Seconda
consecutiva indigestione di Ciajkovski, ancora con Zhang Xian sul
podio. Concerto doverosamente dedicato alla memoria - 10 anni dalla scomparsa -
di Renata Tebaldi, che è anche al
centro di una bella mostra fotografica sulle pareti del bar-foyer
dell’Auditorium. In programma ben quattro poemi sinfonici (Ciajkovski li
chiamava ouverture-fantasia o semplicemente
fantasia) ispirati (direttamente o
meno) a Shakespeare.
L’impiego
della musica senza parole (e/o senza
immagini) per rappresentare contenuti extra-musicali, come sono i testi
letterari, inclusi oggetti o concetti o personaggi, è vecchio quanto la musica;
e altrettanto vecchie sono le diatribe tra chi sostiene che la musica sia
capace di descrivere e chi nega con
forza tale prerogativa. Personalmente ho espresso il mio parere (negativo) che
non sto a ripetere qui, rimandando i perditempo a questopost di qualche anno fa.
Ciajkovski
- seguendo (in buona compagnia: Dvorak, Franck, Smetana, tanto per citare qualche
suo famoso contemporaneo) le orme di Liszt e precorrendo di poco quelle di
Strauss, Sibelius e giù giù fino a Respighi – si dedicò assiduamente a questo
genere di opera, e i 4 brani inclusi in questo concerto costituiscono il grosso
della produzione del nostro.
Si
comincia con La tempesta, opera abbastanza giovanile (guarda caso invece:
l’ultima, o quasi, del bardo) ma forse superiore per ispirazione e struttura
anche a lavori successivi e più maturi. In calce alla partitura venne
pubblicato un suo succinto programma proposto
da Stasov (che forse con questi suggerimenti
sperava di attirare Ciajkovski nella ragnatela del Gruppo dei cinque…):
___
Lo
scenario che Ciajkovski presenta alle nostre orecchie è quello del mare. Siamo in Andante con moto, 3/4 in FA minore. Dopo l’introduzione di un
corale statico dei fiati, sono gli archi a muovere
le acque, sulle quali udiamo il tema del mare in calma, ampio e maestoso, esposto
(30”)
dai due corni in unisono:
Da
notare la meticolosità con cui Ciajkovski evoca l’agitarsi, per ora tranquillo, delle onde:
tutti gli archi, salvo i bassi, sono divisi
in tre, così come pure tre sono i diversi ritmi
sui quali suonano (terzine per violini primi e celli, semicrome per violini
secondi, crome per le viole, mentre i bassi aprono ogni battuta in sincope).
Flauto-oboe e poi clarinetto-fagotto espongono figurazioni mosse (i riflessi
del sole sull’acqua? lo svolazzare di gabbiani? o Ariel, lo spirito del vento che per ora sonnecchia?) mentre altri
corni e trombe ci fanno udire un inciso marziale, che si ingigantirà fra poco
all’arrivo del mago Prospero, padrone dell’isola incantata. Il tema del mare
viene reiterato dai corni, anche una terza
sotto (dal RE) e poi la sua chiusa (che scala un’intera ottava) viene ripresa
in successione dai fiati. Riudiamo le figurazioni mosse, poi ecco un temporaneo
ritorno della calma (3’17”) che prelude all’ingresso
sulla scena del… padrone.
A 3’36”
(Allegro moderato) si presenta infatti Prospero, introdotto da pesanti minime dei violoncelli sulle quali
violini e strumentini innestano mulinelli di vento (è Ariel, scalpitante e
recalcitrante, ma richiamato all’ordine dal suo padrone) prima che il tema (in
LAb maggiore) venga esposto (3’49”) dai legni, con gli archi in
pizzicato e i corni a tambureggiarne il ritmo:
Violini, viole e strumentini, con i corni ad
incalzare, sembrano proprio evocare l’insofferenza dello spirito eolico davanti al padrone, che infine (4’43”, Andante alla breve) con tutta la sua
autorità e prosopopea, marcata da una doppia e solenne esposizione del suo tema
negli ottoni in corale, gli ordina di
scatenare la tempesta.
Che
arriva a 5’24”, in Allegro vivace,
annunciata da possenti minime dei
fagotti, all’unisono con la tuba, mentre i timpani caricano l’atmosfera di
tensione e gli archi cominciano ad evocare il montare delle onde:
Adesso
il vento (folate ascendenti dell’ottavino) mette in totale subbuglio anche il
mare, il cui tema udiamo ripetutamente (da 5’51”) esposto dei corni, richiesti
di suonare con la campana rivolta in alto.
