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24 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Petite Messe Solennelle


L’onore di chiudere il ROF-39 è quest’anno toccato alla grandiosa (!) Petite Messe Solennelle. Piazza del Popolo (ci ripasso dopo aver circumnavigato, laggiù in riva al mare, il fontanone - acqua dolce - con la sfera sventrata di Gio’ Pomodoro) alle 20 è già gremita di pubblico in attesa (per nulla religiosa, hahaha) della diffusione su maxi-schermo del concerto conclusivo del Festival, il cui inizio è stato spostato quest’anno dalle 20:30 alle 21. La piccola bomboniera del Teatro Rossini ribolle invece di preziose toilette e rumoreggia negli idiomi più svariati, compreso (ma è quasi un’eccezione) quello italico. Nal palco del sovrintendente prende posto anche un JDF con anulare e mignolo della mano sinistra strettamente imprigionati in una fasciatura rigida: forse un postumo dell’ultimo duello con Ircano (?!)  

La Messa è tornata al ROF dopo l’ultima comparsa nel 2014, allorquando fu diretta dal compianto Alberto Zedda, che con l’occasione presentò anche la sua orchestrazione del Preludio Religioso, che Rossini ha affidato al solo organo. Commentando quell’evento, mi ero permesso di avanzare seri dubbi sull’opportumità di presentare tale orchestrazione: non certo dal punto di vista della fattura, davvero eccellente, ma innanzitutto da quello del rispetto della volontà dell’Autore (visto che qui siamo nella fabbrica delle edizioni critiche...) ma anche da quello della concezione estetica. Per non parlare poi delle stesse argomentazioni addotte dal Maestro per la sua iniziativa, che reputavo e continuo a reputare del tutto inconsistenti e pretestuose. In qualche modo accettabile (secondo me) era stata la proposta di allora, un evento eccezionale nell’ambito di un festival, ma la ritenevo da escludersi come prassi da seguire. 

Orbene, la locandina dell’odierna esecuzione si è premurata di annunciare che il Preludio Religioso sarebbe stato eseguito anche questa volta proprio nella versione orchestrata da Zedda (il che esclude anche l’impiego dell’organo tout-court). Ecco quindi un bell’esempio di perseveranza nell’errore: errore che si può scusare una volta, come omaggio al grande paladino rossiniano, ma che rischia di diventare una colpa (diabolicum, come dice il vecchio adagio...) se reiterato.
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Esecuzione pregevole da parte dell’OSN-RAI, che Giacomo Sagripanti ritovava dopo il Ricciardo&Zoraide, e del Coro del Teatro della Fortuna (Mirca Rosciani) che replicava qui la Petite Messe dopo averla cantata a Roma poco tempo fa: picchi di merito per le colossali fughe di Gloria e Credo.

Alti e bassi per le quattro voci soliste. Sulle quali è spiccata ancora una volta quella di Daniela Barcellona, 22 anni di ROF e alla terza Messa (dopo 2004 e 2007): l’imponente contralto triestino si è presentata sfoggiando un décolleté alla... Jane Mansfield (!) forse come contrappasso a tutti i petti appiattiti cui l’hanno costretta negli anni i suoi personaggi en-travesti. Ma la voce è sempre solidissima e l’espressione (vedasi l’accorato Agnus Dei conclusivo) è davvero impeccabile.

Carmela Remigio, che tornava qui dopo 20 anni e 21 dal suo esordio al ROF proprio nella Messa, ha un po’ stentato all’inizio (non proprio da incorniciare i suoi acuti nel Qui Tollis e nel Crucifixus). Si è però riscattata ampiamente con un O salutaris hostia davvero convincente per purezza di canto ed espressività.

Celso Albelo non ha (alle mie orecchie, perlomeno) particolarmente brillato: il suo Domine Deus ha un po’ mancato di slancio e di profondità.

Senza infamia e senza lode l’esordiente al ROF Nicolas Courjal, forse ancora freddo nell’iniziale Et in terra, ma che ha fatto meglio nell’impegnativo Quoniam tu solus sanctus.
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Alla fine gran trionfo per tutti, con ripetute chiamate per i quattro solisti e i due direttori. Fuori, Piazza del Popolo è ormai... spopolata, e sul grande schermo campeggia già l’arrivederci al ROF-XL (il cui piatto forte sarà una nuova Semiramide della premiata coppia Mariotti-Vick).

20 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Il barbiere di Siviglia



Ritorno all’Adriatic Arena per questo nuovo Barbiere. Nuovo nell’allestimento (del venerabile Pier Luigi Pizzi) e semi-nuovo nell’edizione, che è quella approntata nel 2010 dal compianto Alberto Zedda e da lui già presentata al ROF in forma di concerto nel 2011 e poi in forma quasi-scenica nel 2014.

Pizzi non si smentisce e - da scenografo di nascita - appronta un’ambientazione super-stilizzata (balconi, terrazzini e interno dove le curve sono ridotte al minimo) e con colori di scene e costumi dove prevalgono il bianco accecante e il nero più pesto. Poche macchie di violaceo o rossiccio per qualche soprabito e di ceruleo per Rosina. Le luci di Massimo Gasparon mettono perfettamente in risalto la solarità dell’ambiente, rotta solo dall’avvicinarsi del temporale.

Quanto alla recitazione, Pizzi cerca (e direi, trova) un accettabile compromesso fra gli eccessi goliardico-sbracati di certe interpretazioni che, da commedia con venature di buffo, riducono il Barbiere a puro avanspettacolo sgangherato. Non mancano certo le gag - una su tutte, il botto dello spumante stappato da Basilio con cronometrica precisione proprio sul memorabile colpo-di-cannone - ma siamo sempre all’interno dei confini dell’eleganza e dello stile. Così il Figaro che - mentre canta la sua celebre cavatina - si spoglia seminudo per lavarsi nella fontana sotto il balcone di Rosina; o il Conte che si presenta (come Don Alonso) nelle forme di un nanerottolo (camminando sulle ginocchia); o la vecchia Berta sempre assatanata come una ninfomane... non fanno mai scadere lo spettacolo in farsa.

Anche Pizzi sfrutta (già che c’è) la passerella (questa sì da avanspettacolo!) che ormai pare una dotazione fissa del palazzone pesarese: così vi transitano e stazionano spesso e volentieri i vari personaggi, fino alla sfilata in grande stile della chiusura del primo atto.

