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21 giugno, 2022

Il nuovo Rigoletto di Martone-Gamba piace a metà

Dopo 28 anni, è arrivata al Piermarini una nuova produzione di Rigoletto. Che la metà abbondante del folto pubblico ha accolto con calore (non calor-rosso, per la verità) ma che una robusta minoranza ha invece mostrato di non gradire, prendendosela proprio con i due artefici della proposta, sonoramente buati (più il regista) alle uscite finali.

Personalmente sarei più accomodante con Michele Gamba, che il suo compitino lo ha svolto con diligenza, forse con eccessivo distacco e con venature veriste mutuate dall’approccio interpretativo (il famigerato Konzept) di Mario Martone.

Il quale regista, volendo a tutti i costi attualizzare ai tempi nostri il soggetto, e non trovando esempi calzanti, ha fatto la facile scelta (per lui non nuova, ergo recidiva – vedansi i suoi Oberto e Cena delle beffe scaligeri) di ricorrere al trito riferimento alla malavita organizzata. Cioè dal Palazzo del Louvre (Hugo) e dal Palazzo ducale di Mantova (Piave) che sono – a dispetto delle malefatte dei loro inquilini – sedi del potere costituito, lui ci ha portato dai… Casamonica! E notoriamente alle feste dei Casamonica si balla il perigordino (! mamma mia!) E Monterone è evidentemente il capo di una cosca rivale cui il Duca ha fatto le scarpe riducendolo in miseria, e per di più sottraendogli (per ingropparsela) la figlia… Ben si spiega quindi la scena sulla quale cala l’ultimo sipario: l’irruzione dai Casamonica di una banda rivale che mette tutto a ferro e fuoco!

II lato-b della scena girevole (il cui lato-a è la villa dei Casamonica) dove dimora Rigoletto, è quindi il più orripilante quartiere degradato della più degradata periferia dei nostri tempi; nell’atto terzo si trasforma nel bordello gestito da Sparafucile e soreta: puro verismo!

Al Duca Verdi riserva uno squarcio di umanità (Ella mi fu rapita…) che Martone gli nega proditoriamente mostrandocelo mentre si dispera tracannando un whisky dietro l’altro… Gilda da parte sua non pare proprio una Maria Goretti sinceramente innamorata, ma piuttosto una ragazza moderna insofferente ai divieti che le impone un padre-padrone.

Insomma, una concezione francamente lunatica, quindi (per me) deludente, ecco.
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Il fronte dei suoni ha risollevato abbastanza la media. Detto della concertazione poco… emozionante di Gamba, vanno elogiati il Coro di Malazzi (sempre una sicurezza) e le voci dei due bassi Fabrizio Beggi e Gianluca Buratto, davvero all’altezza dei due ruoli comprimari (Monterone e Sparafucile).

I protagonisti: apprezzata assai la Gilda di Nadine Sierra (fu già parte del cast della ripresa del 2016): bella voce calda, penetrante ed espressiva, che le ha meritato applausi a scena aperta (Caro nome) ed ovazioni finali.

Anche Piero Pretti (praticamente un veterano del ruolo qui alla Scala, avendolo cantato nel 2012 e 2016) si è ben distinto, anche se la sua emissione mi è parsa un tantino, come dire, vetrosa, soprattutto nella zona di passaggio.

Il Rigoletto di Amartuvshin Enkhbat ha un portentoso vocione da far tremare la struttura del teatro: troppo spesso peraltro tende a declamare invece che cantare e ad emettere urla belluine che poco hanno a che fare con i requisiti estetici del ruolo (non lo vedrei male spostato sul Wagner di ceffi tipo Fafner o Hagen o Hunding…) Ma è sperabile, se non certo, che possa crescere ancora… insomma è uno che merita la fiducia che gli ha espresso il pubblico di ieri. Da notare il rispetto filologico della partitura: il follia lo ha cantato sul MI e non (come tradizionalmente si fa) sullo stentoreo/eroico SOL.

