trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta zilberstein. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta zilberstein. Mostra tutti i post

07 ottobre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.2

Per questo fine settimana l’Orchestra Sinfonica di Milano ci propone un altro appuntamento assolutamente tradizionale,  che vede la Direttrice Principale Ospite Alondra de la Parra sul podio e la rediviva Lilya Zilberstein alla tastiera cimentarsi in Rachmaninov e Brahms. Ieri sera Auditorium non troppo affollato, ma in compenso allietato dalla presenza di frotte di giovani, il che fa sempre piacere (oltre ad abbassare drasticamente il tasso di vetustà del pubblico, me compreso…)

Significativamente il Concerto è stato dedicato alle donne vessate dal regime di Teheran e al Nobel Marges Mohammadi.

Del compositore russo trapiantato all’Ovest viene eseguita la Rapsodia su un tema di Paganini del 1934, con la quale la simpatica Lilya è al terzo appuntamento con laVerdi, avendola già eseguita qui addirittura nel 1999 e poi più di 10 anni fa con Bignamini (fra le altre tante sue interpretazioni del brano ecco quella del 2011 a Torino con la RAI; e qui una mia succinta introduzione al brano).

E anche ieri lei ha confermato la sua affinità elettiva con questa musica, valorizzandone tutte le diverse sfaccettature (non per niente si intitola Rapsodia) nascoste nelle pieghe delle 24 variazioni sul tema. 

Come sua consuetudine, nemmeno gli applausi ritmati l’hanno purtroppo convinta ad offrire un bis   
___
Facendo un salto all’indietro di 58 anni, dal tardissimo-romanticismo al classicismo romantico, la seconda parte della serata è occupata dalla… Decima di Beethoven, come l’esagerato Hans von Bülow definì la Prima Sinfonia di Brahms.

Devo dire che l’esecuzione è stata di buon livello, tutti hanno suonato al meglio, ma forse è mancato quel quid che eleva una prestazione più che dignitosa al livello di eccellenza. Con una battuta forse eccessivamente maliziosa potrei dire che il lato migliore della direzione della De La Parra sia stata la scelta, assolutamente appropriata e condivisibile, di non eseguire il da-capo dell’esposizione dell’Allegro iniziale…

Ma il pubblico non ha fatto mancare applausi per tutti: e anch’io, per non essere frainteso, concluderò dicendo che sono comunque uscito dall’Auditorium felice e contento!

20 settembre, 2017

laVerdi va in Spagna col MITO


L’Orchestra milanese ha fornito il suo contributo al MITO con un concerto (dato a Torino il 18 e replicato ieri in Auditorium) intitolato Paesaggi spagnoli, introdotto da Gaia Varon. Sul podio un giovane direttore, ovviamente iberico in omaggio al programma, il 34enne Andrés Salado da Madrid. 

Il primo brano in programma è una primizia per l’Italia, il Concerto per violino e orchestra, titolato Al-Andalus, del 32enne compositore americano Mohammed Fairouz (il nome ne tradisce chiaramente l’origine araba). L’Andalusia è quindi il soggetto ispiratore del concerto, composto nel 2013 per la violinista americana Rachel Barton Pine e l’Orchestra dell’Alabama e qui interpretato dalla 30enne cicciottella albionica Chloë Hanslip.

Che dire: che nel terzo millennio si può ancora comporre musica tonale come ai tempi di DeFalla e Ravel (che seguiranno nel programma) senza per questo apparire retrogradi e scopiazzatori... Un brano che nella forma, ma anche nei contenuti, è assai lontano da quella del concerto classico, in realtà si tratta di tre fantasie, scritte si direbbe con tecnica durchkomponiert, dove è difficile, almeno a primo ascolto, riconoscere temi ricorrenti o chiare strutture formali. I tre movimenti si ispirano programmaticamente ad altrettanti personaggi dell’epoca d’oro della civiltà islamica (800-1200) prosperata nella Spagna moresca e – ahinoi – inariditasi dopo la riconquista cattolica e mai più capace di un Rinascimento quale quello maturato da noi grazie alla progressiva conquista del principio di laicità delle istituzioni, tuttora pervicacemente negato dal mondo islamico. Che peraltro noi tendiamo a criminalizzare in-toto come ben sa lo stesso Fairouz, oggetto di tutti i sospetti che oggigiorno nascono su chi ha la sola colpa di avere nomi di origine araba.