Passerella che circonda la pseudo-buca orchestrale, dove ha tenuto banco Yves Abel, che ha affrontato la partitura con molta leggerezza (alla radio non mi aveva entusiasmato) il che devo ammettere ha però il suo buon effetto, armonizzandosi assai bene con l’approccio della regìa. L’OSN-RAI (rinforzata per la chitarra dall’apporto del pesarese - milanesizzato - Eugenio Della Chiara) ha risposto alla grande, già dall’applauditissima Sinfonia.

Sempre efficace e compatto il coro del Ventidio Basso (Giovanni Farina) nei passaggi di insieme, come in quelli a gruppetti.

Le voci. Come curiosità c’è da registrare che quattro dei sette interpreti (Mironov, Wakizono, Luciano e Corrò) figuravano un anno fa nel cast de La pietra del paragone. Faccio poi o una premessa: lo scatolone ricavato nella pancia dell’enorme Adriatic Arena ha un’acustica davvero pessima (non v’è chi non reclami e attenda con impazienza il ritorno al glorioso Palafestival) però, accipicchia, le voci delle vecchie glorie Pertusi e Zilio vi passavano attraverso in modo spettacoloso... le altre, ahiloro, assai meno. Ancora accettabili quelle di Luciano e Spagnoli, ma quelle dei due protagonisti (Mironov e Wakizono) davvero faticavano a raggiungere indenni il fondo della sala (e va dato atto ad Abel di non aver mai coperto). Il che vorrà pur dir qualcosa (ricordo di aver mosso ai due lo stesso appunto critico, a proposito di decibel, un anno fa, in occasione della Pietra...)

A parte questo rilievo, dirò che tutti (aggiungo qui anche il bravissimo Corrò) si sono assestati su un livello più che discreto. Il pubblico da parte sua ha dato un voto che rasenta la lode, a giudicare dagli applausi (a scena aperta e poi alle uscite finali) riservati a tutti, musicanti e allestitori.   

19 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Adina



Ieri al Teatro Rossini (con qualche vuoto di troppo, probabilmente dovuto al bizzarro orario di inizio, le 16:00, quando anche i melomani più incalliti sono ancora in spiaggia o in barca) è andata in onda la terza recita di Adina.

Prima dell’inizio si ode l’annuncio che la protagonista Lisette Oropesa canterà regolarmente, anche se afflitta da una non meglio precisata indisposizione (di certo non una scottatura...) Invece un doveroso minuto di raccoglimento per ciò di cui il Paese è ancora sotto choc è stato rispettato solo perchè uno spettatore ne ha urlato la richiesta a Diego Matheuz, che stava ormai dando l’attacco del preludio. E meno male che il Direttore venezuelano ha meritoriamente raccolto l’invito.
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Adina è opera notoriamente controversa, quanto alle origini e alle circostanze della sua composizione. Fabrizio Della Seta, che alla fine del secolo scorso ne curò l’edizione critica, ne ha ricostruito i contenuti musicali in un saggio pubblicato sul programma di sala. Da esso ho ricavato questo schema che sintetizza la struttura del lavoro, con l’indicazione della fonte di ciascuna sua parte, inclusi gli auto-imprestiti (dal Sigismondo). Come si nota, oltre al compositore, le musiche sono di mano di un non meglio identificato Collaboratore (così lo apostrofa Della Seta) e di copisti/collaboratori capaci di predisporre i recitativi secchi o di riprendere e adattare musiche auto-imprestate. Ma alcune parti sono di mano del compianto Philip Gossett e dello stesso Della Seta.

numero
Rossini
Collaboratore
copista / collab.
1. Introduzione
X


    recitativo


X
2. Cavatina (Adina)
(deriv. Gazza Ladra)
orchestrazione

3. Coro


(Sigismondo - Viva Aldimira)
    recitativo


Gossett - Dalla Seta (Coro 3b)
4. Duetto

X

    recitativo


X
5. Aria (Califo)

X

6. Sc.-Aria (Selimo)


(Sigismondo - Cavat. Ladislao)
    recitativo


X
7. Quartetto
X


    recitativo


X
8. Aria (Alì)


(Sigismondo - Rondò Anagilda)
    recitativo


X
9. Aria (Adina) - Fin.
X



Insomma, un bel pot-pourri che si spiega con la fretta di Rossini (che era occupato in ben più importanti impegni a Napoli) oltre che con le difficoltà relative al luogo della prima rappresentazione (Lisbona); difficoltà che spiegano probabilmente anche il ritardo di ben 8 anni fra composizione e andata in scena!
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La recita di ieri (mi) ha confermato le positive impressioni ricevute dalla prima ascoltata in radio. Lisette Oropesa ha sfoggiato la sua voce cristallina, oltre che una bella presenza scenica. Levy Sekgapane ha una vocina sottile-sottile, ma adatta a questo ruolo di ragazzo timido e ingenuo. Efficace Vito Priante nella parte del ruvido Califo, capace peraltro anche di slanci affettuosi. Di buona fattura le prestazioni dei due comprimari: Matteo Macchioni che impersona la... macchietta di Alì e Davide Giangregorio, un simpatico Mustafà. Eccellente il Coro della Fortuna (Mirca Rosciani) ben disimpegnatosi anche sul fronte dellla presenza scenica.

Diego Matheuz  ha diretto con sobrietà la Sinfonica Rossini, senza sbracature e con attenzione all’equilibrio fra buca e voci.
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La farsa fu originariamente definita come un’opera in un atto unico, di contenuto serio o comico. La trama si fonda tipicamente su equivoci, qui-pro-quo, malintesi, fischi-per-fiaschi, roma-per-toma e simili bizzarrie, che possono dar luogo indifferentemente ad esiti esilaranti o tragici. Con l’andar del tempo per farsa si è sempre più intesa una pièce di carattere umoristico e improbabile, e il termine farsesco è divenuto sinonimo di ridanciano, sboccato e cialtronesco.

E proprio in questa accezione Rosetta Cucchi ha interpretato il soggetto di Adina, a dispetto del suo sottofondo potenzialmente tragico. Così l’ambientazione è in un’allegra festa di matrimonio (fra Califo e Adina) e poco traspare del dramma della protagonista e del suo innamorato Selimo. Salvo il loro arresto al momento della tentata fuga, arresto peraltro eseguito da guardie abbigliate come nelle più classiche vignette di cartoon satirici. 

