trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta strehler. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta strehler. Mostra tutti i post

17 gennaio, 2025

Gatti (e Strehler) fanno rivivere Falstaff alla Scala.

Ancora Verdi in scena per il secondo spettacolo dalla stagione, che presenta una storica produzione dell’opera ultima del Peppino. Ier sera la prima, accolta da un caloroso successo di pubblico (folto sì, ma non proprio da tutto-esaurito, e con qualche defezione lungo il cammino…)

Poche parole per elogiare, a 45 anni di distanza, l’allestimento di Strehler (ripreso da Marina Bianchi) che resta tutt’oggi un esempio di fedeltà a testo e musica, resistente agli attacchi del tempo. Di certo superiore a quello abbastanza velleitario di Michieletto (dato qui ultimamente nel 2017) e al precedente ancora, moderno ma non certo esente a sua volta da critiche, di Carsen (2013-15).

Ecco, di quella ripresa del 2015 resta oggi in piedi il… podio: dove è tornato Daniele Gatti, che quest’opera la conosce come le sue tasche (l’ha diretta tutta a memoria). Se devo fargli un appunto, mi è parso un poco eccedere nelle dinamiche, spesso sovraccaricando il suono dell’orchestra, così correndo il rischio di coprire le voci. A proposito dell’orchestra, una curiosità: dieci anni fa Gatti aveva disposto legni e corni all’estrema sinistra, mentre oggi è tornato ad un layout abbastanza usuale.

Alla fine, per lui e per il coro di Malazzi (come per il team della Bianchi) solo applausi e consensi.

Il cast ha in generale ben meritato. A parte Ambrogio Maestri, che con il passare degli anni e delle… recite sembra ancora migliorare, mi sentirei di dargli dei giudizi che vanno dal buono, al discreto al sufficiente, suddividendolo in tre gruppi: nel primo colloco la Quickly di Marianna Pizzolato, il Ford di Luca Micheletti e il Cajus di Antonino Siragusa; nel secondo la altre tre rappresentanti del sesso debole: la Alice di Rosa Feola, la Nannetta di Rosalia Cid e la Meg di Martina Belli; nel terzo gli altri tre maschietti: Marco Spotti (Pistola), Christian Collia (Bardolfo) e Juan Francisco Gatell (Fenton).

E infine, giusto menzionare il piccolo paggio Lorenzo Forte, un prezzemolino (invenzione di Strehler) davvero bravo e simpatico.

In conclusione, una serata tutto sommato piacevole, in attesa dell’incombente panzer wagneriano.


14 gennaio, 2025

Uno storico Falstaff torna alla Scala.

Come è già accaduto in passate stagioni, la Scala ospita, come seconda opera del cartellone, l’ultimo lascito di Verdi. A proposito di allestimenti che fanno storia, al posto del più recente (Michieletto-2017, creato nel 2013 a Salzburg, che evidentemente ha fatto solo… cronaca) ci viene offerto (ripreso da Marina Bianchi) quello, davvero storico, di Giorgio Strehler, che vide la luce a SantAmbrogio del 1980 e fu poi ripreso già altre sei volte: 82-93-95-97-01-04.

Falstaff è l’opera-testamento di Verdi, o forse sarebbe meglio definirla l’estremo sberleffo (meglio… la burla!) di un genio appagato, ma anche disincantato e capace di sorridere di se stesso e dell’intero mondo del teatro musicale, al quale aveva già dato tutto e dal quale aveva anche ricevuto moltissimo. La partitura è disseminata di reminiscenze, citazioni (soprattutto, ma non solo, auto-) e richiami seri o parodistici a forme e contenuti di tanta musica che aveva percorso l’intero ottocento. Ci troviamo riferimenti alla forma-sonata, alla fuga, al canto gregoriano, a quartetti di Haydn, alla quinta e a sonate di Beethoven, a Mozart e Weber; e poi a Traviata, Trovatore, Aida, al Requiem, ma anche a Carmen, ai Meistersinger e a Parsifal, giusto per citare quasi a caso…

In sostanza, una specie di summa di tanta (se non tutta la) musica che era stata composta o rivalutata in quel secolo che rimarrà nella storia come il più fecondo di innovazioni e di progresso della nostra civiltà musicale. Ma tutto fatto in modo intelligente e… pertinente.

