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07 giugno, 2025

La seconda giornata del Ring di McVicar alla Scala.

La nuova tappa verso l’agognata meta (marzo 2026) delle due rappresentazioni del ciclo completo del Ring arriva ora alla Seconda giornata (Siegfried). Ieri la prima rappresentazione, in un teatro affollato ma non troppo, ecco.

Prima dell’inizio, a luci in sala già spente, sul sipario rigido vengono proiettate scritte con il NO alla guerra e il SI alla pace, con il nobile, ecumenico appello di... Simon Boccanegra. Servirà a qualcosa? 

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Qualcuno ha azzardato una similitudine, in fatto di contenuti musicali, fra le quattro parti del Ring e gli altrettanti movimenti di una sinfonia (e infatti si dice anche che Wagner abbia portato la sinfonia nell’opera…) Siegfried assumerebbe quindi, perlomeno in analogia alla sinfonia beethoveniana (e post-) la posizione e il ruolo dello Scherzo. Il più illustre esegeta italiano del Ring, Teodoro Celli, così si esprimeva in proposito nella sua memorabile Guida all’ascolto del 1983:

Ma naturalmente si potrebbe anche associare la quadripartita forma del Ring alle quattro stagioni: partendo dal Rheingold visto come il crudo Inverno dell’Universo; passando poi a Walküre come la promettente Primavera; quindi a Siegfried, la calda Estate; e per finire con Götterdämmerung, l’Autunno che prefigura il ritorno alla stagione fredda, dove tutto lentamente muore per prepararsi ad un nuovo ciclo di vita…

E, perchè no, a proposito di vita, anche alle fasi dell’esistenza di ogni creatura vivente, che viene faticosamente alla luce, poi si sviluppa, quindi esprime il massimo delle sue potenzialità, per poi lentamente avviarsi al suo inevitabile tramonto, con prospettive consolanti o disperanti…

È ovvio che questi raffronti lasciano il tempo che trovano, se non altro perché le dimensioni stesse del mostro wagneriano impediscono di poterne cogliere l’intero panorama in un sol colpo d’occhio e in una sola esperienza, nemmeno mettendosi per 15 ore consecutive ad ascoltarlo da cima a fondo… e peggio ancora quando le quattro parti sono messe in scena separatamente e a distanza di mesi (o anni!) E poi, la stessa materiale estensione temporale della composizione del tutto rende inevitabili piccole o grandi mutazioni nello stile compositivo di Wagner.

Resta comunque possibile, prendendo a testimone Verdi, individuare anche in Wagner quella che il Peppino definiva come la tinta di ogni sua opera. E da questo punto di vista certamente si può concludere che Siegfried sia, musicalmente, davvero un’opera solare.

E quindi: come ce l’ha proposta, la simpatica Simone Young? Una confortante testimonianza tecnologica ci veniva dallo scorso Festival wagneriano, dove la Young ha esordito - dopo decenni di gavetta - proprio con la direzione del Ring, con cast (quasi del tutto) diverso da quello scaligero. Ieri la Direttrice aussie mi è parsa apprezzabile nell’approccio all’agogica, e un  po’ sopra le righe nelle dinamiche, spesso fin troppo invadenti. Il che ha messo in risalto la splendida forma dell’Orchestra, facendo uscire dalla buca travolgenti fiumi sonori (memorabile il corno di Giovanni Emanuele Urso!); suoni che hanno magari penalizzato le voci, ecco.

Michael Volle, è stato ancora una volta un Wotan all’altezza del ruolo: gli anni si fanno sentire, ma la voce… pure, in senso positivo, ovvio!

Siegfried è Klaus Florian Vogt, che canta benissimo con la sua voce di tenore… lirico. Chi si aspetterebbe il classico Heldentenor magari storce il naso. Ma ci dobbiamo accontentare e forse pure abituarci.

Benissimo la Camilla Nylund, una convincente Brünnhilde, capace sempre di emozionarci: per la sua trasformazione nella Walküre e qui per la sua sofferta, ma alla fine convinta, accettazione del suo status di donna.   

Ottima ancora la prestazione di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, un Mime esemplare per canto e presenza scenica. Il fratello cattivo Alberich è un Ólafur Sigurdarson che (come in Rheingold) è eccessivamente caricaturale, ma vocalmente apprezzabile.