La scena di Tiziano Santi è assolutamente statica: una gigantesca torta nuziale a tre piani, sui quali si muovono protagonisti e figuranti (o coristi) e all’interno della quale si intravedono ambienti domestici. I costumi di Claudia Pernigotti nulla hanno a che vedere con il testo del Bevilacqua, riproducendo una fauna umana popolata da tamarri o capi-cosca (Califo) e moderni eunuchi (Alì, che calza scarpe da donna, peraltro con tacco basso per evitare... cadute) con la quale devono convivere i poveri Selimo e Adina (anche loro tutt’altro che sobri nei rispettiivi abbigliamenti). Anonimo invece il giardiniere Mustafà, con qualche vegetale in testa. Daniele Naldi firma l’impiego delle luci, piuttosto elementare: sempre chiaro abbagliante, salvo che nel siparietto notturno.

Tutto sommato uno spettacolo accattivante e scorrevole, che il pubblico ha mostrato di gradire assai, con calorosi applausi e numerose chiamate per tutti.

18 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Ricciardo e Zoraide



Ieri l’Adriatic Arena gremita del tradizionale pubblico cosmopolita ha ospitato la terza rappresentazione del titolo principale di questa edizione del ROF: Ricciardo&Zoraide. La performance musicale ha confermato (con punte più o meno marcate) quanto alto sia il valore di questa partitura ancor oggi immeritatamente trascurata.

Da elogiare la prestazione di orchestra (la OSN-RAI che Giacomo Sagripanti ha condotto con grande autorevolezza, gesto misurato ma sempre preciso ed efficace, e grande attenzione ai dettagli nell gestione delle dinamiche e delle agogiche) e di coro (il Ventidio Basso di Giovanni Farina, compatto e brillante negi momenti di maggior enfasi, in cui si esibisce in primo piano, come in quelli di religioso raccoglimento, cantando di lontano, dietro la scena).

Juan Diego Flórez era ovviamente - dati i suoi precedenti al ROF, che gli ha dato fama imperitura - il più atteso e devo dire che non ha deluso i suoi ammiratori con una prestazione davvero all’altezza della sua fama. Potrei sbagliare, ma rispetto alla prima (ascoltata per radio) mi è parso ancora più sicuro ed efficace nello sciorinare tutto il suo repertorio di virtuosismi, spiccando impeccabili acuti e sovracuti, ma anche sapendo cesellare da par suo i risvolti più introspettivi del personaggio di Ricciardo.

Pretty Yende ha (a mio modesto parere) confermato pregi e difetti già emersi alla prima: buona impostazione generale, ma alternanza di alti e bassi, sopratutto negli acuti e nelle colorature: i primi spesso ghermiti con una certa approssimazione, le seconde che non paiono essere proprio la sua miglior dote. In ogni caso, una prestazione che merita ampia sufficienza (il pubblico è andato direttamente all’ottimo!)

Sergey Romanovsky, ritornato a Pesaro a un anno dall’esordio, ha cercato di dare nerbo al personaggio di Agorante, riuscendovi a metà: l’approccio interpretativo è più che corretto, ma la voce (e qui conta madre-natura) non è propriamente quella di un baritenore quale il ruolo pretenderebbe, il che costringe il tenore russo a innaturali forzature. In ogni caso anche per lui successo caloroso.

Xavier Anduaga (ospite in anni recenti dell’Accademia rossiniana ed esordiente al ROF un anno fa) ha mostrato interessanti doti naturali di tenore contraltino che ne fanno interprete approprito del personaggio del crociato Ernesto, il che gli ha garantito un’accoglienza fin troppo... trionfale.

La (comprensibilmente) gelosa Zomira ha trovato in Victoria Yarovaya un’interprete all’altezza, per impostazione, portamento e qualità della voce. Rispetto alle prestazioni non memorabili degli anni scorsi il contralto russo mi pare decisamente cresciuto. Peccato però che alla sua voce manchi qualche decibel per passare dal discreto al buono, ecco.

Il veterano del ROF (vi esordì nell’ormai lontano ’97) Nicola Ulivieri ha messo tutta la sua esperienza nel creare in maniera eccellente il personaggio di Ircano, che irrompe sulla scena solo a metà del second’atto ma poi vi ha una presenza tutt’altro che marginale. La sua voce potente e ben impostata ha svettato anche nei concertati che chiudono l’opera.

I tre accademici (Sofia MchedlishviliMartiniana Antonie e Ruzil Gatin) hanno più che onorevolmente completato il cast.

Come detto, gran successo per tutti, con tambureggiamenti del tavolato e ripetute ovazioni. Personalmente non sono facile agli entusiasmi, ma mi fa piacere constatare quelli che animano il pubblico come accaduto ieri.
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Sull’allestimento si potrebbe tranquillamente sorvolare, data la sua totale inconsistenza rispetto al soggetto; il quale è già inconsistente di suo, figuriamoci! Dovendo rappresentare l’opera in forma scenica (molto più senso avrebbe darla in forma concertante, o semi-scenica) tutto diventa possibile, soprattutto se il regista non si chiama... Ronconi (!)

Ecco che allora (scene di Gerard Gauci) l’esterno della reggia di Agorante assume l’aspetto di una gigantesca tenda Tuareg (ma anche quello del tendone di un gran circo barnum...) mentre al suo interno si erge miracolosamente una struttura a due piani di architettura mista occidentale (volte a semicerchio) e pseudo-orientale (volte ad ogiva tendente al... triangolo). Il fiume Nubio che costeggia Duncala è esondato al punto da trasformarsi nel... lago Nasser (la reggia sarà stata spostata in alto pietra-a-pietra come si fece con i templi di Abu-Simbel, immagino).

I costumi dei protagonisti sono ispirati (da Michael Gianfrancesco) a geniale sincretismo, chè si va dal corpetto-su-petto-nudo di Agorante all’abbiglimento zigano di Ricciardo (quando da paladino... paludato si traveste da baluba) alla purpurea veste cardinalizia di Ernesto (certo siamo alle crociate ordinate dal Papa, ohibò) alle gonne rococò delle signore, che però hanno le parrucche sostituite da prosaiche cucuzze...) Ircano ha proprio l’aspetto di un cavaliere medievale (ma qui anche il libretto non scherza...)