Come nel caso della citazione dal Parsifal di quel Wagner che Verdi non aveva certo in grande simpatia, ma del quale aveva l’onestà intellettuale di riconoscere i meriti, e delle cui opere aveva una curiosità quasi morbosa (si procurò gli spartiti delle più importanti) a dispetto delle critiche anche radicali cui le sottoponeva. Dunque, nel monologo di Falstaff all’inizio dell’Atto III, il protagonista, prefigurando la propria fine, pronuncia la famosa frase (certo una rodomontata, in bocca ad un dongiovanni ormai pensionato e gabbato, invece che ambìto, dalle comari del luogo): Allor scomparirà la vera virilità dal mondo. Ebbene, Verdi come te la chiosa? Così, portandola sulla dominante:

Si tratta di una citazione quasi letterale dal second’atto: musica che colà dipinge la personalità di tale Klingsor, guarda caso un… (auto)castrato!

Il carattere letteralmente rivoluzionario fa di questa musica un unicum nella storia del teatro musicale. E di conseguenza l’opera richiede, anzi pretende, la presenza di un concertatore coi fiocchi per essere resa al meglio.

Al proposito, ecco con quale rispetto e venerazione uno dei più grandi direttori di tutti i tempi affrontava la concertazione dell’opera. Nella sua monumentale biografia di Gustav Mahler, H.L. de La Grange ci informa di quanta autentica adorazione avesse il maestro boemo per Falstaff, di cui fu artefice di due storiche prime nel mondo tedesco: nel gennaio del 1894 ad Amburgo, a poco meno di un anno dall’esordio scaligero dell’opera, e 10 anni più tardi alla Hofoper.

E quanta certosina meticolosità e scrupolo mettesse nell’interpretazione della partitura (la cui strumentazione considerava per l’appunto rivoluzionaria e da cui ricavò abbondanti spunti per sè) è testimoniato da chi assistette alle prove in vista delle rappresentazioni amburghesi. Nel primo atto, le quattro comari, alla lettura delle missive del grasso-gradasso (dopo che Alice ha cantato i mirabili versi e il viso tuo su me risplenderà / come una stella sull'immensità) si fanno una bella sghignazzata, precipitando lungo la triade di MI maggiore, di ben 16 Ah!, su altrettante crome (tranne l’ultimo, una semiminima). Il tutto verrà ripetuto pari-pari in finale d’atto:

Ebbene, il pignolissimo Mahler, per dare a queste risatine un effetto più naturale, chiedeva alle cantanti di interporre due impercettibili pause dopo il secondo e il terzo gruppo di 4 Ah!
___
E proprio un raffinato interprete mahleriano, Daniele Gatti, tornerà per l’occasione sul podio del Piermarini per dirigervi un’opera, a distanza di quasi 10 anni da quando si cimentò proprio in Falstaff, in occasione della ripresa dello spettacolo creato da Carsen nel 2013: una lettura, la sua, allora assai apprezzata da pubblico e critica (e, per quanto può valere, anche dal sottoscritto).

Protagonista nel title-role l’inossidabile Ambrogio Maestri, ormai da tempo uno degli interpreti di riferimento del panciuto e tronfio personaggio windsoriano. Che sarà affiancato da un cast che a sua volta promette assai bene.

Ci sono quindi le premesse per un’altra bella serata di musica!

26 febbraio, 2024

La Scala riesuma – e fa rivivere - il Mozart di Strehler

Dopo le riprese nelle stagioni ’78, ’94 e 2017, la Scala ripropone la mozartiana Die Entführung aus dem Serail come allestita da Giorgio Strehler (e Luciano Damiani per le scene e i costumi) nel lontanissimo ’65 a Salzburg, poi nel ’69 a Firenze e finalmente qui nel ’72.

