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24 novembre, 2019

La Tosca presa alla... lontana (2)


Lungo il percorso di confronto fra il testo di Sardou e quello di Puccini (indicherò sempre Puccini in rappresentanza del quartetto che sfornò il libretto dell’opera, non certo del musicista che lo ricoprì di musica immortale) prenderò adesso in considerazione il carattere del personaggio Scarpia e lo sviluppo della vicenda.

É opinione comune dei critici (ma più di parte musicale che strettamente letteraria) riconoscere a Puccini il merito di aver, per così dire, migliorato la trama del dramma originale, attraverso la sua compressione (da 5 a 3 atti) e una più potente definizione delle personalità dei protagonisti, primo fra tutti Scarpia.

A me piace (a volte) fare il bastian contrario, e così mi permetto di contraddire (almeno in parte) quegli elogi a Puccini. E quindi provo a mettere a confronto Sardou e Puccini sul terreno della personalità di Scarpia e dello sviluppo dell’intera vicenda, per mostrare come sotto molti aspetti Sardou si faccia preferire.

Quanto al Capo della Polizia vaticana, è stato giustamente osservato che lo Scarpia di Sardou è sì un personaggio potente (oltre che sessualmente depravato) ma non è per nulla onnipotente, come è perfettamente naturale che non sia uno che occupa quel ruolo, necessariamente subordinato al potere politico. Nel second’atto del dramma, Scarpia deve render conto delle sue azioni (la ricerca di Angelotti) nientemeno che alla Regina! E la folla che staziona fuori Palazzo Farnese non si limita a gridare “A morte Angelotti”, ma grida anche “A morte Scarpia”, al che la Regina gli ricorda la precarietà della sua posizione. Ed è proprio meditando preoccupatissimo sulla sua sorte - nel momento più critico per lui delle sue indagini su Angelotti - che Scarpia troverà la geniale quanto perfida soluzione al suo problema!

Lo Scarpia di Puccini invece è - anche qui per unanime consenso - la personificazione del male assoluto, certo, ma in un contesto per lui fin troppo facile, quasi di onnipotenza, in mancanza di vincoli e di obblighi che invece gli dovrebbero essere imposti dalla natura del suo ruolo. Mai in tutto il libretto si accenna a ordini che Scarpia riceve da suoi superiori, nè il fatto che lui debba render conto ad alcuno delle sue azioni. Quindi lui pare muoversi in un contesto poco credibile e meno plausibile rispetto a quello presentatoci da Sardou. Persino la sede in cui dimora (un piano di Palazzo Farnese, residenza romana dei sovrani) è sproporzionata rispetto al suo ruolo: molto più appropriata appare essere quella immaginata da Sardou, all’interno dello stesso complesso delle carceri.

La differenza fra le personalità dello Scarpia di Sardou e di Puccini è lampante prendendo in esame le modalità attraverso le quali il Barone arriva a plagiare Tosca, instillandole nell’animo (come fa Jago con Otello) il veleno della gelosia, che la porterà alla perdizione: sua, di Cavaradossi e di Angelotti. Partiamo stavolta da Puccini.

Alla fine del primo atto (vedremo in seguito altre implicazioni dello spostamento qui dell’incontro Scarpia-Tosca, che Sardou colloca nel suo secondo atto) il Barone avvicina Tosca, appena tornata in Chiesa, con approccio effettivamente mellifluo e subdolamente elogiativo della devozione della cantante e della sua irreprensibilità di costumi. Ma subito, senza perifrasi, accusa esplicitamente la Marchesa Attavanti di trescare con Cavaradossi. Tosca è sconvolta, stenta a crederlo, ma Scarpia le consegna la prova della tresca: il ventaglio dell’Attavanti. Ecco, Tosca è già vinta: perchè i suoi sospetti, che Cavaradossi aveva faticato a contenere poco prima, adesso sono certezza. Ma ora, l’obiettivo principale che invade la mente di Scarpia non è più Angelotti (il dovere) no, è Tosca (il piacere)! Basta ascoltare ciò che il Barone dice e canta mentre si celebra il Te Deum.

