Stanislav
Kochanovsky arriva
sul podio de laVERDI per un appuntamento tutto russo (sempre Campogrande
a parte, che stavolta se la prende con i crucchi). Auditorium abbastanza affollato,
dopo un paio di turni fiacchi.
L’abusivamente
cosiddetta Polacca di Ciajkovski,
classica sinfonia da chiusura di concerto, stavolta è incaricata invece di aprirne
la parte canonica, tornando qui in Auditorium dopo quattro anni (allora sotto
la bacchetta di Xian).
Il
giovane Kochanovsky mostra di possedere già una notevole sicurezza e padronanza
dei propri mezzi, dirigendo con gesto sobrio ma preciso ed efficace. La sua
lettura della sinfonia è proprio nel segno della tradizione russa, senza facili
forzature, specie nei movimenti esterni, dove il pericolo di cadere in
eccessiva enfasi è sempre presente.
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Dopo
l’intervallo la bella 30enne nizzarda Solenne Païdassi si cimenta con Stravinski e il suo Concerto
in RE del 1931. Che è in realtà quasi
una sinfonia concertante del violino con gli altri strumenti
dell'orchestra.
Il
solista è subito impegnato, nell’iniziale Toccata,
da un problematico accordo di 11ma (MI-LA) sul RE basso:
Pare
che Samuel Dushkin, che aiutò Stravinsky
a districarsi con la parte di violino e fu il primo interprete del concerto,
avesse in un primo tempo considerato ineseguibile quell’accordo, che Stravinski
gli aveva proposto scrivendolo su un pezzo di carta fra una portata e l’altra
in un ristorante di Parigi. Tornato a casa, il celebre violinista si rese conto
che la cosa era non solo fattibile, ma addirittura quasi facile, e così
quell’accordo verrà poi ripetuto all'inizio di tutti i movimenti!
Seguono ben due Arie: la prima più mossa,
con frequenti contrappunti in pizzicato degli archi bassi. La seconda più
elegiaca, con sommesso accompagnamento quasi esclusivamente limitato ai soli
archi e con il motto dell'accordo
iniziale che torna un paio di volte a separare le sezioni del brano. Nel Capriccio finale,
dopo corno e fagotto, il nostro fa intervenire - a duettare con il solista -
anche la spalla dell’Orchestra (nella
fattispecie: Luca Santaniello) proprio come nel Concerto
per due violini del sommo Johann
Sebastian. Insomma, si sarà capito che lo Stravinski del 1930 si era assai…
imborghesito, rispetto a quello di 20 anni prima (il Sacre, avete presente?)
La Solenne (ma guarda che razza di nome si deve ritrovare una ragazza
all’acqua-e-sapone, nemmeno facesse Messa
di cognome, strasmile!) dimostra
tutta la sua classe, con un’esecuzione tecnicamente impeccabile di questo
ostico brano, accolta da convinti applausi, che lei ricambia con una delle
mille varianti del Dies
Irae!
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Chiude
la serata Scriabin con la sua Estasi
(una spuria Sinfonia, che sarebbe poi la sua quarta, ma meglio forse chiamarla Poema sinfonico) venuta alla luce
fra il 1905 e il 1908.
Quando
venne eseguito il Poema dell’estasi Scriabin era il solo a credere che
dovesse accadere qualcosa di straordinario. Solo lui si aspettava che dopo
l’esecuzione tutto il pubblico morisse… di estasi. Ma poi siamo andati, lui
compreso, al ristorante a cenare con altrettanto piacere che appetito (…)
Insomma, la fine del concerto aveva dato l’impressione di un soufflé che si
ammoscia.
Questo
racconto di un amico del compositore spiega più di tante analisi il
velleitarismo da cui era affetto Scriabin, che (peccato!) morì prima di aver
potuto completare un’opera che avrebbe davvero fatto storia: poiché avrebbe dovuto semplicemente provocare la fine del mondo!
Ma intanto,
di quale estasi si tratta veramente?
