XIV

da prevosto a leone
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01 gennaio, 2023

Concerti di Capodanno

Da milanese (sia pur adottivo) e quindi dotato di prospettiva assai limitata (!?) mi limito (?!) a censire (non re-censire, sia chiaro!) i tre concerti che mi son passati sotto gli occhi-orecchi (dal vivo o tramite corrieri assortiti). 

È una classifica nettamente determinata dai rispettivi Kapellmeister:

 1° assoluto (e di gran lunga): Guggeis con la Nona de laVerdi;

 Harding con la Fenice;

 3° Il figlio-di-papà Welser-Mòst dal Musikverein.

 Diciamo pure che un 2022 come questo non meritava di più, ecco. Il guaio è che il 2023 già parte male nella culla...

07 novembre, 2019

Elena scalizia


Ecco quindi arrivata al Piermarini anche questa Die ägyptische Helena snobbata per quasi un secolo... Ma purtroppo ier sera l’ha snobbata anche il vasto pubblico, almeno a giudicare dagli abissali vuoti che presentava il Piermarini. Va detto però che i rari nantes presenti si son fatti in quattro per decretare comunque un franco successo allo spettacolo. Successo il cui merito va equamente distribuito fra tutti: direttore, orchestra, cantanti, coro e team di regìa. Oltre ovviamente a quelli del compreso musico e dell’incomprensibile (?!) poeta.

Parto dal Kapellmeister: Welser-Möst ha mostrato di padroneggiare alla grande questa partitura che sembrerebbe facile all’apparenza, ma che alle divine leggerezze da Rosenkavalier affianca asprezze degne di Salome o Elektra. Un unico personale appunto mi sento di fare al Maestro di Linz: qualche eccesso di decibel che più di una volta ha (quasi) coperto due voci di per sè potenti come quelle dei due protagonisti. Ma in complesso la sua è stata una direzione encomiabile, cui ha fatto riscontro una prestazione lodevole dell’ipertrofica Orchestra, che ha saputo valorizzare le raffinatezze della mirabile strumentazione straussiana.

Trionfatore assoluto della serata il Menelas di Andreas Schager, ormai approdato al traguardo come Heldentenor di razza, che ha saputo domare da par suo un ruolo a dir poco massacrante. Inizio un po’ difficile, con eccessivo vibrato, poi un continuo crescendo fino all’ultimo SI naturale (heilige Sterne) davvero imperioso. 

Ricarda Merbeth ha un gran vocione che esplode negli acuti, peraltro un filino... sfacciati, come dire. Nell’ottava bassa mi pare migliorata rispetto a prestazioni passate (vedi lo scaligero Fidelio). Piuttosto impacciata sul piano attoriale, dove ha forse enfatizzato troppo il suo status di sovrana un po’ pigra.

Molto bene anche Eva Mei, già a suo agio nella lunga ed accorata esternazione che apre l’opera e poi sempre efficace nel suo femminista indaffararsi pro-Helena. Mi pare anche corretto il suo tedesco, grazie alla decennale esperienza iniziata 30 anni fa con Mozart. Pregevole poi la sua prestazione da attrice consumata. La sua vongola (!) Claudia Huckle si è ben portata, pur mostrando una voce non proprio potentissima.

I due buzzurri dell’Atlante su dignitosi livelli: Thomas Hampson è stato un solido Altair, che ha saputo esprimere protervia e libidine senza per questo sconfinare in sguaiatezze. Attilio Glaser ha messo in bella mostra la sua voce di tenore lirico, in una parte per la verità non proibitiva, ma non per questo meno importante.

Su standard più che dignitosi le due ancelle Tajda Jovanovič e l’accademica Valeria Girardello, misuratasi anche come quarto Elfo. Efficaci le presenze impertinenti anche degli altri tre Elfi solisti: Alessandra Visentin e le accademiche Noemi Muschetti e Arianna Giuffrida. La loro collega Caterina Maria Sala ha scolasticamente compitato l’unico verso che canta come Hermione.

Il resto degli Elfi (atto I), i giovinetti e gli schiavi di Altair e le teste di cuoio di Poseidon (atto II) erano impersonati da un gruppo piuttosto sparuto di coristi di Mario Casoni. Gli Elfi e i ragazzi di Altair erano sistemati in quattro palchi di proscenio (dovendo essere quasi sempre invisibili). Pur essendo un impegno non sovrumano, hanno tutti ben meritato.
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Ora, lo spettacolo. Bechtolf e il suo team ambientano questa specie di fiaba ai tempi della composizione dell’opera. La scena è sempre occupata dal gigantesco involucro di una radio a valvole (che appariranno, enormi, nel second’atto) dalla quale arrivano all’inizio le notizie portate dalla vongolona e il cui frontale si apre poi di volta in volta per creare gli spazi della camera nuziale nel primo atto o dell’Atlante nel secondo. Brevi filmati vi corrono sullo sfondo a rappresentare vuoi il naufragio oppure scene di guerra (delirio di Menelao e caccia nel second’atto).

