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consulta e zecche rosse

12 settembre, 2016

laVERDI alla Scala


Per l’ormai tradizionale visita settembrina al Piermarini, laVERDI, guidata dalla sua Direttora Xian, ha scelto un programma tutto russo (e sovietico) dalla classica impaginazione tripartita (breve pezzo orchestrale di antipasto, concerto solistico e sinfonia).

Mi permetto di reiterare un commento già fatto in occasione di un concerto di una passata stagione, a proposito della versione per orchestra (una delle mille prodotte dal compositore) di Vocalise di Rachmaninov: a parte l’esagerata pretesa del nostro di impiegare, oltre ad un consistente pacchetto di archi (26 esecutori) nientemeno che 16-20 violinisti-solisti (dico, ma siamo impazziti?) il pezzo potrebbe servire assai bene come ninna-nanna per mandare tutti a letto, non certo per richiamare l’attenzione di un pubblico ancora occupato in chiacchiere futili e ipocriti convenevoli. Franz von Suppè era maestro nella tecnica di zittire tutti quanti in un battibaleno: basti pensare a come attacca Cavalleria leggera!

Ancora il russo fuoriuscito, con il Rach-2, suonato da quel giovincello (24 anni) rampante che risponde al nome di Luca Buratto. Il quale circa 3 anni orsono, quando era ancora un illustre sconosciuto, si era cimentato – sempre con laVERDI – nel famigerato Rach-3, ottenendo un gran successo. Successo che non è mancato anche ieri sera. Il ragazzo ha un gesto esteriore forse un filino (e goffamente) plateale, ma ciò che conta è il risultato sonoro, che è di tutto rispetto, benchè favorito, nella fattispecie, dal contenuto zuccheroso del concerto, che solletica assai – oltre a quelle dello strumento - le corde dell’ascoltatore più facili a risuonare. Il bis è dedicato nientemeno che alla... nonnina: chissà se è lei che ha dimenticato di togliergli l’imbastitura che chiudeva lo spacco posteriore della sua nuova giacchetta (stra-smile!)  

Si fa finalmente sul serio (musicalmente parlando...) con lo Shostakovich della Quinta. Che vale il prezzo del biglietto anche solo per quello straordinario passaggio dei celli – sul tremolo dei clarinetti e degli archi – al culmine del Largo, che Xian ha fatto eseguire con piglio perfino eccessivo, ma di sbudellante impatto. Chiusa a dir poco entusiasmante, con la Viviana che ha rischiato di... spaccare i timpani (!) il che ha giustificato numerose chiamate e ovazioni (ma niente... bis).

Giovedi riprende la stagione principale in Auditorium: a tutto Ciajkovski!

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