La musica fu composta da Scriabin come una specie di colonna sonora di un poema
(di 369 versi) da lui stesso vergato, il cui titolo originale (che avrebbe
dovuto essere anche quello del brano musicale) era Poème Orgiaque! Insomma, ci sarà pure del misticismo, ma qui pare
più che altro esserci del sesso bello e buono… Come del resto ci confermano le
bizzarre indicazioni agogiche in partitura, che non sai mai se interpretare
come lo stato d’animo che deve assumere l’esecutore, o come l’effetto che dovrebbe
avere la musica sull’ascoltatore. Allora, a 4 prima del N°7: très parfumé (ecco, sappiamo che Scriabin vaneggiava di musica non
solo colorata, ma anche profumata!) Subito dopo il N°7, ancora: avec une
ivresse toujours croissante… E al N°8: prèsque en delire. Al N°15: avec une noble et joyeuse émotion. Al N°31: charmé. Il
culmine del piacere post-orgasmo si raggiunge al N°34 della partitura, dove
troviamo un’illuminante: avec une volupté de plus en plus extatique.
Non
è quindi un caso se, insieme ad apprezzamenti sinceri, il brano abbia raccolto
nel suo secolo abbondante di vita anche sferzanti sfottò e feroci sarcasmi! Ma
cerchiamo di decifrarne almeno sommariamente struttura e contenuti seguendone
un’esecuzione che ha fatto storia: Svetlanov con l’Orchestra
dell’URSS.
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Si parte con un un’Introduzione
in Andante languido, dove su un
pedale di violini secondi, viole e fiati (un accordo a toni interi REb-MIb-FA-SOL
che anticipa in qualche modo il famoso accordo
mistico del successivo Prometeus)
e con interventi dell’arpa, entrano tre strumenti che saranno poi protagonisti:
dapprima (14”) il flauto, poi il violino solo (24”) che ne mima la tenue
melodia e infine, supportata dai corni (45”) la prima tromba, che si
presenta con un motivo che anticipa le velleità che ascolteremo più avanti.
Quella che possiamo chiamare Esposizione
inizia (1’02”, Lento - Soavemente)
con una melodia del clarinetto cui si aggiungono poi gli altri strumenti: è un
passaggio sonnolento che culmina improvvisamente (2’04”) sull’Allegro volando, attaccato dal flauto
cui rispondono i primi violini con quartine di semicrome. L’episodio si
sviluppa fino ad un molto accelerando
cui segue bruscamente (2’30”) un nuovo Lento, dove tocca al violino solo esporre una nuova melodia ripresa
poi (3’09”,
molto languido) dai flauti.
A 3’30” ecco una nuova sezione dell’esposizione, in Allegro non troppo, aperta da una
fanfara di corni che introduce (3’31”) la tromba solista: la quale
si presenta con un motivo che risentiremo nel seguito, una specie di
promessa/minaccia di sfracelli. Ed infatti subito dopo (3’42”, avec un noble et douce majesté) la prima
tromba viene affiancata dalla seconda per esporre quello che diventerà
l’ossessivo tema principale dell’opera, che ci martellerà impietosamente i
timpani fino alla fine.
Il quale si esaurisce per ora (3’58”, Moderato avec delice) su un’entrata dei violini che propongono un
nuovo motivo ammiccante che, dopo un tristaniano
intervento (4’20”) del corno, lascia spazio (4’31”) ad un breve crescendo dell’orchestra. Ancora il violino
solo (4’50”) apre un nuovo episodio sognante, nel quale si inserisce
(5’08”)
il corno seguito dai flauti, che poco dopo (5’32”) sono chiamati ad
emettere suoni, ehm… odorosi (très
parfumé). Il climax sale ancora e
si trasforma in vera e propria ubriacatura (5’44”, avec une ivresse toujours croissante)
protagonista ancora il violino solo, poi l’intera orchestra che arriva (5’59”,
presque en delire) vicina all’orgasmo,
con (6’11”)
tre eloquenti… barriti dei corni (!)