Onesta la prestazione del drago Fafner, un Ain Anger un po’… leggero da vivo, con i tritoni poco efficaci, ma meglio da moribondo, quando torna al classico diatonismo.

Bene anche la Erda di Christa Mayer, che resiste come può agli strapazzi di cui la fa bersaglio l’ingrato Wotan.

Piacevole sorpresa l’uccellino di Francesca Aspromonte, voce penetrante (e non… pigolante) che peraltro il regista ha sempre fatto cantare ben in primo piano e non, come accade spesso, appollaiata in qualche remoto angolo della torre scenica.

Per tutti i musikanten alla fine solo applausi, ovazioni e trionfo pieno.

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McVicar. Come nei due precedenti drammi, la sua impostazione scenica è piuttosto minimalista, con poco più dell’essenziale. Tuttavia mi è parsa complessivamente efficace.

Nel primo atto la stamberga di Mime è assolutamente realistica, con la forgia, il mantice e tutti gli attrezzi necessari, il che ci permette di seguire perfettamente tutto il complesso processo di rifusione e ricostruzione della spada. Un paio di trovate sono da segnalare: Mime che si traveste da megera quando deve spiegare a Siegfried di essergli anche madre, oltre che padre (poi si abbiglierà da regina al momento di esultare per la prossima riuscita del suo piano). Poi la veste di Sieglinde che lui mostra a Siegfried quando gli descrive la sua nascita; veste che poi Wotan – alla seconda domanda che indirizza a Mime - ritrova e stringe al petto in commosso ricordo della figlia!

Nel secondo atto la scena è più spoglia (un paio di alberi e poco più) per accogliere Alberich, vestito da sovrano spodestato che trascina un carretto con le sue povere cose, inclusa una corona dorata; e Wotan che arriva per organizzare la pantomima con Fafner. Scena che poi si svuota proprio all’uscita del drago, una specie di enorme ragno teschiuto manovrato da comparse, finchè è vivo. Poi, trafitto al cuore da Siegfried, si ritira sul fiondo e al suo posto compare… Ain Anger a far la figura del… moribondo. L’uccellino è un gallinaceo-giocattolo, a volte manovrato dalla Aspromonte e altre fatto svolazzare qua e là da una comparsa munita di lunga pertica: come detto, ciò consente alla cantante di farsi ben udire da tutti.

Nel terzo atto la scena si riduce alla presenza di un globo terracqueo dietro al quale compare Erda per il suo confronto con il padre delle sue numerose figlie… Poi la scena viene quasi totalmente chiusa da una grande quinta che lascia solo intravedere un ambiente infuocato. Wotan e Siegfried si incontrano, e scontrano, solo al proscenio. Per la terza e conclusiva scena tornano l’enorme testa supina di Erda e la manona (una delle tre comparse nel Rheingold) che nella Walküre era servita come letto su cui adagiare Brünnhilde. Che ora viene svegliata dai ripetuti baci di Siegfried per dar poi luogo al travologente finale, con lucente amore e ridente morte.

Insomma, una messinscena che personalmente tendo ad apprezzare, come onesto compromesso fra un frusto tradizionalismo e tante astruse ambientazioni moderne. Qui il pubblico si è diviso fra applausi e qualche contestazione. Ma in complesso direi che questa tappa del lungo viaggio sia stata un buon… passo avanti.


30 luglio, 2014

Bayreuth: Siegfried… invecchia


Rispetto al 2013 – se si esclude la sostituzione di Alberich (ieri Martin Winkler, oggi Oleg Bryjak, che ce la mette tutta per non farlo troppo rimpiangere) – questo Siegfried è parecchio… invecchiato. Ma al contrario della classica gallina, col passar degli anni il capponcello Lance Ryan produce un brodo sempre più indigesto; se aggiungiamo che Wolfgang Koch e Catherine Foster ancora non si sono operati alle corde vocali (e quindi i loro Wotan e Brünnhilde sono da caricatura) abbiamo un quadro invero desolante. A poco servono le prestazioni dignitose (non più) del Mime di Burkhard Ulrich, della Erda di Nadine Weissmann, del Fafner di Sorin Coliban e dell’Uccellino di Mirella Hagen per sollevare il livello invero modesto della recita.

