XIV

da prevosto a leone
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12 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#12

L’ultima Orchestra Ospite del Festival è la Toscanini di Parma, guidata da Omer Meir Wellber (al suo esordio in Auditorium) che ci ha presentato un concerto già dato nei giorni scorsi a Como e a Parma (quindi ormai… collaudato).

Vi troviamo le tre principali componenti della produzione mahleriana esplorate dal Festival: Sinfonia, Lieder e orchestrazioni di musica altrui (Schumann, nella fattispecie).

Si è quindi aperto con l’Andante-Adagio, unico movimento portato (quasi) a compimento della Decima, che Mahler mise sulla carta nell’estate del 1910 a Toblach, la sua ultima estate e per di più quella più dolorosa (almeno quanto quella del 1907 a Maiernigg): perché vi arrivò la terza martellata che il superstizioso Mahler aveva cancellato dal finale della sua Sesta (anzi, potremmo dire fosse in realtà la quarta martellata): il tradimento di Alma! Un colpo che peraltro il compositore, riavutosi dallo choc della sorpresa, incassò con grande dignità, ammettendo le sue colpe (inadempienze ai doveri del letto matrimoniale, per essere precisi) nei riguardi della moglie e correndo fino a Leiden per farsi aiutare da Freud a rimediare alla catastrofe. 

Ed in effetti Alma decise di rimanere stoicamente al suo fianco, mentre il marito arricchiva gli schizzi della nascente Sinfonia costellandoli non già di note, ma di sfoghi, invocazioni, imprecazioni e lamenti. Mahler si dovette poi occupare della trionfale prima dell’Ottava a Monaco e infine partì per NewYork, dove imperterrito continuò a lavorare alacremente con la NYPO, dirigendo un concerto dietro l’altro, fino a che… il cuore già da sempre malmesso fu attaccato dallo sbifido virus che provocò la fatale endocardite. 

E della Sinfonia Mahler lasciò quindi solo lo scheletro (ma una specie di Frankenstein, senza una chiara indicazione di quali fossero le braccia, le gambe, il torso e il bacino, tanto per dire…) Lo stesso movimento completato doveva essere presumibilmente il secondo dei cinque sbozzati in Particell (1-2-3-4-5 righi musicali al massimo) e arrivati a noi dalla moglie Alma che li rese pubblici nel 1924.

E persino su questo movimento giuntoci in manoscritto nella sua interezza (orizzontale e… verticale) possiamo star tutt’altro che certi che sarebbe rimasto proprio così se l’Autore avesse avuto il tempo materiale per ulteriormente rivisitarlo e rifinirlo, come fece per tutte le sue Sinfonie precedenti.

Ne è prova che persino curatori diversi della pubblicazione di questo Adagio non hanno concordato fra loro. Ad esempio, nell'ormai lontano 1964, proprio nel periodo in cui Deryck Cooke – Alma permettendo - stava facendo eseguire la sua prima versione dell'intera sinfonia, Erwin Ratz, nella sua prefazione all'edizione Universal del solo Adagio, scriveva papale-papale: 

Ciò che sta scritto su questi fogli (i manoscritti mahleriani, ndr) era completamente intellegibile dal solo Mahler, e nemmeno un genio sarebbe capace, da questo stadio di sviluppo del lavoro, di divinare l'approccio alla sua forma definitiva. 

Ma questa sentenza - un grosso siluro a Cooke - veniva pubblicata proprio nella prefazione all’Adagio, che Ratz aveva a sua volta editato (come risulta dal corposo Revisionsbericht…) in quanto incompleto la sua parte, e in base alla considerazione che ormai quel movimento era entrato nel repertorio di tutte le orchestre, e tanto valeva dargli una veste, per così dire, ufficiale, con la benedizione della Internationale Mahler Gesellschaft di Vienna.  

Se si confrontano le due partiture dell’Adagio – di Ratz e Cooke – si possono rilevare differenze di varia natura: alcune sono bizzarrìe belle e buone, come notare un FA bequadro (Cooke) invece di un MI diesis (che Ratz non si accontenta di indicare in chiave, ma scrive esplicitamente davanti alle note); in altri casi troviamo indicazioni agogico-dinamiche divergenti (dove Cooke è assai più ricco ed esplicito di Ratz); infine abbiamo differenze non da poco nell'orchestrazione, dove ad esempio Cooke impiega flauti, oboi, clarinetti e tromboni a4 (mentre Ratz li limita a3), prevede clarinetto basso e controfagotti (assenti nella versione Ratz) e a volte ispessisce il suono aggiungendo oboi e flauti sopra gli ottoni (peraltro sempre in modo distinguibile rispetto al contenuto del manoscritto).