Fra i personaggi di contorno cito la Maddalena di Marina Viotti, che spero non me ne voglia se dico di aver apprezzato il suo (castigato) spogliarello quanto la sua calda voce contraltile. Agli altri sette (vedi locandina) va un doveroso riconoscimento di aver fatto ciò che loro è richiesto.
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Che dire, in conclusione? Voto complessivamente discreto, ma fatto di un quasi-buono ai suoni mediato da un mediocre alla regìa.

14 settembre, 2019

Scala: un Rigoletto accademico.


Ieri sera alla Scala terz’ultima recita dell’ultima (per la stagione) puntata del Progetto Accademia, con il Rigoletto di Nucci-Oren (i due tutor che Pereira ha affiancato per l‘occasione ai giovani accademici).

Teatro pieno se non strapieno (la sesta di Rigoletto-Nucci batte anche la prima di Elisir di parecchie decine di posti...) per questa decima consecutiva (!) ripresa dello spettacolo di Gilbert Deflo, dopo il debutto nell’ormai giurassico 1994: altro che museo! Personalmente ho visto solo 3 di queste 10 riprese e devo dire che non mi sono per nulla annoiato, pur ricordando quasi nei dettagli tutto ciò che scorre in scena: l’interesse (come è naturale, credo, trattandosi di teatro musicale) è per ciò che arriva alle orecchie e l’occhio non se la prende troppo se l’eccipiente è sempre lo stesso.

Nulla scrivo quindi della (lodevole, come ormai assodato da decenni) regìa, e passo direttamente ai suoni. Tenendo ovviamente presente che il grosso degli interpreti è rappresentato da allievi dell’Accademia, e non da navigati frequentatori di buca e palco della Scala.

Le due eccezioni (i fuori-quota, haha!) devono aver fatto un buon lavoro sui giovani, a giudicare dai confortanti risultati dell’impresa. E arrivo quasi a dire che gli allievi abbiano superato i maestri... Perchè Nucci sarà sempre (per altri 500 Rigoletti) un Rigoletto carismatico, però ormai declama più che cantare e le note di arrivo di intervalli ascendenti le prende con un semitono, minimo, di avvicinamento: il che è francamente tipico di schiamazzi da osteria e lascia una sgradevole impressione (per la cronaca: niente bis vendicativo... meglio così). Quanto ad Oren, ora che ha passato abbondantemente i 60, non emette più grugniti da scimpanzè, nè prende il podio come un tappeto elastico, però la sua concertazione mi è parsa un tantino approssimativa, ecco.

Gli allievi sono tutti da elogiare, se non altro per non essersi fatti attanagliare dall’emozione: è evidente che debbano ancora studiare assai per aspirare a salire in SerieA. In particolare i due deuteragonisti Rodrigo Porras Garulo e Francesca Manzo sembrano promettere bene: lui ha una voce da lirico che forse si adatta meglio a un certo Rossini; lei pure tende a volte a pigolare, ma ha anche staccato un paio di acuti non disprezzabili. Gli altri, così come il coro di Salvo Sgrò, non hanno affatto sfigurato.

Bene anche l’Orchestra, che Oren ha gestito con prudenza, salvo pochi sconfinamenti nel fracasso gratuito.

Successo calorosissimo (un po’ meno per Oren) non sai se dettato da... superficialità di un pubblico di turisti o da comprensibile atteggiamento incoraggiante verso questi giovani virgulti. Pereira - conti alla mano - credo stia gongolando.

25 luglio, 2013

Ultime da Trash-en-Provence: non c’è limite al… Carsen!


Per il suo ritorno in Provenza dopo 20 anni, Robert Carsen ci ha regalato una sua nuova opera, di una modernità sbudellante.

Ahilui, come gli accade con troppa frequenza, ha commesso un’imperdonabile leggerezza: fare scegliere il testo – e soprattutto la musica – del suo capolavoro ad un perfetto idiota.

11 novembre, 2012

Un Rigoletto senza gobba!


