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01 novembre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°5


Per la prima volta sotto la bacchetta del Direttore Musicale, ecco uno dei pilastri ormai più che consolidati delle stagioni de laVerdi: il Requiem!

A proposito dell’eterna diatriba che divide i critici, fra chi accusa Verdi di aver scritto un Requiem melodrammatico (quindi addirittura insincero...) e chi invece difende l’opera quasi come fosse Brahms (che infatti spese parole di elogio per il Verdi sacro) ho riletto la fulminante monografia del sommo Massimo Mila (suggerimento tecnico per la lettura: prima scaricare il file, per poterlo poi ruotare di 90°) un’acutissima analisi socio-filosofico-estetica dell’intera problematica della musica religiosa e in particolare di quella che tratta i misteri di vita e morte. Mila individua due macro-approcci sviluppatisi storicamente, che battezza come tedesco e latino: il primo tende a trattare la morte con laica consapevolezza e con serena rassegnazione ad un evento purtroppo inevitabile; il secondo dove invece la morte è subita come choc (il Dies Irae!) dal quale l’Uomo è colpito all’improvviso, e che gli fa opporre resistenza alla stessa volontà divina. Va da sè che Verdi venga inserito di diritto nella seconda scuola di pensiero e di produzione artistica.

Claus Peter Flor, che pure ha un background sinfonico e tedesco, non ha però cercato di trasferire questa opera di Verdi nell’austero mondo teutonico, anzi: ha messo in risalto quanto di più latino si trova in questa partitura, a cominciare dalle esagerazioni del Dies Irae e del Tuba mirum...

Il coro si cimentava per la prima volta nel Requiem con uno dei nuovi Maestri che han preso il posto di Erina Gambarini, Alfonso Caiani: direi proprio che l’eredità sia stata ben salvaguardata!

Il quartetto di solisti (dislocati a metà palco, fra Orchestra e Coro). Di Erika Grimaldi avevo un buon ricordo, ma devo dire che ieri non mi ha del tutto convinto, per una certa approssimazione forse giustificabile dall’aver dovuto sostituire all’ultimo momento la titolare Svetlana Kasyan, che personalmente avevo scoperto (come molti, peraltro) nell’aprile 2013 al Regio di Torino in un discreto DonCarlo e che ero curioso di risentire (ma ci sarà una prossima occasione).  

Al mezzosoprano Roxana Constantinescu e al tenore Matteo Desole darò un’abbondante sufficienza, anche se non mi hanno particolarmente... eccitato, ecco.

La palma del migliore del quartetto la assegno al basso Carlo Cigni, che avevo avuto modo di apprezzare lo scorso agosto al ROF come Oroe nella Semiramide di Mariotti (purtroppo anche di Vick...) e che ha confermato alle mie orecchie quanto di buono era emerso in quell’occasione.

Auditorium piacevolmente affollato e prodigo di applausi, anche ritmati, ai protagonisti. Beh, il solo fatto di mettere in cantiere ogni stagione un mostro come questo e di saperlo domare come si deve è un merito non da poco!

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