XIV

da prevosto a leone
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15 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 3

Il terzo appuntamento della stagione vede l’atteso esordio di Michele Mariotti (che dal prossimo 1° novembre inizia il suo mandato di Direttore Musicale dell’Opera di Roma) sul podio dell’Auditorium di Largo Mahler. Ed è proprio Mahler a riempire (in coabitazione con Schubert) il programma del concerto.

Il filo conduttore del programma potrebbe definirsi una meditazione sulla morte: dal 27enne Schubert esplicitamente esposta già nel titolo del primo brano in programma, oltre che personalmente e materialmente vissuta e sofferta; nel poco più che 30enne Mahler, presente in almeno tre dei cinque Lieder proposti, oltre che essere una componente fondamentale della sua concezione artistica-esistenziale, che costituirà il sostrato di tutta la sua produzione a venire.

Il primo brano della locandina è la trascrizione, opera di Mahler, dello schubertiano Quartetto D 810 in RE minore del 1824. Che è più noto con il titolo Der Tod und das Mädchen, il brevissimo Lied del 1817 – solo 43 battute in RE minore, tre minuti appena - le cui 8 battute introduttive vengono richiamate all’inizio dello sterminato Andante con moto – 272 battute in SOL minore, con ben 11 da-capo, quasi un quarto d’ora!

In questo commento ad un concerto del lontano 2011 avevo segnalato alcuni sotterranei legami fra temi dei 4 movimenti del quartetto e opere anteriori e soprattutto posteriori a Schubert. Allo stesso tempo avevo segnalato i rischi connessi all’ispessimento dell’organico orchestrale, legato alla trascrizione mahleriana. Che anche ieri si sono inevitabilmente materializzati, anche se l’encomiabile sforzo di Mariotti per dare trasparenza e leggerezza al tessuto musicale schubertiano ha sortito effetti apprezzabili: cito solo come esempio proprio il movimento che dà il titolo al quartetto, dove il Direttore pesarese (epigono del suo maestro Abbado anche nella postura di volto e… mani) ha ridotto qua e là la strumentazione proprio a quella di un quartetto, ma non quello classico, come far suonare - per ottenere un effetto stereo - solo la quarta fila dei primi violini. In compenso ci ha inspiegabilmente risparmiato almeno un paio dei da-capo, cosa che francamente mi è dispiaciuta assai.        

In ogni caso il successo non è mancato, con prolungati applausi a strumentisti e Direttore.
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Ian Bostridge ha fatto il suo gradito ritorno qui (dopo quasi 13 anni, se la memoria non m’inganna…) per proporci alcuni Lieder che Mahler musicò scegliendoli fior-da-fiore dalla sterminata collezione della raccolta titolata Des Knaben Wunderhorn.

Si tratta di vecchie poesie e filastrocche popolari tedesche – risalenti prevalentemente alla guerra dei 30 anni (1618-1648, culminata con la Pace di Westfalia) - pubblicata nei primi anni dell’800 (1805-1808) da Achim von Arnim e Clemens Brentano. I tre volumi contengono quasi 700 poesie, inclusi 134 Kinderlieder. Come è facile immaginare, ci si trova un po’ di tutto: fatalismo, disperazione, antimilitarismo, ingenuità, fanciullaggini, ma anche sana saggezza, sarcastica critica del potere e delle stupide convenzioni sociali. I Lieder presentati nel concerto ne rappresenrano un piccolo ma significativo campione.  

Nell'ultima decade dell'800 Mahler musicò 9 canti per voce e pianoforte, e successivamente altri 15 (in tre tranche di 5, 8 e 2) per voce e orchestra, tre dei quali sono poi divenuti altrettanti movimenti di sinfonia (seconda, terza e quarta). Ma frammenti e reminiscenze di Lied pervadono letteralmente tutta la produzione sinfonica di Mahler.

Dei 15 canti qui Bostridge e Mariotti ne hanno proposti cinque, due nella sezione… sarcasmi e fanciullaggini in campo ittico, gli altri tre nella sezione… antimilitarista e funerali, e precisamente:

Des Antonius von Padua Fischpredigt: Sant’Antonio predica ai pesci, che seguono il sermone con il massimo interesse (proprio a bocca aperta, si potrebbe dire); finita la predica, ognuno se ne torna alle proprie poco edificanti occupazioni. Peraltro, non è ciò che accade al 98% dei frequentatori delle nostre chiese?! La musica di questo Lied è stata impiegata da Mahler, con notevoli ampliamenti, come Scherzo della Seconda Sinfonia.