Ieri sera alla Scala la terza rappresentazione (primo cast) di Rigoletto. Una produzione dal taglio zeffirelliano, piuttosto datata, a firma Gilbert Deflo, già riproposta anche un paio d'anni or sono e replicata ora per risparmiare sulla parcella di tale Luc Bondy (cui era andato l'incarico originario) e allo stesso tempo per risparmiare a noi poveri pirla un Konzept svizzero innovativo come quello dell'indimenticabile Tosca, peraltro già qui replicata in due stagioni (quando si dice il masochismo!)

Le novità di questo autunno piovigginoso, ma non freddo, sono il funambolico, ormai californiano (ciao Hugo!) Gustavo Dudamel e quel Kaufmann-de-noantri che risponde al nome di Vittorio Grigolo. Poi, accanto alla collaudata Elena Mosuc, un nuovo protagonista, George Gadnidze, che a giudicare da questo video si presentava, diciamo, ehm, con poca gobba e molta approssimazione (smile!)

Le figure dei tre protagonisti del cosiddetto dramma popolare meritano qualche considerazione preliminare.

Su quella del Duca gli esegeti sono divisi, tra quelli che non gli perdonano proprio nulla, e lo considerano un volgare libertino (com'era effettivamente il Francesco I di Francia di Hugo, e come erano, diciamolo pure, i Gonzaga di Mantova, sanLuigi escluso!) e coloro che invece (ah, il relativismo…) gli vogliono concedere una qualche attenuante, insomma una prerogativa di essere umano, prendendo a pretesto la vicenda presentata (da Piave) a cavallo fra primo e secondo atto.

Forse Verdi, che doveva essere uno disposto ai più ampi compromessi in materia (smile!) ha voluto tenere il piede in due scarpe, presentandoci un Duca che - dopo l'iniziale inequivocabile esternazione del Questa, o quella – si fa immelensire udendo Gilda dichiararsi innamorata di lui (che invece era abituato a prendersi tutte quelle che voleva, e meno innamorate erano, tanto meglio!) fino a straziarsi per il rapimento della giovane. Però, venendo a sapere che la stessa è proprio in casa sua, si fa subito richiamare dal Possente amor (una baldanzosa cabaletta!) per raggiungerla e… aggiungerla dongiovannescamente alla sua lista. Insomma, un tamarro qualsiasi che godette però della comprensione del compositore, che si fece scudo della censura austro-veneziana per risparmiarci la ripresa diretta della scena in cui il Duca è in camera a consolare la Gilda per l'affronto patito la notte precedente.

Però che il Duca sia tipo amabile e dall'innocente fascino conquistatore ce lo conferma tale Maddalena - volgare prostituta al servizio del fratello-magnaccia-sicario Sparafucile (però, che coppia!) - che se ne innamora quasi di amor filiale (in effetti non risulta chiarissimo dal libretto se i due si accoppino o meno…) fino a suggerire al fratello (integerrimo fino ad allora nel rispettare i contratti di 
business) di far secco, al posto del caro Duca del mio cuor (!) il primo che passa di lì (la povera Gilda, guarda caso!) pur di risparmiare il bel giovine che l'aveva ordinata come piatto del menu. La donna è mobile!

Ma che dire di Gilda? Una ragazza morigerata, per bene, che se ne sta castamente rinchiusa in casa da cui esce solo per andare alla messa? Ahi ahi. A parte che di messe galeotte è piena la cronaca, lei per amore dello sconosciuto che tutte le feste al tempio la tampinava, arriva a raccontar balle al preoccupatissimo genitore, nonché ad assicurarsi la complicità di tale Giovanna, che il padre aveva assunto in funzione di cerbera. Domanda: ma dopo che si è trovata in casa (se non direttamente in camera da letto) dell'innamorato - scoprendo che non era la topaia in cui diceva di vivere il suo bel Gualtier Maldè, studente squattrinato, ma il fastoso Palazzo Ducale di Mantova - che fa la nostra santarellina? Si allea subito col padre vendicatore, per far secco un tipo che le ha estorto in un sol colpo la fiducia e la verginità? Ma no, lei, pur di fronte a prove schiaccianti e flagranti della natura puttanesca del Duca, decide di sacrificare la sua propria vita per salvare quella del suo amato libertino! Beh, bisogna riconoscere che quella mattinata (!) trascorsa in camera col Duca doveva averle fatto proprio un grand'effetto…

Insomma, se il femminismo non ci fosse, qui bisognerebbe inventarlo (neanche Wagner arrivò mai a pensare a due redentrici per un sol uomo peccatore!)