Certo, ad un ascolto superficiale son differenze magari impercettibili, che non cambiano poi di molto la sostanza, ma che testimoniano dell'incompletezza del lavoro mahleriano, che dobbiamo accontentarci di immaginare, più che di assaporare compiutamente.

Meir Wellber – a giudicare dagli strumenti messi in scena – deve aver dato ragione a Ratz. Comunque, Ratz o Cooke, sempre Mahler é… e il Direttore israeliano e la Toscanini lo hanno valorizzato al massimo, facendo emergere i tratti più espressionisti della partitura (che si muove ormai ben oltre i confini della tonalità) insieme alla nobile cantabilità del tema principale. 
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Ancora Mahler con i cinque Rückert-Lieder (qui alcune mie brevi note sui contenuti) interpretati da quel Christoph Pohl che avevamo giorni fa ammirato ed applaudito, con la SantaCecilia, nei Lieder dal Wunderhorn.

Dato che Mahler non indicò alcuna tassativa sequenza di esecuzione, Pohl ha comprensibilmente posto in coda alla sua performance i due Lieder più corposi e di maggior effetto: Um Mitternacht e Ich bin der Welt. Per lui scroscianti applausi, ovazioni e ripetute chiamate.
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Ha chiuso la parte ufficiale del concerto la Quarta di Schumann rivisitata da Mahler. Le differenze rispetto all’originale che anche un non esperto può individuare sono: la mancanza del da-capo dell’esposizione nel movimento iniziale (ma questo è ciò che può fare chiunque…) e i rinforzi dei corni a dare splendore ad alcuni passaggi topici.

Meir Wellber l’ha diretta a memoria, non negandosi/negandoci suoi personali tocchi interpretativi, soprattutto a livello agogico, che hanno impreziosito la Sinfonia ben al di là del valore aggiunto mahleriano.

Alla fine il trionfo (applausi ritmati, urla) non è mancato, cosicchè è stato ricambiato dal mascagniano Intermezzo dalla Cavalleria.    

25 maggio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°30


Per il terz’ultimo concerto della stagione torna in Auditorium il residente (!?) Jader Bignamini per guidare non una, ma ben due orchestre insieme! Si mescola infatti alla sua laVerdi la Filarmonica Arturo Toscanini, soprattutto per moltiplicare il volume di suono richiesto dallo Strauss che riempie la seconda parte del concerto.

Ma il programma è aperto da una vecchia frequentatrice dell’Auditorium, la sempre affascinante (nel fisico e nel... sonoro!) Francesca Dego, che ci propone il Primo concerto di Shostakovich. Opera composta (1947-48) in piena era Stalin-Zdanov e quindi prudentemente tenuta nel cassetto - onde evitare fastidiosi trasferimenti nella lontana Siberia, se non qualcosa di peggio - dal quale fu estratta dopo anni, dopo la presentazione della famosa e apprezzata Decima Sinfonia e in presenza al Kremlino del più mite (si fa per dire... chiedere in proposito agli ukraini) Kruscev. Questo spiega perchè alla sua comparsa le sia stato affibbiato il numero d’opera 99 e successivamente l’originale 77, numero più congruo rispetto al periodo di composizione.

Il dedicatario David Oistrakh e l’amico fraterno Evgeny Mravinski portarono alla luce il concerto sabato 29 ottobre del 1955 a Leningrado. Concerto piuttosto eterodosso (quanto meno rispetto ai canoni classici) a partire dal numero (4) dei movimenti e da contenuti (Notturno-Scherzo-Passacaglia-Burlesque) che lo avvicinano piuttosto ad una suite dove si alternano movimenti lenti e veloci. Orchestra privata degli ottoni più invadenti (trombe e tromboni) per mantenere la massima trasparenza di suono; solista che ha pochissime pause, essendo quasi costantemente protagonista, fra l’altro di una interminabile cadenza che separa e collega i due movimenti conclusivi. Quanto alle tonalità, le armature di chiave sono poco significative: il LA (minore) apre la sinfonia e il LA (maggiore) la chiude; in mezzo troviamo SIb e LAb, ma in realtà abbiamo atmosfere continuamente cangianti.

