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09 marzo, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.15

Tutta America nel Concerto di questa settimana, e giustamente è un’americana di nascita (non di origine) Alondra de la Parra, a dirigerlo, tornando qui dopo la sua ultima apparizione risalente ad una data davvero disgraziata per l’Umanità: lo scorso 7 ottobre!

La serata è aperta da Aaron Copland con la sua Appalachian Spring Suite, precisamente il brano con cui la Direttora aveva esordito qui in Auditorium nel 2021, alla ripresa post-Covid (rimando quindi ad alcune note scritte in quella circostanza).
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Ecco poi Leonard Bernstein e le sue Danze Sinfoniche da West Side Story.

Il famoso musical è una moderna ambientazione (a NewYork) di Romeo&Juliet, con Jets e Sharks ad impersonare Montecchi e Capuleti e Tony e Maria nei ruoli dei protagonisti. La suite, intitolata Symphonic dances, presenta i principali motivi del musical raccolti in nove numeri. (Qui l’Autore in una sua esecuzione del 1985, che possiamo seguire nei dettagli in Appendice.)

Bernstein rappresentò musicalmente l'incompatibilità fra le due gang facendo ampio uso dello sbifido tritono, anche nei momenti più lirici, come il celeberrimo Maria (ne sentiamo il motivo nel 5° e 6° numero, ma con sfumature diverse anche al 2° e 7°) che sale da tonica a dominante passando appunto per la quarta aumentata. Ma nell'Adagio finale (che chiude sia l'Opera che la Suite) troviamo nientemeno che una reminiscenza (nello stesso REb!) del wagneriano tema della Redenzione!

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La serata si è chiusa con George Gershwin e il suo An American in Paris.

Scritto nel 1928 dopo un viaggio nella capitale francese, questo balletto rapsodico subito si presenta con baldanza mista a spensieratezza: è il turista che se ne va a spasso per la città, col naso all'insù e le orecchie tese.

Parigi è una città dal traffico già caotico, e non mancano quindi automobili e taxi che strombazzano allegramente. In mezzo al trambusto arrivano anche le note di una filastrocca (Che cosa importa a me, se non son bella) forse nota altrettanto bene in Italia che a Parigi.

Ora, stanco per la lunga camminata, l'americano si riposa un poco e inevitabilmente sogna il suo paese, e il blues in primo luogo, su un motivo che rimane poi al centro del brano, e che pure lo concluderà. Accanto ad esso però arriva anche un ricordo allegro, il charleston della Louisiana.

Un'ultima veloce scorribanda per le strade della Ville lumière culmina nel Grandioso dove corno inglese, clarinetti e sax contralto ribadiscono per l'ultima volta il tema americano, prima del poderoso accordo di FA maggiore che chiude il brano.
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La simpatica Alondra – ieri il suo fisico da modella abbigliato da moderna sacerdotessa maya - ha saputo cogliere e restituirci il meglio delle tre composizioni: la sognante e arcadica atmosfera dei pionieri di Copland; i ritmi indiavolati della leggendaria Broadway di Bernstein e il multicolore affresco parigino (con ricordi yankee) di Gershwin.

Il suo è stato quindi un gran trionfo con ovazioni e urletti proprio americani di un pubblico entusiasta. Lei ha voluto simpaticamente elogiare e ringraziare l’Orchestra, alla quale (oltre che al pubblico!) ha concesso un meritato bis con il numero di Mambo da WSS.

Dal pubblico le sono stati recapitati mazzi di fiori e mimosa e pure una bandiera tricolore del suo Mexixo, con il quale si è decorata il petto. Insomma, un’autentica fiesta de la Parra
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Appendice. Danze da West Side Story.

1. (10”) Prologue (Allegro moderato). Crescente rivalità fra le due bande (Jets e Sharks).

2. (4’12”) Somewhere (Adagio). Visione onirica della fratellanza fra le due bande. (7’13”) Prima vaga apparizione del tema wagneriano della Redenzione.

3. (8’32”) Scherzo (Vivace e leggiero). Il sogno continua fuori dall’oppressiva città, all’aria aperta e al sole.

4. (10’18”) Mambo (Meno Presto). Si torna al mondo reale e le due gang tornano a fronteggiarsi.

