Ieri
l’Adriatic Arena gremita del
tradizionale pubblico cosmopolita ha ospitato la terza rappresentazione del
titolo principale di questa edizione del ROF: Ricciardo&Zoraide.
La performance musicale ha confermato
(con punte più o meno marcate) quanto alto sia il valore di questa partitura
ancor oggi immeritatamente trascurata.
Da elogiare la prestazione di orchestra
(la OSN-RAI che Giacomo Sagripanti ha
condotto con grande autorevolezza, gesto misurato ma sempre preciso ed efficace,
e grande attenzione ai dettagli nell gestione delle dinamiche e delle agogiche)
e di coro (il Ventidio Basso di Giovanni
Farina, compatto e brillante negi momenti di maggior enfasi, in cui si
esibisce in primo piano, come in quelli di religioso raccoglimento, cantando di
lontano, dietro la scena).
Juan
Diego Flórez era
ovviamente - dati i suoi precedenti al ROF, che gli ha dato fama imperitura - il
più atteso e devo dire che non ha deluso i suoi ammiratori con una prestazione davvero
all’altezza della sua fama. Potrei sbagliare, ma rispetto alla prima (ascoltata per radio) mi è parso
ancora più sicuro ed efficace nello sciorinare tutto il suo repertorio di
virtuosismi, spiccando impeccabili acuti e sovracuti, ma anche sapendo cesellare
da par suo i risvolti più introspettivi del personaggio di Ricciardo.
Pretty
Yende
ha (a mio modesto parere) confermato pregi e difetti già emersi alla prima: buona impostazione generale, ma
alternanza di alti e bassi, sopratutto negli acuti e nelle colorature: i primi
spesso ghermiti con una certa approssimazione, le seconde che non paiono essere
proprio la sua miglior dote. In ogni caso, una prestazione che merita ampia
sufficienza (il pubblico è andato direttamente all’ottimo!)
Sergey
Romanovsky,
ritornato a Pesaro a un anno dall’esordio, ha cercato di dare nerbo al
personaggio di Agorante, riuscendovi a metà: l’approccio interpretativo è più
che corretto, ma la voce (e qui conta madre-natura) non è propriamente quella
di un baritenore quale il ruolo
pretenderebbe, il che costringe il tenore russo a innaturali forzature. In ogni
caso anche per lui successo caloroso.
Xavier
Anduaga
(ospite in anni recenti dell’Accademia rossiniana ed esordiente al ROF un anno
fa) ha mostrato interessanti doti naturali di tenore contraltino che ne fanno
interprete approprito del personaggio del crociato Ernesto, il che gli ha
garantito un’accoglienza fin troppo... trionfale.
La (comprensibilmente) gelosa Zomira ha
trovato in Victoria Yarovaya un’interprete
all’altezza, per impostazione, portamento e qualità della voce. Rispetto alle
prestazioni non memorabili degli anni scorsi il contralto russo mi pare
decisamente cresciuto. Peccato però che alla sua voce manchi qualche decibel per passare dal discreto al
buono, ecco.
Il veterano del ROF (vi esordì nell’ormai
lontano ’97) Nicola Ulivieri ha messo
tutta la sua esperienza nel creare in maniera eccellente il personaggio di Ircano, che irrompe sulla scena solo a metà del second’atto ma poi vi ha una
presenza tutt’altro che marginale. La sua voce potente e ben impostata ha svettato
anche nei concertati che chiudono l’opera.
I tre accademici (Sofia Mchedlishvili, Martiniana Antonie e Ruzil Gatin) hanno più che
onorevolmente completato il cast.
Come detto, gran successo per tutti, con tambureggiamenti del tavolato e
ripetute ovazioni. Personalmente non sono facile agli entusiasmi, ma mi fa
piacere constatare quelli che animano il pubblico come accaduto ieri.
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Sull’allestimento si potrebbe tranquillamente sorvolare, data la sua
totale inconsistenza rispetto al soggetto; il quale è già inconsistente di suo,
figuriamoci! Dovendo rappresentare l’opera in forma scenica
(molto più senso avrebbe darla in forma concertante, o semi-scenica) tutto diventa
possibile, soprattutto se il regista non si chiama... Ronconi (!)
Ecco che allora (scene di Gerard
Gauci) l’esterno della reggia di Agorante assume l’aspetto di una
gigantesca tenda Tuareg (ma anche
quello del tendone di un gran circo barnum...)
mentre al suo interno si erge miracolosamente una struttura a due piani di
architettura mista occidentale (volte a semicerchio) e pseudo-orientale (volte
ad ogiva tendente al... triangolo). Il fiume Nubio che costeggia Duncala è
esondato al punto da trasformarsi nel... lago Nasser (la reggia sarà stata
spostata in alto pietra-a-pietra come si fece con i templi di Abu-Simbel,
immagino).
I costumi dei protagonisti sono ispirati (da Michael Gianfrancesco) a geniale sincretismo, chè si va dal corpetto-su-petto-nudo
di Agorante all’abbiglimento zigano di Ricciardo (quando da paladino... paludato
si traveste da baluba) alla purpurea veste cardinalizia di Ernesto (certo siamo
alle crociate ordinate dal Papa, ohibò) alle gonne rococò delle signore, che
però hanno le parrucche sostituite da prosaiche cucuzze...) Ircano ha proprio l’aspetto
di un cavaliere medievale (ma qui anche il libretto non scherza...)
I personaggi si muovono come
nelle recite scolastiche (cioè stanno spesso impalati) oppure sfruttano
furbescamente la passerella da avanspettacolo (ormai divenuta una costante
degli allestimenti all’Adriatic Arena) anche per avvicinarsi al pubblico scavalcando
la rumorosa orchestra così da farsi meglio udire. I cori si dispongono al lati
della scena, oppure si allineano rigorosamente in mezzo al palco.
Essendo i registi (Marshall
Pynkoski e consorte Jeannette
Lajeunesse Zingg) di professione
coreografi, ecco che infarciscono le scene di danzatori e balletti,
trasformando l’opera in grand-opéra. Si salva da tutto questo pot-pourri Michelle Ramsay, che mostra di saper
bene come maneggiare le luci.
Insomma, una... farsa, ecco,
sul cui carattere dissacrante si può disquisire, nel senso di stabilire se sia
proditorio o involontario.
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