C’è sempre una prima volta... mai dire mai,
insomma. Ecco, dal 6 novembre la Scala ospiterà - a soli 90 anni di distanza
dalla sua apparizione sulle scene! - Die ägyptische Helena, la nona opera (decima,
contando le due Ariadne) di Richard Strauss, completata a Garmisch sabato 8 ottobre 1927.
Ma
prima che di Strauss si deve parlare di Hugo von Hofmannsthal, il geniale
letterato viennese che fornì - sesta di sette volte, sempre contando entrambe le
Ariadne - al birraio (per
parte di madre)
bavarese la materia prima poetica da rivestire di sontuose e mirabili note. E da
dove il grande Hugo prese a sua volta lo spunto per il suo libretto? Intanto va confermato che sì, questa Helena è precisamente la mitica Elena di Troia. Meno
immediato è però spiegare l’attributo che Hofmannsthal le appiccica nel titolo
dell’opera: egizia? Egizia poichè il
soggetto tratta dell’arrivo forzato e della permanenza di Elena e Menelao sull’isola
egiziana di Etra (poi molto più a ovest, alle
pendici dell’Atlante, come minimo nell’attuale Tunisia) ospiti dell’omonima
principessa, che è accasata con Poseidon(-Nettuno) ed ha doti soprannaturali,
oltre a possedere una gigantesca vongola che ha qualità di veggente. Invenzioni
di Hofmannsthal? Non proprio. E allora la prendo alla lontanissima...
A scuola abbiamo imparato (oh,
parlo di tempi remoti, oggi non saprei dire cosa si insegni nelle aule...) a
conoscere Elena dall’Iliade di Omero (che le più precise ricerche ci informano essere vissuto in un breve
periodo che va dal 1100 al 700 avanti Cristo!) In realtà l’Iliade tratta solo
degli ultimi giorni della guerra di Troia (in particolare dell’ira di Achille
contro Agamennone...) e Omero relega il ricordo del motivo scatenante di tale guerra
in pochi versi dell’ultimo libro del suo poema. Dove riferisce del rifiuto di
Giunone (, Nettuno) e Minerva a restituire ai troiani il corpo del caduto
Ettore, rifiuto motivato dal persistente odio verso Troia delle due dee, a suo
tempo offese da quel Paride - giudice monocratico al concorso di miss-Olimpo - che
a loro aveva preferito Venere, in cambio dell’accesso alla proprietà della
donna più bella del creato (oltre che già accasata...)
L’Egitto?
Per Omero nell’Iliade non esiste, ma lo si trova nell’Odissea (Libro IV) dove Menelao,
tornato a Sparta e riconciliatosi con Elena, racconta a Telemaco (colà in cerca del
padre Ulisse) di esser stato costretto - di ritorno da Troia - a far sosta in
Egitto e precisamente sull’isola di Faro,
dove regnava Proteo (un dio del mare tirapiedi di Nettuno, capace di
trasformarsi in qualunque cosa e dalle qualità divinatorie) e dove una figlia
di costui, Eidothea, lo soccorse,
aiutandolo poi a carpire al padre il segreto per riprendere il mare e tornare a casa. Questi
particolari cominciano a farci capire da dove Hofmannsthal abbia potuto trarre
l’idea per il suo soggetto: l’isola di Etra dell’opera sarebbe quindi Faro; l’Etra
personaggio può incarnare Eidothea, mentre sullo sfondo appare anche Poseidon. Sono
comunque tutti particolari che riguardano il viaggio di ritorno di Elena e
Menelao da Troia.
Ma dal libretto dell’opera scopriamo qualcosa che in Omero è del tutto
assente: l’esistenza di due Elene, perbacco! Etra rivela a Menelao che la Elena fuggita a Troia con
Paride era in realtà un fantasma (eidôlon) creato dagli dei per salvare Menelao dagli effetti
del patto scellerato proposto da Venere a Paride: la vera Elena è sempre rimasta
lì, addormentata in un palazzo ai piedi dell’Atlante, in attesa di essere
risvegliata da Menelao! Di nuovo: invenzioni di Hofmannsthal? Nossignori. Esiodo
(700-600 a.c.) poi Stesicoro (600-500 a.c.) e ancora Euripide ed Erodoto (400
a.c.) - per
citare solo qualche nome di aedi della mitologia greca - ci hanno raccontato la
storia (anzi più storie) delle due Elene. Per farla breve: dopo aver rapito la
donna col favore di Venere, Paride si mette in viaggio (quello di andata,
per Elena) verso
Troia. Finiscono però a Faro, dove Proteo produce l’incantesimo, consegnando a
Paride la fake-Elena (l’eidôlon) e trattenendo presso di sè l’Elena genuina.