5. (12’37”) Cha-cha (Andantino con grazia). Primo incontro danzante fra i futuri amanti, Tony e Maria (della quale si affaccia, danzante, il tema).

6. (13’37”) Meeting Scene (Meno mosso). Primo scambio di parole fra i due, sul tema di Maria.

7. (14’18”) Cool Fugue (Allegretto). Sempre sul tema di Maria, danza dei Jets per caricarsi alla battaglia contro gli Sharks.

8. (18’02”) Rumble (Molto allegro). Battaglia, in cui restano uccisi i due capi, Riff e Bernard. (19’33”) Cadenza del flauto.

9. (20’10”) Finale (Adagio). Maria introduce una processione che sembra rifarsi al sogno di Somewhere. Tema wagneriano della Redenzione (Götterdämmerung).

14 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 11

La stagione principale è ripresa ieri con il Concerto n°11, diretto da Kolja Blacher. Il quale questa volta si è limitato a calcare il podio, lasciando l’onore del solista di violino a Javier Comesaña, 23enne andaluso in rapida ascesa, dotato di un Guadagnini del 1765.

La prima parte del concerto è riempita da Lenny Bernstein e dalla sua Serenata dal Simposio di Platone, opera del 1954, composta su commissione della Fondazione Koussevitzky e presentata in origine alla Fenice, con l’Autore sul podio e il grande Isaac Stern al violino, accompagnato dalla Israel Philharmonic. Rimando all’Appendice per un’esplorazione più dettagliata dell’opera.

Opera che viene opportunamente introdotta da una simpatica quanto interessante esegesi-parafrasi del Simposio presentata dal grande Massimiliano Finazzer Flory.

Poi arriva Comesaña e sciorina tutta la sua sopraffina tecnica nel porgerci questa musica che mescola tradizione classica con jazz, bachiane cadenze ed atmosfere da musical

E l’ensemble che lo accompagna, sapientemente guidato da Blacher e dal Konzertmeister Dellingshausen, svolge alla perfezione il suo compito, meritandosi convinti applausi dal pubblico non propriamente oceanico (insomma: pochi ma buoni!): sugli scudi in particolare il violoncello di Mario Shirai Grigolato, degno partner di Comesaña nella difficile cadenza di… Diotima. 
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Dopo l’intervallo, ecco la Scozzese di MendelssohnBlacher ne dà un’interpretazione asciutta ma vibrante, che evoca perfettamente le atmosfere ossianiche delle Ebridi, le folate di vento e le mareggiate che costellano l’iniziale Allegro un poco agitato. Fausto Ghiazza arabesca da par suo le acrobazie del clarinetto nel Vivace non troppo. Mirabile la resa della struggente melodia dell’Adagio, e poi trascinante l’Allegro vivacissimo, chiuso infine dalla vittoriana apoteosi.

Grande successo per tutti, e Insomma ancora una gratificante serata di musica.
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Appendice: la Serenade dal Simposio.

Queste le note introduttive al lavoro redatte dallo stesso Bernstein:

Nel Simposio di Platone si celebrano le magnifiche e progressive sorti dell’Amore. La Serenade è strutturata in cinque parti che ripercorrono, senza rispettarne rigorosamente la sequenza, i lavori del Simposio (che fu in realtà una prosaica mangiata e soprattutto… bevuta) evocando i principali interventi di sette dei convenuti, i cui nomi compaiono in testa a ciascun movimento del concerto.  

Bisognerebbe entrare nella mente di Bernstein per cogliere le oscure sensazioni da lui provate alla lettura del Simposio e poi dalla sua penna tradotte in musica. Le note lasciate dal compositore e riportate più sopra furono in realtà redatte a-posteriori, e chiariscono più che altro le relazioni di carattere musicale fra i diversi movimenti del concerto. Questa è comunque musica che si può apprezzare anche senza necessariamente rifarsi al platonico testo

Orchestra poco più che cameristica, con totale assenza di fiati: al corpo degli archi si aggiungono l’arpa e una nutrita schiera di percussioni.

Proviamo ad esplorarla inquesta esecuzione (1986) della LSO con Gidon Kremer, guidati dall’Autore.

