Il Regio
torinese ha inaugurato la stagione 15-16 con Aida, di cui ieri pomeriggio
(a teatro pieno come un uovo) è andata in scena la quinta delle ben 10
rappresentazioni in programma. Come
recita la locandina, questo allestimento è idealmente apparentato con la
riapertura, avvenuta a fine dello scorso marzo, del Museo Egizio.
Beh, a proposito di musei restaurati, lo
è anche l’allestimento di William Friedkin (che conta ormai 10 anni di vita): perchè è proprio
di quelli che gli amanti delle regìe
intelligenti liquiderebbero con l’epiteto da museo. Quindi, per noi poveri pirla ma amanti dei musei, va a
meraviglia! Perchè credo che pochi giudizi siano più azzeccati di questo, che
il pluri-oscar-premiato regista americano dà in risposta ad una domanda di Guido
Andruetto sul programma di sala, intervista riportata anche da Sistema
Musica:
“…diversamente da quanto avviene nel cinema, dove il
ruolo del regista è sicuramente il più importante, in una produzione operistica
la situazione cambia e, seguendo una scala gerarchica, viene prima il
compositore, poi il direttore d’orchestra, il maestro del coro, il cast, e infine il regista, lo scenografo, il costumista, il
coreografo, il direttore delle luci…” Imprimatur!
Sappiamo
che Aida è opera bifronte, o bitematica, quanto a caratteristiche del soggetto:
il quale ha un fondo squisitamente introspettivo (aperto e chiuso dal sommesso preludio
e dall’accorata preghiera finale) rappresentato dalle pulsioni degli animi dei
tre protagonisti, dilaniati da sentimenti opposti e inconciliabili. (Questa
ideale congiunzione alfa-omega viene realizzata dal regista mostrandoci, ancora
nel Preludio, i due protagonisti uniti, come saranno nella scena conclusiva.) Sul
quale sfondo – principalmente nei primi due atti - si innestano e si stagliano,
a mo’ di eruzioni vulcaniche, le retoriche manifestazioni politiche, i cori, le danze e le marce trionfali.
Ciò che purtroppo nessuna coppia regista-concertatore
riesce a rendere compiutamente è la scena finale dell’atto II, che storicamente
ha trasformato Aida in un gran circo equestre (o elefantino). La colpa è di
Verdi-Ghislanzoni, ahiloro, che hanno preteso un po’ troppo dal pubblico:
distinguere non una, e neanche due o tre, ma ben 7 (in lettere: sette!) diverse manifestazioni di stati
d’animo che vi albergano. Cioè quelli delle tre componenti del coro medesimo: sacerdoti
(preoccupazione per le sorti dell'Egitto);
popolo (giubilo per la vittoria); prigionieri
(rispetto per la magnanimità del nemico che ha
restituito la libertà). Più quelle dei quattro protagonisti: di Amonasro che già medita la sua vendetta; e dei tre
personaggi principali, ciascuno dei quali vive quel momento in modi del tutto
diversi: Aida letteralmente disperata, Amneris al settimo cielo e Radamès che
si rende conto del vicolo cieco in cui si è cacciato. Qui per fortuna
non ci sono quadrupedi, ma resta pur sempre il gran bailamme di voci e
strumenti che ti lascia esclusivamente la sensazione del kolossal, e poco altro.
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Un paio d’anni fa Gianandrea Noseda aveva avuto una delle sue (poche) disavventure
professionali (leggi: aperte contestazioni) proprio in un’Aida (zeffirelliana)
alla Scala. Ero quindi assai curioso di riascoltarlo in quest’opera alla guida
dei suoi ragazzi e la registrazione della prima,
andata in onda sabato sera su Radio3 (a proposito, dal 24 c.m. e per sei mesi
il video sarà disponibile in rete sulla nuova piattaforma europea) mi
aveva un filino confortato. Ma bisogna sempre diffidare delle riproduzioni
meccaniche, e infatti devo dire che l’ascolto dal vivo non ha definitivamente
cancellato quella macchia: direzione e concertazione apprezzabili, sia ben
chiaro, ma qualche eccesso di foga è emerso ancora, e non solo nel famigerato
finale secondo, ma ad esempio sul culmine del duetto Amonasro-Aida, con le voci
pur possenti dei due totalmente coperte dal clangore orchestrale.
Encomiabile la prestazione del coro di Claudio Fenoglio, in tutte le diverse
componenti umane e psicologiche che è chiamato ad impersonare.
Reduce dell’Aida
scaligera sopra menzionata è Kristin Lewis: non mi era dispiaciuta allora e confermo il
giudizio; qui poi è stata accolta da un gran successo, che si merita se non
altro per aver migliorato parecchio, in pochi mesi, la sua pronuncia della
nostra lingua!
Con lei (altra reduce) Anita
Rachvelishvili, della quale non si scopre oggi la dotazione naturale, ma
fa piacere avere conferma della sua maturazione artistica, cioè la capacità di
espressione delle varietà e sfumature di sentimenti che caratterizzano
l’enigmatico personaggio di Amneris. Per lei, un trionfo meritato.
Radames è Marco Berti, non nuovo nella parte, che in passato mi aveva fatto
una discreta impressione: personalmente tenderei a confermarla (certo, lui
canta tutto forte e le sfumature di espressione gli sono estranee) però i buh insistiti che (unico del cast) ha
dovuto incassare alla fine mi son parsi francamente troppo punitivi.
Un ottimo voto
lo darei a Giacomo Prestia, che ha il
ruolo di Ramfis ai primi posti del suo curriculum,
e direi che si è confermato con una prestazione encomiabile, davvero autorevole (lui è il Richelieu di tutta la
vicenda) come il ruolo richiede! Il Re era l’orientale In-Sung Sim, che dovrà migliorare parecchio per raggiungere livelli
accettabili. Chi mi ha sorprendentemente deluso è Mark Steven Doss, di cui avevo un ottimo ricordo in diversi ruoli e
che invece mi è parso un Amonasro perennemente impiccato e a disagio… peccato. Dino Prola (Messaggero) e Kate Fruchtermann (sacerdotessa) su
standard dignitosi.
Comunque sia è
stato per me un pomeriggio più che soddisfacente!
2 commenti:
Caro Daland, la buona notizia a è all'inizio del tuo articolo: teatro pieno come un uovo, una situazione nella quale non mi trovo da tempo.
Ciao!
@Amfortas
Sì, ottima notizia... certo siamo a Torino, dove la città si stringe sempre intorno al suo teatro; poi Aida è sempre Aida! Vedremo come sarà fra un mese l'accoglienza per Dido and Aeneas!
Ciao!
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