Seguiamo l’evolversi del concerto proprio in compagnia dei due sommi artisti che lo presentarono per la prima volta al pubblico.
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Si apre con un Notturno, in tempo Moderato, 4/4. Brano assai ispirato e ricco di laica religiosità. Struttura che richiama quella di una fantasia, nulla a che vedere con la classica forma-sonata. Dopo 4 battute in ritmo puntato degli archi bassi, ecco il violino attaccare (17”) una melopea praticamente ininterrotta, basata pure su un motivo puntato, nel quale compaiono sporadiche quartine di crome. L’orchestra tiene un accompagnamento sommesso negli archi, mentre i fiati si inseriscono qua e là, ma sempre con la massima discrezione, come fanno il fagotto (1’27”) e i fiati (2’12”).

Ecco un primo sussulto (2’19”) con la melodia del violino che si apre a intervalli più ampi e con i clarinetti (e i violini) a contrappuntare con un ondeggiante motivo per terze. A 3’08” il solista riprende la sua lirica perorazione, con salite a note sovracute, chiusa da un poco ritardando che lascia un minimo di spazio (4’29”) ai fiati, prima del ritorno (4’51”) del solista che ripropone la melopea iniziale, allargando quindi molto i tempi e facendosi accompagnare da arpa in armonici e celesta, a creare un’atmosfera eterea e sognante.

A 6’12” un improvviso intervento di percussioni e tuba dà inizio ad una sezione più animata, dove la melodia del solista si muove prevalentemente per terzine. Altra breve pausa (6’54”) per il violino, occupata dai fiati e quindi (7’10”) riecco il solista con la sua melodia fatta di terzine, adesso però incalzato dagli archi e poi dall’intera orchestra, in un agitato ribollire di suoni, mentre il violino ancora allarga i propri tempi. È un crescendo che raggiunge un climax al quale fa seguito (8’19”) una nuova ripresa del motivo puntato nel violino, che fa una pausa (8’46”) per poi riprendersi il centro della scena (9’04”) con l’ultima esposizione che ricapitola i diversi spezzoni di motivi uditi in precedenza. A 11’25” ecco le ultime quattro battute del solista, tutte in armonici, con l’arpa e la celesta, morendo, a chiudere con lui questo mirabile sogno.

Segue quindi un movimento veloce, lo Scherzo, tempo Allegro, 3/8. Qui viene sostanzialmente rispettata la classica forma scherzo-trio, con la particolarità che il tema viene inizialmente esposto (11’52”) da flauto e clarinetto basso, con il solista a ritmarne l’accompagnamento, prima di prendere possesso (12’05”) della scena! A 12’48” il solista ripropone (come consuetudine classica) lo Scherzo, che poco dopo (13’03”) modula bruscamente, mentre i fiati espongono, innalzato di un semitono e lievemente storpiato verso il basso alla fine (RE#-MI-DO#-SI) il motto DSCH (RE-MIb-DO-SI, iniziali del compositore) che riascoltiamo subito dopo (13’17”) nei secchi strappi in doppia corda del violino.

Si arriva (13’37”) al Trio, Poco più mosso, 2/4, sempre dominato dal solista, con motivi e ritmo che ricordano il Klezmer (danza ebraica) comportando anche veloci scorribande, fino ad arrivare (15’36”) alla ripresa dello Scherzo, dove ascoltiamo impertinenti interventi dell’oboe prima, del flauto poi e infine dell’ottavino a contrappuntare il solista.

La scansione si fa sempre più frenetica fino a sfociare (17’27”) nella temporanea ripresa del tempo di Trio (2/4, Poco più mosso) che chiude (17’47”) tornando a 3/8 (tempo dello Scherzo) con una riproposizione del motto DSCH (adesso senza storpiature, ma trasposto di un tritono, a LAb-LA-SOLb-FA) e con il solista che insiste nel suonare quartine di crome sul tempo ternario, fino alla brusca chiusura.