I Lento – Allegro [Phaedrus-Pausanias] 

Abbiamo qui l’inizio delle… ostilità de simposio, artefici Fedro cui risponde Pausania. Il violino solista introduce, in tempo Lento, il delicato tema di Fedro, l'amore descritto come il dio più antico. L’inciso a (soprattutto nella forma a’) ricorda da vicino un motivo che compare (e poi ne costituisce parte rilevante) nell’Andante della Sesta di Mahler. Un altro (b) anticipa scopertamente (salita da tonica a quarta aumentata e poi alla quinta) l’appassionato Maria! di West Side Story:

Il tema (fugato) viene ripreso a canone (1’02”) dai primi violini, quindi (1’55”) irrobustito dall’ingresso delle viole e infine espanso al massimo grado (2’48”) da quello dei bassi, che reiterano enfaticamente l’inciso b, ulteriormente marcato dagli schianti del piatto sospeso e con il tempo che accelera vistosamente per preparare la… replica di Pausania.

 

Dopo questa Introduzione, passiamo al corpo si questo movimento, che possiamo definire di spuria forma-sonata: il solista vi presenta per due volte i due temi (T1 e T2) di Pausania, sempre variati e intervallati da opportune transizioni. Una coda (con lacerti dei due temi) chiude poi il movimento.

 

Il tempo passa in Allegro marcato (2’58”) dove viole e celli sembrano proprio riprendere il discorso di Fedro, cui il violino solista Pausania (3’03”) comincia ad… obiettare, limitandosi per ora ad esporre (quasi timidamente e un tono più sotto di quando arriverà il momento) la cellula iniziale (c) del suo secondo tema. Ma per ora il suo primo intervento (e relativo tema T1) non fa che riprendere il motivo a di Fedro per discettarci sopra ampiamente:



Gli archi per un po’ lo seguono pazientemente, fino però a sbottare (3’22”, supportati anche da arpa, glockenspiel e tamburi) in una vivace contestazione, con successivo e ripetuto botta-e-risposta con l’intervenuto:



Questa transizione porta (3’44”) all’esposizione nel violino solista della sua compiuta visione dell’amore (tema T2) a partire dalla cellula c, alzata di un tono intero (il nostro ha preso coraggio!) rispetto al suo iniziale apparire:













Questo secondo tema contrasta nettamente con il primo, presentandosi irregolare e guizzante, come testimoniano le ricorrenti acciaccature (d): se Fedro ha santificato l’amore, Pausania si occupa dell’amato, perché no, anche sul piano… omosessuale (sappiamo come questo aspetto fosse caro a Bernstein…)


Una nuova – diversa, trionfale, che riprende una parte del tema T2 - irruzione degli archi (4’30”, con arpa e percussioni) sembra voler irridere Pausania, che è costretto a difendersi citando ancora Fedro (motivo a). Dopo un momentaneo rallentamento, riprende il tempo Allegro (4’49”) con l’orchestra che induce Pausania a tornare al tema T1.

 

Si ripete la prima irruzione degli archi (5’12”) cui Pausania risponde (5’27”) con la riproposta del suo tema T2, che stavolta però scende (forma-sonata?) di una quinta giusta, partendo dal SI sotto il rigo!


Torna (6’12”) la seconda, trionfale irruzione degli archi (con rintocco di campana!); archi che poi (6’30”) innescano la coda, evocando una caotica diatriba fra le posizioni di Fedro e Pausania, con i due temi che sembrano schizzare qua e là. Finchè (6’51”) è una versione distorta del tema T2 (con fuoco) a tagliar corto alla discussione!


II Allegretto [Aristophanes]

Si noti che Bernstein qui non rispetta la sequenza degli interventi come esposta da Platone (nel Simposio è Erissimaco a parlare prima di Aristofane il quale, con una scusa, salta il suo turno e parla dopo, criticando sia Pausania che Erissimaco). Il movimento – senza interventi delle percussioni - alterna un tema languido, femminino, e uno secco, mascolino: un modo intelligente per presentarci poeticamente il mito dell'andrògino, caro ad Aristofane. Sono i violoncelli (7’10”) ad introdurre il primo tema (T3) esposto dal solista:

Si notino le acciaccature (d, caratteristiche del tema T2 di Pausania) che si ripeteranno anche nel seguito del brano. Gi archi riprendono il tema modulando sottilmente (per 29 battute compaiono ben 7 diesis in chiave!) mentre il violino solista si abbandona ad una melopea che richiama -largamente – anche l’inciso a di Fedro.