Il primo movimento (Ibn-Firnas’ flight) è un’orgia sonora nella quale il suono del violino solista scompare, subissato da quelli dell’orchestra, salvo sporadicamente isolarsi in slanci... aerei con salite a note acutissime in armonici; deve durare 11 minuti, quanto il primo volo di Abbas Ibn Firnas, precursore nientemeno che dei fratelli Wright! Per contrappasso, il secondo movimento (The Ring of Doves, tratto da un trattato sull’amore di Ibn Hazm) è per lunghi tratti una melopea per violino solo, cui si accompagnano qua e là il violino di spalla, il clarinetto, il violoncello e la tromba, che ricorda scopertamente ambientazioni orientaleggianti. Il conclusivo movimento (Dancing Boy, poesia di Ibn Kharouf) mescola stilemi prettamente arabi ad altri andalusi e gitani, esposti dal violino (in quattro sezioni, corrispondenti alle stanze della poesia) che trascina l’intera orchestra verso un’esilarante conclusione.

Beh, una cosa godibile, che anche il pubblico – ieri foltissimo, direi sopra la media delle presenze alla stagione principale, segno che MITO attira... – ha mostrato di apprezzare assai.
___
Lilya Zilberstein, un’affezionata visitatrice dell’Auditorium, è poi arrivata per porgerci il celebre Noches en los jardines de España di Manuel  deFalla, già ascoltata qui meno di un anno fa (con altri interpreti). La pianista russa ma ormai cosmopolita ha sciorinato la sua solidissima tecnica e la grande sensibilità nel percorrere l’immaginario cammino notturno da Granada a Córdoba, dove la Spagna di deFalla, composta a Parigi, mutua atmosfere... francesi. Anche qui grande successo e ripetute chiamate.
___
Ha chiuso in bellezza il BolerodiRavel, che laVerdi ormai suona a memoria (anche perchè le note da ricordare sono davvero poche, solo che vanno ripetute qualche dozzina di volte...) Ivan Fossati, primo percussionista dell’Orchestra, ha ancora una volta preso posto sul suo trespolo proprio davanti al Direttore e ha segnato per tutto il tempo il ritmo ai colleghi; sono (non una di meno) ben 169 ripetizioni di queste due battute:


Insomma, roba da uscirne praticamente pazzi! Ma il bravo Ivan non manca un colpo e si merita alla fine ben due chiamate al proscenio! Trionfo per tutti e... viva MITO!

30 settembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°28


Ancora e sempre Russia (non sovietica, però...) in Auditorium, con il gradito doppio ritorno del sempre più convincente Stanislav Kochanovsky e della russo-tedesca Lilya Zilberstein in un programma tutto dedicato a Rachmaninov.

Meglio sarebbe dire: ai due Rachmaninov. Che sono quasi due compositori diversi, divisi da quel drammatico evento (il clamoroso fiasco proprio della sua Prima Sinfonia, che si ascolta in chiusura del concerto) che gettò Rachmaninov in uno stato di prostrazione tale da sconvolgerne l’esistenza e poi – una volta rimessosi in sesto grazie alle cure di un... medico dei matti – lo portò a riprendere il cammino artistico su una strada praticamente opposta a quella (di apertura e modernità) che aveva cercato di imboccare prima del fattaccio. Una strada tutta rivolta indietro verso l’800, proprio mentre la musica, nel ‘900, imboccava sentieri magari impervi e pericolosi, ma sicuramente innovativi.  

E una delle pietre miliari della sua produzione post-crisi è proprio il famigerato Rach3 che si ascolta in apertura del concerto. Sulla cui sostanza mi ero già dilungato circa tre anni fa in occasione di un’esecuzione di Colli-Temirkanov, e perciò rimando i curiosi a quel commento.

