Alpesh Chauhan sta ormai diventando ospite abituale dell’Auditorium: è
infatti al suo terzo appuntamento in tre anni con laVerdi. Per l’occasione dirige un concerto ben
assortito, con musica che va dall’oggi a ieri
all’altroieri!
Dopo
quella recente di Colasanti, ecco una
nuova primizia a testimonianza della vitalità dei nostri compositori: Hello,
World, uscito dalla penna di quella vecchia voce di Radio3 che risponde
al nome di Nicola Campogrande.
L’aquilana
Vittoriana De Amicis ha prestato la
sua bella voce sopranile a questo ciclo di 4 Lieder che ci racconta qualche arcano dell’informatica: come far
dire (o comparire sullo schermo) al computer il messaggio Hello, World impiegando quattro diversi linguaggi di programmazione!
1. Linguaggio B
main( ) {
extrn a, b, c;
putchar(a);
putchar(b); putchar(c); putchar(’!*n’);
}
a ’hell’;
b ’o, w’;
c ’orld’;
2. Linguaggio Unix
Shell
#!/bin/sh
echo “Hello world”
3. Linguaggio Delphi
program Project1;
uses
qdialogs;
const
s
= ‘Hello World’;
begin
showmessage(s);
end
4. Linguaggio Malbolge
(=<`#9]~6ZY32Vx/4Rs+0No-&Jk)”Fh}|Bcy?`=*z]Kw%oG4UUS0/@-ejc(:’8dc
Va da
sè che i simboli - che nei linguaggi di programmazione abbondano, rispetto alla
normale lingua scritta - non siano musicabili,
quindi (in italiano, visto che l’Autore è italiano) ne viene musicata la
pronuncia, tipo chiuse le virgolette
o anche chiocciola o parentesi aperta, cancelletto, e così via. Insomma, un moderno... divertimento. Tutto
sommato gradevole, poichè Campogrande è un esponente di quella che chiamerei corrente nostalgica (in senso
assolutamente buono!) della musica contemporanea. Tanto per dire, il primo brano attacca in RE
maggiore à-la-Korngold e poi presenta
un cantabile in LA (!) Proprio sull’ultima nota la De Amicis sfoggia un MIb
sovracuto degno di...Violetta!
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Due
fratelli tulipani, rispondenti ai
nomi di Lucas e Arthur Jussen (di 28
e 25 anni rispettivamente) si cimentano poi con il Concerto per due pianoforti di Poulenc. Eccoli qui in una
prestazione di pochi anni fa. Invece qui
qualche mia nota in proposito,
scritta più di 8 anni orsono in occasione di un’esecuzione in Auditorium di Lupo & Pedroni.
Brano
di tutta gradevolezza, che i due giovani interpretano quasi (o senza quasi)
divertendosi, e così raccolgono un meritato trionfo, che ci ripagano con un Mozart in salsa italo-svizzera... e poi
con il sommo Bach.
___
Infine si
retrocede in pieno ottocento con il 15enne Mendelssohn
e la sua Prima Sinfonia in DO minore per orchestra a ranghi completi, sfornata
precisamente fra il 3 e il 31 marzo del
1824 (prima ne aveva composte, in soli due anni e tanto per farsi le ossa...
ben 12 per orchestra d’archi!)
È un
frutto ancora piuttosto acerbo e velleitario, se lo si confronta con capolavori
quali l’Ottetto e l’Ouverture del Sogno che arriveranno nel
giro di nemmeno 3 anni. Qui il ragazzo sembra ancora affetto da eccessiva
carica Sturm-und-Drang, per dire: se
si esclude l’Andante, un’oasi di pace
e tranquillità, ricca di spunti degni di nota, la Sinfonia è tutto un
succedersi di motivi dal piglio asfissiante e da dinamiche che raramente
scendono sotto il forte, con rari
momenti meditativi; insomma, una narrativa piuttosto... aggressiva, ecco. E non
è escluso che l’Autore stesso fosse cosciente di ciò, se per le esecuzioni
londinesi del 1829 rimpiazzò il concitato Menuetto
con l’etereo Scherzo del suo
recentissimo Ottetto!
L’Allegro molto di apertura (4/4) presenta
subito il primo tema nervoso in DO minore, che sfocia poi verso la relativa MIb
maggiore, dove ospita dapprima un inciso di sapore beethoveniano (Imperatore) e un motivo di transizione
verso il secondo tema. Che a prima vista sembrerebbe più cantabile, quindi
efficacemente contrastante con il primo. Ma (purtroppo?) solo per poco, poichè
anch’esso si fa ben presto contagiare dalla veemenza dell’altro. Dopo la
canonica ri-esposizione, ecco lo sviluppo, dove Mendelssohn mostra una
certa fantasia nell’intrecciare i motivi e nel divagare su tonalità, come il
SIb maggiore e il RE, poi il FA minore. La ricapitolazione
vede il secondo tema portato a LAb maggiore. Segue una lunga coda basata sul primo tema che transita
temporaneamente a DO maggiore. Nella concitazione permanente viene inserita una
breve oasi di calma, 8 battute dove due corni suonano un SIb in ottava, seguite
da lamenti di legni e archi. Pian piano riprende il primo tema che va a chiudere
pesantemente - ricordando il Mozart
della K550 - sul DO minore di impianto.