Anche i costumi sono da teatro anni’30. Scarse suppellettili sparse qua e là, ma sempre in modo appropriato e rispettoso delle didascalie del libretto. Assai efficace (l’impacciata Merbeth a parte...) la recitazione dei personaggi, in specie Aithra e Menelas. Moderato l’impiego di figuranti e movimenti coreografici.
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Alla fine tutti applauditi per parecchi minuti (con ovazioni per Schager) da un pubblico di pochi-ma-buoni. E a proposito di pubblico, mi sentirei di suggerire ai melomani di non perdersi questa grande musica; a chi pensasse invece di vedere la guerra di troia... beh: fate almeno un minimo di compitini a casa, ma poi andate e godetevi lo spettacolo! 

02 novembre, 2019

Alla Scala è in arrivo una novità assoluta


C’è sempre una prima volta... mai dire mai, insomma. Ecco, dal 6 novembre la Scala ospiterà - a soli 90 anni di distanza dalla sua apparizione sulle scene! - Die ägyptische Helena, la nona opera (decima, contando le due Ariadne) di Richard Strauss, completata a Garmisch sabato 8 ottobre 1927.

Ma prima che di Strauss si deve parlare di Hugo von Hofmannsthal, il geniale letterato viennese che fornì - sesta di sette volte, sempre contando entrambe le Ariadne - al birraio (per parte di madre) bavarese la materia prima poetica da rivestire di sontuose e mirabili note. E da dove il grande Hugo prese a sua volta lo spunto per il suo libretto? Intanto va confermato che sì, questa Helena è precisamente la mitica Elena di Troia. Meno immediato è però spiegare l’attributo che Hofmannsthal le appiccica nel titolo dell’opera: egizia? Egizia poichè il soggetto tratta dell’arrivo forzato e della permanenza di Elena e Menelao sull’isola egiziana di Etra (poi molto più a ovest, alle pendici dell’Atlante, come minimo nell’attuale Tunisia) ospiti dell’omonima principessa, che è accasata con Poseidon(-Nettuno) ed ha doti soprannaturali, oltre a possedere una gigantesca vongola che ha qualità di veggente. Invenzioni di Hofmannsthal? Non proprio. E allora la prendo alla lontanissima...

A scuola abbiamo imparato (oh, parlo di tempi remoti, oggi non saprei dire cosa si insegni nelle aule...) a conoscere Elena dall’Iliade di Omero (che le più precise ricerche ci informano essere vissuto in un breve periodo che va dal 1100 al 700 avanti Cristo!) In realtà l’Iliade tratta solo degli ultimi giorni della guerra di Troia (in particolare dell’ira di Achille contro Agamennone...) e Omero relega il ricordo del motivo scatenante di tale guerra in pochi versi dell’ultimo libro del suo poema. Dove riferisce del rifiuto di Giunone (, Nettuno) e Minerva a restituire ai troiani il corpo del caduto Ettore, rifiuto motivato dal persistente odio verso Troia delle due dee, a suo tempo offese da quel Paride - giudice monocratico al concorso di miss-Olimpo - che a loro aveva preferito Venere, in cambio dell’accesso alla proprietà della donna più bella del creato (oltre che già accasata...)

L’Egitto? Per Omero nell’Iliade non esiste, ma lo si trova nell’Odissea (Libro IV) dove Menelao, tornato a Sparta e riconciliatosi con Elena, racconta a Telemaco (colà in cerca del padre Ulisse) di esser stato costretto - di ritorno da Troia - a far sosta in Egitto e precisamente sull’isola  di Faro, dove regnava Proteo (un dio del mare tirapiedi di Nettuno, capace di trasformarsi in qualunque cosa e dalle qualità divinatorie) e dove una figlia di costui, Eidothea, lo soccorse, aiutandolo poi a carpire al padre il segreto per riprendere il mare e tornare a casa. Questi particolari cominciano a farci capire da dove Hofmannsthal abbia potuto trarre l’idea per il suo soggetto: l’isola di Etra dell’opera sarebbe quindi Faro; l’Etra personaggio può incarnare Eidothea, mentre sullo sfondo appare anche Poseidon. Sono comunque tutti particolari che riguardano il viaggio di ritorno di Elena e Menelao da Troia.

Ma dal libretto dell’opera scopriamo qualcosa che in Omero è del tutto assente: l’esistenza di due Elene, perbacco! Etra rivela a Menelao che la Elena fuggita a Troia con Paride era in realtà un fantasma (eidôlon) creato dagli dei per salvare Menelao dagli effetti del patto scellerato proposto da Venere a Paride: la vera Elena è sempre rimasta lì, addormentata in un palazzo ai piedi dell’Atlante, in attesa di essere risvegliata da Menelao! Di nuovo: invenzioni di Hofmannsthal? Nossignori. Esiodo (700-600 a.c.) poi Stesicoro (600-500 a.c.) e ancora Euripide ed Erodoto (400 a.c.) - per citare solo qualche nome di aedi della mitologia greca - ci hanno raccontato la storia (anzi più storie) delle due Elene. Per farla breve: dopo aver rapito la donna col favore di Venere, Paride si mette in viaggio (quello di andata, per Elena) verso Troia. Finiscono però a Faro, dove Proteo produce l’incantesimo, consegnando a Paride la fake-Elena (l’eidôlon) e trattenendo presso di sè l’Elena genuina.