I personaggi si muovono come  nelle recite scolastiche (cioè stanno spesso impalati) oppure sfruttano furbescamente la passerella da avanspettacolo (ormai divenuta una costante degli allestimenti all’Adriatic Arena) anche per avvicinarsi al pubblico scavalcando la rumorosa orchestra così da farsi meglio udire. I cori si dispongono al lati della scena, oppure si allineano rigorosamente in mezzo al palco.

Essendo i registi (Marshall Pynkoski e consorte Jeannette Lajeunesse Zingg) di professione coreografi, ecco che infarciscono le scene di danzatori e balletti, trasformando l’opera in grand-opéra. Si salva da tutto questo pot-pourri Michelle Ramsay, che mostra di saper bene come maneggiare le luci.

Insomma, una... farsa, ecco, sul cui carattere dissacrante si può disquisire, nel senso di stabilire se sia proditorio o involontario. 

12 agosto, 2018

ROF-XXXIX alla Radio


Radio3 ha meritoriamente tenuto fede alla tradizione che la vede irradiare in diretta le prime delle tre opere del cartellone principale del ROF. Così ieri è stata la volta di Ricciardo&Zoraide, che ha degnamente aperto il 39° Festival.

Impressioni (almeno le mie) complessivamente positive: per l’ottima la prestazione della OSN-RAI, che Giacomo Sagripanti ha guidato con equilibrio; per il Coro del Ventidio Basso di Giovanni Farina, sempre efficace, sia nelle scene più smaccate che in quelle di religioso raccoglimento. Quanto alle voci, Florez non si è ovviamente smentito, anche se non ha cercato di strafare con sovracuti che forse non sono più alla sua portata; benissimo Romanovsky, in questa parte davvero ardua da baritenore; la Yende ha mostrato un po’ la corda sugli acuti, meglio è andata nei centri; una gradevole sorpresa la Yarovaya, davvero autorevole nella sua cavatina del second’atto. Onorevoli le prestazioni degli altri, a partire dal veterano Ulivieri.

Questa sera appuntamento radiofonico con Adina e lunedi con il Barbiere. Più avanti, per quanto mi riguarda, ricognizioni... in loco. 
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Aggiornamento 12 agosto

Per me questa Adina è da ricordare per l’esordio di Lisette Oropesa, che ha sfoggiato una voce di assoluta purezza, senza un minimo di sbavature o incrinature. Se in teatro fa lo stesso effetto che alla radio, c’è davvero da restarne ammirati.

Per il resto, una performance di tutto rispetto: orchestra (complesso e singole parti solistiche) coro e interpreti, tutti all’altezza. Insomma, anche questo Rossini cosiddetto minore non manca di incantare...  
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Aggiornamento 14 agosto

Ha chiuso ieri il primo dei 4 cicli di rappresentazioni un Barbiere che - almeno all’ascolto radiofonico - non mi pare debba passare alla storia sul piano delle voci, se si esclude la prova convincente del protagonista Maxim Mironov. Così-così la Aya Wakizono, una Rosina in tono minore; e senza troppo nerbo anche il Figaro di Davide Luciano (di entrambi avevo un più positivo ricordo dalla Pietra del 2017). Gli ultra-veterani Pertusi, Spagnoli e soprattutto la Elena Zilio (che tornava qui dal lontanissimo 1981, ROF-2) hanno fatto valere il loro antico mestiere. Non particolarmente esaltante la direzione di Yves Abel (anche lui veterano al ROF) che mi è parsa piuttosto opaca. Meglio il coro di Giovanni Farina.

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Radio-bilancio comunque complessivamente positivo, il che mi fa ben sperare per gli ascolti dal vivo, dove ovviamente si aggiungerà anche il giudizio sulla messinscena delle tre opere. A presto! 
   

05 agosto, 2018

ROF-XXXIX: Ricciardo&Zoraide, un capolavoro incompreso?


Fra pochi giorni, precisamente il prossimo 11 agosto, Ricciardo&Zoraide inaugurerà il 39° Rossini Opera Festival con un nuovo allestimento di Marshall Pynkoski, che subentra a quello ormai storico di Luca Ronconi, presentato nel 1990 e poi riproposto nel 1996. E proprio della prima comparsa dell’opera al ROF è disponibile in rete la registrazione video, che ci serve ottimamente da guida per avvicinarci ai tesori di un lavoro che, dopo il discreto successo iniziale del 1818 a Napoli (Teatro di SanCarlo, giovedi 3 dicembre) fu progressivamente relegato nel dimenticatoio per essere riportato alla luce proprio per merito della Fondazione Rossini e del Festival pesarese.

Opera che va controcorrente rispetto a stilemi che lo stesso Rossini aveva impiegato largamente (struttura ad arie, per mettere in risalto le qualità gorgheggiatorie dei cantanti, intercalate da - per noi noiosissimi - recitativi secchi atti a far procedere l’azione) per tornare al recitar-cantando di bardiana memoria: dove i virtuosismi, che certo non vengono aboliti, sono però integrati in grandi blocchi scenici costellati da cori, duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti e concertati, dove la musica (e che musica...) la fa davvero da padrona, senza un attimo di respiro o di caduta di tensione.   
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Già il Preludio orchestrale presenta alcuni aspetti abbastanza inconsueti: alla battuta 13 (su 129 totali) troviamo in partitura l’indicazione S’alza il sipario, cosa a prima vista sorprendente, dato che l’Introduzione (che peraltro si connette direttamente al Preludio) arriverà dopo circa 9 minuti. Ma una ragione c’è, poichè dopo il DO minore del Largo, 4/4 di apertura, a battuta 33 una Banda sul palco, molto lontana, anticipa precisamente il motivo (in DO maggiore, 2/4, Marziale) che si udirà nell’Introduzione, quando vedremo arrivare, sul far del giorno, l’armata di Agorante, reduce dalla vittoria sull’invasore Ircano.

