8’36”) segna di fatto la fine dell’esposizione e l’inizio dello sviluppo. Vi troviamo la riproposta del tema della volontà in forma quasi tonalmente armonizzata, che anticipa ciò che udremo nelle trombe proprio in chiusura d’opera. Lo sviluppo è assai lungo e articolato, persino bellicoso (sic) e caratterizzato a frequenti ritorni del richiamo della volontà: a 9’18” lo udiamo nei corni e poi nella tromba; quindi più avanti ancora (dopo comparse del tema della ragione) nei tromboni, poi (da 11’02”) per quattro volte, sempre più in alto, nella tromba; quindi ancora (11’23”) colossale, nei corni, poi nuovamente in tromba e corni, con un poderoso crescendo che si smorza (11’54”) lentamente, seguito da un nuovo languido intervento del violino solo.

V - Luce: giallo (RE). Inizia qui (12’05”) la fase ascendente dell’evoluzione umana. È un passaggio pieno di mistero, affidato ai legni, poi ancora al violino, languidamente, a 12’28”. Si riode i tema della ragione, il pianoforte interviene per ora molto discretamente, ancora il violino, quindi ecco iniziare un crescendo di tutta l’orchestra che conduce alla fine dello sviluppo e all’inizio della ricapitolazione (14’40”) con il tema della ragione, esposto ora con grande enfasi dai corni. È il pianoforte a riproporre i motivi già uditi nell’esposizione: il primo che richiama la volontà (14’55”); poi quello danzante (15’29”).

VI - Luce: azzurro verdastro (MI). A 15’45” procede ancora, proprio a passo di danza, il cammino verso la trascendenza che vede l’irruzione improvvisa (16’31”) del coro: qui sono contralti (metà a bocca chiusa) e bassi (tutti a bocca chiusa) che emettono per ora vocali apparentemente inarticolate ispiranti beatitudine.  

VII - Luce: blu scuro (FA#). Ancora il richiamo della volontà (16’49”) esposto dalla tromba sottolinea l’ingresso dell’Uomo nella trascendenza. A 17’03” rientra il coro al completo che questa volta espone un testo apparentemente bizzarro, precisamente Eaohoaoho, che probabilmente deriva da Oeaohoo, l’eterna unità vivente secondo la Blavatsky. L’orchestra ora ribolle in un crescendo (tema di Prometeo) che si interrompe (17’47”) per far spazio al violino solo, prima che un prestissimo (18’05”) dia inizio alla sezione di coda, dove pianoforte e orchestra dialogano spasmodicamente.

E veniamo così alla conclusione, davvero bizzarra, date le circostanze: perchè (19’00”) assistiamo all’insediamento di un retorico LA#(=SIb) maggiore, con le trombe in particolare a riproporre il tema tonalizzato della volontà, scalando in arpeggio quasi due ottave: DO-FA-SIb-RE-FA-SIb (quarte giuste e terze). Che succede? Si sta per caso chiudendo sul grigio di LA#?! Non sia mai detto, ed allora (19’11”) ecco che nelle ultime 5 battute – fermo restando il LA#(=SIb) di quelle principali – le voci interne si muovono, da FA e RE, su FA# e DO#: un’incredibile, pacchiana e melodrammatica cadenza ottocentesca (un tale Bruckner, al culmine dell’Adagio della sua Ottava, aveva fatto precisamente la stessa cosa: grande arpeggio di MIb sfociato in un colossale DOb!) che chiude, come da copione, sul blu scuro del FA# maggiore.
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Inutile dire che chi ascolta questa musica senza nulla conoscere dei retroscena filosofici rischia di sopportarla a malapena come si fa con un’insipida brodaglia, che solo negli ultimi 20 secondi (su 20 minuti!) si trasforma in un (peraltro stomachevole) cacao meravigliao!   

Bene, adesso (dopo tutto ‘sto pedantesco tormentone…) chiederete: ma com’è andata qui in Auditorium? Ecco: niente coro (forse costava troppo scomodare i discepoli della Gambarini per così poco?) ma soprattutto niente luci: ora, ammesso che con le luci ci si possa forse divertire (mah…) se restano in ballo solo i suoni non ci si diverte per nulla, almeno questo è il mio schietto parere.