Ora va detto però che Hofmannsthal non crede una parola di Esiodo, Stesicoro, Euripide ed Erodoto: nel suo libretto c’è una sola Elena, quella reale, quella rapita da Paride e portata a Troia, e poi recuperata da Menelao dopo 10 anni di assedio. La Elena che Menelao, credendola consenziente e offertasi non solo a Paride, ma anche a fratelli ed amici (l’epiteto che oggi affibbiamo alle prostitute non viene forse da lì?) non riesce a perdonare ed è tentato continuamente di uccidere - nella realtà, sulla nave, ma anche nel delirio provocatogli dagli Elfi di Etra - per punirne il tradimento. L’Autore trasforma genialmente la stravagante storia delle due Elene in un’invenzione della maga, che la usa per convincere Menelao che Elena sia rimasta pura e casta come quando gli fu rapita. E per completare l’opera fa bere ad entrambi i coniugi un filtro dell’oblio, prima di metterli comodamente a letto, sul quale li farà volare ai piedi dell’Atlante (fine dell’atto primo) perchè vi trovino l’ambiente adatto per riconciliarsi pienamente. 

A proposito di incantesimi, Hofmannsthal introduce appunto i due filtri magici di Etra (oblio e ricordo) che paiono a prima vista mutuati da Götterdämmerung. In realtà è ancora Omero, sempre nel Libro IV dell’Odissea, a narrare di filtri dell’oblio e del buonumore versati proprio da Elena nel vino offerto ai suoi visitatori; e poi (Libro IX) a raccontare degli analoghi effetti del loto. Il trattamento che Hofmannsthal fa dei filtri sembra peraltro richiamare in parte anche il Tristan: Menelao (atto secondo) è convinto di bere un filtro di morte, che lo riunirà alla vera Elena, che crede di aver ucciso (atto primo) in preda al delirio; invece - grazie alla coraggiosa decisione della donna di affrontare a viso aperto la realtà - è il filtro del ricordo che ottiene il ritorno e il trionfo dell’amore, suggellato dal ricongiungimento della piccola Ermione con i riappacificati genitori. Un chiaro segno - già esplicitamente emerso dalla FroSch - dell’attenzione degli Autori ai problemi della condizione femminile e del loro riconoscimento del Weibes Wert.

Un’ultima osservazione sul libretto riguarda la presenza sulla scena dei guerrieri di Altair e del giovane Da-ud e la scena di caccia che ne segue. Lo spunto può essere vagamente venuto ad Hofmannsthal dalla lettura di Euripide ed Erodoto, che narrano due (peraltro diverse) storie di scontri di Menelao&C con il popolo di Proteo in Egitto, prima di poter salpare finalmente verso casa. Ma il drammaturgo viennese va assai al di là di questi prosaici dettagli: da un lato la scena gli serve per far rivivere quasi in sogno a Menelao il momento della perdita di Elena (rapitagli mentre lui era fuori a caccia) e i giorni di Troia (Da-ud = Paride); ma anche per proporci una riflessione sulla guerra (...tutti quanti gli altri che per me sono morti senza premio!): non dimentichiamo che Helena nasce proprio a pochi anni dalla fine dell'orrendo massacro della WWI, dalla quale anche i due Autori erano usciti sconfitti...
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Insomma, un libretto mirabile uscito dalla penna (e ovviamente, prima ancora, dalla mente) di un grandissimo letterato; ma un testo difficile da afferrare d’acchito (prova ne sia che i due Autori sentirono il bisogno di produrre sinossi e spiegazioni da distribuire agli spettatori delle prime rappresentazioni) e che può apparire bizzarro, astruso, contorto ed eccessivamente simbolista o... freudiano. Si spiegano forse così le alterne fortune dell’opera, compresa l’indifferenza della quale fu gratificata in Italia, dove arrivò (a Cagliari) solo nel 2001, e ben tagliata!

Un testo che sembra ricalcare - nel consolante finale che riafferma il predominio dell’amore coniugale e dei legami famigliari - le precedenti (e magari più fortunate) esperienze del Rosenkavalier, di Ariadne e della FroSch e in qualche modo anche la successiva Arabella. Concetti che - magari praticati assai più prosaicamente - furono sempre condivisi anche dal compositore.

Ed ecco perciò arrivato il momento di dire due parole sulla musica. Quando l’Helena vide la luce (Dresda, mercoledi 6 giugno 1928) erano passati due anni e mezzo da quel lunedi 14 dicembre 1925 che aveva visto nascere, a Berlino, il Wozzeck di Berg! Per dire quanto duro a morire fu il tardo-romanticismo straussiano, pur minato da ogni parte: dalla tragedia della WWI sul piano dell’attualità dei soggetti da portare in scena, e dalla rivolta espressionista-seriale su quello musicale, che avevano originato, appunto, il Wozzeck. (E Strauss ebbe la forza e la cocciutaggine di mantenersi sempre fedele al modello della sua vita, producendo immortali capolavori anche dopo la nuova tragedia della WWII e il crollo del nazismo, che poco dopo avrebbero aperto la strada alla più masochistica stagione della musica occidentale...)

Nella Helena ritroviamo, si potrebbe dire, il solito Strauss: melodie entusiasmanti costruite col più piatto diatonismo; effetti timbrici straordinari e di grande raffinatezza; orchestrazione lussureggiante senza mai essere opprimente. Insomma, un piacere per l’orecchio, che resta appagato senza dover fare sforzi di comprensione o decifrazione, precisamente il contrario di ciò che si rende necessario riguardo al testo! 