Osserviamo invece lo Scarpia di Sardou. Nel second’atto del dramma, tutto il processo che porta alla demolizione delle certezze di Tosca e alla sua ossessionante gelosia è in realtà una mirabile (per quanto diabolica) costruzione della mente di Scarpia, interamente occupata dall’obiettivo di catturare Angelotti - quasi questione per lui di vita o di morte in quel momento - e non il corpo di Tosca, la libidine per il quale (il piacere) emergerà in primo piano soltanto dopo che il dovere sarà stato compiuto. Quella che leggiamo in Sardou è una perfetta rete che il ragno tesse pazientemente per attirarvi, maglia dopo maglia, la preda (non già per spingervela di forza, come fa lo Scarpia di Puccini) dandole l’impressione di essere lei stessa a scoprire la verità (significativo il siparietto con  il Marchese Attavanti e il cicisbeo a proposito del ventaglio...) traendo autonomamente le logiche conclusioni da indizi che il Barone si limita ad offrirle quasi con timidezza e reticenza, manifestando continuamente il timore di fare qualche gaffe e addirittura fingendo di contestare come affrettate certe conclusioni estreme della donna.

Insomma: una mente cinica ma raffinata, non un libidinoso viscerale e rozzo come lo Scarpia di Puccini. Il che ci viene confermato da altri importanti dettagli. Per Puccini, come abbiamo visto, Scarpia ha ormai la mente occupata da Tosca fin dalla fine del primo atto. E subito, all’inizio del secondo, prima ancora di fare il suo lavoro di poliziotto, esterna (Per amor del suo Mario... al piacer mio s’arrenderà!) le sue mire sulla donna, aggiungendo di privilegiare le conquiste difficili, quelle ottenute con la forza (del ricatto). In Sardou Scarpia comincerà invece a pensare libidinosamente a Tosca (con i termini che verranno ripresi da Puccini) soltanto all’inizio del quarto atto, dopo che avrà onorato i suoi compiti di poliziotto e si potrà quindi dedicare al soddisfacimento delle sue depravazioni.

Una differenza abbastanza evidente nei comportamenti (quindi nelle personalità) dei due Scarpia riguarda la modalità con la quale viene raggiunto l’obiettivo di catturare Angelotti. In Sardou, il fatto che il Barone sia continuamente tenuto sotto pressione (dalla stessa Regina, innanzitutto) lo costringe ad impegnarsi sempre in prima persona. Ecco perchè, alla fine del second’atto, quando Tosca esce in tutta fretta da Palazzo Farnese per raggiungere la villa di Mario, lui non solo attiva i suoi sbirri (Schiarrone nella fattispecie) ma si mette lui stesso in pista per partecipare alle operazioni, che poi concluderà con la straziante quanto geniale trovata del processo parallelo a Cavaradossi e Tosca, nella villa suburbana.

Invece lo Scarpia di Puccini opera in un tale stato di ubriacatura da onnipotenza da potersi permettere - dopo aver convinto Tosca del tradimento di Mario, fine atto primo - di mandarle dietro il solo Spoletta con tre uomini, convinto (lo dice proprio in apertura dell’atto secondo) che ciò gli basti a mettere in catene Angelotti e Cavaradossi, da impiccare l’indomani, per potersi dedicare solo a Tosca. Sarà il mezzo fallimento di Spoletta a costringere Scarpia ad organizzare il processo parallelo a Palazzo Farnese (vedremo però come ciò toglierà un poco di plausibilità alla vicenda). 

Un ulteriore (forse non ultimo) aspetto della differente condizione in cui operano i due Scarpia (soggetto all’Autorità quello di Sardou e invece sottratto di fatto alla Legge quello di Puccini) è dato dalle modalità di formulazione della condanna di Cavaradossi. In Sardou Scarpia, a Castel Sant’Angelo, atto quarto, riceve un ordine formale dal Governatore Naselli, che impone l’esecuzione di Cavaradossi all’alba. Nel libretto di Puccini, dopo il processo-farsa-tragedia, Cavaradossi viene portato via verso la forca, senza che si abbia notizia di sentenze, nè di ordini superiori sulla sorte che gli è destinata: insomma, pare proprio che Scarpia possa fare e disfare a suo piacimento!

Intendiamoci: tutte queste manipolazioni della personalità del Barone (e dello scenario in cui si muove) che Puccini opera e che ci mostrano uno Scarpia meno realistico, rispetto alla figura narrata da Sardou, hanno un fine ben preciso e deliberato: costruire un personaggio di altissima potenza drammatica, perfettamente funzionale al tipo di opera - davvero a fosche tinte - che il musicista intende proporre. E bisogna riconoscere che il risultato complessivo dell’operazione di Puccini (grazie alla sua musica!) giustifica ampiamente qualche sacrificio al realismo e anche alla logica che emerge dalla lettura del libretto.        
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Bene, liquidato in qualche modo lo sbifido Barone, vediamo qualche altra conseguenza della diversa strutturazione dei testi di Sardou e Puccini. Subito va rilevata la differenza tra la verosimiglianza delle circostanze che hanno portato Angelotti in Chiesa (ove si è rifugiato nottetempo) e l’inverosimiglianza di quelle presentateci da Puccini (una fuga per più di un Km nel centro di Roma, attraversamento del Tevere incluso, a mezzogiorno!)