Oggi la ripresa è affidata a Laura Galmarini (con le luci di Marco Filibeck). Sul podio il rampante Thomas Guggeis, già ben noto a Milano per le presenze al Piermarini e all’Auditorium (oltre che per i suoi trascorsi al Conservatorio). 

Teatro affollato, ma non… issimo, ecco; pubblico però ben disposto, con applausi a scena aperta a tutti i numeri (escluso l’esordio di Pedrillo…) e accoglienza calorosa per tutti alla fine.

Dello spettacolo inutile ripetere la bellezza, incontaminata dopo 55 anni! E a proposito, cito subito l’inossidabile Marco Merlini, sempre strepitoso nella sua gag dell’inizio atto terzo (e anche come coreografo dei Giannizzeri.)

Sven-Eric Bechtolf nella parte di Bassa Selim poi è davvero un lusso…
___
Thomas Guggeis überalles! Cosa non ha cavato da un’orchestrina proprio… settecentesca. Magari col tempo sfronderà la sua direzione dalla (esteriore e scusabile, perché giovanile) …motorietà, ma la sostanza c’è e come, e ora ne abbiamo la conferma anche nel teatro, dopo le eccellenti prestazioni nel sinfonico. Per lui un meritato trionfo. Coretto di Giorgio Martano (con i quattro solisti) impeccabile.

Come si poteva prevedere, Jessica Pratt è stata l’altra trionfatrice della serata: una Konstanze musicalmente quasi perfetta, e non solo negli acuti e nelle colorature, che sono la sua specialità: dopo il massacrante passaggio delle due arie consecutive (Traurigkeit e Martern) l’applauso è scrosciato lungo e intenso.

Benissimo anche la Blonde di Jasmin Delfs: voce pulitissima e ottima presenza scenica (vedi il duetto-scontro con Osmin).

Daniel Behle è stato un Belmonte più che discreto. Gli è stata ancora inspiegabilmente risparmiata la commovente aria N°15 del second’atto, Wenn der Freude Tränen fliessen (manco a dirlo, aria giustamente citata fra le più importanti nella presentazione di Elisabetta Fava sul programma di sala…) Ma si è ben rifatto nella più impegnativa Ich baue ganz auf deine Stärke, che apre l’atto conclusivo.

Michael Laurenz è invece emerso assai bene come Pedrillo, voce squillante e gran presenza scenica.

L’Osmin di Peter Rose fa sempre un figurone grazie a… Damiani e Strehler; vocalmente dignitoso, ma non straordinario (e poco… cattivo, ecco).

Come detto, accoglienza calorosa con picchi per Pratt e Guggeis. In conclusione: una bella serata di musica e di spettacolo! 

01 ottobre, 2023

Le Nozze scaligere: ancora e sempre Strehler


O.T. Ieri sera è iniziata la distribuzione agli abbonati di un ricco volume che ricorda il quarantennale sodalizio del Maestro Chailly con la Scala. Oltre ad una selezione di fotografie di archivio vi compaiono interventi di alcuni musicologi che hanno collaborato o attualmente collaborano con il Teatro (Franco Pulcini, Elisabetta Fava, Elvio Giudici, Giorgio Pestelli, Raffaele Mellace, Angelo Foletto e Andrea Vitalini) preceduti da una prefazione del Sovrintendente Dominique Meyer. Chiude il volume la serie delle 50 locandine di Opere e Concerti diretti fin qui dal Maestro. Un’iniziativa di quelle che solitamente si mettono in atto a distanza di tempo, mentre qui riguarda un personaggio tuttora alla guida musicale del Teatro. Con tutto il rispetto e l‘ammirazione per Chailly, ci trovo francamente un retrogusto di culto della personalità

___
È ormai dal lontano 1981 che le Nozze mozartiane si rappresentano in Scala con l’allestimento di Giorgio Strehler, ripreso, come negli ultimi anni (anzi lustri) da Marina Bianchi; unica eccezione, la fugace parentesi del 2016, Wake-WalkerE devo dire che questo è proprio uno di quegli allestimenti che non invecchiano mai ed è giusto quindi che vengano esibiti come si fa con qualunque grande opera d’arte nei musei! E anche in rete si può sempre godere di questo spettacolo (qui1 e qui2).

