Sembra paradossale ma Berg, proprio mentre propugnava (con il
maestro Schönberg e il collega Webern) un metodo compositivo che negava
ogni diritto di cittadinanza alla tonalità
e alle sue regole costituite e consolidatesi in secoli di progresso, decise per
il suo Wozzeck di impiegare praticamente tutte le forme che la musica occidentale aveva fatto proprie nel corso di
quegli stessi secoli, forme che in buona misura erano legate proprio all’esistenza
di centri di gravitazione tonale (basti pensare alla forma-sonata e alle regole che ne definiscono i rapporti di
tonalità); ne vedremo l’interminabile lista fra poco. Si noti di passaggio che
un approccio analogo terrà Schönberg al momento di codificare il suo metodo
dodecafonico, nel quale avranno un ruolo di spicco i trattamenti fiamminghi (la barbarie delle stranezze fiamminghe, come l’aveva
definita la Camerata dei
Bardi)
delle serie musicali. Insomma, a
quanto pare l’anarchia allo stato puro non esiste, in musica come in politica!
Interessante la risposta che Berg
medesimo (nel suo scritto Il problema dell’Opera) fornisce alla
domanda: perché non impiegare sempre il (wagneriano) Durchkomponieren (ossia il seguire la propria ispirazione senza
farsi condizionare dalle forme) invece
di imbottire la sua opera di Suite, Sinfonie, Passacaglie, Rondò e cose simili
(spesso, fra l’altro, di ardua decifrazione anche a tavolino)? Bene, la risposta
è di una disarmante ingenuità: perché senza la presenza di quelle forme la sua
musica sarebbe apparsa monotona, fino
ad annoiare l’ascoltatore!
Ora, le quindici scene rimaste in base
a tale selezione e condensazione esigevano una configurazione molto varia, la
sola che può garantire l'univocità e l'incisività musicali, e questo vietava
la prassi consueta del «musicare da cima a fondo» [durchkomponieren],
seguendo semplicemente il contenuto letterario. Una musica assoluta, per
quanto ricca nella sua struttura, per quanto appropriata nell'illustrare la
vicenda drammatica, non avrebbe potuto impedire che, dopo qualche scena
musicata in questa maniera, si avvertisse un senso di monotonia musicale, un senso di
sgradevolezza; la serie di una dozzina di interludi - formalmente destinati
soltanto a realizzare le conseguenze di una tale scrittura musicalmente
illustrativa - non avrebbe fatto altro che acuirlo, portandolo fino alla noia. E la noia è
l'ultima cosa da ammettere in teatro!
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Mah:
chi ha detto che il Durchkomponieren
debba per forza annoiare? (O è per caso l’atonalità
che rischia di annoiare?) E chi o cosa impedirebbe al compositore di introdurre
nel discorso musicale costruito con l’atonalità dei cambi di agogica, di
dinamica, di ritmo, di timbro (invece che forme
codificate) tali da scongiurare il pericolo di monotonia e conseguente noia? In
fin dei conti il terzo atto dell’opera (salvo la prima scena) pur camuffato sotto forma di invenzioni, è praticamente Durchkomponieren, ergo dovrebbe annoiarci?
Per di più: Berg fa ampio uso dei wagneriani Leit-Motive, che di per sé dovrebbero orientare l’ascoltatore (però
siamo sempre lì: riconoscere al volo un motivo atonale è impresa quasi
disperata!) E infine: come si spiega allora la sua convinzione che l’opera si debba
e si possa apprezzare anche ignorando la presenza di quelle forme? Insomma,
quanto c’è in Wozzeck di stucchevole, accademica quanto ininfluente sovrastruttura?
