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26 ottobre, 2015

Wozzeck torna alla Scala: 2. Un campionario di forme


Sembra paradossale ma Berg, proprio mentre propugnava (con il maestro Schönberg e il collega Webern) un metodo compositivo che negava ogni diritto di cittadinanza alla tonalità e alle sue regole costituite e consolidatesi in secoli di progresso, decise per il suo Wozzeck di impiegare praticamente tutte le forme che la musica occidentale aveva fatto proprie nel corso di quegli stessi secoli, forme che in buona misura erano legate proprio all’esistenza di centri di gravitazione tonale (basti pensare alla forma-sonata e alle regole che ne definiscono i rapporti di tonalità); ne vedremo l’interminabile lista fra poco. Si noti di passaggio che un approccio analogo terrà Schönberg al momento di codificare il suo metodo dodecafonico, nel quale avranno un ruolo di spicco i trattamenti fiamminghi (la barbarie delle stranezze fiamminghe, come l’aveva definita la Camerata dei Bardi) delle serie musicali. Insomma, a quanto pare l’anarchia allo stato puro non esiste, in musica come in politica!

Interessante la risposta che Berg medesimo (nel suo scritto Il problema dell’Opera) fornisce alla domanda: perché non impiegare sempre il (wagneriano) Durchkomponieren (ossia il seguire la propria ispirazione senza farsi condizionare dalle forme) invece di imbottire la sua opera di Suite, Sinfonie, Passacaglie, Rondò e cose simili (spesso, fra l’altro, di ardua decifrazione anche a tavolino)? Bene, la risposta è di una disarmante ingenuità: perché senza la presenza di quelle forme la sua musica sarebbe apparsa monotona, fino ad annoiare l’ascoltatore!

Ora, le quindici scene rimaste in base a tale selezione e condensazione esigevano una configurazione molto varia, la sola che può garantire l'univocità e l'incisività musicali, e questo vietava la prassi consueta del «musicare da cima a fondo» [durchkomponieren], seguendo semplicemente il contenuto letterario. Una musica assoluta, per quanto ricca nella sua struttura, per quanto appropriata nell'illustrare la vicenda drammatica, non avrebbe potuto impedire che, dopo qualche scena musicata in questa maniera, si avvertisse un senso di monotonia musicale, un senso di sgradevolezza; la serie di una dozzina di interludi - formalmente destinati soltanto a realizzare le conseguenze di una tale scrittura musicalmente illustrativa - non avrebbe fatto altro che acuirlo, portandolo fino alla noia. E la noia è l'ultima cosa da ammettere in teatro!

Mah: chi ha detto che il Durchkomponieren debba per forza annoiare? (O è per caso l’atonalità che rischia di annoiare?) E chi o cosa impedirebbe al compositore di introdurre nel discorso musicale costruito con l’atonalità dei cambi di agogica, di dinamica, di ritmo, di timbro (invece che forme codificate) tali da scongiurare il pericolo di monotonia e conseguente noia? In fin dei conti il terzo atto dell’opera (salvo la prima scena) pur camuffato sotto forma di invenzioni, è praticamente Durchkomponieren, ergo dovrebbe annoiarci? Per di più: Berg fa ampio uso dei wagneriani Leit-Motive, che di per sé dovrebbero orientare l’ascoltatore (però siamo sempre lì: riconoscere al volo un motivo atonale è impresa quasi disperata!) E infine: come si spiega allora la sua convinzione che l’opera si debba e si possa apprezzare anche ignorando la presenza di quelle forme? Insomma, quanto c’è in Wozzeck di stucchevole, accademica quanto ininfluente sovrastruttura? 