La Zilberstein (qui una sua performance di 13 anni orsono con Frühbeck-DeBurgos agli Arcimboldi-Scala, preceduta da alcune sue interessanti esternazioni) ne dà una lettura proprio carica di quel (tardo)romanticismo che impregna questa partitura, fin dall’attacco dolente del primo tema. Splendidi i virtuosismi della cadenza (la prima e più corposa delle due originali) mentre qualche rara svirgolata nei tremendi passaggi a otto (!) tasti da toccare contemporaneamente non ha intaccato una prestazione di eccellenza, accolta trionfalmente da un pubblico tornato a livelli delle grandi occasioni, dopo la... vacanza della scorsa settimana. Niente bis (ma lei non ne concede spesso) anche perchè la fatica spesa in questo estenuante concerto si leggeva chiaramente sul suo volto.
___
Dopo l’intervallo, ecco la sfortunata Prima, sulla quale avevo scritto alcune note nel marzo 2013, a fronte di un’esecuzione di Noseda alla Scala. Sarà pure acerba fin che si vuole, anche velleitaria (ci si sentono Ciajkovski, Scriabin, vi si anticipa persino Mahler) ma è musica davvero diversa, il cui solo peccato (ebbrezza alcolica di Glazunov a parte) fu probabilmente quello di essere fin troppo originale (per l’anno di grazia 1897) se ancor oggi ci appare ostica ed enigmatica da decifrare, ma proprio per questo interessante.

Kochanovsky l’ha diretta con grande profondità, mettendone proprio in risalto tutti i pregi e difetti, senza attenuarne le grossolanità e i momenti di retorica, che però non oscurano un disegno complessivo di tutto rispetto: insomma, siamo di fronte ad un frutto ancora acerbo ma, invece di farlo maturare, purtroppo l’albero si metterà a produrre frutti direttamente... passati, ecco.

Grande prestazione dei ragazzi dell’orchestra (ieri guidati da Dellingshausen) davvero in stato di grazia, in tutte le sezioni. 

30 maggio, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°36

 

Il rampante Jader Bignamini si ripresenta per il terz’ultimo concerto della stagione per cimentarsi su un nuovo terreno: Richard Strauss. Lo Strauss (parecchio o abbastanza) giovane, di cui il palinsesto prevede una delle prime composizioni seguita da un paio di Tondichtungen. In realtà la sequenza è stata poi modificata all’ultimo (per una qualche plausibile ragione, possiamo immaginare) e così è toccato ai due Don di mettere in sandwich la Burleske per pianoforte e orchestra.

Si è quindi aperta la serata con il primo di questi poemi sonori (Aus Italien permettendo): Don Juan, che mancava qui da circa 3 anni (Axelrod). Bignamini, che si è imparato a memoria tutto lo Strauss di questo concerto (chissà se in futuro riuscirà ad immagazzinare anche cosucce come Rosenkavalier o la Frosch…) ha trascinato i ragazzi – disposti alla alto-tedesca - in una performance quasi perfetta, che ha subito riscaldato il pubblico tornato su buoni livelli di presenza.

Ecco poi la Burleske (composta da Strauss a 21 anni): allo strumento solista la simpatica russa-tedesca Lilya Zilberstein, che torna in Auditorium a circa un anno di distanza dall’ultima sua apparizione (allora con Campogrande e Rachmaninov). Una quindicina d’anni fa invece aveva interpretato proprio questo stesso Strauss alla Scala, con Bychkov, come si può seguire qui in una ripresa introdotta da Angelo Foletto. Interessante anche ascoltare cosa pensava della Burleske e di Strauss un suo grande cultore (oltre che di Bach): il brillante Glenn Gould, di cui si può vedere anche l’esecuzione del brano (un filino troppo comoda, per i miei gusti almeno).

Musica nella quale non si stenta a riconoscere molto Brahms e parecchio Liszt, a conferma della situazione di totale apertura del giovane Richard sia all’apparente classicismo del laico-spartano amburghese che alle innovazioni del mistico-libertino ungherese, che proprio in quel periodo cominciarono ad attecchire (insieme ad un certo Wagner…) nel fertile terreno dell’ispirazione di Strauss.   