Rheinlegendchen: è una delicata melodia campestre (una ballata, come era definita) su un testo che racconta un’improbabile storia di un anellino, buttato nel fiume da un mietitore, e che arriva sulla tavola del re, dentro al pesce che lo ha ingoiato. Così una bella ragazza di corte lo riporta al contadinello.  

Wo die schönen Trompeten blasen: un giovane innamorato bussa alla porta della sua amata, che lo fa entrare, ma poi piange udendo l’usignolo. Lui la rassicura: sarai mia, ma prima devo proprio andare in guerra, sui verdi prati, dove squillano le belle trombe. Là è la mia casa.

Revelge: un tamburino, morto, che risorge per guidare i compagni, morti pure loro, alla vittoria… per poi tornare a fare il morto, sotto le finestre dell’amata. Pare che Mahler abbia confessato di aver avuto l’ispirazione per la musica di questo Lied - un breve inciso del quale compare nel Finale della Quinta sinfonia - durante una lunga seduta sul… WC! Ma qui Fantozzi non avrebbe proprio nulla da eccepire!

Der Tambourg‘sell: un altro, povero tamburino disertore è portato al patibolo, e saluta tutti i commilitoni con uno sberleffo, me ne vado in ferie, lontano da voi. Buona notte!

Pare che Mahler avesse concepito questi canti per voce maaschile, sta di fatto però che le principali edizioni recano l’indicazione generica per voce solista e orchestra, per cui i Lieder sono stati tradizionalmente eseguiti da baritoni, contralti e soprani, più raramente da tenori. Alcuni, proprio come Wo die schönen Trompeten blasen, si prestano anche ad essere interpretati da voce maschile e femminile dialoganti (cosa che molti esperti – e Bostridge con loro - contestano apertamente). Non è raro che la tonalità venga trasposta per meglio adattarla alla voce dell’interprete.

Bostridge, del quale si possono ascoltare qui quattro dei cinque Lieder, eseguiti nel 2015 con l’OSN-RAI, ha sfoggiato la sua straordinaria carica espressiva – invero perfettamente calzante sullo scenario straniato e straniante di questi testi - che riesce a coinvolgere il pubblico come poche volte accade.

Mariotti ha trovato immediatamente sintonia con il solista, accompagnandolo con discrezione, quasi in punta di piedi, salvo far esplodere l’orchestra (a rischio di coprire la voce…) nelle poche irruzioni (copyright Adorno) che caratterizzano un po’ tutta la produzione mahleriana.

Le ripetute chiamate e gli applausi ritmati che hanno accolto i due al termine hanno sortito anche un bis: la predica del Santo agli… ipocriti. 

08 settembre, 2017

MITO – Bostridge fa il mugnaio


Fra le mille offerte del MITO (a proposito, eccone il logo twitterino scomposto nei 5 simboli della notazione musicale)


ieri sera ho scelto (non solo perchè a ingresso gratuito...) l’esibizione di Ian Bostridge al Teatro della Cooperativa, una meritoria struttura (con sala da quasi 200 posti) situata in zona Bicocca-Niguarda. Accompagnato dal pianista Julius Drake, il tenore britannico si è esibito nel grande ciclo schubertiano Die schöne Müllerin.

I testi vengono da una delle 5 raccolte di Wilhelm Müller raggruppate sotto il titolo Sieben und Siebzig Gedichte aus den hinterlassenen Papieren eines reisenden Waldhornisten (Settantasette poemi da carte postume di un suonatore di corno itinerante) pubblicate nel 1821. La prima di queste, che è anche la più estesa, consistendo di 25 poemi - le altre ne comprendono rispettivamente 10, 15, 13 e 14 - fu (parzialmente, 20 poemi) musicata da Schubert fra il 1822 e il 1824.

I testi del ciclo sono consultabili in rete, ad esempio su questo sito specializzato in Lieder (tradotti da Amelia Maria Imbarrato).