In Allegro (6’33”) torna quindi la tromba
a perorare il suo tema eroico, che si sviluppa ora con un crescendo di
atmosfere davvero… degno di miglior causa: passiamo (6’46”) ad Allegro drammatico, poi (7’15”)
a tragico, dove il tema eroico si
trasferisce trucemente, e barbaramente smontato, ai tromboni e alla tuba,
finchè (7’34”, tempestoso)
ricompare la fanfara dei corni seguita dal secondo motivo della tromba (li
avevamo già incontrati nell’Allegro non
troppo). Qui ha inizio un’autentica orgia sonora, con esplosioni in
fortissimo dell’orchestra, poi ecco ancora (8’36”, avec une noble e
joyeuse émotion) il tema eroico
nelle trombe, che si sviluppa accompagnato da nuove esplosioni generali, finchè
(9’38”)
dei trilli di flauti e ottavino accompagnati dagli altri legni non portano ad
una progressiva rarefazione dell’atmosfera, dove (9’51”) le trombe
ripropongono il motivo esposto nell’Introduzione.
Qui (10’10”, Lento) si può
collocare l’inizio della Ripresa, con
il clarinetto che espone la sua melopea, seguito dall’intera orchestra (con
interventi del violino solo) che conduce alla sezione in Allegro volando (11’28”) con gli svolazzi di flauti e
violini e un breve crescendo generale, che si interrompe bruscamente per fare
spazio (11’55”, Lento) al
flauto che ripropone il motivo presentato nell’Esposizione dal violino solo; motivo ripreso poi (12’15”)
dall’oboe, con l’orchestra che porta (12’52”) ad un molto accelerando nel quale la prima tromba ripropone dapprima (13’00”)
il suo motivo dell’Allegro non troppo e
subito dopo (13’10”) il tema eroico. Ancora una rarefazione, peraltro su
ritmi concitati, dell’atmosfera ci porta (13’37”, molto più lento) ad una transizione in cui spiccano fanfare delle
trombe che portano verso la sezione conclusiva dell’opera (14’02”, Allegro).
Sezione che inizia con un ritorno della sequenza (fanfara di corni e tromba
solista) udita nell’Introduzione, che
però adesso si sviluppa in modo abnorme, in particolare con l’intervento in
contrappunto di tutti gli ottoni, fino a sfociare (14’43”) nel ritorno del
tema eroico nella tromba. Ancora una pausa (14’56”, Charmè) ci porta con una progressione
dei corni verso la definitiva perorazione del tema eroico (15’35”) nelle due trombe,
che dopo un passaggio scherzando si
chiude (15’57”, avec une volupté de plus en plus extatique) con una sognante sezione che prepara (16’52”) l’Allegro molto. Leggierissimo. Volando, che ora assume piglio e velocità ancor maggiori di quelle
delle sue due precedenti apparizioni. A 17’06” la tromba solista ripropone
il tema dell’Allegro non troppo e da
qui inizia la finale perorazione con un colossale Maestoso (17’27”) dove il tema eroico è
esposto con magniloquenza pari alla retorica dai corni. Un’ultima, lunghissima
presa di respiro (18’41”) conduce alla conclusione su un emblematico accordo
generale di DO maggiore.
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Che
dire? Che questa mappazza il suo bell’effetto – estasi esclusa - lo fa sempre,
soprattutto se a suonarla sono ragazzi affiatati e preparati come quelli de
laVERDI, cui si è aggiunta per l’occasione la magica tromba di Giuliano Sommerhalder, che Kochanovsky
ha chiamato non una, né due, ma ben tre
volte alla singola!
3 commenti:
Per fortuna abbiamo potuto ascoltare nel poema dell'estasi la tromba di Giuliano Sommerhalder evitando, almeno per questa volta, di ripetere l'errore fatto in precedenti concerti di chiamare prime parti aggiunte non adeguate al ruolo e alla categoria di orchestra. Purtroppo venerdì non ho visto in sala il direttore artistico, forse troppo dedicato alla Barocca dove peraltro riesce a cimentarsi con eccellenti risultati.
@Sbrodolata
Allora questa volta Jais ci ha preso!
Non so per quale motivo le due prime parti dell'orchestra (i due Alessandri: Caruana e Ghidotti) non fossero della partita: sono certo che entrambi siano in grado di suonare l'Estasi in modo adeguato.
Grazie per la visita, ciao!
Sicuro che il titolare avrebbe portato a casa un ottimo risultato (ricordo la recente terza di Mahler). La paura non sono i nostri, ma i backup azzardati.
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