Ovviamente, ciò che trasforma una improbabile tragicommedia in un capolavoro di dramma è… la musica del contadino di Roncole, che 160 anni dopo la prima apparizione ancora non ne vuol sapere di annoiare chi l'ascolta, persino a dispetto di esecuzioni, diciamo… da sottoScala, come quella ascoltata ieri.

Al protagonista Gagnidze, oltre che la gobba, manca proprio la capacità di calarsi nel ruolo, per cui quello che ascoltiamo è un Rigoletto da osteria, tutto uno schiamazzare e vociferare.  Persino l'espressione del viso (chissà se è proprio quella naturale del... cantante) è perennemente impostata sul ghigno truculento e incazzoso. La vendetta poi (complice forse Dudamel che l'attacca almeno a 183 invece che a 138 di metronomo, smile!) sembra una parata di bersaglieri. 

Vittorio Grigolo ha di sicuro l'appeal del Duca (intendo quello che serve in camera da letto…) Quanto alla voce… sarà meglio soprassedere! 

È invece da sottolineare la buona prova di Elena Mosuc, che restituisce musicalmente (soprattutto) oltre che attorialmente una pregevole Gilda. 

Alexander Tsymbalyuk, che in queste stesse settimane impersona lo sbifido Fafner, qui non ci fa propriamente la figura del drago: uno Sparafucile, il suo, piuttosto incolore ed anemico, ad esser buoni. Appena passabile anche la Maddalena di Ketevan Kemoklidze, che si è difesa come ha potuto nel finale quartetto, dove si sentivano la Mosuc e… sussurri sparsi.

Tutti gli altri onestamente all'altezza, anche se Monterone forse meriterebbe di più del prezzemolo Panariello; onesta anche la prestazione del coro di Casoni, non sempre pulitissimo (ma quanto c'entra il Gustavo?)

A proposito, si scopre che Dudamel non è ancora Toscanini (e neanche Gavazzeni, se è per quello): ma se lui dirige un'opera italiana ogni 200 sinfonie tedesche, che si può pretendere? 

Insomma, come antipasto per l'incombente anno verdiano, qualcosina di più Lissner poteva anche cucinarci; però pensando allo scampato pericolo svizzero, tutto sommato ci dobbiamo quasi consolare!

31 gennaio, 2010

Rigoletto in Scala

Dopo Carmen, è arrivato (o tornato) alla Scala il Verdi popolare, con Rigoletto. La prima del 15 e le successive sei recite hanno fatto registrare reazioni mediamente positive, anche se talora venate da una certa noia di chi non ne può più di vedere vecchie produzioni di vecchi rigoletti nucciani, affiancati da gilde e duchi così-così e per di più affidate ad un conductor yankee dalle propensioni nibelungiche; direttore invece osannato – al pari dei protagonisti, pur con qualche distinguo - anche da pezzi grossi della critica.

La recita di oggi pomeriggio presentava il primo cast, ma non al completo. A Nucci e Secco, nei principali ruoli maschili, si è affiancata per la prima volta, quale Gilda, la Aleksandra Kurzak, a rimpiazzare la Elena Mosuc, che ha concluso la sua fatica il 29.

Teatro per nulla pieno come un uovo, a dimostrazione di come neanche il repertorio più tradizionale, quello del bel canto italico, faccia più cassetta.