Lo specchietto sottostante mostra la struttura dei poemi originali e quella del ciclo schubertiano:


La colonna più a destra indica una suddivisione in 5 blocchi dell’opera di Schubert, corrispondente ai 5 quaderni in cui essa venne pubblicata per la prima volta a Vienna per i tipi di Suer&Leidesdorf. I titoli riportati sono del tutto arbitrari, frutto di ipotesi di lavoro di alcuni musicologi – Schubert inizialmente prevedeva una pubblicazione in sole 4 rate - tuttavia hanno una loro accattivante plausibilità, rappresentando le vicissitudini vissute dal protagonista, un mugnaio che se ne va per il mondo, arriva al mulino dove incontra la bella e giovane mugnaia di cui si innamora, prima che un cacciatore più attraente/intraprendente di lui gliela soffi di sotto il naso, gettandolo in uno stato di profondo sconforto che lo porta ad augurarsi la morte. Anche la successione delle tonalità dell’opera segue il percorso esistenziale del protagonista, con i primi tre atti prevalentemente in maggiore (ma con frequenti screziature) il quarto in minore e il quinto in un misto dei due modi, a chiudere in modo tragico ma allo stesso tempo serenamente rassegnato.

Come si vede, la collana originale di Müller – a proposito, qui è tutto un mulinare di mugnai: l’autore si chiama Mugnaio e il protagnista è un mugnaio che si innamora di una mugnaia! - comprende 25 poesie, mentre Schubert ne musicò soltanto 20. Infatti il compositore omise di musicare prologo, epilogo e tre poesie della raccolta. A suo tempo (1961) Dietrich Fischer-Dieskau incise il ciclo includendovi (a mo’ di Singspiel) anche il parlato dei due testi estremi, cosa in sè francamente bizzarra, e più tardi colmò la misura leggendo anche i testi dei tre Lieder omessi da Schubert come corredo ad un’incisione proprio di Bostridge. Del quale troviamo in rete un’esecuzione... nipponica del 2005 (ma lui si era già cimentato con l’opera almeno 10 anni prima).

La musica originale è scritta per voce di tenore – certo la più plausibile rispetto al soggetto letterario - ed è poi stata trasposta (di uno o due o tre o fino a quattro semitoni) anche per voci più basse (di baritono o basso). Bostridge ovviamente ha cantato la versione originale (il primo Lied, ad esempio, in SIb e non in LA come lo canta un baritono). Un’incisione tenorile assai interessante è quella storica (1957) di Fritz Wunderlich. E di recente anche il divo Jonas non si è sottratto alla sfida. Seguiamo proprio lui in questo affascinante cammino.

Quaderno I

N°1 Wanderschaft (SIb maggiore, 2/4, moderatamente rapido). Il protagonista, un garzone di mugnaio, ci presenta la sua irresistibile attrazione per il viaggiare, citando come esempi l’acqua del ruscello, la ruota del mulino e la mola, che incessantemente si muovono senza mai arrestarsi. Così chiede ai padroni il permesso di andarsene.

2’43” - N°2 Wohin? (SOL maggiore, 2/4, moderato). Il giovane mugnaio si mette a seguire il corso del ruscello, al quale comincia a parlare come ad un compagno di viaggio dal quale lasciarsi guidare. 

4’56” - N°3 Halt! (DO maggiore, 6/8, non troppo rapido). Il mugnaio arriva nei pressi di un mulino; il paesaggio è idilliaco: mormorio dell’acqua e delle pale, una linda casetta, il sole che splende... è proprio il caso di fermarsi lì. 

6’32” - N°4 Danksagung an den Bach (SOL maggiore, 2/4, piuttosto lento). Il viandante protagonista ha conosciuto la bella molinara e ringrazia il ruscello che lo ha condotto da lei. Ora lui ha un lavoro e un sogno da realizzare. 

Quaderno II

8’56” - N°5 Am Feierabend (LA minore, 6/8, abbastanza rapido). Il ragazzo vorrebbe essere il garzone più forte e laborioso, per ingraziarsi la bella molinara, ma si rende conto di essere come ogni altro lavorante. La sera il padrone loda tutti e la molinara dà la buona notte.

11’37” - N°6 Der Neugierige (SI maggiore, 2/4, adagio). Il giovane ha un cruccio, che vorrebbe risolvere, ma non osa chiedere risposta nè ai fiori, nè alle stelle, così si rivolge all’amico ruscello, che pare stranamente silenzioso. (SI maggiore, 3/4, molto adagio). E gli chiede un o un no: lei mi ama?