Un nobile motivo (e, cantando) viene esposto (8’30”) a canone da celli e viole:

Esso fa da ponte verso l’esposizione (9’01”, scherzando) del secondo tema (T4) di Aristofane, nettamente contrastante con il primo, preceduto da un motivo (f) che il solista riprende dagli archi:

L’esposizione di T4 è chiusa dal solista (9’27”, poco largamente) con la ripresa del motivo e, poi tornato anche negli archi. I quali (9’54”) ripropongono anche il motivo f, subito imitati dal solista.

Ci si avvia ora alla conclusione: si odono (10’10”) lacerti del tema T3 nel solista e – assai enfatizzati (10’39”) - negli archi e arpa, poi la melopea del solista (10’54”), accompagnata da timidi interventi di archi e arpa, che sembra svanire nel nulla.

III Presto [Eryximachus]

Erissimaco è un medico, ma possiede anche grandi conoscenze musicali e il suo è un appassionato intervento in favore dell'armonia, nel corpo come nello spirito. In questo brevissimo movimento (poco più di 100 secondi) il solista propone delle idee e l'orchestra, con sonori interventi delle percussioni, risponde sempre e perfettamente a tono.

La prima battuta (11’42”) è suonata da archi, xilofono, timpani e tamburino: presenta con gran vigore l’inciso g che diventerà protagonista di uno degli interventi del medico, per poi chiudere (nelle sole percussioni) il movimento.  Si noti l’ascendenza all’inciso c di Pausanias:

Il solista espone subito il suo tema (T5) di svolazzanti semicrome:

Tema che evidentemente attira subito l’attenzione - e il massimo interesse - dei presenti: e così l’orchestra (11’50”) commenta vivacissimamente questo primo intervento del medico-musicista:

Si noti come l’organico suonante si irrobustisca via via (divisione dei violini I e II, verso la fine anche delle viole) il che sembra evocare il progressivo associarsi di voci di commensali ai commenti e alla discussione! Cosa confermata da come violini I e !! si dividano le parti (metà battuta a testa).

Il giochetto si ripete subito: il solista (11’57”) propone il tema T6 (variante del T5):

e l’orchestra (12’01”) risponde sempre allo stesso modo, ma stavolta chiudendo con lo sberleffo g. 

Ora il solista (12’06”) riprende il tema T5 (sottilmente variato) a cui appende (12’11”) una cantilena ostinata sull’inciso g!

Il quale passa ora (12’16”) a violini e viole, che lo reiterano mentre il solista guida una transizione, sempre in semicrome, poi progressivamente allargando i tempi, con l’orchestra che lo contrappunta con il tema T5.

Ancora un passaggio (12’32”) veloce del solista, sottolineato dal motivo g nei violini e lacerti del tema T5 negli archi bassi. Quindi (12’37”) tutti gli archi, in fortissimo, ripetono la loro risposta al tema T5, chiusa dall’inciso g.

Ci si avvia ora alla conclusione (12’46”) con il tema T6 nel solista, subito rimbeccato (12’50”) dall’orchestra; segue nel solista (12’54”) il tema T5. Xilofono, triangolo e piatto sospeso mettono il sigillo con l’inciso g.

Non c’è che dire… Un’efficacissima narrativa di dialogo fra un singolo e una muta di interlocutori!

IV Adagio [Agathon] 

Agatone descrive l'Amore come il più buono e bello e giovane di tutti gli dèi. E Bernstein ci costruisce un mirabile adagio (anzi, se si esclude un centrale climax, con prolungato rullo di timpano, quasi un… adagietto mahleriano!) dove agli archi si aggiungono spesso l’arpa e i sommessi tocchi di timpano.

 

La struttura del movimento si può così schematizzare:

 

- Presentazione del tema T7, suddiviso in tre parti: T7aT7b - T7c;

- intermezzo orchestrale e climax;

- cadenza solistica;

- ripresa parziale del tema T7: T7aT7c;

- coda.