Questa apparizione di una banda sulla scena (cosa abbastanza nuova a quei tempi) è per ora assai fugace, chè a partire da battuta 58 (Andante grazioso, 6/8) Rossini inserisce una serie di preziosi passaggi solistici che hanno come protagonisti il corno, poi (battuta 70) il clarinetto, ancora corno (82) e clarinetto (94) sempre in FA maggiore, per chiudere in bellezza con il flauto (106) che porta - in LA minore - alla conclusione del Preludio e all’attacco dell’Introduzione. Insomma, si tratta di una vera e propria genialata, a livello di teatro: dopo l’apparizione in lontananza dell’armata di Agorante deve necessariamente passare del tempo, prima che essa arrivi in primo piano, e così Rossini, anzichè reiterare con monotonia il motivo marziale, ci fa passare quel tempo in modo a dir poco mirabile!
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Il primo blocco scenico, oltre al Preludio a sipario alzato, comprende l’Introduzione, che ad esso si connette senza soluzione di continuità, caratterizzata dall’ingresso del coro che canta - sul tema della banda, 2/4 Marziale, in DO maggiore - l’elogio del condottiero vittorioso sugli asiatici di Ircano (Cinto di nuovi allori). Agorante fa la sua entrata con un recitativo accompagnato (Popoli della Nubia) seguito da una cavatina, ma che dico, una cavatona, addirittura strutturata su non meno di tre sezioni, con interventi e pertichini del coro!

Dapprima sul motivo Marziale della banda (Minacci pur) in FA maggiore, 4/4, con la sua sfida a Ircano, poi su un tempo Andantino, 6/8, in LAb maggiore (Sul trono) per prefigurare le gioie di avere Zoraide accanto a sè, e infine, dopo l’eccitato e compiacente intervento in Allegro, 4/4, del coro (Sì con quel serto istesso) con la spumeggiante sezione finale, nuovamente a ritmo marziale in FA (Or di regnar per voi) ancora con il coro, chiusa poi dalla banda sul palco accompagnata dall’intera orchestra.
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Ecco quindi un nuovo e corposo blocco (comprendente le Scene da II a V) dove facciamo la conoscenza di Zoraide (che Agorante ha fatto rapire al paladino Ricciardo - con il quale era fuggita - e rinchiudere nella sua reggia) e della sua ancella Fatima. Le due assistono sbigottite e preoccupate al giubilo delle donzelle nubiane che si preparano ad accogliere il loro Re, con un coro Allegro vivace, 3/8 in LA maggiore, Allegro giusto (che svaria sul circolo delle quinte, a MI e a RE). Le due prigioniere sono preoccupate per il ritorno del sovrano (Ah Fatima, io tremo, in FA# minore) ma anche per l’ira del padre di Zoraide (Ircano, che non ha digerito la fuga della figlia con Ricciardo) e per la gelosia della moglie di Agorante, Zomira. Le due chiudono con un duetto per terze (Amore mi strazia) ancora in LA maggiore, mentre il coro le contrappunta reiterando il suo giubilo.

Dopo un recitativo accompagnato in cui Fatima cerca di tranquillizzare la sua signora, ecco arrivare proprio Zomira, che si mette a stuzzicare pesantemente Zoraide, decisa com’è a liberarsi di lei. Alcune schermaglie in recitativo accompagnato (Maestoso, 3/4, MI minore) ed ecco il duetto fra le due rivali che comincia (Invan tu fingi, ingrata) con un Allegro giusto in MI maggiore, 4/4. Anche qui abbiamo una struttura assai articolata, con passaggi di botta-e-risposta fra le due alternati ad altri a due voci (di norma per terze). Così, dopo la prima frase agitata di Zomira, che accusa Zoraide di amare Agorante, chiusa da un accompagnamento ribattuto, la riposta (Che dura prova) della protagonista è sulla stessa linea melodica, con marcati virtuosismi, ma presto modula alla dominante SI maggiore (Come il mio core, oh Dio).

Segue una breve e languida transizione orchestrale che modula ulteriormente a SOL maggiore, su un tempo Andantino, in 3/4, introducendo un’altra esternazione di Zomira (Quale insultante orgoglio). Zoraide risponde (Ella mi guarda e freme) con la stessa melodia, ma trasposta in SOL minore. Le due voci cominciano a sovrapporsi, pur esprimendo opposti sentimenti, e finalmente un’accelerazione del ritmo con modulazione a MI maggiore introduce la stretta finale del duetto, Allegro, 4/4. Zomira (Io più non resisto); Zoraide (Da me che pretendi) si abbandonano ad un battibecco, chiuso ancora a due voci per terze e sullo stesso testo (Che smania è mai questa) con fiero cipiglio.

Ma adesso ecco sopraggiungere Agorante, tutto tronfio e con un‘idea ben precisa in testa: condividere con la moglie l’amistà più pura e con l’amante un dolce amore (apperò!) Così - in LA maggiore - annuncia pari-pari a Zomira (che con Zoraide teme il peggio, come testimonia il LA minore delle loro esclamazioni) di non provare più per lei alcuna attrazione, che adesso riserva alla sua nuova fiamma Zoraide, ma tuttavia la sua magnanimità è tale da fargli concedere alla moglie legittima di convivere come nulla fosse con la nuova amante (diciamo la verità, chi non ha mai sognato un simile ménage?)

Ha quindi inizio il terzetto in DO maggiore, 4/4, Maestoso, che manco a dirlo presenta una struttura assai complessa, con l’intervento anche del coro di damigelle nubiane. Dapprima (a partire da Cruda sorte di Zoraide) ecco una serie di esclamazioni smozzicate dei tre, che esternano i rispettivi stati d’animo; poi la tonalità modula a LAb maggiore, 12/8 (Scendi propizio) allorquando le damigelle si inseriscono nel terzetto (da lontano) mostrando di tener le parti di Agorante e Zoraide (mah, forse sperano che un domani tocchi ad una di loro entrare nelle grazie del Re); ancora i tre le contrappuntano con contrastanti esclamazioni, finchè Agorante sbotta, su un ritmo marziale (Allegro, 4/4): Dunque ingrata e i tre riprendono un animato scambio di slanci amorosi (Agorante), di acide accuse (Zomira) e di imprecazioni al destino (Zoraide).

Si giunge così (Vivace, marcato, 4/4) alla stretta finale (Sarà l’alma delusa/dolente) dove i tre cantano dapprima disgiunti (Agorante in DO maggiore, Zomira in SOL maggiore e Zoraide ancora in DO) poi accavallando le voci sugli interventi spiritati dell’ottavino; il tutto ripetuto canonicamente e seguito da una tumultuosa cadenza: una chiusa quanto mai travolgente dell’incontro-scontro fra i tre protagonisti dell’imbarazzante triangolo.
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Arriva finalmente il momento (Scene VI e VII) del protagonista Ricciardo, che non si rassegna alla perdita di Zoraide e medita di trafugarla dalla reggia di Agorante. Una pattuglia di ricognizione nubiana cazzeggia (Tutto è in calma) presso il fiume che bagna la capitale Duncala. Il tempo è Allegro giusto, 4/4 tonalità MIb maggiore. Il coro avvista una bagnarola che reca il prode paladino, travestito però da guida africana, che accompagna Ernesto, ambasciatore crociato venuto fin lì in missione diplomatica ad incontrare Agorante.