Ancora: perchè Scarpia arriva in Sant’Andrea sicuro di trovarvi il fuggiasco? In Sardou la cosa si spiega perfettamente: Angelotti è fuggito la sera prima con la complicità di un carceriere (Trebelli) che avrebbe dovuto poi raggiungerlo il giorno dopo per portarlo in carrozza a Frascati dalla sorella. Ma Trebelli non si è più fatto vivo: non c’è bisogno che Sardou ci spieghi che dev’essere stato catturato, magari torturato ed abbia spifferato tutto! In Puccini l’arrivo così sollecito di Scarpia è assai meno giustificato, poichè l’unico labile indizio che ci viene offerto è l’esistenza in quella Chiesa di una cappella del cognato di Angelotti.

Poi abbiamo il pasticcio del finale del primo atto: per poter spostare alla fine di questo l’incontro Scarpia-Tosca, Puccini ha dovuto per forza far tornare precipitosamente la donna a Sant’Andrea, prima del Te Deum di ringraziamento per la vittoria austriaca a Marengo. Con quale pretesto? Per crearlo, Puccini è costretto ad una serie di ulteriori modifiche -  abbastanza serie - al testo di Sardou. Il quale ci racconta questa successione di fatti: Tosca è arrivata una prima volta in Chiesa per rimanere sola con l’amato prima di tornare a casa a prepararsi per la festa serale a Palazzo Farnese, festa che si protrarrà, dopo il concerto, con balli e pranzo di gala, fino a notte inoltrata. Ciò significa che fino all’indomani in tarda mattinata loro non si potranno rivedere. Ora però arriva in Chiesa anche Luciana, la dama di camera di Tosca, recante un messaggio urgente di Paisiello: il Maestro le annuncia la vittoria di Marengo e la vuole immediatamente al Palazzo per provare una cantata da lui composta espressamente per l’occasione, che verrà eseguita la sera stessa. Tosca non può che esserne contrariata, ma deve obbedire, così se ne va anzitempo (dopo la scoperta dell’immagine dell’Attavanti e i relativi piccanti commenti, inclusi gli occhi da rifare neri, da blu) dando appuntamento a Mario per l’indomani, mentre lui le promette che rimarrà lì a dipingere fino a notte, poi andrà a mangiare e a dormire alla villa. Ritroveremo Tosca in scena solo nel secondo atto a Palazzo Farnese, dove avrà il drammatico incontro con Scarpia.

Invece nel libretto di Puccini la figura e la visita di Luciana vengono soppresse, e Tosca se ne va dando appuntamento a Mario per la sera stessa, alla fine del breve concerto che la vede impegnata a Palazzo, poi andranno a passar la notte insieme, nella villa di lui. Qui c’è il loro battibecco riguardo il dipinto raffigurante l’Attavanti, con Tosca che, prima di uscire, chiede di fare gli occhi neri alla Maddalena. A questo punto c’è il colpo di cannone e la fuga di Cavaradossi e Angelotti, poi il Sagrestano annuncia i festeggiamenti per Marengo e la veglia a Palazzo Farnese, con la cantata appositamente composta da Paisiello, interpretata da Floria Tosca. La quale deve evidentemente aver ricevuto quell’incarico, un vero contrattempo che farà saltare l’appuntamento serale con Mario. Ecco finalmente spiegata la ragione che l’ha spinta a tornare in Chiesa: avvertire l’amato del cambio di programma per la sera e la notte.

Intanto, una domanda: perchè la didascalia di Puccini ci dice che lei arriva già nervosissima? Realisticamente dovrebbe essere piuttosto contrariata, certo, per poi caso mai innervosirsi (o peggio) solo dopo aver constatato l’assenza di Cavaradossi, che le aveva appena promesso di trattenersi a lavorare. Ma il punto cruciale è che, in ogni caso, quell’assenza basterebbe abbondantemente a convincere una donna sospettosa e gelosa come lei (cosa emersa chiaramente poco prima, con i suoi sospetti causati dalla scoperta del dipinto) del tradimento dell’amante, e a farla uscire precipitosamente per raggiungere i due fedifraghi alla villa. Senza bisogno che sia Scarpia a confermarle la tresca consegnandole il ventaglio: il che di conseguenza finisce per depotenziare parecchio la drammaticità dell’intervento del Barone.     