Petrenko tiene sempre tempi spediti (qui 75-70-80 minuti): la sua è una direzione che raggiunge discrete altezze quando di mezzo c’è solo l’orchestra (sempre eccellente) di Bayreuth (vedi il Prologo dell’atto terzo, davvero emozionante); per il resto, con questo cast, è frustrante ricerca di cavar sangue dalle rape. Credo proprio che i consistenti buh finali non fossero indirizzati soltanto al regista…

29 luglio, 2013

Bayreuth 2013: Siegfrid…icolo


Davvero modesto questo Siegfried del bicentenario. Si salvano a fatica dal naufragio Petrenko, che stasera ha fatto appena dignitosamente il suo compitino, Martin Winkler che non ha rovinato la… reputazione di Alberich, la Erda di Nadine Weissmann e Burkhard Ulrich, un Mime passabile anche se eccessivamente macchiettistico.  

Lance Ryan è largamente peggiorato rispetto alle recenti esibizioni scaligere, quindi è sceso abbondantemente sotto la sufficienza. Catherine Foster è una Brünnhilde al limite della caricatura e Wolfgang Koch un Wotan in sedicesimo.

Fafner (Sorin Coliban) e l’Uccellino (Mirella Hagen) da minimo sindacale.

Castorf – a sentire i testimoni oculari – ha fatto un po’ di propaganda al vecchio e decrepito socialismo reale, dove lui è felicemente cresciuto: i quattro di Mount Rushmore erano tipicamente effigiati nei rossi distintivi che si vendevano durante la guerra fredda in tutti i Beriozka di oltrecortina.

Mercoledi brucia Wall Street, con dentro tutto questo caravanserraglio.  

28 giugno, 2013

Un po’ di Bayreuth a Milano (3)


Un gran temporale (più adatto per la verità allo scenario della Walküre…) scatenatosi su Milano a metà pomeriggio – proprio durante la consueta ed efficace presentazione di Elisabetta Fava - ha introdotto la seconda giornata del Ring scaligero.

Essendo stato dato lo scorso novembre, nel quadro della quadriennale programmazione, del Siegfried si aveva un ricordo ancora abbastanza a fuoco e la presenza dello stesso cast di allora (Uccellino escluso) ha anche permesso di fare qualche confronto a distanza.

Ovviamente le bizzarrìe della regìa sono rimaste tutte al loro posto e non mette conto rigirare il coltello nella piaga. Meglio – a mio personale giudizio – le cose sono andate sul fronte della musica, pur con qualche evidente scompenso.

Barenboim ha un filino esagerato con i tempi, estremizzando lentezze e vivacità: già nella scena della riforgiatura di Nothung e soprattutto poi nel viaggio di Siegfried attraverso il fuoco, dove il tempo era proprio quello di uno che corre all’impazzata per non… scottarsi (smile!) L’orchestra ha avuto qualche sbandamento, come ad esempio nel Preludio del terzo atto, dove per un po’ la voce di tube e fagotti è sembrata scomparire. Poi mi chiedo come mai il corno di Siegfried (parlo del momento topico del second’atto) fosse dislocato al Cordusio invece che in prossimità della scena: si vedeva Siegfried soffiare poderosamente nel suo strumento al proscenio, mentre il suono pareva arrivare dall’aldilà… Come già nella precedente edizione (sarà colpa di Cassiers o di Barenboim?) l’interprete dell’Uccellino, invece che in alto (che so, in uno dei palchi, oppure appesa a qualche trespolo) era dislocata in buca, ottenendo l’effetto comico di un volatile che canta in un pozzo… Alla conclusione del primo atto manca del tutto l’effetto-sorpresa della Nothung che infrange l’incudine: qui per responsabilità soprattutto del regista, ma forse un po’ anche del maestro, che scatena le trombe e poi tutta l’orchestra, coprendo del tutto il RE dello Schwert di Siegfried. Ma anche poco prima lo straordinario effetto delle linee di Siegfried e Mime era stato rovinato dall’assurda postura richiesta al nano, fatto appendere braccia e gambe ad una sbarra orizzontale: la sua voce proprio non si sentiva.