Ora va detto però che Hofmannsthal non crede una parola di Esiodo, Stesicoro, Euripide ed Erodoto: nel suo libretto c’è una sola Elena, quella reale, quella rapita da Paride e portata a Troia, e poi recuperata da Menelao dopo 10 anni di assedio. La Elena che Menelao, credendola consenziente e offertasi non solo a Paride, ma anche a fratelli ed amici (l’epiteto che oggi affibbiamo alle prostitute non viene forse da lì?) non riesce a perdonare ed è tentato continuamente di uccidere - nella realtà, sulla nave, ma anche nel delirio provocatogli dagli Elfi di Etra - per punirne il tradimento. L’Autore trasforma genialmente la stravagante storia delle due Elene in un’invenzione della maga, che la usa per convincere Menelao che Elena sia rimasta pura e casta come quando gli fu rapita. E per completare l’opera fa bere ad entrambi i coniugi un filtro dell’oblio, prima di metterli comodamente a letto, sul quale li farà volare ai piedi dell’Atlante (fine dell’atto primo) perchè vi trovino l’ambiente adatto per riconciliarsi pienamente.
Ora va detto però che Hofmannsthal non crede una parola di Esiodo, Stesicoro, Euripide ed Erodoto: nel suo libretto c’è una sola Elena, quella reale, quella rapita da Paride e portata a Troia, e poi recuperata da Menelao dopo 10 anni di assedio. La Elena che Menelao, credendola consenziente e offertasi non solo a Paride, ma anche a fratelli ed amici (l’epiteto che oggi affibbiamo alle prostitute non viene forse da lì?) non riesce a perdonare ed è tentato continuamente di uccidere - nella realtà, sulla nave, ma anche nel delirio provocatogli dagli Elfi di Etra - per punirne il tradimento. L’Autore trasforma genialmente la stravagante storia delle due Elene in un’invenzione della maga, che la usa per convincere Menelao che Elena sia rimasta pura e casta come quando gli fu rapita. E per completare l’opera fa bere ad entrambi i coniugi un filtro dell’oblio, prima di metterli comodamente a letto, sul quale li farà volare ai piedi dell’Atlante (fine dell’atto primo) perchè vi trovino l’ambiente adatto per riconciliarsi pienamente.
A proposito di incantesimi, Hofmannsthal
introduce appunto i due filtri magici di Etra (oblio e ricordo) che paiono a prima vista
mutuati da Götterdämmerung.
In realtà è ancora Omero, sempre nel Libro IV dell’Odissea, a narrare di filtri
dell’oblio e del buonumore versati proprio da Elena nel vino offerto ai suoi
visitatori; e poi (Libro IX) a raccontare degli analoghi effetti del loto. Il
trattamento che Hofmannsthal
fa dei
filtri sembra peraltro richiamare in parte anche il Tristan: Menelao (atto secondo) è convinto
di bere un filtro di morte, che lo riunirà alla vera Elena, che crede di aver
ucciso (atto primo) in preda al delirio; invece - grazie alla coraggiosa decisione della donna di affrontare a viso
aperto la realtà - è il
filtro del ricordo che ottiene il ritorno e
il trionfo
dell’amore, suggellato dal ricongiungimento della piccola Ermione con i riappacificati
genitori. Un chiaro segno - già esplicitamente
emerso dalla FroSch - dell’attenzione degli Autori ai problemi della condizione
femminile e del loro riconoscimento del Weibes Wert.