In compenso - e anche questa è di certo una concausa delle non brillanti fortune dell’opera, insieme alle difficoltà di comprensione del soggetto - la partitura richiede la presenza di tre-quattro voci davvero importanti: in particolare poi quelle dei due protagonisti, impegnate allo stremo.

Dell’opera esistono due versioni ufficiali (a parte tutte quelle spurie ottenute tramite tagli dai vari Direttori...): a quella del 1928 Strauss apportò alcune varianti (1933) accogliendo suggerimenti di Clemens Krauss e del regista austro-americano Lothar Wallerstein, che principalmente riguardano il second’atto (cifre 150-162 della partitura). Fra pochi giorni alla Scala i responsabili dello spettacolo saranno Franz Welser-Möst e Sven-Eric Bechtolf, con un cast che si annuncia assai promettente. Stay tuned (...se vi pare).

24 aprile, 2019

Un grande Strauss alla Scala


Ieri sera al Piermarini (con parecchi posti vuoti - peggio per gli assenti) è andata in onda la prima di Ariadne auf Naxos, nella nuova produzione targata Welser-Möst / Wake-Walker, una coppia (direttore-regista) che ha presentato l’opera a Cleveland (dove il direttore di Linz è di casa da un bel pezzo...) poco più di due mesi orsono, ma con orchestra, cast e team di regìa completamente diversi (di fatto quella produzione americana nulla ha a che vedere con questa della Scala).

Devo dire subito che il Kapellmeister mi ha abbastanza convinto, portando alla luce gli innumerevoli tesori di questa partitura e guidando orchestra e interpreti con una concertazione accurata e attenta ad ogni dettaglio. E la smagrita (come da copione) compagine scaligera (rialzata opportunamente nella buca di un buon mezzo metro) ha risposto nel migliore dei modi alle sue sollecitazioni: buon equilibrio fra le sezioni, proprietà di fraseggio e sonorità mai sbracate, proprio come è richiesto dalla lettera, oltre che dallo spirito, di quest’opera, che ha nella raffinatezza la sua caratteristica peculiare.

Opera bifronte, sappiamo, con un prologo-Singspiel, dove abbondano i parlati (e Alexander Pereira, che come sovrintendente sarà magari censurabile, ha invece tenuto banco alla perfezione nei panni del maggiordomo viennese, in sfolgorante livrea purpurea e con voce petulante) e dove i momenti musicalmente rilevanti - preludio a parte - si riducono alle esternazioni del Compositore e al suo confronto con Zerbinetta (gli altri cantano in recitativi accompagnati, o poco più); e poi il melodramma serio-farsesco, dove invece la mirabile musica di Strauss la fa da padrona da cima a fondo.    

In compenso la prima parte è quella dove c’è un minimo di azione, anzi di agitazione, causata dalle ripetute sorprendenti pretese del padrone di casa, di cui è portavoce il maggiordomo. La seconda parte è quasi totalmente statica, se si esclude il siparietto della caccia delle quattro maschere. 

Dopo il Preludio, suonato rigorosamente a sipario chiuso, ecco comparire al proscenio il sempre solido Markus Werba (insegnante di musica) e il padrone di casa (pro-tempore) del Piermarini, protagonisti del battibecco che apre il Prologo, durante il quale Pereira fa sventolare sotto il naso di Werba una banconota che gli consegnerà (bontà sua) solo al rientro dietro il sipario dopo gli applausi al termine della prima parte...

E all’apertura del sipario, invece che in austeri corridoi del Palast, siamo in un cortile dello stesso, dove hanno trovato parcheggio le roulottes e i camper delle due troupe ingaggiate per lo spettacolo: bianchi quelli dei melodrammatici e rossi quelli dei commedianti, nel rigoroso rispetto dei colori (nazionali e cittadini) del luogo.

Qui c’è un crescendo di animazione, in una fantasmagoria di colori, quella dei costumi (una mescolanza di antico e moderno) di Jamie Vartan (responsabile anche delle scene): ne è protagonista il compositore, alias la bravissima Daniela Sindram, che ha modo di esternare tutta la sua apprensione, il suo amor proprio ed anche le sue mirabili melodie. Raggiunto, verso la fine, da una Zerbinetta (che si scatenerà poi nell’opera) che qui mostra il lato umano e nascosto della sua esuberante personalità, riuscendo a far tornare nel compositore l’entusiasmo e l’ottimismo, che peraltro dureranno poco, se è vero che il poveretto si trafiggerà con un coltello preso dall’argenteria del palazzo, sui truci accordi di DO minore che chiudono il Prologo.

Nel quale hanno anche cantato meritoriamente il Maestro di danza Joshua Whitener e i tre accademici scaligeri, Riccardo Della Sciucca (Ufficiale) Ramiro Marturana (Parrucchiere) e Hwan An (Lacchè). Quanto ai due protagonisti dell’opera seria (Ariadne e Bacchus) nel prologo si limitano più che altro a lamenti e rimostranze, sfoggiando supponenza e disprezzo per l’altra troupe; i quattro compari di Zerbinetta si muovono senza aprir bocca, così come le tre svampitelle che nell’opera impersoneranno ninfe ed eco.