15’40” - N°7 Ungeduld (LA maggiore, 3/4, piuttosto rapido). L’innamorato vorrebbe manifestare il suo amore scrivendolo su pietre e fiori, facendolo cantare ad uno storno alla finestra della molinara; vorrebbe che il bosco, l’aria e l’acqua portassero alle orecchie di lei il suo sentimento; che dovrebbe essere evidente dal suo sguardo, dal suo volto e dalla sua bocca silente. E invece lei non se ne accorge!    

18’22” - N°8 Morgengruß (DO maggiore, 3/4, moderato). Lui vuol dare il buongiorno all’amata, che però sembra nascondersi. Allora lui guarda da lontano la sua finestra, sperando che lei si affacci. Poi la implora di schiudere i suoi occhi al giorno, e infine osserva l’allodola che parla di amore, tormento e pena.

22’23” - N°9 Des Müllers Blumen (LA maggiore, 6/8, moderato). Il giovane vede nei fiori presso il ruscello gli occhi dell’amata. Allora li vorrebbe piantare sotto la finestra di lei, perchè a sera le trasmettano il suo amore e le sussurrino il suo non-ti-scordar-di-me. E al mattino le lancino uno sguardo d’amore, bagnato dalla rugiada delle sue lacrime. 

Quaderno III

26’03” - N°10 Thränenregen (LA maggiore, 6/8, abbastanza lento). Il garzone ricorda (o immagina, o sogna?) quando stava con la bella molinara a guardare il ruscello. C’era la luna, ma lui guardava solo la sua bella. Lei si chinava verso l’acqua e anche i fiori e le stelle sembravano imitarla e trascinarlo giù nel profondo. Poi lei disse: arriva la pioggia, io me ne torno a casa.

30’03” - N°11 Mein! (RE maggiore, 4/4 alla breve, moderatamente rapido). E finalmente (ma sarà realtà o sogno?) la bella molinara ha corrisposto all’amore del giovane mugnaio. Che chiede al ruscello, al mulino, ai fiori, di smettere i loro suoni per cantare con lui: è mia! La primavera non ha abbastanza fiori e il sole non abbastanza luce, così lui resta solo con la parola mia!, incompreso dal resto del creato.   

32’25” - N°12 Pause (SIb maggiore, 4/4, abbastanza rapido). Il giovane ha appeso il suo liuto al chiodo: il suo cuore è troppo gonfio di felicità per poter cantare. Lui prima cantava la nostalgia e le sue pene, ora la sua gioia è troppo grande per essere espressa in suoni. Se le corde sono mosse da una brezza o da un’ape, ciò lo fa rabbrividire. Spesso il nastro verde che lo regge ne sfiora le corde che emettono lamenti: che sia questo un presagio? 

Quaderno IV

36’52” - N°13 Mit dem grünen Lautenbande (SIb maggiore, 2/4, moderato). La molinara ha osservato che il nastro verde che regge il liuto si sta scolorendo. Il garzone decide allora di mandarglielo. A lui piace il bianco, ma anche il verde, che è il simbolo del loro giovane amore, oltre che della speranza. La prega di annodare il nastro attorno ai suoi riccioli... e il verde gli piacerà ancor di più!

38’45” - N°14 Der Jäger (DO minore, 6/8, rapido). Un cacciatore è arrivato al mulino, e il nostro mugnaio comincia a preoccuparsi per la sua innamorata. Lo invita a tornare nel bosco, lì è fuori posto come un pesce in giardino o uno scoiattolo in acqua. Se proprio vuol fare un favore alla sua amata, che uccida i cinghiali che le devastano l’orto!

39’52” - N°15 Eifersucht und Stolz (SOL minore, 2/4, rapido). Il mugnaio chiede al ruscello dove corra così rapido: forse rincorre il cacciatore? No, invece dovrebbe rimproverare la sua amata, che ha fatto la civetta con quello, ieri sera, affacciandosi al portone mentre il cacciatore tornava a casa. Ma non le dica della sua tristezza: le dica che lui intaglia un flauto per suonare danze e canzoni ai bambini.

41’33” - N°16 Die liebe Farbe (SI minore, 2/4, piuttosto lento). Il verde è il colore dell’amata, e il mugnaio vorrebbe vestirsi di verde e piangere verdi lacrime, poi cercare cipressi e rosmarini, tutti verdi. Andare a caccia nella macchia, la caccia che piace tanto all’amata, ma lui va a caccia della morte! E chiede una tomba nel verde, senza croci o fiori variopinti... solo verde, che è il colore dell’amata.