Ricordo qui – a scoppio ritardato – che già il 7 gennaio, per preparare a dovere gli appassionati, Claudio Toscani aveva tenuto una conferenza introduttiva, invero interessante, dove aveva efficacemente riassunto i principali tratti di quest'opera, tanto conosciuta superficialmente, quanto forse sottovalutata sotto il profilo estetico-artistico: il teatro-verità, mutuato da Hugo, in opposizione al teatro-inverosimiglianza; l'innovativa caratterizzazione dei personaggi, rispetto agli stereotipi della tradizione (il tenore che non è l'eroe, ma un tipo poco raccomandabile, però con qualche slancio sincero; il baritono che è un fin troppo premuroso padre di famiglia, ma anche capace di vendette carognesche; la soprano, che è una ragazza per bene… ma con le sue belle debolezze…); la struttura musicale, che più – meglio dire: oltre - che le tradizionali arie, cantate dal singolo, contiene pezzi d'insieme, perché l'azione possa scorrere speditamente; la mirabile rappresentazione della psicologia e degli stati d'animo dei diversi personaggi, come esce soprattutto dal finale quartetto; e infine, l'abilità di Verdi nell'aggirare i fulmini della censura,fingendo di adeguarvisi, ma allo stesso tempo senza cedere di un millimetro sul piano dei contenuti.

Leo Nucci, che ormai è sulla strada delle 500 buffonate, non ha tradito le attese. Gallina vecchia (o gallo, in questo caso) fa davvero buon brodo. La sua caratterizzazione - scenica, ma soprattutto musicale - del personaggio è fantastica. Se magari tende ad esagerare con il declamato (o l'esclamato) non è certo per mancanza di voce, ma proprio per – giustificata, credo – immedesimazione con il personaggio. Perché una cosa è certa: quando la tira fuori, la sua voce è ancora quella di un quarantenne! Dopodichè, come in tutti i casi della vita, l'assuefazione è sempre in agguato. Ma in questo caso l'assuefazione non è del baritono, che offre il massimo livello artistico in questo difficile – proprio perché famosissimo – ruolo, ma di certo pubblico che magari ha visto la trentesima edizione del suo buffone. Peraltro, oggi pomeriggio, le ovazioni, i bravo, i grande si sono semplicemente sprecati, a scena aperta ed alle numerosissime chiamate finali. Quindi, cento rigoletti ancora di questo Nucci!

Ma Nucci non è una sorpresa, e oggi invece una sorpresa – almeno per la Scala – c'è stata, e come. Si chiama Aleksandra Kurzak, una Gilda di livello notevole. Forse per qualcuno (che l'avrà già sentita nel ruolo ad Amburgo, al MET e a Parma) è stata soltanto, si fa per dire, una conferma, ma tant'è: grande prestazione, voce chiara, ma potente (tale da sovrastare tutti nel quartetto del terzo atto) e capacità di porgere davvero rimarchevole. Successo indiscutibile.

Stefano Secco è stato il tenore che è (!) Un Duca più che discreto, musicalmente corretto (ha fatto bene anche il suo compitino col SI di pensier…) cui mancano un poco di decibel nella voce. La storia dei Duchi – sappiamo – è divisa in due, fra tenori lirici ed eroici, e Secco va ad ingrossare, senza aumentarne il tasso di qualità, quella dei primi. Alla fine qualche isolato dissenso si è fatto sentire dal loggione.

Degli altri… non entro in dettagli, come a dire: non han fatto danni.

Chi merita un encomio è invece Conlon. Altro che nibelunghi (magari le sette recite precedenti, e relative prove, gli son servite da esperienza): sempre misurato, attento a non sovrastare le voci, tempi mai prolissi, né forsennati. Insomma, per essere un americano che a LosAngeles sforna Ring a ripetizione, si sa calare benissimo nel nostro repertorio.

Sulla regia, scene e costumi, si sapeva tutto, roba più che collaudata. Certo qualcuno storcerà il naso per non aver visto Rigoletto nei panni di Emilio Fede, il Duca trasformato in Berlusconi, la Maddalena nella D'Addario e la Gilda in Noemi. Io dico, riaffermo e ribadisco: meglio così!!!