Per il resto buone notizie: Ryan – a parte un paio di calate – ha confermato la sua capacità di tenuta fino in fondo (forse ha dato tutto sapendo che nella Götterdämmerung verrà sostituito!); la Theorin è decisamente più in palla di quanto non fosse al suo debutto lo scorso novembre (lo si era già notato fin dal recente Crepuscolo, oltre che dalla recentissima Walküre); anche la Larsson è stata un’Erda più accettabile, anche se non indimenticabile, rispetto a 7 mesi fa. Note assolutamente positive per Kränzle, credo il migliore nel complesso (e di certo non mi aspetto di essere smentito domani) ma anche per il solido veterano Stensvold, di sicuro il più convincente (tutto è relativo…) dei tre Wotan passati di qui in altrettante serate. Così dicasi di Bronder, un Mime efficace nel canto e nella recitazione (a dispetto di… Cassiers). Senza infamia, ma con poca lode Tsymbalyuk, un Fafner che non fa paura (smile!) Mari Eriksmoen ha fatto bene la sua parte ornitologica, e non è certo colpa sua se doveva cantare da una fossa invece che da una fronda.     

In definitiva, che dire? Personalmente l’emozione che provo ascoltando musica come questa potrebbe essere rovinata solo da interpretazioni davvero sciagurate; in questo caso Wagner è stato messo in condizione di fare in pieno il suo dovere!


Oggi riposo – per gli addetti – e maratona cinematografica per i… paganti.

19 novembre, 2012

L’ultimo Siegfried chiude la stagione 11-12 della Scala


Il Turno B mi ha riservato l’ultima (che doveva essere la più buona… o no?) delle rappresentazioni scaligere del Siegfried dell’improbabile accoppiata Barenboim-Cassiers (da esperto masochista ho già da tempo sottoscritto un bronze per il ciclo del Ring del prossimo giugno, smile!)   

Chiusura con alti e bassi, un po’ lo specchio dell’intera stagione. Alti rappresentati (una volta tanto) dall’Orchestra (e relativo Direttore) che si è ben portata in tutti i reparti. Bassi dall’allestimento invero… inverecondo.

La novità-sorpresa della penultima ora era rappresentata da Brünnhilde: basta con Nina Stemme e sotto un’altra, tale Irene Theorin, che già è scritturata per impersonare il ruolo nella prossima Götterdämmerung e nei due cicli del Ring di giugno 2013 (ma c’è assai tempo – speriamo, smile! - per rinunce, certificati medici o gravidanze). Fatto sta che la bionda cinquantenne svedese è stata l’unica destinataria di isolati ma chiari buh recapitati dal loggione. Contestazioni forse un tantino eccessive, ma direi non proprio ingiustificate: voce con eccessivo e sgradevole vibrato negli acuti e quasi inudibile nei gravi (e meno male che nel Siegfried canta solo nell’ultima scena!)

Lance Ryan è andato decisamente meglio, mostrando una buona capacità di distribuire le… energie, con la quale forse camuffa qualche magagna nel suo Siegfried: intanto è arrivato in fondo senza andare in riserva, ed è già qualcosa.

Il Wotan di Terje Stensvold è di quelli da sano teatro di repertorio: gran mestiere (accumulato in anni di carriera) e nessun volo pindarico, insomma una prestazione dignitosa.

Ottimo l’Alberich di Johannes Martin Kränzle, direi il migliore della compagnia, per quanto abbia una parte non proibitiva.

Si è salvato anche il Mime di Peter Bronder, discreto anche dal lato macchietta.    

Un disastro Anna Larsson (Erda) cui i buatori della Theorin han fatto gentilmente lo sconto del 100% (smile!)