Caratteristica peculiare del brano è il richiamo scoperto all’inciso a di Fedro, che compare fin da subito (13’24”)font-size: 12pt; proprio nella prima battuta, in violini I e celli, ad introdurre e poi accompagnare il canto del solista:


Solista che espone ora la sua nobile e lunga melopea (tema T7):



Al T7a succede (14’23”) il T7b, poi (14’57”) il T7c.


Dopo due battute di ponte, ecco la sezione centrale (15’47”) riservata ad archi e timpani, dove fa ancora capolino l’inciso a di Fedro e che si chiude (16’55”, Largamente) con un climax dal quale prende avvio la Cadenza solistica:


Al termine della quale (18’28”) il solista ripropone, salvo la battuta iniziale, il tema T7a (con l’inciso a a far capolino negli archi) e poco dopo (19’01”) il tema T7c.

Sei battute (19’34”) in ulteriore rallentando, con il solista a tenere un lungo LA e archi e arpa ad emettere spizzichi dell’inciso a chiudono l’accorato intervento di Agatone.

V Molto tenuto - Allegro molto vivace [Socrates - Alcibiades]

Socrate è introdotto, in tempo sostenuto, dall'intera orchestra, che lascia poi spazio al solista, concertante con il violoncello: è la nobile perorazione del filosofeggiare di Diotima di Mantinea. Poi arriva Alcibiade, ubriaco, e l'orchestra infatti dà in escandescenze, con le percussioni a contrappuntare rumorosamente il solista.

Molto tenuto. I soli archi (con iniziale rintocco di campana) espongono (20’23”) il nobile tema (T8) di Socrate (in figura solo la parte dei primi violini):

Ora (21’59”) il violino solista e il primo violoncello, a canone, espongono, a mo’ di cadenza, la filosofia di Diotima (l’Amore è un dèmone, né divino né umano):

Il solista riprende poi (23’14”) il tema di Socrate, variandolo (T8a) sia nella tonalità che nella struttura, accorciata e modificata nella parte finale per prefigurare il… putiferio che si annuncia:



2. Allegro molto vivace. È l’irruzione nel simposio di Alcibiade ed altri ubriaconi. Bernstein lo cataloga come un (in realtà eterodosso) Rondò. Si può schematicamente suddividere così:

- Introduzione: è puramente orchestrale, aperta da due schianti (24’37”), e anticipa alcune caratteristiche ritmiche (tipicamente jazzistiche) del brano e uno dei temi (T9) che tornerà nel seguito.

- sezione A: è proprio il tema T9, assai melodico, che viene ripreso (25’18”) e poi ampliato dal solista (vi fa capolino anche l’inciso a di Fedro):

Il quale poi lo completa (25’31”) con un passaggio improvvisamente più nervoso, per poi zittirsi mentre l’orchestra (25’42”) gli risponde con un tema (TA) che ha il sapore proprio di una danza da un musical di Broadway:

Tema ripreso subito (25’48”) dal solista, che poi prosegue la sua melodia, finchè (26’16”) accompagnato dall’orchestra, non ne presenta una variante ancor più smaccata (TAb), cui segue una nuova scorribanda (proprio da musical) che poi sfuma, portando a chiudere questa sezione.

- sezione B: (26’51”) dopo un iniziale esplosione, sembra occupata (26’58”) da una pausa del frenetico vociare precedente, con solista e orchestra che paiono smozzicare frasi sconnesse e poi sonnolente; ma (27’35”, Agitato) ecco ripartire l’allegra goliardata di Alcibiade&C, con grandiosi e frenetici passaggi sincopati.

- sezione C: ripropone (28’09”) pari-pari la sezione A.

- Coda: è il solista (29’45”) a dare il via alla parte conclusiva del simposio, con il tempo che gradatamente accelera e il suono dell’orchestra (30’01”, Presto vivace) che si ispessisce sempre più. Ricompare anche (30’17”) il pacchiano tema TAb, poi (30’40”) il solista si imbarca in un travolgente passaggio in semicrome che culmina nella precipitosa chiusura.

01 giugno, 2018

laVerdi 17-18 – Concerto n°29

                                           
Il terz’ultimo concerto della stagione principale ci porta in America attraverso un programma incentrato su due dei massimi compositori del ‘900 statunitense: George Gershwin e uno dei suoi più titolati interpreti, Lenny Bernstein. A proporcelo è una premiata coppia di (ancor) giovani ma già collaudatissimi musicisti italici: Jader Bignamini sul podio e Roberto Cominati alla tastiera. Auditorium piacevolmente affollato.