46’06” - N°17 Die böse Farbe (SI maggiore, 2/4, abbastanza rapido). Il colore verde ora ossessiona il giovane, che vorrebbe distruggere tutto il verde che lo circonda, lui che è una creatura bianca. Poi vorrebbe sdraiarsi alla porta di lei, cantandole lungamente il suo addio. Sogna di poter occhieggiare alla finestra di lei che si affaccia, non per lui, ma per il suono di un corno da caccia... Le chiede di sciogliersi il nastro verde dalla fronte e di salutarlo con la mano. 

Quaderno V

48’13” - N°18 Trockne Blumen (MI minore.maggiore, 2/4, abbastanza lento). Il povero mugnaio parla ora ai fiorellini che lei gli donava e che finiranno sulla sua tomba. Ma ora appassiscono e nemmeno le lacrime li possono far rivivere, come non fanno rivivere un amore morto. Poi a primavera i fiorellini rispunteranno sulla sua tomba e lei andrà per i campi pensando: lui era fedele. E allora sbocciate tutti, fiorellini, è arrivato maggio e l’inverno se n’è andato!

52’02” - N°19 Der Müller und der Bach (SOL minore-maggiore, 3/8, moderato). Il mugnaio parla ora al ruscello: se un cuore fedele si strugge d’amore, i gigli appassiscono, la luna si nasconde e gli angeli cantano singhiozzando mentre accompagnano l’anima al suo riposo. Il ruscello risponde: quando l’amore supera il dolore, allora una stella sorge in cielo, tre rose bianco/rosse fioriscono per mai più appassire e gli angeli si tagliano le ali per scendere ogni mattina sulla terra. Ancora il mugnaio: caro ruscello, hai proprio ragione; sai cosa fa l’amore? Quaggiù, quaggiù è il fresco riposo. Ruscelletto, continua a cantare!

56’04” - N°20 Des Baches Wiegenlied (MI maggiore, 4/4 alla breve, moderato). Il ruscello invita il viandante a riposare presso di lui, finchè il mare non abbia bevuto tutti i ruscelli. Poi chiama a raccolta tutto ciò che possa cullarlo. Se il corno risuonerà nel bosco, allora il suo suono verrà coperto dallo scrosciare dell’acqua. E i fiorellini non guardino qui, per non portare brutti sogni. E tu, cattiva fanciulla, vattene dal mulino, perchè la tua ombra non lo svegli: gettami il fazzoletto con cui gli coprirò gli occhi. Dormi, dormi, fin che tutti si sveglino, mentre sale la luna piena, la nebbia si dirada e il cielo, lassù... oh com’è immenso!
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Dico subito che Bostridge è stato semplicemente straordinario! Per la purezza del suono della sua voce, cristallina come l’acqua del ruscello; per l’espressività con la quale ha ulteriormente impreziosito le note schubertiane; e infine per la teatralità della sua performance, davvero sconvolgente nelle gestualità del corpo e nelle espressioni del volto.

Credo sia impossibile rendere la meravigliosa arcata drammatica della Müllerin con più efficacia e sollevando tanta emozione! Un encomio doveroso al suo impeccabile accompagnatore Julius Drake, che ha realizzato con il pianoforte una perfetta simbiosi con la voce del tenore.

Al termine la piccola sala della Cooperativa, piena come un uovo, è esplosa in lunghi applausi e ovazioni, strameritati. E allora mi permetto di lanciare un appello ai torinesi (e non...): chi  appena può, questa sera vada di corsa al Tempio Valdese di Torino! 

01 ottobre, 2016

La Scala si fa un bel giro di vite

 

La Scala sta ospitando una delle opere più affascinanti di Benjamin Britten: The turn of the screw, arrivata ieri alla quinta delle sette rappresentazioni. Come personalmente io vedo i tratti fondamentali dell’opera, anche in relazione al racconto ispiratore di James, ho già avuto modo di esprimerlo anni fa, in occasione di un allestimento veneziano, e a quel commento rimando le falangi (?!) dei curiosi.