Questa ripresa impiega un cast abbondantemente confermato rispetto a quello della precedente (2021, Direttore Daniel Harding) nei ruoli di:

Figaro: Luca Micheletti
Cherubino: Svetlina Stoyanova
DonBartolo: Andrea Concetti
DonBasilio: Matteo Falcier
DonCurzio: Paolo Antonio Nevi
Contadinelle: Silvia Spruzzola e Romina Tomasoni.

I nuovi ingressi sono:

Conte: Ildebrando D’Arcangelo, che fu Figaro nel 2002 e 2006 (poi diede forfait nel 2012)
Contessa: Olga Bezsmertna
Susanna: Benedetta Torre
Marcellina: Rachel Frenkel
Barbarina: Mariya Taniguchi
Antonio: Filippo Ravizza 

La Direzione è affidata al 46enne Andrès Orozco-Estrada (uno che ha opportunamente lasciato la città natale, la famigerata Medellin, per trasferirsi nella un po’ meno pericolosa, almeno per ora, Europa) che torna al Piermarini dopo aver diretto un concerto della Filarmonica quasi 7 anni fa. E proprio il Direttore colombiano è stato l’artefice del successo della recita: con il suo gesto secco e nervoso (a volte persino indiavolato) ha tenuto sempre in pugno la situazione, fin dall’Ouverture, senza cali di tensione né inopportune sbracature. E l’Orchestra lo ha perfettamente assecondato, così come il Coro di Giorgio Martano, che pure ha un impegno non proprio sovrumano.

Bene anche tutto il cast, nei singoli componenti e negli insiemi e concertati. A testimonianza di ciò, le arie sono state tutte invariabilmente accolte da applausi a scena aperta, così come il 4 finali d’atto.

Luca Micheletti è stato un Figaro di grande spessore: la sua voce di basso-baritono ha perfettamente vestito la personalità del servitore fedele ma anche dell’innamorato geloso e sospettoso. Da parte sua Ildebrando D’Arcangelo (passato come detto dal ruolo del titolo a quello del Conte) ha messo la sua lunga esperienza e la sua voce sempre integra e profonda al servizio dello spettacolo.

Ben assortita anche la coppia di protagoniste femminili: Benedetta Torre ha prestato la sua bella voce leggera al personaggio della casta Susanna, mentre Olga Bezsmertna è stata una convincente Contessa, unica, patetica vittima, in fondo, di questa folle journée, confermando l’ottima impressione già data nella recente Rusalka.

Assai efficace Svetlina Stoyanova, un Cherubino che (mi) ha ricordato la grande Teresa Berganza, con Abbado nei lontani anni ’70.

Tutti gli altri indistintamente all’altezza dei rispettivi compiti, dai tre Don (Andrea Concetti e poi Matteo Falcier e Paolo Antonio Nevi) alla Marcellina di Rachel Frenkel, all’Antonio di Filippo Ravizza, alla Barbarina di Mariya Taniguchi (che si è distinta nella sua breve cavatina che apre il 4° atto) e infine alle due contadinelle Silvia Spruzzola e Romina Tomasoni.

Per tutti alla fine applausi convinti, che hanno incorniciato una bella serata di musica.

22 giugno, 2017

Il Ratto-vintage alla Scala


Ieri sera terza delle sei rappresentazioni del mozartiano Ratto nell’ormai 52enne (45enne per la Scala) allestimento della premiata coppia Giorgio Strehler – Luciano Damiani, che aveva debuttato al Piermarini il 15 maggio 1972: allestimento già una prima volta ripreso dalla stessa coppia nel febbraio 1978 e successivamente (giugno 1994) da quel Mattia Testi che lo cura ancor oggi.

