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30 settembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°28


Ancora e sempre Russia (non sovietica, però...) in Auditorium, con il gradito doppio ritorno del sempre più convincente Stanislav Kochanovsky e della russo-tedesca Lilya Zilberstein in un programma tutto dedicato a Rachmaninov.

Meglio sarebbe dire: ai due Rachmaninov. Che sono quasi due compositori diversi, divisi da quel drammatico evento (il clamoroso fiasco proprio della sua Prima Sinfonia, che si ascolta in chiusura del concerto) che gettò Rachmaninov in uno stato di prostrazione tale da sconvolgerne l’esistenza e poi – una volta rimessosi in sesto grazie alle cure di un... medico dei matti – lo portò a riprendere il cammino artistico su una strada praticamente opposta a quella (di apertura e modernità) che aveva cercato di imboccare prima del fattaccio. Una strada tutta rivolta indietro verso l’800, proprio mentre la musica, nel ‘900, imboccava sentieri magari impervi e pericolosi, ma sicuramente innovativi.  

E una delle pietre miliari della sua produzione post-crisi è proprio il famigerato Rach3 che si ascolta in apertura del concerto. Sulla cui sostanza mi ero già dilungato circa tre anni fa in occasione di un’esecuzione di Colli-Temirkanov, e perciò rimando i curiosi a quel commento.

La Zilberstein (qui una sua performance di 13 anni orsono con Frühbeck-DeBurgos agli Arcimboldi-Scala, preceduta da alcune sue interessanti esternazioni) ne dà una lettura proprio carica di quel (tardo)romanticismo che impregna questa partitura, fin dall’attacco dolente del primo tema. Splendidi i virtuosismi della cadenza (la prima e più corposa delle due originali) mentre qualche rara svirgolata nei tremendi passaggi a otto (!) tasti da toccare contemporaneamente non ha intaccato una prestazione di eccellenza, accolta trionfalmente da un pubblico tornato a livelli delle grandi occasioni, dopo la... vacanza della scorsa settimana. Niente bis (ma lei non ne concede spesso) anche perchè la fatica spesa in questo estenuante concerto si leggeva chiaramente sul suo volto.
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Dopo l’intervallo, ecco la sfortunata Prima, sulla quale avevo scritto alcune note nel marzo 2013, a fronte di un’esecuzione di Noseda alla Scala. Sarà pure acerba fin che si vuole, anche velleitaria (ci si sentono Ciajkovski, Scriabin, vi si anticipa persino Mahler) ma è musica davvero diversa, il cui solo peccato (ebbrezza alcolica di Glazunov a parte) fu probabilmente quello di essere fin troppo originale (per l’anno di grazia 1897) se ancor oggi ci appare ostica ed enigmatica da decifrare, ma proprio per questo interessante.

Kochanovsky l’ha diretta con grande profondità, mettendone proprio in risalto tutti i pregi e difetti, senza attenuarne le grossolanità e i momenti di retorica, che però non oscurano un disegno complessivo di tutto rispetto: insomma, siamo di fronte ad un frutto ancora acerbo ma, invece di farlo maturare, purtroppo l’albero si metterà a produrre frutti direttamente... passati, ecco.

Grande prestazione dei ragazzi dell’orchestra (ieri guidati da Dellingshausen) davvero in stato di grazia, in tutte le sezioni. 

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