Certo: l’Orchestra, Axelrod e Maria Perrotta han fatto di tutto per… indorarci a pillola, tanto che il pubblico qui accorso in modica quantità ha mostrato di gradire: meglio così!
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Dal misticismo di contrabbando di Scriabin (seghe mentali, perdonate la definizione aulica…) alla straordinaria barbarie del Sacre di Stravinski! Tra le due opere e i due autori non ho personalmente dubbi sul come assegnare le palme di modernità e di rivoluzionario.

Axelrod, che deve averla imparata direttamente da Lenny Bernstein (uno che la conosceva come le sue tasche) rinuncia alla bacchetta e sfodera gesti secchi da vigile urbano che dirige il traffico in un incrocio caotico. Il risultato (grazie ovviamene ai ragazzi) è superlativo e… peggio per gli assenti, che però hanno ancora due possibilità per rimediare.

10 ottobre, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 54


Stanislav Kochanovsky arriva sul podio de laVERDI per un appuntamento tutto russo (sempre Campogrande a parte, che stavolta se la prende con i crucchi). Auditorium abbastanza affollato, dopo un paio di turni fiacchi.     

L’abusivamente cosiddetta Polacca di Ciajkovski, classica sinfonia da chiusura di concerto, stavolta è incaricata invece di aprirne la parte canonica, tornando qui in Auditorium dopo quattro anni (allora sotto la bacchetta di Xian).

Il giovane Kochanovsky mostra di possedere già una notevole sicurezza e padronanza dei propri mezzi, dirigendo con gesto sobrio ma preciso ed efficace. La sua lettura della sinfonia è proprio nel segno della tradizione russa, senza facili forzature, specie nei movimenti esterni, dove il pericolo di cadere in eccessiva enfasi è sempre presente.
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Dopo l’intervallo la bella 30enne nizzarda Solenne Païdassi si cimenta con Stravinski e il suo Concerto in RE del 1931. Che è in realtà quasi una sinfonia concertante del violino con gli altri strumenti dell'orchestra.

Il solista è subito impegnato, nell’iniziale Toccata, da un problematico accordo di 11ma (MI-LA) sul RE basso:

Pare che Samuel Dushkin, che aiutò Stravinsky a districarsi con la parte di violino e fu il primo interprete del concerto, avesse in un primo tempo considerato ineseguibile quell’accordo, che Stravinski gli aveva proposto scrivendolo su un pezzo di carta fra una portata e l’altra in un ristorante di Parigi. Tornato a casa, il celebre violinista si rese conto che la cosa era non solo fattibile, ma addirittura quasi facile, e così quell’accordo verrà poi ripetuto all'inizio di tutti i movimenti!

Seguono ben due Arie: la prima più mossa, con frequenti contrappunti in pizzicato degli archi bassi. La seconda più elegiaca, con sommesso accompagnamento quasi esclusivamente limitato ai soli archi e con il motto dell'accordo iniziale che torna un paio di volte a separare le sezioni del brano. Nel Capriccio finale, dopo corno e fagotto, il nostro fa intervenire - a duettare con il solista - anche la spalla dell’Orchestra (nella fattispecie: Luca Santaniello) proprio come nel Concerto per due violini del sommo Johann Sebastian. Insomma, si sarà capito che lo Stravinski del 1930 si era assai… imborghesito, rispetto a quello di 20 anni prima (il Sacre, avete presente?)

La Solenne (ma guarda che razza di nome si deve ritrovare una ragazza all’acqua-e-sapone, nemmeno facesse Messa di cognome, strasmile!) dimostra tutta la sua classe, con un’esecuzione tecnicamente impeccabile di questo ostico brano, accolta da convinti applausi, che lei ricambia con una delle mille varianti del Dies Irae!
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Chiude la serata Scriabin con la sua Estasi (una spuria Sinfonia, che sarebbe poi la sua quarta, ma meglio forse chiamarla Poema sinfonico) venuta alla luce fra il 1905 e il 1908.

