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12 febbraio, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 18

Molto Berlioz nel programma del diciottesimo concerto della stagione, in un Auditorium abbastanza gremito, a dispetto del freddo e del nevischio che in questi giorni deliziano Milano.

Per scaldare i motori dell'Orchestra – e per omaggio all'imminente ricorrenza pagana - si comincia con Le Carnaval Romain, ouverture scritta da Berlioz assemblando (mirabilmente!) spezzoni dello sfortunato Cellini. Qui il corno inglese – in cui soffia la bravissima Claudia Verdelocco - comincia a mettersi in mostra, esponendo il tema iniziale in DO maggiore, in attesa di farla poi da protagonista nel terzo tempo della Fantastica. John Axelrod lascia briglia sciolta all'orchestra, che produce tutto il fracasso possibile di questa esuberante partitura, il che strappa come giusto sonori applausi.

Seguono due serie di canti francesi musicati da Britten e Lutoslawski, e interpretati da Ian Bostridge.

Invertendo la sequenza annunciata, Bostridge parte da Lutoslawski, di cui propone le Paroles Tissées di Jean-François Chabrun. Sono quattro arazzi poetici liberamente ispirati al poema medievale La Châstelaine de Vergy, una breve ma struggente storia di amore e morte dei tempi di Tristano, i cui riferimenti nei versi di Chabrun sono peraltro labilissimi (il poeta novecentesco nomina gatti, quaglie, pernici, cavalli, galli, quando invece nel racconto medievale il protagonista, a suo modo, è un cagnolino…) Orchestra ridottissima (archi in formazione da camera, pianoforte, arpa e percussioni) per questi pezzi da Sprechgesang, qualcosa che richiama di lontano lo schönberghiano Pierrot. Suoni isolati, per lo più acuti, del tenore, che cadono come gocce nello stagno, o sui diversi tappeti (per stare al titolo) di suoni dell'orchestra. Certo, musica difficile da digerire, se quasi dopo un secolo ancora ci resta sullo stomaco anche Schönberg.

Dell'autore di Peter Grimes ascoltiamo le Quatre chansons françaises: sono poemi, alternativamente di Hugo e Verlaine, musicati nel 1928 da un ragazzino (quindicenne!) con una maestrìa davvero sorprendente. Qui l'orchestra è quasi al completo, il tessuto è assolutamente diatonico, come sarà del resto tutta l'opera di Britten. Bostridge mostra in questi lieder la chiarezza e la leggerezza della sua voce da tenorino, che gli merita calorosi applausi.

Infine, la fantastica Fantastica del complessato Hector. Opera rivoluzionaria – per il suo tempo – e anticipatrice di tanto Liszt e altrettanto Wagner. A partire dall'impiego di un vero e proprio Leitmotif (l'idea fissa) che si presenta come primo tema della forma-sonata iniziale, e poi ritorna ossessivamente in ogni successivo movimento. Per seguire con il lungo e sonnecchiante lamento del corno inglese nella Scène aux champs, così magistralmente ripreso – in chiave di desolazione - dal mago di Lipsia nel conclusivo atto del suo massimo capolavoro.

E proprio il terzo movimento della sinfonia è stato affrontato e presentato in modo oserei dire impeccabile, con quel duetto fra il corno inglese e l'oboe, uscito temporaneamente di scena e che fa udire il suo suono da dietro la quinta, cui subentra il dolcissimo tema in FA, esposto dal flauto e dai violini:




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È un movimento, questo, che ad un ascolto disattento e deconcentrato risulta noioso e prolisso, quanto invece è straordinario e sublime se lo si segue (e prima ancora, lo si esegue) con la dovuta cura. C'è spazio per tutti gli strumenti, che diventano di volta in volta solisti, come i fagotti, dopo clarinetti e corni, oboe e flauto. Emozionante davvero il tremolo (très serré) con cui violini e viole preparano l'ingresso dell'idée-fixe in flauto e oboe e poi la sospingono fino all'apice (i due poderosi accordi sul SOL e il LAb) da dove l'incantesimo finisce, con le semicrome che discendono la scala cromatica, in sincope, fino ad arenarsi sul lungo REb dei violoncelli. Dolcissimo e nobile il ritorno dell'Idée, variata, come una cadenza, in flauto, poi clarinetto e quindi oboe, prima della transizione alla coda, dove sono i quattro timpanisti a farla da padroni, intercalandosi con il lamento del corno inglese per portarci cupi rimbombi di tuono, che restano però lontani, salvo che per una battuta (poco sforzato) prima che il DO del corno chiuda la scena, accompagnato da due accordi di FA maggiore degli archi.

Ecco, solo questo movimento valeva tutta la serata. Non che prima le cose non fossero andate altrettanto bene. Rêveries-Passions (dove Axelrod ci ha risparmiato il ritornello dell'esposizione, cosa piuttosto sensata) e Un Bal ci sono stati offerti con grande efficacia, senza enfasi né gigionerìe, ma con assoluto rispetto dei tempi e dell'agogica.

Infine, nei due movimenti conclusivi, grande sfoggio di sicurezza e abilità da parte di tutti, ma sempre mantenendo equilibrio ed evitando facili esagerazioni cui la partitura presta il fianco in abbondanza. Insomma, una grande esecuzione, che si è meritata vere ovazioni per tutti i professori, chiamati quasi ad uno ad uno da Axelrod, e per lo stesso Maestro, che merita di sicuro un posto di primo piano fra i direttori di oggi.

Con il prossimo concerto si resta nel grandissimo repertorio, e sul suo podio ritorna Xian Zhang.

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