Attacca qui un’introduzione strumentale (tempo Moderato, tonalità DO maggiore, 4/4) di fattura a dir poco straordinaria, che in sole 37 battute evoca con assoluta appropriatezza lo stato d’animo del paladino, oppresso dal suo insopportabile magone... In un recitativo accompagnato, dove riemergono però atmosfere dell’introduzione, Ricciardo (Eccoci giunti) manifesta ad Ernesto la sua intenzione di seguirlo fino al cospetto del Re, mentre il condottiero crociato cerca faticosamente di dissuaderlo dal compiere atti che lo potrebbero compromettere.

Abbiamo ora (tempo Andantino, DO maggiore, 12/8) la cavatina di Ricciardo, articolata in tre sezioni: la prima (S’ella mi è ognor fedele) è ricca di virtuosismi; la seconda, dopo un’interlocuzione di Ernesto, virando bruscamente a MIb maggiore, 4/4 (Trionferemo insieme) è invero traboccante di slancio; la terza (Qual sarà mai la gioia) torna a DO maggiore e comporta salite vertiginose fino al RE sovracuto, poi viene ripetuta, con cadenza finale cantata da entrambi i tenori (Ricciardo chiude sul DO acuto). 
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La parte finale dell’atto (Scene da VIII a XIII) vede un recitativo di Zomira ed Elmira, sua confidente, la quale promette alla signora di far di tutto, insieme ad altre fidate ancelle, per impedire che Zoraide prenda il suo posto.

Ma adesso ci si prepara all’incontro di Agorante con l’ambasciatore crociato (Ernesto) accompagnato dalla sua guida africana (Ricciardo sotto mentite spoglie): qui avremo insieme tre tenori! L’orchestra introduce la scena con un motivo (Moderato, in MIb maggiore, 4/4) che poi la chiuderà, motivo del tutto appropriato, per seriosità e portamento, ad accompagnare un incontro diplomatico al massimo livello.   

Il contenzioso fra i due (punteggiato da interiezioni stizzite di Ricciardo, che si trattiene a stento) riguarda la scorribanda notturna dei militi di Agorante in campo crociato, ed Ernesto chiede il rilascio dei suoi fatti prigionieri, ma anche di Zoraide, rapita con loro. Cosa che Agorante nega nel modo più risoluto, sicuro com’è che la stessa Zoraide si dichiarerà decisa a rimanere con lui. Il dialogo fra i due (con gli interventi del terzo) è costellato da nervosi incisi orchestrali e da continue modulazioni, fino ad arrivare al DO maggiore con cui il motivo dell’introduzione chiude (per ora) l’incontro.

Un brusco scarto di tonalità, al MI maggiore, Maestoso, 4/4, porta all’ingresso del coro dei notabili di Agorante: su un motivo il cui incipit è un arpeggio sulla tonica MI (Bellini se ne ricorderà nel coro dei Druidi) i nubiani (Se al valore) esaltano le qualità di Zoraide, che viene chiamata al cospetto di Agorante, mentre il coro ne reitera le lodi.

Il recitativo accompagnato che segue ci presenta le nuove profferte del Re (Sgombra ogni tema dal tuo cor) che chiede alla donna di accettare il suo amore e, con esso, il trono (!) La tonalità scende sul circolo delle quinte, da MI a LA, a RE maggiore, poi da qui alla relativa SI minore. Zoraide (Signore, a te son grata) rimane fredda e indifferente (SOL minore) e Agorante taglia corto, con un brusco RE maggiore (Più pretesti non voglio) per poi virare a SOL, dominante del DO che supporta tutto il finale.

Finale che inizia con un mirabile quartetto (Agorante-Zoraide più i sopraggiunti Ernesto e Ricciardo - si noti che il paladino travestito da baluba ancora non è riconosciuto dall’amata, lo sarà all’inizio dell’atto successivo) in Andante maestoso, 4/4, il cui incipit (Cessi ormai quel tuo rigore) in bocca ad Agorante - con la classica salita da dominante a tonica - anticipa tanti altri momenti di grande musica (uno su tutti, il belliniano A te o cara...) I quattro ovviamente esternano i rispettivi crucci, speranze, magoni, etc. Così Agorante implora amore da Zoraide; Ricciardo (Senti, oh Ciel!) sussurra il suo incontenibile trasporto per la bella asiatica ad Ernesto, che lo invita (Frena, oh Ciel!) per l’ennesima volta alla moderazione, per non mandar tutto a meretrici; e alla povera Zoraide non resta (Tu che vedi il mio dolore) che raccomandarsi al cielo (non senza sfoggiare un RE sovracuto).

Un perentorio rullo di timpani (Allegro) anticipa la secca intimazione di Ernesto al Re nubiano: Risolvesti? Agorante risponde sprezzantemente: mi tengo Zoraide e faccio la guerra a chi mi contrasta! In DO minore i due innamorati (Al fier tumulto) esternano la loro disperazione, mentre anche il coro dei nubiani deplora l’accaduto, modulando a FA maggiore. E su questa tonalità Ernesto (Parto ed annunzio) promette la guerra ad Agorante, che modulando alla relativa RE minore (Dì che invncibile) si dice certo di uscirne vincitore. Arriva anche Zomira a cercar di frenare il marito, che però imperterrito (virando la tonalità a LAb maggiore, All’armi!) è ormai in preda a bellicoso furore e chiude minacciando... abbattervi tutti saprò: e sul quel saprò, in partitura Rossini si affida all’estro del tenore (a piacere del Sig. Nozzari...) che può quindi esibirsi, magari, in un REb sovracuto.      

Sul LAb maggiore Inizia ora (Confusa, smarrita) un celestiale sestetto (si aggiunge infatti anche Fatima) in tempo Andantino in 3/4, dove tutti manifestano grande apprensione e smarrimento.