E l’opera, appunto, vede lo scenario (e la scena) mutare drasticamente: siamo in un ambiente asettico, caratterizzato da luce azzurrognolo-verdastra (evocazione di paesaggio marino, assai azzeccata da Marco Filibeck) e popolato da acutissime guglie (le scogliere di Nasso). Al centro un’enorme vongola tecnologica (la conchiglia del Botticelli) con le due valve aperte sulle quali si muove lentamente Ariadne, e che si richiuderanno poi temporaneamente quando la protagonista si ritirerà all’interno della sua spelonca.

Ma ciò che colpisce è la trasformazione dei personaggi della troupe dell’opera (Ariadne, Najade, Dryade ed Echo, successivamente Bacchus) da individui complessati o insignificanti (come ci erano apparsi - nel prologo - nella vita reale) in grandi artisti, nobilitati dal teatro e soprattutto dalla... musica!

Come non restare ammirati dall’iniziale esternazione di Ariadne, una Krassimira Stoyanova invero commovente e pienamente calata nella parte della donna tradita, privata della cosa più preziosa che si possa desiderare, l’amore! Welser-Möst ne ha accompagnato i lamenti e i ricordi con discrezione, mettendo in risalto le purissime linee melodiche dell’orchestra e dei singoli strumenti.

E che dire della poesia del canto di Christina Gansch (Najade), Anna-Doris Capitelli (Dryade, dall’Accademia scaligera) e Regula Mühlemann (Echo) nelle loro ninna-nanne alla protagonista!

Michael König è stato un convincente Bacchus, voce proprio da Heldentenor, potente e squillante allo stesso tempo, senza sforzo apparente anche sui SIb cui la partitura lo chiama alla conclusione dell’opera. La sua apparizione è accompagnata dall’aprirsi della scena sul fondo, dove compare una ripida scala sulla quale scende il dio e sulla quale risaliranno (verso... le stelle) i due amanti alla fine. Da incorniciare il lungo duetto con Ariadne, una miniatura che ricorda l’enorme quadro del Tristan!

Zerbinetta&C - a differenza dei colleghi, più blasonati ma con puzza-al-naso, dell’altra troupe - sembrano vivere in teatro come vivono da privati cittadini: le quattro maschere hanno modo di farsi valere anche come... cantanti (!) e su tutti spicca (per corposità della parte) l’Harlekin di Thomas Tatzl, che sciorina impeccabilmente la sua infruttuosa serenata alla povera Ariadne. Gli tengono valida compagnia Kresimir Spicer (Scaramuccio), Tobias Kehrer (Truffaldin) e Pavel Kolgatin (Brighella) che inscenano la comica quanto inutile caccia alla soubrette, caccia conclusa invece con pieno successo da Harlekin, che conquista il cuore (e anche altro... ehm, organo!) della disinvolta attricetta.

Della quale è ora il momento di parlare, poichè è sicuramente la protagonista più appariscente dell’opera: e Sabine Devieilhe non si è smentita, lasciando tutti senza fiato con il suo massacrante recitativo-aria-rondò, inclusi i RE e MI sovracuti, che le ha garantito minuti di applausi a scena aperta.

Restano da citare Sylwester Luczak e Ula Milankowska per i filmati che hanno accompagnato la parte finale dell’opera e l’apoteosi dei due protagonisti.

Alla fine solo applausi e bravo! per tutti i protagonisti di questa proposta davvero accattivante, come livello musicale e come spettacolo; insomma, chi appena può, non se la perda!

16 aprile, 2019

Le peripezie dell’Arianna (in arrivo da Nasso alla Scala)


Quante opere ha composto Richard Strauss?

Mah, una quindicina, o giù di lì.

Beh, in realtà: una quindicina, o su di lì.

Sì perchè ce n’è una che ha vissuto un’avventura piuttosto complicata, essendo stata dapprima partorita assemblando parti eterogenee, e successivamente ancora smembrata e ricostruita in una specie di laboratorio per Frankenstein, a forza di trapianti ed espianti. Cosicchè da una ne sono nate altre due... più una Suite!



Ecco, dal 23 aprile la Scala ripropone - dopo quasi 13 anni - la seconda versione (1916) della sesta opera di Richard Strauss (terza della collaborazione con Hugo von Hofmannsthal): Ariadne auf Naxos.  

Come si deduce dallo schema sopra riportato, le due versioni dell’Ariadne hanno una struttura simile, ma componenti diverse. Quella del 1912 nacque per giustapposizione di due soggetti (della durata di circa 90’ ciascuno) legati da una transizione:

a) una rivisitazione (ad opera di Hofmannsthal, con riduzione da cinque a due atti) della commedia-balletto Le bourgeois gentilhomme di Molière, quindi una classica pièce di teatro di prosa, impreziosita dalle musiche di scena di Strauss, in parte e in qualche modo ispirate a quelle che Lully aveva composto per Molière; la chiusura, al posto della Cerimonia turca + Ballo delle Nazioni fu occupata da una invenzione del librettista (ma ispirata dal regista Max Reinhardt): una cena (Das Diner) che servì a Strauss per sbizzarrirsi - accompagnando musicalmente le varie portate - in parodie di opere famose (Meyerbeer-Prophète, Wagner-Rheingold, Strauss-Quixote-Rosenkavalier, Verdi-Rigoletto-Traviata...)