Si apre con il Divertimento for Orchestra, commissionato per celebrare il centenario della Boston Symphony (1980) a Bernstein, che era proprio di casa a Tanglewood, dove sorge il Music Center della BSO. Ora, la sigla BC (Boston Centenary) in musica (anglosassone) sta per SI-DO, e queste due note diventano la sigla dell’opera, suddivisa in 8 brani, infarciti di citazioni più o meno scoperte di musiche famose e/o dello stesso Autore.

I - Sennets & Tuckets sono due termini coniati in Albione ai tempi di Shakespeare, traducendo onomatopeicamente (e maccheronicamente) Sonata e Toccata. Bernstein ci mette ritmi sincopati e grande uso di percussioni e batteria, oltre ad una reminiscenza straussiana (il Till).

II – Waltz dovrebbe essere un walzer, ma è una cosa dall’andamento assai bizzarro, irregolare, anche se delicatissimo. Perché è scritto in 7/8, tempo invero inconsueto (ma anche Ciajkovski nella Patetica aveva usato lo sghembo 5/4).

III – Mazurka, contrariamente a ciò che si può immaginare, è in tempo lento, affidata soprattutto agli strumentini. Vi sentiamo l’oboe suonare un inciso della quinta beethoveniana.

IV – Samba: qui ci siamo proprio, rispetto al titolo, e si scatenano tromba, trombone e caraibiche percussioni, mentre reminiscenze di musical dell’Autore si fanno distintamente riconoscere.

V – Turkey Trot, una divertente parodia del fox-trot, richiama abbastanza scopertamente America da West Side Story.

VI – Sphinxes, sfingi è un breve movimento lento, oscuro, impenetrabile, che rimanda allo schumanniano Carnaval.

VII – Blues prolunga l’atmosfera pensosa del brano precedente, su stilemi chiaramente jazzistici.

VIII – In Memoriam; March “The BSO forever”. Dopo un doveroso omaggio ai padri fondatori della BSO, ecco il panegirico che ricorda parodisticamente... Radetzky, ma sembra anche portarci – con Nino Rota - al circo felliniano!

LaVerdi ha ripreso questo brano dopo più di otto anni (allora con l’apprezzato Marshall) e Bignamini ce lo ha riproposto con immutata verve e totale coinvolgimento.  
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Ora è la volta di Roberto Cominati a cimentarsi con il Concerto in FA di Gershwin. Tenendo prudentemente lo spartito nella cassa del pianoforte (ne girerà le pagine tre volte in tutto) il nostro pianista volante ne dà una lettura asciutta, forse poco appariscente, ma il risultato alla fine è sempre di tutto rispetto, come certificano le ripetute chiamate del pubblico per solista e direttore.
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Dopo la pausa Cominati (sempre con spartito a portata d’occhio) è ancora protagonista con la celebre Rhapsody in Blue, che è dichiaratamente un pot-pourri di motivi sapientemente accostati e variati, dove il jazz la fa da padrone, ma dove (Andantino moderato) emerge anche un cantabile che sarebbe stato bene in bocca a Sinatra.

Strepitosa l’esecuzione di solista e orchestra (forse Bignamini ha esagerato con i decibel, coprendo talvolta il suono della tastiera) che trascina il pubblico all’entusiasmo.
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Entusiasmo che sfocia quasi in delirio dopo l’esecuzione della Suite da Porgy and Bess, predisposta da Robert Russell Bennett. È un brano puramente strumentale, mentre tempo fa avevamo ascoltato l’altra Suite, quella più corposa, che include anche le voci (solisti e coro).

I più celebri motivi dell’opera - dall’iniziale Summertime al conclusivo Oh Lawd, I’m on my way - sono qui sapientemente impacchettati in un mirabile bigino che Bignamini (ha diretto tutto il concerto a memoria!) ha valorizzato al massimo, con sincopati e rubati mozzafiato.

Cosa pretendere di più... visto che nel frattempo a Roma qualcuno si degnava di darci un Governo, per il quale proporrei proprio la rassegnata filosofia dello sfigato Porgy: I got plenty o' nuttin', an' nuttin's plenty fo' me.