Parto dalla prima scena del second’atto (occupata dall’incontro fra i due fantasmi e chiusa dalla sconfortata confessione dell’Istitutrice) che ha il suo culmine nella famosa esternazione di Quint (poi di Jessel e quindi di entrambi): The ceremony of innocence is drowned:
   

Non viene per nulla da James, ma è un verso preso di peso da una poesia di William Butler Yeats del 1919 (The second coming, Il Secondo Avvento) scritta subito dopo la Grande Guerra e la Rivoluzione d’Ottobre, che erano stati eventi di inaudita ferocia (il primo) e di violenta sovversione (il secondo):

William Butler Yeats - 1919
Turning and turning in the widening gyre 
The falcon cannot hear the falconer;
Things fall apart; the centre cannot hold;
Mere anarchy is loosed upon the world,
The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere
The ceremony of innocence is drowned;
The best lack all convictions, while the worst
Are full of passionate intensity.

Girando e girando nella spirale che si allarga
il falco non può udire il falconiere;
le cose cadono a pezzi; il centro non può reggere;
pura anarchia dilaga sul mondo,
l’onda intorbidata di sangue dilaga, e ovunque     
il rito dell’innocenza viene sommerso;
nei migliori manca ogni fede, mentre i peggiori
sono colmi di fervente ardore.

Yeats ci vedeva il prevalere dei peggiori istinti bestiali (oggi si incarnano nell’ISIS, per dire) sui sani principii (l’innocenza) che dovrebbero governare le civiltà umane. Nel libretto della Piper il concetto (evidentemente condiviso e magari suggerito da quell’anti-militarista-obiettore-di-coscienza che rispondeva al nome di Britten) viene trasportato a livello privato: i fantasmi Quint&Jessel sono i peggiori, ma dotati di spietata decisione, mentre i migliori (l’Istitutrice) hanno perso ogni fiducia nel bene (Persa nel mio labirinto, non vedo alcuna verità, su di me incombono solamente le pareti nebbiose del male, confessa la poveretta).  

Questo rapporto di sopraffazione dei cattivi sulla buona viene dal regista Kasper Holten proposto lungo l’intero corso della storia, ma smaccatamente mostrato all’inizio del second’atto, proprio nella scena in cui si proclama che il rito dell’innocenza viene sommerso. L’Istitutrice, che già di suo è preda di oniriche visioni da incubo, si ritrova ai suoi fianchi, nel letto, i due fantasmi che, appunto, la sommergono con le loro tentazioni.

È questo certamente il momento-clou della messinscena di Holten, tutta incentrata sulle turbe psichiche dell’Istitutrice, che diventa paradossalmente la cattiva della situazione, facendo prima ammattire Flora e spingendo poi Miles al suicidio: a proposito l’ultima scena mi è parsa davvero... spropositata, con il ragazzo che urla Peter Quint, you devil! proprio abbaiando contro l’Istitutrice, per poi correre a buttarsi dal secondo piano per sfracellarsi al suolo, dove verrà raccolto in una pozza di sangue dalla povera schizofrenica... Mah!

Avendo dato la priorità alla schizofrenia dell’Istitutrice, vengono fatalmente messi in secondo piano gli aspetti che verosimilmente stavano più a cuore a Britten: non è un mistero che il compositore fosse particolarmente e in primo luogo interessato a presentarci la problematica legata ai rapporti fra adulti e adolescenti (con annesse implicazioni omosessual-pedofile); problematica assai più scabrosa di quella legata alla labilità psichica di una donna chiaramente impreparata ad affrontare certi compiti e quindi facilmente suggestionabile. Insomma: nel soggetto di Piper-Britten il piccolo Miles deve essere stato vittima delle vessazioni materiali di un adulto maschio vivo (poco importa che poi torni o no da morto...) e non delle paranoie di una donnicciuola bigotta e inesperta di tutto (massimamente di sesso). Non altrimenti si spiega come Miles, assai prima dell’arrivo dell’Istitutrice, fosse stato cacciato dalla scuola a causa di suoi comportamenti irriferibili, ma chiaramente spiegabili soltanto con la frequentazione di cattive compagnie... E che il rapporto Flora-Jessel, pur esso preesistente all’arrivo dell’Istitutrice, fosse stato tutt’altro che limpido ce lo confermano le parole della governante quando narra dei vaneggiamenti onirici della piccola, e si convince a portarla via da quella casa.

E poi che i fantasmi (come minimo quello di Quint) non siano soltanto proiezioni della psiche alterata dell’Istitutrice ce lo conferma un indizio assai scoperto: dalla sommaria descrizione che l’Istitutrice medesima fa della persona comparsale davanti già due volte (e mai vista prima) Mrs.Grose decifra senza alcuna esitazione l’identità di Peter Quint! Dopodichè vuota il sacco su una serie di fatti e comportamenti riprovevoli di cui lei stessa era stata testimone, protagonisti Quint e Jessel.

