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20 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Il barbiere di Siviglia



Ritorno all’Adriatic Arena per questo nuovo Barbiere. Nuovo nell’allestimento (del venerabile Pier Luigi Pizzi) e semi-nuovo nell’edizione, che è quella approntata nel 2010 dal compianto Alberto Zedda e da lui già presentata al ROF in forma di concerto nel 2011 e poi in forma quasi-scenica nel 2014.

Pizzi non si smentisce e - da scenografo di nascita - appronta un’ambientazione super-stilizzata (balconi, terrazzini e interno dove le curve sono ridotte al minimo) e con colori di scene e costumi dove prevalgono il bianco accecante e il nero più pesto. Poche macchie di violaceo o rossiccio per qualche soprabito e di ceruleo per Rosina. Le luci di Massimo Gasparon mettono perfettamente in risalto la solarità dell’ambiente, rotta solo dall’avvicinarsi del temporale.

Quanto alla recitazione, Pizzi cerca (e direi, trova) un accettabile compromesso fra gli eccessi goliardico-sbracati di certe interpretazioni che, da commedia con venature di buffo, riducono il Barbiere a puro avanspettacolo sgangherato. Non mancano certo le gag - una su tutte, il botto dello spumante stappato da Basilio con cronometrica precisione proprio sul memorabile colpo-di-cannone - ma siamo sempre all’interno dei confini dell’eleganza e dello stile. Così il Figaro che - mentre canta la sua celebre cavatina - si spoglia seminudo per lavarsi nella fontana sotto il balcone di Rosina; o il Conte che si presenta (come Don Alonso) nelle forme di un nanerottolo (camminando sulle ginocchia); o la vecchia Berta sempre assatanata come una ninfomane... non fanno mai scadere lo spettacolo in farsa.

Anche Pizzi sfrutta (già che c’è) la passerella (questa sì da avanspettacolo!) che ormai pare una dotazione fissa del palazzone pesarese: così vi transitano e stazionano spesso e volentieri i vari personaggi, fino alla sfilata in grande stile della chiusura del primo atto.

Passerella che circonda la pseudo-buca orchestrale, dove ha tenuto banco Yves Abel, che ha affrontato la partitura con molta leggerezza (alla radio non mi aveva entusiasmato) il che devo ammettere ha però il suo buon effetto, armonizzandosi assai bene con l’approccio della regìa. L’OSN-RAI (rinforzata per la chitarra dall’apporto del pesarese - milanesizzato - Eugenio Della Chiara) ha risposto alla grande, già dall’applauditissima Sinfonia.

Sempre efficace e compatto il coro del Ventidio Basso (Giovanni Farina) nei passaggi di insieme, come in quelli a gruppetti.

Le voci. Come curiosità c’è da registrare che quattro dei sette interpreti (Mironov, Wakizono, Luciano e Corrò) figuravano un anno fa nel cast de La pietra del paragone. Faccio poi o una premessa: lo scatolone ricavato nella pancia dell’enorme Adriatic Arena ha un’acustica davvero pessima (non v’è chi non reclami e attenda con impazienza il ritorno al glorioso Palafestival) però, accipicchia, le voci delle vecchie glorie Pertusi e Zilio vi passavano attraverso in modo spettacoloso... le altre, ahiloro, assai meno. Ancora accettabili quelle di Luciano e Spagnoli, ma quelle dei due protagonisti (Mironov e Wakizono) davvero faticavano a raggiungere indenni il fondo della sala (e va dato atto ad Abel di non aver mai coperto). Il che vorrà pur dir qualcosa (ricordo di aver mosso ai due lo stesso appunto critico, a proposito di decibel, un anno fa, in occasione della Pietra...)

A parte questo rilievo, dirò che tutti (aggiungo qui anche il bravissimo Corrò) si sono assestati su un livello più che discreto. Il pubblico da parte sua ha dato un voto che rasenta la lode, a giudicare dagli applausi (a scena aperta e poi alle uscite finali) riservati a tutti, musicanti e allestitori.   

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