Senza infamia, ma con scarse lodi il Fafner di Alexander Tsymbalyuk, che non saprei dire se fosse peggio qui o nel recente Sparafucile…

Ha fatto onestamente la sua parte Rinnat Moriah come Uccellino. Domanda: ma a Bayreuth la cantante-volatile la sistemano per caso giù nell’Orchestergraben? Fatto sta che qui era dislocata sotto la porticina di destra dell’ingresso in buca: insomma un uccello appollaiato… in fossa. Il colmo del ridicolo però è che sul palco si aggirava una sua controfigura, sempre alle costole dell’ignaro Siegfried: evabbè… 

Qualcuno dovrebbe sporgere denuncia - per dissipazione e scempio di risorse pubbliche – contro l’allestimento di Guy Cassiers  e compagni (fossimo in Francia si beccherebbero subito l’appellativo di petit-belge): una cosa indegna, un misto di ignoranza crassa, puerilità e invenzioni da bastian-contrario.

Scene orripilanti (la fucina di Mime, roba da manicomio) o del tutto vuote (strisce penzolanti a far da alberi, che se tornasse in vita tale Adolphe Appia si armerebbe di bazooka) fondali con proiezioni anonime e banali; costumi strampalati (non si irrideva sempre alle pelli e alle corna? ecco, qui pelli e piume abbondano: Siegfried, Wotan ed Alberich parevano altrettanti Papageni…); Erda e Brünnhilde con vestiti da oviesse (con tutto il rispetto) direttamente sfocianti in chilometrici tendaggi.

E poi trovate bambinesche e gratuite: Mime appeso come una scimmia nel finale atto I; Wotan che precede Alberich a Neidhöhle nell’atto II; Alberich che fa il gesto di strappare la lancia a Wotan; il drago impersonato da 5 mimi nascosti da un lenzuolo; Fafner che torna essere umano (chissà perché Wagner invece l’ha lasciato drago, anche da morto?); i 5 mimi di cui sopra che si armano di spade e mimano… Mime (formando con le armi anche una stella a 5 punte, proprio BR doc… roba da galera); Mime che si auto-trafigge scagliandosi sulla Nothung; dell’Uccellino in buca ho già detto; per finire con Siegfried che strappa il cappello a Wotan per ispezionargli l’occhio.

Amen.

31 luglio, 2009

Il Ring di Bayreuth09 (III)

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Siegfried

Se per Rheingold avevo scritto di un discreta (quasi buona) torta, guarnita con qualche ciliegina acida, per questo Siegfried - ahimè – mi sa che devo ribaltare le proporzioni, giacchè le manchevolezze sono state tante e tali da superare le pur lodevoli qualità di fondo. Insomma, il pan di spagna della base è ben cotto, ma quasi tutte le ciliegine sono andate a male, la panna è in viraggio al rancido e il cioccolato sa troppo di vegetale…

Wolfgang Schmidt si era evidentemente ben mimetizzato nel Rheingold, uscendone senza troppi danni. Qui, dove per due atti la deve fare da protagonista: un disastro! Mime sarà pur un personaggio spregevole, e la sua parte fu certo scritta da Wagner per esaltarne questa miserevole dote, ma – vivaddio – è pur sempre una parte da cantare! Invece Schmidt ha quasi sempre berciato, urlato, emesso gridolini e risolini, lamenti, miagolìi e altri rumori vari. Tanto per esemplificare, basterà tornare con l’udito alla scena del battibecco con Alberich del secondo atto per capire la differenza che intercorre fra cantare (come ha magnificamente fatto Andrew Shore) e vociferare. Chissà, forse il nostro si è voluto vendicare per esser stato declassato dal ruolo di Siegfried – da lui coperto nelle precedenti stagioni - a quello della sua vittima.

Appunto, Andrew Shore: ha confermato in pieno, e non solo nella scena col fratello, ma in quella precedente, con Wotan e Fafner, di essere un grande Alberich, come voce e portamento adeguati al ruolo.

Così come pure Albert Dohmen, che al di là di un paio di FA eseguiti col cappio al collo, è stato ancora una volta un notevole Wotan, dotato di grande espressività del canto e di capacità di rendere al meglio la personalità complessa del capo degli dèi. In tutte le sue quattro apparizioni, ciascuna delle quali richiede una diversa ambientazione psicologica, mi è parso calarsi ottimamente nel personaggio.

Rimessasi dall’indisposizione che le aveva impedito di uscire dalla sua azzurrognola caverna nel Rheingold (dove aveva dovuto mandare in avanscoperta la Fujimura) Christa Meyer è tornata a farsi sentire come Erda, e mi è parsa la sua una prova rimarchevole, non solo nella precisione dell’esecuzione, ma anche nel pathos che la deve caratterizzare.