La struttura del brano (RE minore tonalità di base, tutto in 3/4 salvo un paio di battute in 4) è – sotto apparenze di ostica complessità – abbastanza semplice:

- un gruppo tematico introduttivo;
- tre gruppi tematici principali;
- ripresa dell’introduzione e dei tre gruppi tematici;
- cadenza solistica;
- coda.

Vi si possono individuare elementi di forma-sonata, ma più che nella struttura (praticamente manca una vera e propria sezione di sviluppo) nel trattamento delle tonalità fra le sezioni di esposizione e ripresa dei gruppi tematici (rapporti tonica-dominante e relative).
___
Interessante notare subito come singole cellule o componenti di un certo gruppo tematico vengano impiegate all’interno di altri, o come transizione fra loro, il che garantisce al brano una chiara e spiccata personalità. Il tutto impreziosito poi da diversi altri interventi solistici. Non soltanto del pianoforte, ma anche dei timpani, che hanno ad esempio l’onore dell’apertura (poi della chiusura!) con quattro battute da suonare nel generale tacet dell’orchestra, seguite da altrettante a ruoli invertiti (nella pagina sottostante sono omesse le parti di puro riempitivo):


Beh, diciamolo pure: questa introduzione ha tutto l’aspetto di una frase musicale piuttosto sconnessa, oserei dire sgrammaticata, che sa parecchio di impappinamento, di zoppìa, se non addirittura di… balbuzie. Insomma, come dice il titolo, una burla (come sarà Eulenspiegel che già qui si intravede) o una parodia. Per dire, nelle quattro battute orchestrali (i-2) non si possono non sentire echi distorti e irriverenti di sonorità e atmosfere vagamente brahmsiane (che so, il secondo frammento del tema dell’Allegro non troppo del finale della prima…)

Dopo che l’introduzione è stata ripetuta, raddoppiando le battute della sezione orchestrale (i-2) il pianoforte entra per esporre il primo gruppo tematico, dove si distingue un motivo dal fiero cipiglio, con i suoi balzi all’insù (a-1) che avrà grande importanza nel seguito, cui succede una perentoria scala discendente (a-2):


Questa prima sezione viene subito riproposta una seconda volta, quindi viene ancora ampliata in entrambe le sue componenti: in particolare la scala discendente (a-2) sembra quasi sprofondare senza fine, andandosi ad… arenare sul RE grave a fondo tastiera. Qui il solista espone un inciso (m) che ritornerà spesso e volentieri, come un motto dell’opera (anche qui, a proposito di burle, sembra un impertinente richiamo al tema dell’enigma del destino dalla Walküre…):


Dopo che il solista ha riesposto brevemente il motivo (i-2) dell’introduzione, è l’intera orchestra che apre il completamento di questo primo gruppo tematico, con una linea melodica ancora di sapore brahmsiano (a-3) che germina chiaramente da (a-1) e a cui risponde il pianoforte contrappuntato da una seconda linea dell’orchestra (a-4) questa più di stampo liszt-iano (qui i violini di entrambe le linee):


La tonalità è nel frattempo modulata alla relativa FA maggiore (siamo a scuola!) per dar luogo ad una sommessa cadenza - dove il pianoforte, i timpani e gli strumentini, accompagnati da corni e viole, si palleggiano quell’inciso (m) esposto poco prima dal solista – che porta all’entrata del secondo gruppo tematico (un Walzer, di fatto) ancora affidata al pianoforte, questa volta solo, che mutua l’incipit proprio dall’inciso (m) per poi svilupparsi ampiamente:


In particolare vi si distinguono il motivo (b-2) e il (b-3) derivato da (b-1) per inversione. L’orchestra lo riprende, ma dopo una sommessa cadenza di pianoforte e fiati ne esplode, sempre nel solista, uno nuovo (b-4) invero eroico:


Ripreso brevemente dai legni, lascia ancora spazio al pianoforte che lo sviluppa in crescendo fino ad una sospensione di tutta l’orchestra su una cadenza FA-MI, che apre le porte alla modulazione a LA minore (sacri canoni, anche qui) dove il solista attacca il terzo gruppo tematico - una filiazione del motivo (a-3) - reminiscenza abbastanza scoperta del secondo tempo dal Concerto in SIb di Brahms:

Con l’intervento dell’intera orchestra la tonalità modula rapidamente a MIb minore, poi a SIb minore, quindi al FA, dove irrompe imprevedibilmente l’interminabile scala discendente (a-2) che ci riporta al RE. Qui il solista attacca una specie di cadenza di 48 battute, una stupefacente melodia, che ricorda in certi momenti persino Chopin, accompagnato verso la fine dai violoncelli e poi da interventi di flauto e oboe.

Ora riappare la cellula del motivo (a-3) che apre una transizione dove udiamo anche il motivo (i-1) esposto in FA dall’orchestra e poi variazioni sull’inciso (m). Si torna a RE minore con il pianoforte che ripropone (i-2) anticipando (i-1) nei timpani e ancora (i-2) nell’orchestra. Comprendiamo di essere quindi arrivati al termine dell’esposizione dei gruppi tematici e all’inizio della loro rielaborazione.

La quale non è appunto una semplice e stucchevole ripetizione: il primo gruppo tematico – sempre RE minore - viene per così dire ridotto all’osso, presentando dapprima la sezione (a-1) nel pianoforte, poi direttamente la (a-3) nell’orchestra, quindi  la sezione (a-2) ampliata, con la discesa al RE grave.

Dopo una transizione nella quale il pianoforte ha sommessamente dialogato con timpani, fagotti e archi bassi, ecco che un luminoso accordo di RE maggiore - sul quale si fa sentire nel pianoforte e nei violini il motto (m) - introduce la ripresa del secondo tema (anche qui siamo pertanto assolutamente ligi alle regole tonali della forma-sonata). Questa riesposizione ripercorre abbastanza da vicino la prima, ci risentiamo tutti i motivi (b-1-2-3-4) e come essa chiude con due accordi che preparano l’entrata del terzo gruppo tematico: là FA-MI a preparare LA minore, qui RE-DO# a preparare il FA# minore (sempre le regole!)

In realtà, dopo che (c-1) è stato esposto in FA# dal pianoforte solo, la tonalità cambia abbastanza presto e il motivo torna fortissimo in FA, prima in orchestra e poi nel solista, per lasciare quindi spazio ad una lunga transizione (à la Ciajkovski) che culmina in un accordo – feroce! - sul LA, dominante del RE cui si sta tornando. Ora sono le trombe a reiterare il motto (m) poi ripreso dai timpani che lo ripetono più volte intercalandosi ad entrate degli strumentini e del solista che conducono alla sua corposa cadenza.

La quale apre insistendo ancora sul motto (m) poi percorre in giù (fino al LA grave) e in su tutta la tastiera, arrivando al SIb su cui esplode un terrificante accordo di tutta l’orchestra cui ne segue un altro, dopo tre battute di arpeggi del solista, che risolve sulla dominante LA. Il solista riprende ora indisturbato la cadenza che per 60 battute è caratterizzata da virtuosismi e ottave parallele, fino a sfumare su un tempo tranquillo verso una stupefacente ripresa in SIb, nel pianoforte, del motivo (a-3) allargato nel tempo fino a renderlo quasi irriconoscibile, subito supportato dal caldo suono delle viole che lo sviluppano ulteriormente, tornando a RE, mentre il pianoforte lo contrappunta introducendovi un ritmo di languido Walzer (quindi il sapore del secondo gruppo tematico): un passaggio invero magistrale!

