Ieri sera alla Scala terz’ultima recita
dell’ultima (per la stagione) puntata del Progetto
Accademia, con il Rigoletto
di Nucci-Oren (i due tutor che Pereira ha affiancato per
l‘occasione ai giovani accademici).
Teatro pieno se non strapieno (la sesta di Rigoletto-Nucci batte anche la prima di Elisir di parecchie decine di
posti...) per questa decima
consecutiva (!) ripresa dello spettacolo di Gilbert
Deflo, dopo il debutto nell’ormai giurassico 1994: altro che museo!
Personalmente ho visto solo 3 di queste 10 riprese e devo dire che non mi sono
per nulla annoiato, pur ricordando quasi nei dettagli tutto ciò che scorre in
scena: l’interesse (come è naturale, credo, trattandosi di teatro musicale) è per ciò che arriva alle
orecchie e l’occhio non se la prende troppo se l’eccipiente è sempre lo stesso.
Nulla scrivo quindi della (lodevole,
come ormai assodato da decenni) regìa, e passo direttamente ai suoni. Tenendo
ovviamente presente che il grosso degli interpreti è rappresentato da allievi
dell’Accademia, e non da navigati
frequentatori di buca e palco della Scala.
Le due
eccezioni (i fuori-quota, haha!)
devono aver fatto un buon lavoro sui giovani, a giudicare dai confortanti
risultati dell’impresa. E arrivo quasi a dire che gli allievi abbiano superato
i maestri... Perchè Nucci sarà sempre (per altri 500 Rigoletti) un Rigoletto
carismatico, però ormai declama più che cantare e le note di arrivo di
intervalli ascendenti le prende con un semitono, minimo, di avvicinamento: il che è francamente
tipico di schiamazzi da osteria e lascia una sgradevole impressione (per la
cronaca: niente bis vendicativo...
meglio così). Quanto ad Oren, ora che ha passato abbondantemente i 60, non
emette più grugniti da scimpanzè, nè prende il podio come un tappeto elastico,
però la sua concertazione mi è parsa un tantino approssimativa, ecco.
Gli allievi sono tutti da elogiare, se
non altro per non essersi fatti attanagliare dall’emozione: è evidente che
debbano ancora studiare assai per aspirare a salire in SerieA. In particolare i
due deuteragonisti Rodrigo Porras Garulo
e Francesca Manzo sembrano
promettere bene: lui ha una voce da lirico
che forse si adatta meglio a un certo Rossini; lei pure tende a volte a pigolare,
ma ha anche staccato un paio di acuti non disprezzabili. Gli altri, così come
il coro di Salvo Sgrò, non hanno
affatto sfigurato.
Bene anche l’Orchestra, che Oren ha
gestito con prudenza, salvo pochi sconfinamenti nel fracasso gratuito.
Successo calorosissimo (un po’ meno per
Oren) non sai se dettato da... superficialità di un pubblico di turisti o da
comprensibile atteggiamento incoraggiante verso questi giovani virgulti.
Pereira - conti alla mano - credo stia gongolando.
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