E davvero si tratta di un’interpretazione geniale, di assoluta modernità. E tutto senza ricorrere – come accade sempre più spesso - a velleitari quanto strampalati riferimenti all’attualità e/o alla politica. (Per dire: tirare in ballo l’ISIS per rappresentare quella specie di pagliaccio che è Osmin significa recare offesa al genio di Mozart, all’intelligenza del pubblico e alle vittime dei macellai contemporanei.)

Spettacolo che evoca con grande efficacia e gradevolezza proprio l’ambiente delle prime rappresentazoni dell’opera, in quel Burgtheater, direttamente collegato alla residenza dei sovrani, nel quale Giuseppe II assistette alla prima di martedi 16 luglio, 1782. Spettacolo che riproduce lo spirito più autentico di quel genere (Singspiel) che mescolava i tratti dell’operetta buffa a quelli della commedia dell’arte: strepitose in proposito le trovate di Strehler che animano le gag di cui sono protagonisti il farsesco Osmin, il furbastro Pedrillo e, nel terz’atto, il servo muto (che Marco Merlini ha nuovamente re-impersonato dopo l’esordio del lontano 1994!)

Sempre efficace il gioco di luci (di Marco Filibeck) che illuminano i protagonisti durante i parlati e gli ensemble, ma lasciano in penombra il proscenio, dove i cantanti si misurano con le arie. Fa eccezione la spettacolare esecuzione di Martern aller Arten, che avviene a teatro in piena luce e con la cantante sola al proscenio: si tratta invero di una grande aria da concerto, con i 4 strumenti obbligati (flauto, oboe, violino e cello) che merita il privilegio di essere eseguita fuori dal contesto dell’operetta.
___
E sul fronte dei suoni, l’antica consuetudine del venerabile Zubin Mehta con quest’opera (c’era proprio lui sul podio di Salzburg in quel lontano 1965!)


è di per sè una garanzia, che direi proprio abbia funzionato anche in questa occasione. Orchestra a ranghi... mozartiani (40 esecutori o giù di lì) con piccola batteria turca (triangolo, piattini e tamburo); direzione sobria, misurata e rispettosa dei minimi dettagli; concertazione impeccabile e sempre attenta a non coprire le voci con le turcherie che il Teofilo ha disseminato in partitura. 

Voci che nella media (del pollo) raggiungono una striminzita sufficienza. Sopra la quale mi sento di collocare la Sabine Devieilhe: voce sottile ma penetrante, che ben si adatta al personaggio di quella specie di suffragetta che risponde al nome di Blonde. Idem per il Pedrillo di Maximilian Schmitt, voce adeguata al ruolo, timbro squillante e buona intonazione.

Al centro della... classifica metterei la Lenneke Ruiten, che ha bene impressionato per la qualità del timbro e per l’agilità dei virtuosismi, sovracuti (anticipanti Astrifiammante) inclusi. Se avesse anche la (cosiddetta) ottava bassa un filino più robusta e udibile, sarebbe una Konstanze più credibile ancora... ma tant’è.

Sotto la... linea di galleggiamento il Belmonte di Mauro Peter, che stenta a mettere a profitto una voce pur dotata naturalmente: piuttosto piatto il suo approccio, privo di slanci che si pretenderebbero dal personaggio.

Nella... fossa delle Marianne il povero Tobias Kehrer (in tedesco maccheronico: scopatore?) Voce piccola, poco penetrante e addirittura inudibile nei gravi (certo, Mozart per Osmin ha insistito assai sulla parte bassa del rigo di... basso); si salva solo la sua macchietta impreziosita da Strehler. Insomma, questo precursore del Monostatos è proprio una delusione.    

Onesto il coretto dei Giannizzeri di Casoni.

Come detto, Marco Merlini torna dopo 23 anni a divertirci nella scenetta del terz’atto, mentre Cornelius Obonya impersona efficacemente il parlante Selim, una specie di Atatürk ante-litteram.
___
Pubblico scarseggiante (ampi vuoti in platea e palchi) ma prodigo di applausi, a scena aperta dopo i numeri, e alla fine, con ripetute chiamate. Li merita ovviamente e soprattutto l’allestimento!