Si passa infine ad un Allegro vivace, 2/4, in DO maggiore, e si ode in lontananza la banda suonare richiami marziali, al che tutti sbottano in un costernato Qual suono terribile e l’atto si chiude - aggiungendosi ai sei anche il coro - con un grande concertato che certifica la drammatica situazione venutasi a creare.
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Il secondo atto si apre (Scene I-II) con un’inaspettata visita di Ricciardo (trattenutosi nella reggia dopo la partenza di Ernesto) ad Agorante. Il paladino ha in mente un piano diabolico (e pure inverosimile, se per questo) per trafugare la sua Zoraide, e lo mette in atto in un recitativo accompagnato: accusa Ricciardo di avergli rapito la moglie (il che dimostrerebbe che non ama più Zoraide) e spiega la richiesta di costui di restituzione della donna con il desiderio del paladino di vendicarsi di lei, ritenuta infedele e felicemente traslocata fra le braccia del Re. Agorante dapprima ha qualche dubbio a credere a simili stravaganze, ma poi si convince ad allearsi con il finto africano: gli chiede addirittura di convincere Zoraide ad amare lui, svelandole il tradimento di Ricciardo!

Attacca così il duetto fra i due tenori, un Andantino in LA maggiore, 6/8, con la richiesta e la promessa di Agorante (Donala a questo core) e la risposta e la speranza (Furor, rispetto, amore) di Ricciardo che già pregusta la riconquista dell’amata. Ancora uno scambio di battute fra i due che poi, modulando a DO maggiore su tempo Maestoso, 12/8, cantano insieme, per terze (Qual dolce speme) la loro prossima felicità. Poi ribadiscono il concetto con virtuosismi (arpeggi sulla dominante e sulla tonica, rispettivamente) che vedono Ricciardo salire anche al DO acuto; infine (tempo Allegro vivace, 4/4, tonalità tornata a LA maggiore) ecco la stretta del duetto (canonicamente ripetuta) con due esternazioni separate (Come potrò reprimere) e un’ultima congiunta (Gioco d’amor). L’orchestra chiude con una cadenza non priva di sfumature tutt’altro che serene...
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Adesso (Scene III-IV) ci apprestiamo ad assistere all’incontro fra Ricciardo e Zoraide, aperto da un recitativo (Partì. Che mai farò?) in cui il paladino manifesta insieme timori (che qualcosa non vada per il verso giusto) e grande emozione per l’imminente felicità che lo aspetta. Arriva finalmente Zoraide, che subito si mostra sospettosa e timorosa di esser vittima di una specie di agguato. Ricciardo finalmente le si rivela e i due possono gioire della ritrovata unione, con un duetto in Allegro giusto, 4/4, DO maggiore. Spalleggiata da una languida scala ascendente del flauto, lo attacca Zoraide (In tanto contento) manifestando incontenibile gioia. Le risponde (per le rime...) Ricciardo (S’ei giunge) mettendola in guardia da una possibile irruzione del Re. Insieme cantano poi (Tra i teneri amplessi) il piacere che li attende.

Il libretto ci dice però che Elmira (la confidente di Zomira) li sta spiando per riferire della tresca alla padrona. E di un pericolo incombente ci avverte la musica, che muta tempo in Andante, 2/4 e tonalità a DO minore, mentre Zoraide manifesta i suoi timori per l’ira del Re (Temo del perfido) e poi chiede a Ricciardo come fece lui a introdursi fin lì. Su una modulazione alla relativa MIb maggiore (Fu amor propizio) il paladino risponde che l’amore supera ogni sfida ed entrambi si aprono alla speranza (Proteggi amore) per poi (ritorno a DO maggiore e a tempo Allegro, 4/4) promettersi eterna fedeltà (Sarem per sempre insieme). Ecco poi la stretta (Ah! nati, è ver, noi siamo) su un agitato ritmo puntato e immancabile crescendo, ovviamente ripetuta.
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Nelle scene V-VI si passa da un possibile anticipato lieto fine della vicenda (ovviamente non sarà così, poichè l’opera deve ancora riservarci i momenti più drammatici e... tre quarti d’ora di grande musica!) al precipitare della situazione verso il peggio. Dunque, in un lungo recitativo seguiamo Agorante che arriva per accertarsi dell’auspicato successo della missione di Ricciardo (convincere Zoraide ad accettare il suo amore). Così, abilmente spalleggiato dal paladino, che gli fa credere di averla convinta, chiede a Zoraide di manifestare i suoi sentimenti. Al silenzio di lei si imbufalisce e decide seduta stante di rispedirla all’uomo che le si è dimostrato infedele (come da invenzione di Ricciardo).

Ecco, qui tutto sembrerebbe finire (con gran rammarico/incazzatura del pubblico) ma arriva, improvviso quanto scontato, il colpo-di-teatro: il Re si pente subito della sua decisione e cambia idea: Zoraide venga spedita in carcere e la sua sorte sia decisa da un duello fra un difensore della donna e un partigiano del Re (avete presente la recente disfida Lohengrin-Telramund in quel di Bayreuth?) Del tutto implausibilmente si fa avanti un cavaliere nero (ovviamente con elmo integrale, solo il libretto ci dice trattarsi di Ircano, padre di Zoraide) deciso a difendere la donna e portarla con sè.

Attacca qui un grande quartetto (Zoraide-Ricciardo-Agorante-Ircano) in tempo Allegro giusto, 4/4, MI maggiore. Ircano (Contro cento e cento prodi) esterna la sua baldanza e il disinteresse che lo muove a difendere i deboli e gli oppressi; Ricciardo e Zoraide (Più allegro) seguiti subito da Agorante (Quanti dubbi) manifestano perplessità e timori di fronte alla figura di quell’ignoto cavaliere. Questa prima parte del quartetto viene ripetuta, poi Ircano domanda chi sarà il suo avversario nel duello. Agorante (ironia della sorte) nomina suo paladino il... paladino! Si viene quindi a creare la classica situazione iper-drammatica (mettendosi nei panni di Zoraide): uno scontro all’ultimo sangue fra il padre e l’innamorato! Però, dato che Ircano è irriconoscibile agli altri protagonisti, Zoraide inclusa, il dramma resta per il momento relegato alle sole nostre teste di spettatori informati dei fatti...  

La tonalità è scivolata a SOL maggiore, il tempo ad Andante, 2/4: in un’atmosfera carica di tensione i quattro esternano contemporaneamente i rispettivi sentimenti: Ricciardo-Zoraide (Quale inatteso fulmine) e Ircano (Più ratto ancor del fulmine) sono in preda al più cupo sconforto, mentre Agorante (I torti miei, qual fulmine) già pregusta la vendetta su tutto e tutti.