Un’ultima osservazione sul libretto riguarda la presenza sulla scena dei guerrieri di Altair e del giovane Da-ud e la scena di caccia che ne segue. Lo spunto può essere vagamente venuto ad Hofmannsthal dalla lettura di Euripide ed Erodoto, che narrano due (peraltro diverse) storie di scontri di Menelao&C con il popolo di Proteo in Egitto, prima di poter salpare finalmente verso casa. Ma il drammaturgo viennese va assai al di là di questi prosaici dettagli: da un lato la scena gli serve per far rivivere quasi in sogno a Menelao il momento della perdita di Elena (rapitagli mentre lui era fuori a caccia) e i giorni di Troia (Da-ud = Paride); ma anche per proporci una riflessione sulla guerra (...tutti quanti gli altri che per me sono morti senza premio!): non dimentichiamo che Helena nasce proprio a pochi anni dalla fine dell'orrendo massacro della WWI, dalla quale anche i due Autori erano usciti sconfitti...
Un’ultima osservazione sul libretto riguarda la presenza sulla scena dei guerrieri di Altair e del giovane Da-ud e la scena di caccia che ne segue. Lo spunto può essere vagamente venuto ad Hofmannsthal dalla lettura di Euripide ed Erodoto, che narrano due (peraltro diverse) storie di scontri di Menelao&C con il popolo di Proteo in Egitto, prima di poter salpare finalmente verso casa. Ma il drammaturgo viennese va assai al di là di questi prosaici dettagli: da un lato la scena gli serve per far rivivere quasi in sogno a Menelao il momento della perdita di Elena (rapitagli mentre lui era fuori a caccia) e i giorni di Troia (Da-ud = Paride); ma anche per proporci una riflessione sulla guerra (...tutti quanti gli altri che per me sono morti senza premio!): non dimentichiamo che Helena nasce proprio a pochi anni dalla fine dell'orrendo massacro della WWI, dalla quale anche i due Autori erano usciti sconfitti...
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Insomma, un libretto mirabile
uscito dalla penna (e ovviamente, prima ancora, dalla mente) di un grandissimo
letterato; ma un testo difficile da afferrare d’acchito (prova ne sia che i due
Autori sentirono il bisogno di produrre sinossi e spiegazioni da distribuire
agli spettatori delle prime rappresentazioni) e che può apparire bizzarro,
astruso, contorto ed eccessivamente simbolista o... freudiano. Si spiegano
forse così le alterne fortune dell’opera, compresa l’indifferenza della quale
fu gratificata in Italia, dove arrivò (a Cagliari) solo nel 2001, e ben tagliata!
Ed ecco perciò arrivato il
momento di dire due parole sulla musica. Quando
l’Helena
vide la luce (Dresda, mercoledi 6 giugno 1928) erano passati due anni e mezzo
da quel lunedi 14 dicembre 1925 che aveva visto nascere, a Berlino, il Wozzeck di Berg!
Per dire quanto duro a morire fu il tardo-romanticismo straussiano, pur minato
da ogni parte: dalla tragedia della WWI sul piano dell’attualità dei soggetti da portare in scena, e
dalla rivolta espressionista-seriale su quello musicale, che avevano originato,
appunto, il Wozzeck. (E Strauss ebbe la forza e la cocciutaggine di mantenersi sempre
fedele al modello della sua vita, producendo immortali capolavori anche dopo la
nuova tragedia della WWII e il crollo del nazismo, che poco dopo avrebbero aperto la strada
alla più masochistica stagione della musica occidentale...)
In compenso - e anche questa è di certo una concausa delle non brillanti fortune dell’opera, insieme alle difficoltà di comprensione del soggetto - la partitura richiede la presenza di tre-quattro voci davvero importanti: in particolare poi quelle dei due protagonisti, impegnate allo stremo.
Dell’opera esistono due versioni ufficiali (a parte tutte quelle spurie ottenute tramite tagli dai vari Direttori...): a quella del 1928 Strauss apportò alcune varianti (1933) accogliendo suggerimenti di Clemens Krauss e del regista austro-americano Lothar Wallerstein, che principalmente riguardano il second’atto (cifre 150-162 della partitura). Fra pochi giorni alla Scala i responsabili dello spettacolo saranno Franz Welser-Möst e Sven-Eric Bechtolf, con un cast che si annuncia assai promettente. Stay tuned (...se vi pare).
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