26 marzo, 2012

Strehler va ancora a Nozze alla Scala


Nuovo – e gradito, a giudicare dall'accoglienza del pubblico non oceanico del Piermarini - revival alla Scala di una produzione storica, ma sempre di grande valore e di attualità: Le Nozze di Figaro del sommo Giorgio Strehler, ripresa per l'occasione da Marina Bianchi.

Poi, tanto per non smentire quella che ormai pare una ferrea regola del Teatro, ecco arrivare puntuale la defezione di uno dei protagonisti, Ildebrando D'Arcangelo, sostituito in Figaro da Nicola Ulivieri

Sul podio un ragazzino - si fa per dire, a 25 anni è incallito fumatore di sigaro e ha un curriculum impressionante, avendo già diretto oltremodo (sic!) la metà delle orchestre del pianeta - Andrea Battistoni da Verona: pare entri nel guinness come il più giovane direttore mai salito sul podio scaligero, beato lui… Forse perché invidiosi di questo primato, i loggionisti del lato destro gli hanno tributato, all'uscita singola finale, una salva di buh (unici della serata, in mezzo ad applausi non isterici, ma robusti). A me, che lo sentivo-vedevo per la prima volta, è parso assai sicuro di sè e per nulla sprovveduto; ha un piglio toscaniniano (vedi l'Ouverture, che ha diretto - non saprei se giudicarlo un pregio o un difetto – battendo il Presto in 4! certo molto diverso dalla compostezza di questo Levine) e persino il gesto (l'ampia sbracciata in chiusura di battuta) ricorda quello del Toscanini che si vede in tanti filmati d'epoca. 
In più ha diretto a memoria (salvo qualche pagina di partitura che ha sfogliato nel terzo atto) il che è comunque un segno di applicazione e di studio. Per lui devono aver fatto un'eccezione persino i famigerati corni filarmonici, con attacchi precisi e assenza di stecche o stonature, il che non è poco. E comunque lui ha almeno cinque anni di tempo davanti a sé per raggiungere (infallibilmente) l'età di altri colleghi che qualcuno fa già passare per fenomeni. Perciò… auguri.

Detto del Kindlein-Kapellmeister, buone notizie dal cast, a cominciare proprio da Nicola Ulivieri, che non ha fatto rimpiangere il forfait-tario D'Arcangelo. Ancor meglio di lui la Contessa, Dorothea Roschmann, che ha tuttora una bella voce e gran recitazione. Su un livello più che dignitoso il Conte di Fabio Capitanucci e la Susanna di Aleksandra Kurzak. Il Cherubino di Katija Dragojevic non ha demeritato, pur non destando entusiasmi (almeno nel sottoscritto). Degli altri, al solito bene la Pretty Yende (Barbarina) ma anche apprezzabili la Marcellina di Natalia Gavrilan e il Basilio di Carlo Bosi, gratificati da applausi dopo le rispettive arie sindacali (l'aggettivo è di Massimo Mila, smile!) del quarto atto. Maurizio Muraro come Bartolo, Emanuele Giannino il giudice don Curzio e Davide Pelissero Antonio: tutti all'altezza dei rispettivi compiti da comprimari. Il coro di Casoni, ultimamente parecchio criticato, non mi è sembrato demeritare, anche perché ha un ruolo francamente tutt'altro che tremendo. Alla fine applausi moderati ma convinti per tutti (cui si sono aggiunti i buh per Battistoni).

Dell'allestimento non si può parlar altro che bene, essendo uscito a suo tempo dalle mani e dalla testa di un maestro assoluto del teatro. Io devo dire che mi ero abbastanza divertito mesi fa alla moderna messinscena di Michieletto (alla Fenice); ma qui con Strehler siamo davvero su un altro pianeta. Francamente non so proprio quante delle regie di oggi verranno ancora riprese nel 2040!