Due parole su Christiane Kohl, esordiente nel ruolo del Waldvogel (fa anche Woglinde e poi una delle escort nel Parsifal). Maliziosamente mi viene da dire che Wagner, pur non avendo indicato con precisione la specie del volatile, non pensasse di sicuro ad un gallinaceo! Intendiamoci, la ragazza non ha mancato una sola nota della sua parte assai difficile (su un pedale prevalentemente di 9/8 deve infilare tutta una serie di cambi e asimmetrie di tempo, proprio a simulare il ritmo del gorgheggio di un uccellino) però la sua voce – forte, profonda, stentorea - richiama quella di qualunque animale, tranne che di un piccolo pennuto! (A meno che la colpa non sia da addebitare ai microfoni della ripresa, ma ne dubito).

Veniamo adesso al povero Siegfried. Christian Franz mi ha assolutamente deluso. Anche lui, come il Mime che lo affianca nei primi due atti, ha spesso e volentieri urlato invece di cantare. E anche nella scena tòpica finale con Brünnhilde ha interpretato la parte di un burino selvaggio e pure arrapato, non quella di un ragazzo ignorante e incosciente sì, ma nel quale almeno l’istinto induce atteggiamenti poetici.

Linda Watson è da anni la Brünnhilde padrona di casa a Bayreuth: e ne rappresenta e sintetizza bene la contraddittoria gestione. Stento personalmente a darle la sufficienza, e non solo per il DO sporco della conclusiva lachender Tod (magari fosse solo quello…)

E ora le immangiabili ciliegine (ne cito solo un paio, ma proprio macroscopiche, ma ne ho segnato più di una dozzina…)

Nella scena della riforgiatura di Nothung si devono udire colpi di martello, ad accompagnare il lavoro e il canto di Siegfried. Sono un’infinità, ma tutti meticolosamente scritti da Wagner sul pentagramma: ne ho contati almeno una mezza dozzina o fuori posto o addirittura inventati. Se a batterli era lo stesso Franz, una nota di demerito in più… se era una controfigura, quindi uno strumentista, peggio ancora.

Era già successo credo un paio d’anni fa, ma si è ripetuto quest’anno: il corno solista che sporca miseramente il secondo attacco dell’assòlo nel secondo atto! E, come non bastasse, o forse in conseguenza dello stato ansioso indotto dal primo errore, ne infila altri due nel passaggio successivo, sul pedale del basso-tuba che annuncia il risveglio del drago. Un disastro davvero!

Chiudo con Thielemann. Cantiamo pure per fortuna che c’è Cristiano, perché altrimenti saremmo qui a chiedere il commissariamento del Festival! A parte i suoi ormai canonici marchi (sono come le pisciatine di un cane a delimitare il suo territorio) che lui ha scritto sulle sue partiture e a cui resta infallibilmente fedele (un esempio per tutti: i rallentando che lui fa sulle poderose entrate dei corni dopo i primi due Blase die Gluth della passacaglia della fusione) anche nel Siegfried è stato all’altezza della sua fama. Lui riesce in un’operazione che è una specie di sincretismo: senza nulla togliere alle caratteristiche fondamentali, storiche e fondanti della musica dei drammi wagneriani, e rimanendo un cultore convinto del cupo suono tedesco dell’orchestra, sa però introdurre elementi di lirismo e mettere in risalto particolari in modo assai appropriato. E soprattutto senza cadere in estremismi, quali le interpretazioni mozartiane, apprezzabili comunque, à la Karajan o quelle francamente deplorevoli, perché fatte impiegando strumenti di radiografia fabbricati a Darmstadt, à la Boulez. E forse Thielemann è per queste sue qualità debitore, almeno in parte, all’Italia, avendo trascorso parecchio tempo, negli anni della sua maturazione artistica, a Bologna e Roma.

Il pubblico in sala, che ha il vantaggio di giudicare l’effetto dal vivo e lo svantaggio di non poter disporre dei riferimenti oggettivi di ciò cui sta assistendo, ha portato tutti in trionfo con grandi ovazioni. Pace e amen.
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