Eccoci ora alla Passacaglia, Andante, 3/4. Il basso ricorrente (si ripeterà per 9 volte) copre 17 battute e viene inizialmente suonato (18’11”) dagli archi bassi, con corni a contrappuntare in ottave e timpani a scandire il ritmo. La seconda apparizione (19’06”) coinvolge la tuba e il fagotto, con gli altri fiati a cantare una specie di corale. Sulla terza (20’01”) affidata agli archi bassi ecco arrivare il violino solista, che intona una languida melodia (di atmosfera simile a quella del movimento iniziale). Il suo motivo viene ripreso dal corno inglese alla quarta tornata (20’56”) mentre il solista si lancia in volute più ampie. La quinta ripetizione (21’50”) vede al basso il primo corno, mentre il solista prosegue la sua melopea. Anche alla sesta reiterazione del basso (22’39”) affidata a corni, tuba, celli e contrabbassi, Il solista continua nel suo canto, sempre più accorato, animato ora da ripetute terzine.

La settima proposizione del tema di passacaglia (23’29”) è affidata ora direttamente al solista, con piglio stentoreo, mentre all’ottava (24’16”) sul basso tenuto da tuba e fagotti sono i clarinetti ad accompagnare la prima melodia tornata nel violino. Ai timpani (25’10”) spetta di guidare la nona ricorrenza dell’accompagnamento, con il solista sempre in primo piano, che arricchisce il suo tema di note ribattute. Seguono (26’12”) 12 battute di chiusura, con passaggi anche in doppia corda, che portano inaspettatamente (27’01”) ad una mastodontica Cadenza. Essa inizia riprendendo l’ultimo motivo suonato nella passacaglia, per poi svilupparsi in tempo Maestoso, con qualche moderata variazione agogica e dinamica. A 30’09” un primo Accelerando anima il ritmo e poi un secondo (31’15”) introduce la parte conclusiva, in Allegro, dove troviamo ogni artifizio virtuosistico, compresi passaggi in doppia, tripla ed anche quadrupla corda! 

E così, senza soluzione di continuità, a 31’42” attacca la conclusiva Burlesque, Allegro con brio, 2/4. É uno dei classici, inconfondibili, tarantolati pezzi di questo autore, dove solista e orchestra sembrano inseguirsi in una forsennata discesa senza freni. Il ritmo è spesso puntato, singhiozzante, oppure più regolare ma sempre forsennato. 

L’orchestra apre con 28 battute introduttive che preparano l’entrata (32’02”) del violino solista accompagnato dal clarinetto, con il quale innesca una specie di gioco a rincorrersi, chiuso da reiterati sussulti, quasi dei singhiozzi dei flauti. Il solista d’ora in poi avrà solo poche pause di respiro, alternando motivi in ritmo puntato ad altri (32’46”) più distesi, ma senza mai rallentare il passo. 

Dopo una sezione caratterizzata da passagi sincopati, a 33’18” il solista riprende il motivo dell’introduzione orchestrale, poi continua contrappuntato da strappi di flauti e clarinetti. A 33’50” si concede finalmente una pausa, lasciando momentaneamente spazio all’orchestra, per poi riprendere (34’21”) la sua corsa solitaria (accompagnato solo da violini e viole) e successivamente (34’43”) anche da clarinetti, corno e xilofono. Il passo adesso accelera, con volate di semicrome che portano (34’59”) a nuovi sussulti nei fiati, che accompagnano il solista fino a 35’36”. Qui il violino, ora sostenuto solo dagli archi, attacca una sezione con note ribattute, anche in corda doppia. 

A 35’46” ecco iniziare il Presto che ci conduce al repentino schianto conclusivo. 
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La bella Francesca ce lo ha porto mirabilmente, mettendone in risalto la grande nobiltà dei temi, in specie nei due movimenti lenti. In quelli veloci ha fatto valere le sue eccezionali doti tecniche.

Una prestazione davvero eccellente, salutata dal folto pubblico con grandi applausi. Che lei ha ricambiato, dopo l’impegno proibitivo del Concerto con ben tre encore, aperti da un ossessionato Ysaÿe.
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Ecco quindi la colossale Eine Alpensinfonie. Sui contenuti (naturalisticamente appariscenti o filosoficamente criptati) della quale non mi sto a dilungare, rimandando i curiosi a questo mio ormai lontano scritto di presentazione. Aggiungo solo che lo stesso Strauss, in una lettera ad Hofmannsthal poco dopo il grandioso successo del loro Rosenkavalier, ammise che il poema sinfonico alpestre gli procurava meno eccitazione dello scuotere maggiolini dai rami di un albero! Evidentemente anche le attività più prosaiche mettevano Strauss nelle condizioni ideali per creare grande musica!  