Ora il tempo torna molto vivo e ci si avvia alla conclusione: il solista si imbarca in una serie di scale ascendenti e discendenti portando il clima verso il parossismo, culminante in un accordo di RE minore dell’intera orchestra. Da qui parte una serie di quindici accordi del pianoforte (sul tempo forte di altrettante battute) che pare evocare come dei rantoli, contrappuntati da sporadici interventi di fiati e timpani. Dopo una lunga pausa ecco i timpani che espongono per l’ultima volta il motivo (i-1) ma attenzione, spaccato in tre tronconi di (rispettivamente) 1-1-2 battute; i due intervalli sono coperti da 3 battute: due in cui il solista sembra voler rialzare la testa, la terza è una lunga pausa:


Il solista adesso compie l’ultimo disperato sforzo: per sette battute risale velocemente la tastiera, fino alla dominante LA; dopo una pausa gli rispondono, con un accordo di RE minore, sempre sul LA, gli archi (contrabbassi esclusi) in pizzicato; dopo un’ulteriore pausa è ancora il timpano a chiudere con un singolo rintocco di RE.
___
Bignamini e la Zilberstein affrontano con la dovuta determinazione questo autentico gioiello, raccogliendone in pieno tutta la trascinante effervescenza: è in effetti un’opera che meriterebbe di essere più e meglio considerata, oltre che dai musicologi, anche da chi programma i concerti. E lo si è dimostrato qui con un’esecuzione assolutamente di prim’ordine, da parte di tutti.
___
Chiude la serata il penultimo dei poemi (se si escludono da questa categoria le due sinfonie-a-programma - domestica e alpina - successive alla Heldenleben): Don Quixote

Due prime parti dell’orchestra sono qui protagoniste: Mario Shirai Grigolato al cello è il Don e Gabriele Mugnai alla viola la sua spalla Sancho. Questo è un pezzo che non viene eseguito tutti i giorni non perché non sia un capolavoro (anzi è giustamente considerato l’apice di questo genere di creazioni straussiane) ma per l’oggettiva sua difficoltà. Onore quindi all’Orchestra, ai suoi alfieri e a Bignamini per avercelo proposto in modo splendido, meritando ovazioni e ripetuti applausi ritmati. Così i due ragazzi ci hanno anche offerto un loro personalissimo bis.
___
Mancano due concerti (Xian e ancora Bignamini) alla chiusura di questa stagione e si comincia a pensare alla prossima: martedi 3 giugno laVerdi la presenterà nella splendida Sala Alessi di Palazzo Marino.

05 aprile, 2013

Orchestraverdi – concerto n.29


Jader Bignamini torna sul podio a guidare laVerdi in un nuovo appuntamento con la Russia (al di qua della cortina...) più qualcosa di italiano moderno.

Una nota di carattere logistico: quando un programma prevede due pezzi per pianoforte e due per sola orchestra, anche un fanciullo arriverebbe a capire che convenga accorpare i due brani col solista. Se invece, come puntualmente accade qui, si pongono i due brani col pianoforte in posizione 2 e 3 (prima e dopo l’intervallo) si ottiene il mirabile risultato di costringere il pubblico a due intervalli supplementari, da trascorrere obbligatoriamente ancorati alla propria poltrona, contemplando i (per carità, efficientissimi) addetti che spostano e poi riallontanano l’ingombrante strumento a tastiera. Si poteva almeno risparmiare il primo trambusto preparando il pianoforte già in posizione, coperchio chiuso, per il breve brano d’apertura.

Si apre quindi con Alexander Borodin e le tanto famose, quanto ignota è l’opera, danze dal Principe Igor. Che tutti però ricordiamo come Straniero fra gli angeli.

Il brano (che nell’opera chiude il secondo atto) consiste, dopo una brevissima introduzione, nel succedersi di quattro danze, seguito dalla ripresentazione della 1, poi della 4, poi della 2 e infine da una Coda:


Nell’opera agli strumenti si aggiunge anche il coro, con un grandissimo effetto (qui un Gergiev letteralmente forsennato!): peccato che laVerdi (che dispone di un coro con i fiocchi) non abbia pensato di impiegarlo, proponendoci invece la versione puramente strumentale del brano (orchestrata da Rimski). Un po’ un’occasione perduta, anche se l’esecuzione dell’orchestra è stata davvero trascinante.   
___

Segue la primizia contemporanea: una specie di Concerto per piano e orchestra di Nicola Campogrande, la voce (maschile) più… sexy di Radio3-Suite. Musica a programma, precisamente il ritratto di una donna (R è l’iniziale del nome) commissionato dal compagno (di nome A). Insomma, una specie di Sinfonia domestica in casa d’altri (smile!)