Insomma, anche questo è tutto un passaggio piuttosto discutibile, che serve indubbiamente alcuni obiettivi - quanto mai melodrammatici - del Puccini musicista: far cantare a Tosca l’aria della casetta; presentarci il lato libidinoso di Scarpia e soprattutto chiudere l’atto con una scena memorabile, obiettivamente mancante al corrispondente finale di Sardou. 

Se ci si domanda perchè il libretto dell’opera ambienti il secondo atto a Palazzo Farnese e non nella villa suburbana di Cavaradossi (atto terzo in Sardou) si può ipotizzare che la decisione dei librettisti sia dipesa dalla ricerca di un compromesso: tagliare il second’atto di Sardou senza tagliare... Palazzo Farnese! Trasferendo quindi nella residenza della Regina (oltre a Scarpia...) tutto ciò che in Sardou accade nella villa di Cavaradossi. Intenzione senza dubbio legittima, ma che ha comportato qualche scompenso, soprattutto a livello di plausibilità delle circostanze del ritrovamento di Angelotti, come andiamo a constatare.

Infatti a proposito dell’interrogatorio parallelo di Cavaradossi e di Tosca, che porta la donna a cedere e ad indicare il nascondiglio dell’Angelotti, ecco che si percepiscono altri scricchiolii nel testo di Puccini, rispetto a Sardou. Nel terzo atto del quale tutto avviene, ancora una volta, con il massimo realismo e con stringente logica: Scarpia sa per certo (dati gli indizi schiaccianti fin qui acquisiti) che l’evaso sta lì a pochi metri dalle stanze dell’improvvisato processo, e che non può più scappare poichè la villa è circondata da un esercito di gendarmi. Ovvio che Angelotti venga immediatamente catturato (anche se... già morto) pochi secondi dopo che Tosca ha spifferato dove si trova il suo nascondiglio.

Nel libretto le cose hanno invece una plausibilità assai inferiore: poichè fra la perquisizione alla villa, operata da Spoletta che ha portato all’arresto di Cavaradossi ma non di Angelotti, e la confessione di Tosca, passa parecchio tempo (Spoletta e l’arrestato devono percorrere 6 Km in linea d’aria per raggiungere Palazzo Farnese!); e poi fra la confessione di Tosca e la nuova irruzione dei gendarmi alla villa, altrettanto tempo: più quello del processo! Vogliamo ipotizzare almeno un paio d’ore in tutto? Ebbene, che Angelotti, che sa perfettamente che la polizia è stata lì e si è portata via l’amico, e soprattutto che ora anche Tosca è al corrente della sua presenza alla villa, se ne rimanga buono buono nel nascondiglio per tutto quel tempo ad aspettare che lo trovino, senza provare a fuggire (Spoletta aveva solo tre uomini con sè, lì al massimo ne sarà rimasto solo uno...) beh, è proprio difficile a credersi!

Un altro episodio che assume diversa plausibilità in Sardou e Puccini riguarda la richiesta di grazia che Tosca pensa di fare alla Regina. Nel dramma di Sardou Tosca è, come sappiamo, a Castel Sant’Angelo, quasi all’alba. É stata portata lì direttamente dalla villa di Mario, in stato di fermo. Scarpia ancora non le ha fatto l’oscena proposta; le ha solo comunicato che Cavaradossi sta per essere impiccato. E che lei è libera di andarsene. Allora le balena l’idea di chiedere la grazia per Mario alla Regina (certo non avrebbe avuto modo di farlo prima, date le circostanze). Ora, pur avendo una carrozza a disposizione (come le garantisce Scarpia) Tosca dovrebbe: uscire dal castello, andare a Palazzo Farnese (e fin qui son pochi minuti); ma poi farsi aprire, buttare letteralmente giù dal letto la Regina, convincerla a firmare la grazia e tornare al castello in tempo per bloccare l’esecuzione. Francamente una mission impossible, come la poveretta deve subito constatare, convinta dell’inutilità dei suoi sforzi dalle parole di Scarpia che l’avverte che la grazia arriverebbe con almeno un’ora di ritardo. Cosa forse esagerata quantitativamente, ma ben plausibile nella sostanza, dato che Scarpia non avrebbe alcun problema a far impiccare Mario, detenuto lì accanto, nel giro di pochi minuti. 