E poi, dopo una transizione puramente parlata (scambi di idee e discussioni fra gli interpreti e addetti ai lavori) che preparava il terreno per la seconda sezione dello spettacolo...

b) l’opera seria Ariadne, da rappresentarsi in casa del bourgeois Jourdain, un dramma musicale dal soggetto mitologico (Arianna, abbandonata da Teseo a Nasso, che aspetta la morte e viene invece riportata alla vita da Bacco, sfuggito agli incantesimi di Circe) deliberatamente inquinato (dalla fervida fantasia di Hofmannsthal) con l’intromissione di elementi e personaggi della Commedia dell’arte italiana (L’infedele Zerbinetta e i suoi quattro amanti).

Come si vede, un’idea allo stesso tempo geniale (teatro-nel-teatro - aspetto assente in Molière - e connubio innaturale, ma fecondo, fra dramma e commedia, plasticamente impersonato dalla coppia degli opposti caratteri di Ariadne e Zerbinetta) e azzardata, in quanto oggetto di natura bifronte (prosa + opera musicale) con le conseguenti e inevitabili difficoltà ad incontrare i gusti di due pubblici normalmente assai diversi.

E così purtroppo accadde che venerdi 25 ottobre 1912, a Stoccarda, la prima fu un mezzo insuccesso, anche a causa della macchinosa organizzazione: ricevimenti regali e lunghi intervalli che fecero durare lo spettacolo più di un Parsifal! Lasciando perplesso e infastidito - per opposte ragioni - sia il pubblico interessato alla commedia, che quello interessato al dramma musicale.



E le cose non andarono molto meglio (a Monaco, Dresda, Londra, Berlino, Vienna...) con le successive riprese, oltretutto assai costose a causa delle diverse risorse (attori - cantanti) richieste per la rappresentazione. Lo stesso Hofmannsthal fu il primo ad assumersi la responsabilità dei deludenti risultati, il che indusse i due autori ad operare una severa riflessione sul soggetto. Che a sua volta portò (in parallelo alla collaborazione sulla pretenziosa FrOSch) ad una radicale revisione dell’Ariadne (1916, versione 2): il parigino bourgeois di Molière divenne un facoltoso Bürger viennese e della prima parte dello spettacolo - accantonato Molière con le musiche di scena di Strauss - rimase quasi soltanto la transizione (di Hofmannsthal!) ora assai ampliata (40 minuti circa) e soprattutto magistralmente musicata, con la presentazione di temi che ricompariranno nell’opera.

Essa prese quindi la forma di colorita Introduzione (non per nulla denominata Vorspiel) esclusivamente focalizzata sulle vicissitudini della preparazione della recita dell’Ariadne, caratterizzate da un’incredibile serie di contrattempi e sorprese che mettono a dura prova la personalità di interpreti e addetti alla messinscena, svelandone qualità, debolezze, fisime e complessi (la realtà della vita che si mescola con la finzione del teatro!) In particolare è la figura di Zerbinetta a venirne esaltata - anche musicalmente - assai prima della sua comparsa nell’opera. Ma grande rilievo assume quella del Compositore, protagonista già nel breve Preludio orchestrale, che si apre presentandone i motivi caratteristici. E poi, i suoi molteplici cambiamenti d’umore e di stato d’animo (principalmente indotti proprio dal rapporto, conflittuale ma alla fine, chissà, benefico, con la disinvolta soubrette) portano alla luce problematiche non da poco, riguardo ad arte, estetica, psicologia e... filosofia!

Del Bourgeois viene quindi conservata la presenza di pochi personaggi e - quanto alla musica - è recuperata solo quella della mirabile arietta Du, Venus’ Sohn, ora cantata dal Compositore invece che dal soprano che doveva impersonare Echo nell’opera.

Quanto a questa (come i colori dello schema di cui sopra lasciano sospettare) essa fu una ripresa variata della versione precedente, dove le variazioni riguardano marginalmente il corpo dell’opera e abbastanza profondamente l’inquinante italiano. La prima ebbe luogo a Vienna, mercoledi 4 ottobre 1916 e da allora questa versione è entrata stabilmente in repertorio ovunque, relegando la prima nel dimenticatoio (solo abbastanza di recente la versione 1912 è stata riproposta, ma quasi sempre con pesanti manipolazioni ai testi del Bürger, i cui dialoghi sono stati di volta in volta o completamente rifatti o manomessi da registi e drammaturghi desiderosi di mettersi in mostra a buon mercato):



In seguito, con l'intenzione di non voler lasciare nell’oblio la musica scritta da Strauss per la prima parte dell’opera nel 1912, Hofmannsthal pensò di riprendere il suo Bourgeois e rimpolparlo in modo da creare un’opera separata sul soggetto di Molière. Chiese ovviamente a Strauss di rimpolpare pure la musica del 1912 (portata da 11 a 18 numeri) e così, ampliato a tre atti, con ripristino della cerimonia turca, Der Bürger als Edelmann (denominato - mutuando Molière - commedia con danze e nemmeno inserito nel catalogo operistico di Strauss) vide la luce a fine 1917 - inizio ‘18 e fu un nuovo... flop! E allora fu Strauss a decidere di non buttare tutto a mare: estrasse quindi dalle musiche del Bürger una Suite orchestrale di 9 numeri!

