Uno spiacevole
contrattempo (la malattia della moglie che non ha permesso a György Kurtág di completare in tempo per il 2015 la sua Fin de partie – opera rischedulata a
fine stagione 15-16) riporta alla Scala dal 29 ottobre il Wozzeck messo in scena da Jürgen
Flimm, per la quarta volta in meno di 20 anni. La prima fu nella stagione
1996-7 (sul podio il compianto Sinopoli);
poi venne Conlon (1999-0) indi Gatti (2007-8); oggi Metzmacher.
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Wozzeck è per
antonomasia l’opera atonale: composta
cioè prescindendo da tutta quella serie di regole (codificate e non-) oltre che
di consuetudini, stereotipi, usanze, abitudini sulle quali si era appoggiata
tutta la musica occidentale dal ‘500 in poi, passando attraverso una lunga
serie di innovazioni culminate nell’esasperato cromatismo del wagneriano Tristan,
che aveva portato la musica al limite di rottura delle regole consolidate. Dopo
Wagner qualcuno aveva cercato di avanzare e progredire ulteriormente sul
sentiero della tonalità (Mahler, Strauss); altri (Debussy) si erano indirizzati
verso sistemi musicali alieni (scale esotiche); i giovani della seconda scuola di Vienna (Schönberg,
Webern e Berg) avevano invece cominciato a contestare radicalmente la tonalità,
col rifiutarne precisamente i fondamentali presupposti, primo fra i quali la
necessaria presenza di un centro di
gravitazione tonale in ciascun brano di musica.
Però l’assenza
di qualunque regola è in po’ come l’anarchia: una bella utopia, in pratica…
impraticabile. Se ne accorgerà lo stesso Schönberg (del quale proprio Mahler,
pur appoggiandolo in quanto innovatore, affermava di non capire la musica) che
in questa anarchia si impantanerà e, per uscirne vivo, dovrà inventare (o
meglio: codificare cose inventate da altri…) un nuovo metodo compositivo,
basato su regole ancor più ferree e cogenti di quelle della vecchia musica: e
nascerà allora la dodecafonia,
qualcosa di… talebano, ecco.
Ma Berg si
interessò al soggetto del Wozzeck nel 1914, quando ancora la dodecafonia con le
sue regole era ben di là da venire e così si trovò per primo a sperimentare la
composizione atonale su un’opera di grandi dimensioni, mentre fino ad allora la
nuova musica si era espressa quasi esclusivamente su oggetti assai limitati,
per non dire a livello aforistico. E per non smarrire la rotta, avendo
rinunciato alla bussola (la tonalità) decise di orientarsi con… le stelle: cioè
ricorrendo all’impiego di tutte le forme
musicali conosciute. (Le vedremo in dettaglio nella prossima puntata.)
Che la musica
atonale presentasse potenziali problemi di ricezione e fruizione da parte del
vasto pubblico era Berg per primo a temerlo. Dico, opere come il
Barbiere o Norma, o Nabucco o anche Lohengrin, pur essendo diversissime - e per
certi aspetti rivoluzionarie nei contenuti musicali - da quelle di Paisiello,
di Gluck, di Mozart, erano state accolte con entusiasmo da tutti. E Bellini mai
dovette tenere conferenze per aiutare il pubblico ad apprezzare la sua
Sonnambula! Lo stesso Tristan incontrò all’inizio più ostilità dagli addetti ai
lavori che non dal pubblico. Ecco che invece Berg, ancora anni dopo la prima di Wozzeck, sentiva il bisogno di
esibirsi in dotte concioni sulla sua opera, per spiegarne tutti gli intimi
segreti. Dopodichè – ma guarda un po’… - chiedeva al pubblico di scordare tutto
ciò che lui aveva raccontato e di approcciare Wozzeck come si approccia Norma! Si
legga al proposito l’ultimo paragrafo del testo di una di tali conferenze (dove c’era tanto di orchestra e cantanti a supportare Berg nella
proposizione di esempi concreti) tenuta nel 1929.
Ma allora:
si può apprezzare Wozzeck anche senza conoscerne l’intima struttura?
Semplicemente lasciandosi coinvolgere e trascinare da questa musica (così
diversa da quella di quasi tutte le altre opere) che evoca passioni,
sentimenti, gioie (pochissime) e dolori (soverchianti)? Mah, va riconosciuto
che le prime rappresentazioni tedesche ebbero un’accoglienza tipo-Tristan:
pubblico tutto sommato plaudente (addirittura Berg ne rimase stupefatto!) e
critica a dir poco ostile. Le uniche disapprovazioni a scena aperta si ebbero a Praga, pochi mesi dopo la prima di
Berlino del 1925 e molti anni dopo (1952) alla Scala, dove il venerabile Mitropoulos venne rumorosamente
interrotto da un pubblico esasperato. In compenso l’opera era già stata
rappresentata (in italiano, come alla Scala) con Serafin e Gobbi ben 10
anni prima e con buon successo a Roma, sotto il fascismo, in piena guerra e in
barba alla scomunica nazista che l’aveva colpita in quanto musica degenerata.
Musica
che, proprio per la sua congenita struttura (di ostica afferrabilità per le
nostre orecchie, inutile negarlo!) pare più adatta ad evocare soggetti cupi o
truci, situazioni di squilibrio sociale e psichico, incubi ed allucinazioni,
sopraffazioni e delitti (insomma tutti i principali ingredienti di Wozzeck)
piuttosto che scenari di normalità
(sia pure drammatici, se non proprio idilliaci). Domanda: come mai con il
metodo atonale in più di un secolo non è stata composta una sola commedia brillante,
un dramma giocoso, e men che meno una farsa? E perché anche in Wozzeck i
pochissimi squarci di sereno (o di pietà) in mezzo a tante tempeste sono
evocati con il ricorso alla vecchia e cara tonalità ?!
Forse chi
teorizzava che dissonanze e tritoni fossero errori e rappresentassero lo scardinamento
delle regole costituite non aveva tutti i torti, se la musica che fa delle
dissonanze e dei tritoni la regola e non l’eccezione è stata impiegata per lo
più a rappresentare fenomeni di sfascio sociale o psicologico. O magari…
stonature, come si evince da questo esempio preso dalla seconda scena del primo
atto, dove Andres canta un’allegra
canzoncina che dopo due incisi (dominante-tonica, MIb-Lab) della tromba - e su
un tappeto del flauto (REb-MIb) in quella stessa tonalità - attacca calando su un SOL maggiore per poi
sconfinare in un orrendo tritono (LA-RE#)!
Ok, abbiamo
capito che Andres ha qualche problema di intonazione, poveretto (ma non datene
la colpa al tenore!) Sì, perché la stagione in cui nascevano, rustici ma
intonatissimi, i Nemorini era irrimediabilmente finita!
(1. continua)
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