Musica che laVerdi ha eseguito in passato solo una volta (stagione 2006-7). Come detto, qui viene suonata da un organico derivato dall’assemblaggio di due compagini sinfoniche, in modo da rispettare (e forse nemmeno al 100%!) le prescrizioni dell’autore in fatto di strumentisti. Palco quindi affollato come non mai. Apprezzabile l’iniziativa di proiettare passo passo sui due schermi i 22 titoli programmatici delle sezioni del brano, accompagnati anche da fotografie che rimandano alle diverse fasi dell’escursione straussiana.

Bignamini attacca con grande sostenutezza, poi scatena l’orchestra nelle grandi campate sonore che costellano la Sinfonia. Apprezzabile la qualità dell’esecuzione, se si considera che due orchestre si sono dovute fondere, con poco tempo per provare. Gran successo, applausi ritmati per il Direttore, che da parte sua ha fatto alzare le singole prime parti e le intere sezioni per tributare loro il meritato trionfo.

22 aprile, 2017

2017 con laVerdi – 17


Per la seconda volta nella stagione principale il concerto in cartellone vede protagonista una compagine ospite: dopo la Haydn di BZ-TN di alcune settimane fa è la volta di far visita in Auditorium per la Filarmonica Arturo Toscanini, guidata dal suo Direttore Principale, Francesco Lanzillotta.

Mihaela Costea (come si vede, caro DiMaio, dalla Romania non arrivano qui solo badanti e poco di buono...) è il primo violino dell’Orchestra e si esibisce come solista in un Concerto contemporaneo, opera del 79enne John Corigliano, figlio d’arte (il padre fu per anni e anni spalla della prestigiosa NYPO) e autore di musiche da film: dalla colonna sonora - premio Oscar - di uno di essi (The Red Violin) è stato ricavato, per successivi ampliamenti, il Concerto in programma, commissionato a suo tempo dalla Baltimore Symphony Orchestra (allora diretta da Temirkanov) e interpretato in prima nel 2003 da Joshua Bell. Qui lo si può ascoltare da Elina Vähälä con Slatkin.

Prima dell’esecuzione Lanzillotta illustra brevemente e meritoriamente le caratteristiche salienti del brano: opera che contamina il più classico diatonismo e le classiche strutture musicali con stilemi e passaggi di sapore novecentesco, che rimandano alla serialità e alle scuole del dopoguerra. Così troviamo quattro movimenti e l’impiego di un costrutto di ciaccona (sette accordi ascendenti) che permea il primo di essi per tornare poi ciclicamente in chiusura del concerto. Al solista sono riservati i motivi principali, di grande lirismo come il tema cosiddetto di Anna (la protagonista del film) e quello che occupa il poetico terzo movimento, oppure di grande energia e straordinari virtuosismi, come accade per lo Scherzo e l’Accelerando finale. 

Caratteristica del Concerto è la rarefazione del suono: non sono molti i momenti in cui l’orchestra interviene al completo (come il culmine del primo movimento dove la ciaccona e il tema principale esplodono con grande enfasi) per il resto alle evoluzioni del violino fanno da eco sommessi interventi di pochissimi strumenti, ora i legni, ora gli archi, più raramente gli ottoni.

Insomma, un pezzo assai interessante e gradevole, che la bella Mihaela (presentatasi con un lungo e scollato taffetà viola) mostra di padroneggiare alla grande, sia nei passaggi più squisitamente virtuosistici che in quelli dove predominano il lirismo e la cantabilità. Per lei grande successo ricambiato da un bis di carattere patriottico (Enescu).

La seconda parte del programma è occupata dalla celeberrima Settima beethoveniana. Qui la Toscanini si scatena e la wagneriana apoteosi della danza diventa un’autentica orgia di suoni. Al cui interno però spicca mirabilmente l’Allegretto, una parentesi davvero emozionante.

Per Lanzillotta e la sua compagine un successo trionfale in un Auditorium abbastanza affollato, che li attende per la replica domenicale.