Ecco un quadro sinottico dell’evoluzione delle musiche del Bürger dal 1912 (prima versione di Ariadne) al ’18 (opera) e poi al ’19 (suite):

1912 (Ariadne 1)
1918 (opera)
1919 (suite)
Atto I
Atto I

1 Ouverture
1 Ouverture
1 Ouverture
2 Entrata di Jourdain
2 Entrata di Jourdain

3 Arietta (Du, Venus’ Sohn)
Portata nel Preludio all’Ariadne 1916 (Compositore)
4 Strofa di Jourdain
2a Strofa di Jourdain

5 Duetto (pastore-pastorella)
3 Dialogo musicale

6 Minuetto (maestro di danza)
4 Minuetto
2 Minuetto
7 Il maestro d'armi
5 Il maestro d'armi
3 Il maestro d'armi
8 Entrata e danza dei sarti
6 Entrata e danza dei sarti
4 Entrata e danza dei sarti
9 Finale
7 Finale

Atto II
Atto II


8 Preludio (minuetto di Lully)
5 Minuetto di Lully

9 Entrata di Cleonte
7 Entrata di Cleonte
10 Introduzione
10 Intermezzo
8 Intermezzo
11 La cena
11 La cena
9 La cena

12 Corrente (a canone)
6 Corrente

13 Finale


Atto III


14 Preludio (siciliana)


15 Melodramma


16 Cerimonia turca


17 Finale
(con Madrigale da Lully)


Insomma: da un’idea originale sono scaturiti addirittura quattro titoli di opere musicali, tutti - per ciò che riguarda Strauss - catalogati come Op. 60. Quindi non fidatevi di chi vi vuol propinare semplicemente l’Op. 60 di Strauss: potreste ricevere qualcosa di diverso da ciò che vi aspettavate...
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Chi fosse interessato ad avvicinarsi a queste opere, senza per questo intaccare il portafoglio, può trovare ampie possibilità di ascolto in rete. Io propongo qui degli esempi delle quattro facce dell’Op.60, ma su youtube c’è molto di più.

Ariadne auf Naxos - versione del 1912 - Edizione diretta da Nagano, 1997
  Parte prima (Der Bürger als Edelmann) (parlati: solo monologhi - non originali! - di Jourdain)
  Parte seconda (Ariadne)

Ariadne auf Naxos - versione del 1916 - Edizione diretta da Böhm, 1976

Der Bürger als Edelmann - versione del 1918 (senza parlati) - Edizione diretta da Schwarz, 2017

Der Bürger als Edelmann - suite del 1919 - Edizione diretta da Szell, 1968
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Un certo interesse destano le modifiche che Strauss (più che Hofmannsthal) introdusse nella seconda parte dell’Ariadne al momento di predisporne la seconda versione (quella ormai universalmente rappresentata).

Un primo provvedimento riguarda l'ovvia eliminazione di tutti gli interventi parlati di personaggi del Bourgeois (Jourdain, Dorantes, Dorimène) che nella prima versione di tanto in tanto commentavano l’esecuzione di Ariadne (Jourdain addirittura chiudeva l’opera con un ridicolo panegirico alla nobiltà della... nobiltà). Ma poi Strauss ha anche cassato alcune pagine, le quali (magari non tutte) avrebbero meritato di restare al loro posto. 

Le modifiche e i tagli (più di 10 minuti) riguardano principalmente, se non esclusivamente, Zerbinetta. Per il suo primo approccio ad Ariadne (Großmächtige Prinzessin) Strauss non cambia una virgola fino alla sezione che inizia con So war es mit Pagliazzo, dove introduce una prima modifica all’originale del 1912 (il soprano acuto che interpreta Zerbinetta ne è pesantemente interessato): la tonalità, invece di passare dal precedente REb al MI maggiore, modula al RE maggiore (passerà al MI solo alla fine del rondò). E stanti le acrobazie vertiginose contenute proprio nel successivo rondò, la cosa non è propriamente trascurabile (invece di uno stratosferico FA# si arriva soltanto - si fa per dire - al MI naturale!)

La tabellina che segue mette a confronto le due versioni (il riferimento dei minutaggi è alle due registrazioni citate più sopra, Nagano e Böhm):

1912 - Nagano

Böhm - 1916
31’24”
Großmächtige Prinzessin
1h11’33”
MI M   36’52”
So war es mit Pagliazzo
1h17’15”  RE M
38’39”
rondò - inizio
1h19’00”
44’37”
rondò - fine
1h22’33”

Balza agli occhi l’accorciamento del rondò, che fu abbastanza pesantemente rivisto e smagrito; ecco messe a confronto le due versioni (in giallo le parti tagliate):

rondò
1912 (MI M)
1916 (RE M)
Als ein Gott kam jeder gegangen
Und sein Schritt schon machte mich stumm,
Küßte er mir Stirn und Wangen,
War ich von dem Gott gefangen
Und gewandelt um und um.
14 battute
Als ein Gott kam jeder gegangen,
Jeder wandelte mich um,
Küßte er mir Mund und Wangen,
Hingegeben war ich stumm.
12 battute
Als ein Gott kam jeder gegangen,
Jeder wandelte mich um,
Küßte er mir Stirn und Wangen,
War ich von dem Gott gefangen,
Hingegeben war ich stumm!
20 battute
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich stumm.
14 battute

Ah!
26 battute
Hingegeben war ich stumm.
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich…
17 battute (7+10)
Hingegeben ah!
27 battute (7+20)
Ah!  (cadenza)
33 battute
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich stumm, stumm…
9 battute

145 battute
82 battute

Come si può notare, il taglio assomma a ben 63 battute su 145, corrispondenti a circa 2’30” su 6’ di durata, un gran bello sconto al soprano, non c’è che dire...