Una violenta strappata dell’orchestra a SI maggiore, Allegro, 4/4, rompe gli indugi, introducendo l’ordine perentorio di Agorante (Nel più profondo carcere): Zoraide sia incarcerata! Le reazioni scomposte degli altri tre caratterizzano questa stretta finale del quartetto, cui si aggiunge anche il coro (mentre la tonalità è scesa al MI maggiore) arrivato a imporre l’ordine del Re.
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Le successive scene, dalla VII alla XIII, che precedono il finale, vedono protagonisti Zomira, il coro dei nubiani e la sua confidente Elmira, poi Zoraide e la stessa Zomira, quindi Agorante e la moglie: dapprima costei viene informata dai nubiani (Incognito audace) dell’arrivo del cavaliere nero e dell’imminente duello con colui che ancora si crede essere la guida africana (Del Franco tra breve). Ma Elmira conferma che trattasi invece di Ricciardo, così Zomira comincia a meditare il suo piano per incastrarlo, insieme alla donna che le ha rubato il cuore del marito. Lo fa con una cavatina di struttura A-B-A, Andantino 12/8, la cui prima strofa (Più non sente quest’alma dolente) è in FA maggiore e la seconda (Ah quest’alma trovar non può calma) nella dominante DO, cui segue la ripresa della prima in FA.

Ora ci trasferiamo nella prigione in cui è rinchiusa Zoraide: l’atmosfera è cupa, LA minore la tonalità, e un’introduzione orchestrale anticipa il coro che rimprovera alla donna (Il tuo pianto, i tuoi sospiri) la sua colpa, non lasciandole alcuna speranza di salvezza. Lei invece non fa che reiterare l’angosciosa domanda: Ricciardo è vinto o vincitore?

L’atmosfera si agita al sopraggiungere di Zomira, che Zoraide accoglie freddamente, convinta che la rivale venga da lei per aggiungere al danno anche le beffe. Mentendo, Zomira le confida di esser lì per salvare lei e il suo Ricciardo, vincitore del duello, ma poi arrestato perchè si è scoperta la sua vera identità. Zoraide finge di cascar dalle nuvole, a proposito del paladino, ma infine si prepara a fuggire con l’amato, seguendo le indicazioni di Zomira, che invece ha predisposto tutto per il loro arresto, del quale si compiace!

Ora è Agorante a farsi vivo, in cerca di Zoraide. La moglie lo avverte della fuga della donna e del suo Ricciardo, che Agorante solo ora scopre essere la guida africana di Ernesto. E prepara la vendetta, così come Zomira, spalleggiata dal coro, che si prepara a godersi la brutta fine dei due amanti.
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Eccoci quindi arrvati al gran finale (Scene XIV-XVII). Lo introduce un coro in DO minore, Maestoso, 2/4, che piange il crudele destino di Zoraide: dapprima i soli uomini (Qual giorno, aimè! d’orror!) poi, in MIb maggiore, le sole donne (Vittima dell’amor) e infine tutti (Nè il pubblico dolor) ancora in DO minore. Zoraide incontra Ricciardo e insieme si preparano a morire, finalmente e per sempre, uniti. Riprende il coro come sopra, prima gli uomini, poi le donne, poi tutti insieme.

Sopraggiunge anche Ircano, ferito e prigioniero, ma ora da tutti riconoscibile, in particolare dalla figlia, che lui però scaccia come traditrice. Lei cerca di farsi perdonare, lui vorrebbe farlo, ma la presenza di Ricciardo peggiora ulteriormente la situazione, chè ora è chiaro a tutti che il paladino è il feritore in duello del padre della donna.

Giunge ora Agorante, che chiede di affrettare l’esecuzione di nemici e traditori. Attacca ora un’aria assai articolata, in MIb maggiore, Allegro, 4/4, con Zoraide che implora il Re di risparmiare almeno suo padre (Salvami il padre almeno) ma il sovrano è deciso: modulando a SIb maggiore risponde (Prima il rival si sveni): si sopprima subito Ricciardo e poi, se Zoraide ancora rifiuterà di cedergli, si passi anche Ircano per le armi. La donna, suo padre e l’amante restano sbigottiti e il coro certifica (Salvarli chi può) la funesta fine dei tre, mentre la tonalità è passata a DO maggiore. Su questa attacca ora un Andantino, 3/4: una mirabile melodia con la quale Zoraide (Per poco ti calma, ripetuta) cerca di frenare l’ira di Agorante, combattuta tra la volontà di non cedergli e l’amore per la vita di padre e amante, che le suggerisce il contrario. Il tempo muta a 4/4 e Agorante reitera la sua minaccia (O dammi la destra): cedi o Ricciardo perirà.

A questo punto Zoraide cede (La destra) accettando, in cambio della vita del padre, il ricatto di Agorante, ma ribadendo (tempo Vivace, tonalità MIb maggiore, No, ceda nel petto) che il Re non avrà il suo amore. Agorante, Ricciardo, Ircano e il coro esprimono i rispettivi e contrastanti stati d’animo di fronte al gesto di Zoraide, ma ora arriva il definitivo colpo-di-teatro: come nei più triti film di far-west degli anni ’50 del ‘900, ecco che Zomira annuncia l’imminente disfatta dei nubiani sotto l’incalzare dei crociati di Ernesto!

In tempo sempre Vivace, 3/8, DO minore, l’orchestra sottolinea drammaticamente l’irruzione dei paladini e il conseguente scontro con le guardie di Agorante. Che Ernesto si preparerebbe a far secco, se non ne venisse trattenuto proprio da Ricciardo (T’arresta) ora magnanimemente clemente verso il nemico-rivale. In tempo Maestoso, 4/4, MIb maggiore (qui il tenore può ancora sbizzarrirsi in RE sovracuti) il paladino e Zoraide, il Re e Zomira manifestano opposti stati d’animo, mentre Ircano (passando a DO maggiore) perdona figlia e... futuro genero.

In tempo Andantino, 2/4, FA maggiore, Ernesto (Or più dolci) dà il via al grandioso concertato finale a sei (più il coro) che celebra il lieto fine per tutti, Agorante compreso (?) tranne che per la povera Zomira.
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Beh, non sarà ai livelli del Tell o di Semiramide, ma a me pare che - musicalmente parlando - si tratti di un lavoro che merita assai più considerazione e attenzione di quanta non gliene viene riservata ancor oggi.