Ecco quindi che un aspetto fondamentale del soggetto originale qui viene messo in secondo piano, poichè continuamente schermato dalla presenza ingombrante e soffocante dell’Istitutrice e della sua psiche malata: ne è chiaro esempio la scena finale del primo atto, al centro della quale vi è proprio l’Istitutrice, che pare quasi telecomandarla (o magari immaginarla in sogno) invece di sopraggiungere solo a cose fatte (gli abboccamenti fra i due fantasmi e i due fanciulli). 

Insomma, una lettura, quella del regista danese, a mio modo di vedere troppo sbilanciata sul versante freudiano, che rappresenta una parte, ma non il tutto del racconto di James e ancor meno centrale (per quanto rilevante) è nel libretto dell’opera.

Vanno apprezzate le scene, con la suddivisione dello spazio in celle di dimensioni diverse: due grandi, sovrapposte, che occupano il centro e il lato sinistro del palco, e traslano in verticale per scoprire o far scomparire un sotterraneo (ambientazione del lago) che comunica con il salone del maniero attraverso una scala a chiocciola; e tre piccole sovrapposte e fisse sul lato destro, che rappresentano le camere dei due piccoli e della governante. Così diventa efficace mostrare al pubblico anche quei personaggi (i fantasmi) che spesso devono essere invisibili agli altri protagonisti. Inoltre, la chiusura alla vista, ottenuta con pareti mobili, consente al regista di zoomare quando necessario su una sola (o alcune) delle celle.

Costumi e luci contribuiscono a creare efficacemente le ambientazioni delle diverse scene: certo, gli aspetti (pur non trascurabili, anche perchè magistralmente sottolineati dalla musica) legati alla natura (il tramonto, il lago...) vengono qui totalmente ignorati, in un bianco&nero permanente e soffocante. Qualche eccesso, come il già citato suicidio di Miles, e un manichino (? della governante?) che pende impiccato dal soffitto durante il Prologo si potevano evitare, credo.
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Ottime notizie sul fronte dei suoni, dove i magnifici 13 strumentisti della Scala, tutti di fatto dei solisti in questa partitura da camera, si meritano un encomio per l’accuratezza della loro esecuzione. Christoph Eschenbach li ha guidati con la sua proverbiale e maniacale attenzione ad ogni dettaglio: molto opportuna quindi la loro apparizione finale sul palcoscenico, a prendersi i meritati applausi insieme ai protagonisti vocali, tutti indistintamente da lodare, grandi e soprattutto piccoli!   
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Ultima nota (dolente): pubblico scarso e smagritosi ulteriormente all’intervallo; captati qua e là commenti irriferibili sull’inclusione di questo titolo nel programma in abbonamento. Che dire? In questi casi torna sempre e invariabilmente la nostalgia per la cara Piccola Scala (ambiente semplicemente perfetto per questo tipo di rappresentazioni) e la rabbia per la fine che le è toccata... amen.  

12 febbraio, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 18

Molto Berlioz nel programma del diciottesimo concerto della stagione, in un Auditorium abbastanza gremito, a dispetto del freddo e del nevischio che in questi giorni deliziano Milano.

Per scaldare i motori dell'Orchestra – e per omaggio all'imminente ricorrenza pagana - si comincia con Le Carnaval Romain, ouverture scritta da Berlioz assemblando (mirabilmente!) spezzoni dello sfortunato Cellini. Qui il corno inglese – in cui soffia la bravissima Claudia Verdelocco - comincia a mettersi in mostra, esponendo il tema iniziale in DO maggiore, in attesa di farla poi da protagonista nel terzo tempo della Fantastica. John Axelrod lascia briglia sciolta all'orchestra, che produce tutto il fracasso possibile di questa esuberante partitura, il che strappa come giusto sonori applausi.

Seguono due serie di canti francesi musicati da Britten e Lutoslawski, e interpretati da Ian Bostridge.