In
realtà è stato giustamente osservato come l’impiego di forme della tradizione
può benissimo essere giustificato dal (mascherato?) intento politico di Berg: denunciare le differenze di classe della società dei
suoi tempi e le ingiustizie che ne
derivano. Non è un caso che le antiche (e antiquate?) forme musicali siano
appiccicate ai rappresentanti dell’establishment
retrivo, conservatore e sfruttatore (Hauptmann, Doktor e Tambourmajor) mentre
ne è del tutto sprovvisto il proletariato povero e sfruttato (Wozzeck, Marie). La
Suite che supporta le prediche del
Capitano nella prima scena dell’opera sembra appropriata ad evocare – con i
suoi diversi numeri del tutto
scollegati fra loro – il contenuto strampalato e insensato, oltre che
reazionario, di tali prediche. Wozzeck invece alla fine canta un’aria, forma tipica della musica
popolare! Gli sproloqui del Dottore sono accompagnati dalla Passacaglia, che esplode in tutta la sua
retorica nell’ultima variazione, sulla vanagloriosa prefigurazione dell’immortalità
(o di un Premio Nobel?) ormai a portata di mano. Quanto al Militare, la forma
del Rondo ben si attaglia ad evocarne
l’attitudine alla disciplina e al comando. Insomma, è più che plausibile che il
ricorso alle antiche forme abbia motivazioni molteplici e non soltanto… tecnico-musicali.
Altra particolarità: lo Sprechgesang
(cantare-parlando) è affibbiato ai poveracci,
mentre gli sfruttatori (privilegiati!) cantano
(o parlano normalmente) e basta.
Sappiamo anche che Berg era maniaco dei
numeri e in Wozzeck ne abbiamo più di una testimonianza. A parte la simmetria
della macro-struttura (3 atti di 5 scene ciascuno) è eclatante il caso della
Passacaglia (scena IV dell’atto I) dove il numero 7 ritorna in modo a dir poco ossessivo:
il tema e 14 delle sue 21 variazioni occupano ciascuno 7 battute; tre
variazioni (7-10-12) sono in una sola battuta, ma suddivisa in 7 segmenti; 2
variazioni (18 e 21) occupano 14 battute; solo due variazioni (19 e 20)
occupano rispettivamente 9 e 18 battute, quindi hanno a che fare con il 3 e non
con il fatidico 7! Il quale 7 torna anche nel tema con 7 variazioni (quasi
tutte di 7 battute…) della prima scena dell’atto terzo! Insomma, Berg sembra
non aver lasciato nulla al caso, impiegando nella composizione di Wozzeck un alto
livello di arte combinatoria. Resta
da vedere quanto essa sia determinante, o invece ininfluente, come causa del
gradimento dell’opera presso il pubblico.
La
tabella che si può esplorare a questo link è derivata da molte
dello stesso contenuto presenti in diverse esegesi (incluso il libretto del
Teatro): ho
semplicemente introdotto un livello di dettaglio molto più fine rispetto al normale (riferendomi prevalentemente alla
struttura dell’opera come presentata nel testo di George Perle) tralasciando invece i
riferimenti al soggetto. Una curiosità: in due sole occasioni, sempre nell’atto
III, Berg impiega l’armatura di chiave,
tipica della musica tonale: dapprima nella variazione 5 della prima scena (la
parabola del piccolo orfanello, FA minore) e poi nella prima parte dell’interludio
dopo la quarta scena (morte di Wozzeck, RE minore).
Qualche nota esplicativa sui contenuti
della tabella.
Per la scena IV dell’atto I
(Passacaglia) nella colonna componente
sono indicati gli strumenti cui è affidata in prevalenza l’esposizione del tema
di base nelle diverse variazioni. Analogamente, per le scene II, III e IV
dell’atto III, la colonna componente
reca i riferimenti agli strumenti cui è affidata in prevalenza l’esposizione dell’oggetto
dell’invenzione (nota, ritmo e
accordo, rispettivamente).
La colonna più a destra reca invece i
riferimenti di minutaggio relativi alla pregevole edizione cinematografica
dell’opera, datata 1970 e concertata da Bruno Maderna con la Philharmonische Staatsorkester Hamburg.
Anche qui l’esame dei tempi ci porta a constatare come spesso e volentieri le forme impiegate da Berg facciano
apparizioni fugaci se non addirittura fugacissime (pochi secondi di musica) il
che spiega perché la loro presenza sfugga all’orecchio anche degli ascoltatori
più attenti e preparati: soltanto la consultazione della partitura consente di individuarle
e censirle.
E a proposito di censimenti, vedremo
nella puntata successiva a quali livelli di paranoica complicazione si sia
arrivati.
(2. continua)
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