Quando venne eseguito il Poema dell’estasi Scriabin era il solo a credere che dovesse accadere qualcosa di straordinario. Solo lui si aspettava che dopo l’esecuzione tutto il pubblico morisse… di estasi. Ma poi siamo andati, lui compreso, al ristorante a cenare con altrettanto piacere che appetito (…) Insomma, la fine del concerto aveva dato l’impressione di un soufflé che si ammoscia.

Questo racconto di un amico del compositore spiega più di tante analisi il velleitarismo da cui era affetto Scriabin, che (peccato!) morì prima di aver potuto completare un’opera che avrebbe davvero fatto storia: poiché avrebbe dovuto semplicemente provocare la fine del mondo!

Ma intanto, di quale estasi si tratta veramente? La musica fu composta da Scriabin come una specie di colonna sonora di un poema (di 369 versi) da lui stesso vergato, il cui titolo originale (che avrebbe dovuto essere anche quello del brano musicale) era Poème Orgiaque! Insomma, ci sarà pure del misticismo, ma qui pare più che altro esserci del sesso bello e buono… Come del resto ci confermano le bizzarre indicazioni agogiche in partitura, che non sai mai se interpretare come lo stato d’animo che deve assumere l’esecutore, o come l’effetto che dovrebbe avere la musica sull’ascoltatore. Allora, a 4 prima del N°7: très parfumé (ecco, sappiamo che Scriabin vaneggiava di musica non solo colorata, ma anche profumata!) Subito dopo il N°7, ancora: avec une ivresse toujours croissante… E al N°8: prèsque en delire. Al N°15: avec une noble et joyeuse émotion. Al N°31: charmé. Il culmine del piacere post-orgasmo si raggiunge al N°34 della partitura, dove troviamo un’illuminante: avec une volupté de plus en plus extatique.

Non è quindi un caso se, insieme ad apprezzamenti sinceri, il brano abbia raccolto nel suo secolo abbondante di vita anche sferzanti sfottò e feroci sarcasmi! Ma cerchiamo di decifrarne almeno sommariamente struttura e contenuti seguendone un’esecuzione che ha fatto storia: Svetlanov con l’Orchestra dell’URSS.
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Si parte con un un’Introduzione in Andante languido, dove su un pedale di violini secondi, viole e fiati (un accordo a toni interi REb-MIb-FA-SOL che anticipa in qualche modo il famoso accordo mistico del successivo Prometeus) e con interventi dell’arpa, entrano tre strumenti che saranno poi protagonisti: dapprima (14”) il flauto, poi il violino solo (24”) che ne mima la tenue melodia e infine, supportata dai corni (45”) la prima tromba, che si presenta con un motivo che anticipa le velleità che ascolteremo più avanti.

Quella che possiamo chiamare Esposizione inizia (1’02”, Lento - Soavemente) con una melodia del clarinetto cui si aggiungono poi gli altri strumenti: è un passaggio sonnolento che culmina improvvisamente (2’04”) sull’Allegro volando, attaccato dal flauto cui rispondono i primi violini con quartine di semicrome. L’episodio si sviluppa fino ad un molto accelerando cui segue bruscamente (2’30”) un nuovo Lento, dove tocca al violino solo esporre una nuova melodia ripresa poi (3’09”, molto languido) dai flauti.

A 3’30” ecco una nuova sezione dell’esposizione, in Allegro non troppo, aperta da una fanfara di corni che introduce (3’31”) la tromba solista: la quale si presenta con un motivo che risentiremo nel seguito, una specie di promessa/minaccia di sfracelli. Ed infatti subito dopo (3’42”, avec un noble et douce majesté) la prima tromba viene affiancata dalla seconda per esporre quello che diventerà l’ossessivo tema principale dell’opera, che ci martellerà impietosamente i timpani fino alla fine.