Invertendo la sequenza annunciata, Bostridge parte da Lutoslawski, di cui propone le Paroles Tissées di Jean-François Chabrun. Sono quattro arazzi poetici liberamente ispirati al poema medievale La Châstelaine de Vergy, una breve ma struggente storia di amore e morte dei tempi di Tristano, i cui riferimenti nei versi di Chabrun sono peraltro labilissimi (il poeta novecentesco nomina gatti, quaglie, pernici, cavalli, galli, quando invece nel racconto medievale il protagonista, a suo modo, è un cagnolino…) Orchestra ridottissima (archi in formazione da camera, pianoforte, arpa e percussioni) per questi pezzi da Sprechgesang, qualcosa che richiama di lontano lo schönberghiano Pierrot. Suoni isolati, per lo più acuti, del tenore, che cadono come gocce nello stagno, o sui diversi tappeti (per stare al titolo) di suoni dell'orchestra. Certo, musica difficile da digerire, se quasi dopo un secolo ancora ci resta sullo stomaco anche Schönberg.

Dell'autore di Peter Grimes ascoltiamo le Quatre chansons françaises: sono poemi, alternativamente di Hugo e Verlaine, musicati nel 1928 da un ragazzino (quindicenne!) con una maestrìa davvero sorprendente. Qui l'orchestra è quasi al completo, il tessuto è assolutamente diatonico, come sarà del resto tutta l'opera di Britten. Bostridge mostra in questi lieder la chiarezza e la leggerezza della sua voce da tenorino, che gli merita calorosi applausi.

Infine, la fantastica Fantastica del complessato Hector. Opera rivoluzionaria – per il suo tempo – e anticipatrice di tanto Liszt e altrettanto Wagner. A partire dall'impiego di un vero e proprio Leitmotif (l'idea fissa) che si presenta come primo tema della forma-sonata iniziale, e poi ritorna ossessivamente in ogni successivo movimento. Per seguire con il lungo e sonnecchiante lamento del corno inglese nella Scène aux champs, così magistralmente ripreso – in chiave di desolazione - dal mago di Lipsia nel conclusivo atto del suo massimo capolavoro.

E proprio il terzo movimento della sinfonia è stato affrontato e presentato in modo oserei dire impeccabile, con quel duetto fra il corno inglese e l'oboe, uscito temporaneamente di scena e che fa udire il suo suono da dietro la quinta, cui subentra il dolcissimo tema in FA, esposto dal flauto e dai violini:




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È un movimento, questo, che ad un ascolto disattento e deconcentrato risulta noioso e prolisso, quanto invece è straordinario e sublime se lo si segue (e prima ancora, lo si esegue) con la dovuta cura. C'è spazio per tutti gli strumenti, che diventano di volta in volta solisti, come i fagotti, dopo clarinetti e corni, oboe e flauto. Emozionante davvero il tremolo (très serré) con cui violini e viole preparano l'ingresso dell'idée-fixe in flauto e oboe e poi la sospingono fino all'apice (i due poderosi accordi sul SOL e il LAb) da dove l'incantesimo finisce, con le semicrome che discendono la scala cromatica, in sincope, fino ad arenarsi sul lungo REb dei violoncelli. Dolcissimo e nobile il ritorno dell'Idée, variata, come una cadenza, in flauto, poi clarinetto e quindi oboe, prima della transizione alla coda, dove sono i quattro timpanisti a farla da padroni, intercalandosi con il lamento del corno inglese per portarci cupi rimbombi di tuono, che restano però lontani, salvo che per una battuta (poco sforzato) prima che il DO del corno chiuda la scena, accompagnato da due accordi di FA maggiore degli archi.

Ecco, solo questo movimento valeva tutta la serata. Non che prima le cose non fossero andate altrettanto bene. Rêveries-Passions (dove Axelrod ci ha risparmiato il ritornello dell'esposizione, cosa piuttosto sensata) e Un Bal ci sono stati offerti con grande efficacia, senza enfasi né gigionerìe, ma con assoluto rispetto dei tempi e dell'agogica.

Infine, nei due movimenti conclusivi, grande sfoggio di sicurezza e abilità da parte di tutti, ma sempre mantenendo equilibrio ed evitando facili esagerazioni cui la partitura presta il fianco in abbondanza. Insomma, una grande esecuzione, che si è meritata vere ovazioni per tutti i professori, chiamati quasi ad uno ad uno da Axelrod, e per lo stesso Maestro, che merita di sicuro un posto di primo piano fra i direttori di oggi.

Con il prossimo concerto si resta nel grandissimo repertorio, e sul suo podio ritorna Xian Zhang.