Trascurando altri piccoli interventi, arriviamo ad un nuovo corposo taglio alla parte di Zerbinetta. Bacchus, scampato alle magie di Circe, è giunto sull’isola e si è fatto udire (non ancora vedere) nei pressi della spelonca in cui Ariadne sopravvive malamente al dolore per l’abbandono di Theseus. All’udire la sua voce e convinta si tratti dell’attesa Morte, Ariadne esce dalla caverna e si dirige verso quella voce. Nella versione del 1916 (siamo a 1h39’35” della registrazione di Böhm) sentiamo Bacchus che ancora ricorda Circe, quindi Ariadne che invita la morte a prenderla con sè, ma poi (1h40’48”) si trova improvvisamente di fronte un individuo che inizialmente scambia per Theseus, poi crede di riconoscere in Hermes, messaggero di morte (infine farà la conoscenza di Bacchus).

Invece in origine (versione 1912) prima di Bacchus è Zerbinetta a farsi avanti per omaggiare Ariadne e poi annunciarle l’arrivo sull’isola di un personaggio dalle doti e qualità strabilianti: nella registrazione di Nagano a 1h00’54” sentiamo Bacchus, poi Ariadne e quindi (1h02’00”) l’intervento di Zerbinetta (con Echo). Dopo il quale Ariadne rimane sempre apatica e indifferente, e allora Zerbinetta e le ninfe la adornano sontuosamente per accogliere Bacchus (ma lei è convinta che l’abbiano così abbigliata in vista del suo... funerale). E solo a questo punto, dopo un interludio orchestrale che gli dà il tempo di arrivare sul posto, ecco apparire (1h07’31”) Bacchus, scambiato per Theseus.

Sono quindi più di 5 minuti di musica (un allegro walzerino) che Strauss decise di espungere nel predisporre la nuova versione dell’opera. A dirla tutta, questa non mi sembra poi una perdita irreparabile: poichè non si tratta certo di mirabili melodie straussiane. E anche l’interludio strumentale (66 battute) non è tale da destare grandi entusiasmi. 

E infine ecco la drastica modifica al finale dell’opera. Nella versione 1916 (Böhm) ascoltiamo (1h59’33”) l’ultima esternazione di Bacchus, dopo la quale abbiamo 14 mirabili battute di conclusione, mentre cala il sipario. Ben diversa, assai più articolata e francamente più debole la chiusura della versione originale (Nagano): a 1h26’46” ecco l’ultimo intervento di Bacchus, seguito (1h27’31) da 10 battute strumentali (verranno conservate nella versione 1916) e poi dal ritorno in primo piano (1h28’08”) di Zerbinetta che ci ripete ancora la sua disinvolta filosofia di vita, esibendosi in altri svolazzi, raggiunta (1h29’18”) dai suoi quattro compari. E non è finita, poichè una transizione strumentale ci porta (1h29’53”) davanti al padrone di casa (Jourdain) che - snobbato dai suoi invitati, andati via alla chetichella approfittando del suo appisolamento - ce la mena, in parlato, con la sua stupida e invidiosa esaltazione dei nobili veraci. Finalmente (1h30’46”) ecco le 8 spiritose battute sul sipario che cala  
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Tornando alla Scala, in questa nuova produzione vedremo come appropriatissimo interprete della parte di Maggiordomo (quante volte, nei gialli, è lui l'assassino?!) tale Alexander Pereira. Anche se lui si limiterà a parlare, senza emettere alcun suono musicale, sarà una bella occasione per i suoi detrattori per tirargli in testa ortaggi e monetine saudite (giuro che non è un’istigazione a delinquere...) 

La nuova produzione (con repliche da aprile a... giugno!) è affidata alla regìa di Frederic Wake-Walker, che ha già firmato per la Scala un paio di simpatici Mozart (Nozze e Giardiniera): date le caratteristiche della pièce c’è da augurarsi che il giovane albionico azzecchi anche questa.

Sul podio Franz Welser-Möst, che qui diresse proprio le citate Nozze del regista. Il maestro viennese dovrebbe avere questa musica un po’ nel sangue, quindi speriamo per il meglio.

L’eccellente Krassimira Stoyanova sarà la protagonista... formale (dicasi title-role) mentre quella di fatto, date le acrobazie da circo che dovrà sciorinare, sarà la 33enne Sabine Devieilhe, che avendo dato il nome ad un asteroide (il 33346) dovrebbe ben destreggiarsi nell’iperspazio di Zerbinetta (speriamo solo che non caschi nel buco nero recentemente immortalato a gloria imperitura di Einstein...)

Alla travestita Daniela Sindram toccherà la parte (già da lei sostenuta in passato) del compositore, che in questa versione dell’opera ha - come già ricordato - un ruolo fondamentale (pur relegato al solo Vorspiel).

Michael Koenig sarà Bacchus e Markus Werba farà il Maestro di musica. L’altra parte di un certo rilievo è quella di Harlekin, impersonato da Thomas Tatzl.

Staremo a sentire e vedere...