Il quale si esaurisce per ora (3’58”, Moderato avec delice) su un’entrata dei violini che propongono un nuovo motivo ammiccante che, dopo un tristaniano intervento (4’20”) del corno, lascia spazio (4’31”) ad un breve crescendo dell’orchestra. Ancora il violino solo (4’50”) apre un nuovo episodio sognante, nel quale si inserisce (5’08”) il corno seguito dai flauti, che poco dopo (5’32”) sono chiamati ad emettere suoni, ehm… odorosi (très parfumé). Il climax sale ancora e si trasforma in vera e propria ubriacatura (5’44”, avec une ivresse toujours croissante) protagonista ancora il violino solo, poi l’intera orchestra che arriva (5’59”, presque en delire) vicina all’orgasmo, con (6’11”) tre eloquenti… barriti dei corni (!)

In Allegro (6’33”) torna quindi la tromba a perorare il suo tema eroico, che si sviluppa ora con un crescendo di atmosfere davvero… degno di miglior causa: passiamo (6’46”) ad Allegro drammatico, poi (7’15”) a tragico, dove il tema eroico si trasferisce trucemente, e barbaramente smontato, ai tromboni e alla tuba, finchè (7’34”, tempestoso) ricompare la fanfara dei corni seguita dal secondo motivo della tromba (li avevamo già incontrati nell’Allegro non troppo). Qui ha inizio un’autentica orgia sonora, con esplosioni in fortissimo dell’orchestra, poi ecco ancora (8’36”, avec une noble e joyeuse émotion) il tema eroico nelle trombe, che si sviluppa accompagnato da nuove esplosioni generali, finchè (9’38”) dei trilli di flauti e ottavino accompagnati dagli altri legni non portano ad una progressiva rarefazione dell’atmosfera, dove (9’51”) le trombe ripropongono il motivo esposto nell’Introduzione.

Qui (10’10”, Lento) si può collocare l’inizio della Ripresa, con il clarinetto che espone la sua melopea, seguito dall’intera orchestra (con interventi del violino solo) che conduce alla sezione in Allegro volando (11’28”) con gli svolazzi di flauti e violini e un breve crescendo generale, che si interrompe bruscamente per fare spazio (11’55”, Lento) al flauto che ripropone il motivo presentato nell’Esposizione dal violino solo; motivo ripreso poi (12’15”) dall’oboe, con l’orchestra che porta (12’52”) ad un molto accelerando nel quale la prima tromba ripropone dapprima (13’00”) il suo motivo dell’Allegro non troppo e subito dopo (13’10”) il tema eroico. Ancora una rarefazione, peraltro su ritmi concitati, dell’atmosfera ci porta (13’37”, molto più lento) ad una transizione in cui spiccano fanfare delle trombe che portano verso la sezione conclusiva dell’opera (14’02”, Allegro).

Sezione che inizia con un ritorno della sequenza (fanfara di corni e tromba solista) udita nell’Introduzione, che però adesso si sviluppa in modo abnorme, in particolare con l’intervento in contrappunto di tutti gli ottoni, fino a sfociare (14’43”) nel ritorno del tema eroico nella tromba. Ancora una pausa (14’56”, Charmè) ci porta con una progressione dei corni verso la definitiva perorazione del tema eroico (15’35”) nelle due trombe, che dopo un passaggio scherzando si chiude (15’57”, avec une volupté de plus en plus extatique) con una sognante sezione che prepara (16’52”) l’Allegro molto. Leggierissimo. Volando, che ora assume piglio e velocità ancor maggiori di quelle delle sue due precedenti apparizioni. A 17’06” la tromba solista ripropone il tema dell’Allegro non troppo e da qui inizia la finale perorazione con un colossale Maestoso (17’27”) dove il tema eroico è esposto con magniloquenza pari alla retorica dai corni. Un’ultima, lunghissima presa di respiro (18’41”) conduce alla conclusione su un emblematico accordo generale di DO maggiore.
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Che dire? Che questa mappazza il suo bell’effetto – estasi esclusa - lo fa sempre, soprattutto se a suonarla sono ragazzi affiatati e preparati come quelli de laVERDI, cui si è aggiunta per l’occasione la magica tromba di Giuliano Sommerhalder, che Kochanovsky ha chiamato non una, né due, ma ben tre volte alla singola!