Invece nel libretto italico le cose stanno in modo assai diverso e meno plausibile: perché intanto l’idea della richiesta di grazia viene a Tosca dopo che Scarpia le ha proposto l’orrendo scambio. Domanda: perchè non le è venuta prima, già al momento in cui Cavaradossi veniva portato alla tortura? Scarpia l’avrebbe fatta bloccare con la forza? Ma lei avrebbe potuto mettersi a gridare (e la voce non le mancava!) richiamando l’attenzione di qualcuno al piano di sotto, dove ancora stazionava un sacco di gente, Regina compresa! Ma poi, nonostante Scarpia cerchi di dissuaderla (“La regina farebbe grazia ad un cadavere!”) è pur vero che Tosca si trova a distanza di pochi metri dalla Regina (terzo e secondo piano dello stesso Palazzo Farnese); e la Regina è probabilmente ancora sveglia, o si sta appena preparando a ritirarsi, sebbene contrariata dalla ferale notizia appena arrivata da Alessandria. Ma soprattutto, se convinta da Tosca, potrebbe magari convocare Scarpia seduta stante per ingiungergli di non dar corso all’impiccagione, se non addirittura di far immediatamente riportare lì il Cavaradossi in carne ed ossa, vivo. E del resto – a differenza del dramma di Sardou - Scarpia non ha Cavaradossi lì accanto (il condannato è per strada verso Castel Sant’Angelo) e non potrebbe quindi farlo giustiziare in pochi minuti, salvo farlo raggiungere da un sicario e farlo di fatto assassinare. Perciò il fattore-tempo, addotto dal barone per far desistere Tosca, qui è assai debole: anche su questo punto è Sardou ad essere impeccabile quanto a plausibilità e realismo, molto meno Puccini. 

C’è infine un piccolo ma interessante particolare che riguarda Tosca e il suo incontro con Cavaradossi a Castel Sant’Angelo. In Sardou la donna, agghindata per la festa a Palazzo Farnese, corre precipitosamente alla villa di Cavaradossi, dove subirà l’odioso trattamento di Scarpia, confesserà e verrà tratta in arresto con l’amato e trasferita direttamente con lui al carcere. In Puccini invece Tosca, che era arrivata a Palazzo Farnese per la cerimonia, dopo aver ammazzato Scarpia si trasferisce con mezzi propri a Castel Sant’Angelo. Reca con sè il salvacondotto firmato dal Barone e sa che Spoletta è stato istruito dal suo capo perchè faciliti la sua fuga con Mario. Ma quando incontra l’amato in prigione, gli fa una rivelazione apparentemente insignificante, ma in realtà di grande importanza. Ed è qualcosa che in Sardou non avrebbe materialmente potuto verificarsi! Leggiamo il libretto: (mostrando la borsa) io già raccolsi oro e gioielli...

Ecco, è la prova inconfutabile che Tosca, dopo essere uscita da Palazzo Farnese, e prima di recarsi a Castel Sant’Angelo, è passata da casa! Poichè di certo non poteva aver portato quella borsa con sè alla festa, non ne aveva alcun motivo! Notiamo di passaggio che la cosa non è sfuggita, da sempre, ai registi dell’opera, che ci mostrano nel terzo atto una Tosca abbigliata modestamente, mentre alla fine dell’atto secondo la vedevamo nel suo sontuoso abito da cerimonia. Ora, dato che questo particolare non si trova (perchè non potrebbe trovarsi...) in Sardou, se ne deduce che sia stato inventato a bella posta da Puccini. Perchè? Verosimilmente per aggiungere un tocco di realismo alla situazione: Tosca sa di prepararsi ad un lungo viaggio (quasi una fuga, in realtà) e compie un atto di gran buon senso, guidata dalla logica e dalla ragione.

Ma proprio questo è il punto: Tosca è proprio quel tipo di donna? Per la verità sia Sardou che Puccini ce l’hanno presentata come una persona impulsiva e assai poco raziocinante. E invece adesso, oltretutto sotto lo choc emotivo di un omicidio (un atto che contrastava con tutti i suoi principii) sarebbe improvvisamente diventata fredda e previdente?     
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Bene, a che pro tutto questo noioso tormentone? Per denigrare Puccini? Al contrario, per esaltarlo e coprirlo di lodi! Per aver saputo, con la sua musica, creare un capolavoro immortale (una delle opere più grandi dell’intero teatro musicale occidentale) a dispetto di un libretto non proprio irreprensibile.

E pensare che Puccini ha ignorato (atto secondo di Sardou) proprio l’unico riferimento alla musica che avrebbe dovuto attirare la sua attenzione. Allorquando Paisiello si appresta a dare l’attacco della cantata, si rivolge a Tosca chiedendo, per sicurezza: SI naturale, d’accordo? E lei, che è reduce dal drammatico scontro con Scarpia, quindi in uno stato di profonda prostrazione, ribatte: No, bemolle!   

(2. continua)

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