L’Andante (3/4, MIb maggiore) è come detto
il movimento più ispirato dei quattro. È sostanzialmente bitematico, ma con i
due temi che hanno grande affinità. Dopo che il primo ha aperto, scendendo nei
violini dalla dominante SIb sulla tonica, il secondo subentra
imprevedibilmente, nel flauto, in DOb maggiore, salendo dalla dominante SOLb
alla mediante MIb per poi degradare lentamente verso SIb. Dopo breve
transizione è su questa tonalità che l’oboe ripropone il primo tema, che viene
ripetuto dai legni. Violini contrappuntati dall’oboe, poi raggiunto dal flauto,
espongono per due volte un motivo che sale di una settima, da dominante a sottodominante,
per poi ripiombare velocemente sulla mediante (RE).
Un
ostinato sforzato degli archi modula
provvisoriamente a FA# maggiore dove i violoncelli ripropongono il secondo
tema, poi ripreso dai violini e dai flauti in SI maggiore. Una transizione ci
riporta al Sib e da qui al MIb dove torna il primo tema nei violini, poi
nell’oboe, con il flauto ad accompagnare con veloci volate in semicroma. Ancora
nei violini contrappuntati da flauto e oboe riappare per due volte il motivo
che scala una settima per calare sulla mediante. Una coda di 12 battute chiude
mirabilmente questo piccolo gioiello.
Ecco
ora il Menuetto, Allegro molto, 6/4, DO minore. Ha una struttura
e il piglio di uno Scherzo
indiavolato. Come di prammatica presenta due sezioni (da ripetersi) di cui la
seconda è un’estensione della prima. Quest’ultima inizia con il tema energico
esposto dai violini, tema che ben presto sfocia sulla relativa MIb maggiore. La
seconda sezione, più vasta, ripresenta il trema con diverse modulazioni: dapprima
a REb e poi a DO maggiore. Il ritorno a DO minore sopraggiunge per chiudere
questo pseudo-minuetto.
Il Trio - due sezioni da ripetersi più una
terza - scende plagalmente alla sottodominante LAb maggiore, con un specie di
corale di clarinetti e fagotti, che i flauti chiudono tornando a MIb. La
seconda sezione riprende il motivo in REb per poi chiudere sul LAb. La terza
sezione inizia (fagotti e flauti) degradando dalla settima abbassata (SOLb)
alla dominante MIb. Qui arriva una sommessa transizione, protagonisti archi
e... timpani (secondo molti osservatori: Beethoven
Quinta) che ci riporta a DO minore: sono gli archi ad introdurre - a mo’ di
rincorsa - il ritmo che prepara il ritorno al Menuetto (senza ripetizioni).
Il
conclusivo Allegro con fuoco (4/4, DO
minore) prosegue e conclude quest’opera in modo davvero ossessionante,
esasperando se possibile l’atmosfera mozartiana del finale della K550. È in forma-sonata, quindi
l’esposizione presenta due temi contrapposti: il primo è composto da due frasi,
una concisa, da ripetersi, che riprende veloci discese degli archi già comparse
nell’Allegro iniziale (e richiamate
anche nel Menuetto) e chiude sul SOL;
l’altra caratterizzata da tre lamenti dei clarinetti e chiusa dagli archi sul
DO. Dopo la reiterazione, questa seconda frase viene sviluppata assai, riproponendo
le discese negli archi e virando appropriatamente verso la tonalità di MIb
minore. Chiude una melodrammatica discesa di clarinetto e fagotto verso il MIb
maggiore, dove si presenta il secondo tema.
Tema
curiosamente abbordato dai soli archi con un lungo pizzicato di 28 battute, dalla 13ma delle quali si modula a SIb
maggiore, dove il clarinetto espone il suo tema; che poi, sul terminare del
pizzicato degli archi, modula al MIb maggiore. E qui abbiamo - in luogo di un
canonico sviluppo - un lungo passaggio
dal cipiglio marziale, pare una pesante cadenza di fine opera, preannuncia il
finale del futuro celebre concerto per violino, chiude su 5 trilli del flauto
ma... vira repentinamente e sommessamente a DO minore, dove gli subentra sorprendentemente
una fuga in piena regola! Evidentemente
Bach era già ben presente nel mondo estetico del ragazzo, che 5 anni più tardi a
Berlino riesumerà in modo spettacolare la Matthäus-Passion.
La
fuga (in due sezioni) esplora principalmente le tonalità di SOL minore e poi MIb
maggiore, chiudendo sul DO minore e sulla seconda parte della prima frase del primo
tema, per preparare la ricapitolazione.
Il primo tema viene ripresentato senza le due ripetizioni (11 battute in meno)
e con un piccolo ulteriore taglio di 6 battute. Questa volta non modula a MIb,
ma chiude sulla settima di dominante di DO minore dove riudiamo in clarinetto e
fagotto, più il flauto, la caduta dalla sottodominante FA alla tonica DO. Riudiamo
le battute in pizzicato degli archi che introducono il secondo tema, esposto
ora in DO minore dal flauto, partendo dalla dominante SOL. Dopo una rapida
escursione a LAb maggiore si torna a DO minore, con il passaggio marziale che
porta alla ricomparsa della fuga,
sempre nella tonalità di impianto, ma qui accorciata alla sola prima sezione.
Subitaneamente
si passa da DO minore a DO maggiore (Più
stretto) per la perorazione finale, 30 battute assai retoriche, tutte in ff (ma solo perchè ancora fff e ffff non erano stati inventati...)
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Maiuscola
la prova dell’Orchestra, che Chauhan ha impegnato allo spasimo, tenendo tempi
serratissimi, come da copione. In compenso, dall’Andante ha saputo cavar fuori tutto il lirismo e la poesia che lo
caratterizzano.
Anche
lui ormai è un beniamino del pubblico e dell’Orchestra, che gli ha riservato un
applauso ritmato, cui il giovane maestro ha risposto con parole di ammirazione
e ringraziamento.