In realtà è stato giustamente osservato come l’impiego di forme della tradizione può benissimo essere giustificato dal (mascherato?) intento politico di Berg: denunciare le differenze di classe della società dei suoi tempi e le ingiustizie che ne derivano. Non è un caso che le antiche (e antiquate?) forme musicali siano appiccicate ai rappresentanti dell’establishment retrivo, conservatore e sfruttatore (Hauptmann, Doktor e Tambourmajor) mentre ne è del tutto sprovvisto il proletariato povero e sfruttato (Wozzeck, Marie). La Suite che supporta le prediche del Capitano nella prima scena dell’opera sembra appropriata ad evocare – con i suoi diversi numeri del tutto scollegati fra loro – il contenuto strampalato e insensato, oltre che reazionario, di tali prediche. Wozzeck invece alla fine canta un’aria, forma tipica della musica popolare! Gli sproloqui del Dottore sono accompagnati dalla Passacaglia, che esplode in tutta la sua retorica nell’ultima variazione, sulla vanagloriosa prefigurazione dell’immortalità (o di un Premio Nobel?) ormai a portata di mano. Quanto al Militare, la forma del Rondo ben si attaglia ad evocarne l’attitudine alla disciplina e al comando. Insomma, è più che plausibile che il ricorso alle antiche forme abbia motivazioni molteplici e non soltanto… tecnico-musicali. Altra particolarità: lo Sprechgesang (cantare-parlando) è affibbiato ai poveracci, mentre gli sfruttatori (privilegiati!) cantano (o parlano normalmente) e basta.

Sappiamo anche che Berg era maniaco dei numeri e in Wozzeck ne abbiamo più di una testimonianza. A parte la simmetria della macro-struttura (3 atti di 5 scene ciascuno) è eclatante il caso della Passacaglia (scena IV dell’atto I) dove il numero 7 ritorna in modo a dir poco ossessivo: il tema e 14 delle sue 21 variazioni occupano ciascuno 7 battute; tre variazioni (7-10-12) sono in una sola battuta, ma suddivisa in 7 segmenti; 2 variazioni (18 e 21) occupano 14 battute; solo due variazioni (19 e 20) occupano rispettivamente 9 e 18 battute, quindi hanno a che fare con il 3 e non con il fatidico 7! Il quale 7 torna anche nel tema con 7 variazioni (quasi tutte di 7 battute…) della prima scena dell’atto terzo! Insomma, Berg sembra non aver lasciato nulla al caso, impiegando nella composizione di Wozzeck un alto livello di arte combinatoria. Resta da vedere quanto essa sia determinante, o invece ininfluente, come causa del gradimento dell’opera presso il pubblico.

La tabella che si può esplorare a questo link è derivata da molte dello stesso contenuto presenti in diverse esegesi (incluso il libretto del Teatro): ho semplicemente introdotto un livello di dettaglio molto più fine rispetto al normale (riferendomi prevalentemente alla struttura dell’opera come presentata nel testo di George Perle) tralasciando invece i riferimenti al soggetto. Una curiosità: in due sole occasioni, sempre nell’atto III, Berg impiega l’armatura di chiave, tipica della musica tonale: dapprima nella variazione 5 della prima scena (la parabola del piccolo orfanello, FA minore) e poi nella prima parte dell’interludio dopo la quarta scena (morte di Wozzeck, RE minore).

Qualche nota esplicativa sui contenuti della tabella.

Per la scena IV dell’atto I (Passacaglia) nella colonna componente sono indicati gli strumenti cui è affidata in prevalenza l’esposizione del tema di base nelle diverse variazioni. Analogamente, per le scene II, III e IV dell’atto III, la colonna componente reca i riferimenti agli strumenti cui è affidata in prevalenza l’esposizione dell’oggetto dell’invenzione (nota, ritmo e accordo, rispettivamente).

La colonna più a destra reca invece i riferimenti di minutaggio relativi alla pregevole edizione cinematografica dell’opera, datata 1970 e concertata da Bruno Maderna con la Philharmonische Staatsorkester Hamburg. Anche qui l’esame dei tempi ci porta a constatare come spesso e volentieri le forme impiegate da Berg facciano apparizioni fugaci se non addirittura fugacissime (pochi secondi di musica) il che spiega perché la loro presenza sfugga all’orecchio anche degli ascoltatori più attenti e preparati: soltanto la consultazione della partitura consente di individuarle e censirle.   

E a proposito di censimenti, vedremo nella puntata successiva a quali livelli di paranoica complicazione si sia arrivati.

(2. continua)

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