Sono 5 movimenti, i tre dispari assai mossi (personalmente ci ho visto Respighi, Stravinski e Varèse) a incastonarne due più lenti e quasi delle cadenze del solo pianoforte. Musica gradevole che non si direbbe composta oggi, il che tutto sommato torna a suo merito!

La protagonista di questa primizia è Lilya Zilberstein, una russa trapiantata in Germania che ha frequentazioni assidue con il nostro Paese. A giudicare dai complimenti che le ha rivolto alla fine l’Autore, salito sul palco a prendersi i dovuti applausi, dobbiamo pensare che l’esecuzione sia stata precisamente come Campogrande (e  la famiglia committente…) se l’aspettava.  
___
Dopo l’intervallo torna la bravissima Lilya per proporci le 24 variazioni (oh, pardon! la rapsodia) di Rachmaninov sull’ultimo capriccio di Paganini. Qui una sua esecuzione a Torino con la RAI, ma già circa 14 anni fa la russa aveva eseguito il pezzo con laVerdi!

 
Domanda: in un pezzo di Rachmaninov potrebbe mai mancare una qualche citazione del Dies Irae? Ma certo che no, e infatti basta pazientare poco (fino alla variazione VII) per trovare il chiodo fisso del russo:


E non sarà di certo questa l’unica apparizione del famoso tema medievale, che torna nella variazione X, poi, camuffato, nella XIV, poi ancora nella XXII e finalmente nella XXIV.

Alla variazione XVIII arriva anche la parte languida e zuccherosa (è pur sempre… Rachmaninov!) ottenuta con l’espediente di invertire il tema principale, trasportandolo poi in REb maggiore:

Si apre qui l’ultima parte della Rapsodia, che poi chiude con una specie di sberleffo, come di uno spiritello che sparisce nel nulla con un paf! Ecco: una croma di LA appena sussurrato dal pianoforte, dal pizzicato degli archi, da timpano e campanelli e da tuba, corni e fagotti. 

Trascinante l’esecuzione della Zilberstein, che ci mette tutta la dovuta diabolicità, ben sorretta da Bignamini, il che le merita un autentico trionfo, non ricambiato (ma bisogna pure capirla!) da un bis
___
Chiude la serata Stravinski, con il suo… poker col morto (smile!) il compositore russo trapiantato in occidente era diventato un accanito giocatore di poker, e così gli venne in mente il soggetto per un balletto dove a danzare sono… le carte. Si tratta di tre mani sempre aperte dallo stesso motivo, che rappresenta l’atto della distribuzione delle carte:


Le note di regìa del balletto sono assai dettagliate, con i danzatori che rappresentano le carte di cui via via scoprono il contenuto, togliendosi maschere e mantelli e dando luogo quindi alle diverse fasi della partita, con vincitori e vinti.

C’è anche un risvolto quasi sociologico nella trama del balletto, laddove il Joker, che si comporta praticamente da tiranno e fa vincere alla sua squadra le prime due mani alla grande, viene alla fine smerluzzato dal… popolo delle carte normali (una sontuosa scala reale di cuori!) 

Certo, con l’esecuzione puramente strumentale si fatica a percepire il contenuto letterario del brano (come si fa, in musica, a rappresentare le picche e i quadri?) e non resta che gustarlo come musica pura, costellata da impertinenti citazioni di Rossini, Ciajkovski e Beethoven… 

Bignamini, che dirige tutto (Campogrande escluso…) a memoria, trascina i ragazzi in un’esecuzione spiritosa e vibrante, meritandosi grandi ovazioni da un pubblico abbastanza folto. 
___
Prossimamente un Mahler classico, preceduto da Lutoslavski.