7’00” Ecco una nave (non una qualunque, ma quella per cui tutto l’amba-aradam è stato
scatenato da Prospero!) finire in mezzo alla tempesta, squassata e sballottata
senza più governo, finchè (da 7’15”) viene irresistibilmente
spinta verso l’isola, dove infine (7’27”) si consuma il naufragio! I
temi del mare e della tempesta accompagnano i superstiti verso la spiaggia.
8’38”
Ora tutto è calma e pace, e l’isola accoglie i
naufraghi (qui ci si occuperà solo del più importante di costoro: Ferdinand…) La natura ospitale fa da
sfondo al nascere, prima timido, poi irresistibile, di un amore: è Ferdinand a
vedere per primo e ad invaghirsi della bella (ma forse infelice, date le
circostanze) figlia di Prospero, Miranda,
oppure è lei che, accorsa per dare aiuto ai naufraghi, si imbatte nel principe
di Napoli e vi trova subito il suo principe
azzurro? Mah, questo forse la musica non ce lo chiarisce, sta di fatto che
la scena è quella classicamente adatta a costruirci l’immancabile love-theme (senza del quale qualsiasi
pezzo musicale di questo tipo perderebbe parecchio senso…) Nella fattispecie si
tratta di un caldo tema in SOLb maggiore (Andante
con moto, 3/4) esposto inizialmente dai violoncelli abbrunati:
Il
tema ha qualche apparente tentennamento (sì, non è proprio un amore che scoppia
in modo travolgente, ma un sentimento che cresce e si irrobustisce) ma poi viene
ripreso a piena orchestra (da 9’32”, Poco più animato) per lasciar spazio ad un controsoggetto, in Andantino (10’03”):
Motivo
che si sviluppa assai, prima di sfociare (10’57”) ancora nel tema principale
esposto ora in SIb (Andante mosso)
che poi si acqueta per lasciare spazio (11’32”) ad una dolce cadenza dei fiati,
subito ripresa dagli archi e che porta lentamente ad un provvisorio epilogo,
con il tema principale riproposto sempre in SIb dai corni (12’25”) e quasi cullato
dalle terzine dei violini.
Forse
è l’amore fra i due giovani ad aver bisogno di qualche… periodo di
assestamento, e così ecco che nel racconto musicale si inserisce (12’52”)
un siparietto movimentato: si tratta di un alterco fra Ariel e lo sbifido Caliban. L’atmosfera si riscalda
parecchio (siamo ora in Allegro animato)
e la baruffa fra i due vede protagonisti i fiati (Ariel) e gli archi (Caliban)
con picche e ripicche alternate ad autentiche risse sonore, che si protraggono
fino ad esplodere in un Allegro vivo,
costellato da strappi in ffff (!)
finchè i fiati sembrano prendere il sopravvento con ripetuti colpi sotto i
quali gli archi rimangono quasi schiacciati e incapaci di muoversi, restando
infine come a miagolare su semicrome ribattute, mentre il suono si smorza per
fare spazio al ritorno (15’27”) del tema dell’amore, adesso
esposto, in LAb, Andante non tanto, con
grande nobiltà ed enfasi. Torna anche il secondo motivo (16’27”) che poi sfocia
nella riesposizione del primo (16’52”) in forma cadenzante (Allargando) che dà l’impressione di
condurre ad un definitivo epilogo dell’episodio amoroso. Ma è proprio una…
finta, poiché ecco (18’33”, Allegro molto)
un forsennato crescendo di semicrome negli archi portare (18’46”) ad un’autentica
apoteosi del tema dell’amore (Andante non
tanto, con archi e legni in fffff!)
E
non è finita, poiché c’è ancora da… sistemare Prospero: a 19’43” un fragoroso Allegro risoluto dell’intera orchestra
ci evoca il mago-duca che, ottenuto il suo scopo, rinuncia alla magia e se ne
torna a Milano, seguito dalla fanfara dei corni e dal suo lungo e religioso
corale in DO maggiore (20’35”, Andante con moto). Adesso basta? Eh no, poiché Prospero per tornare
a casa deve pur rimettersi in mare: ed ecco quindi (21’27”) tornare il tema
iniziale, in FA minore nei corni, con gli svolazzi di Ariel, prima del
definitivo, lento spegnersi dei suoni, sul FA degli archi in pizzicato e i
rintocchi del timpano.
___
Ecco
poi la più matura Francesca da Rimini (qui Shakespeare non c’entra direttamente,
ma trasversalmente, per analogia con la Giulietta).
Ciajkovski fece precedere la partitura da un sunto e poi dai versi danteschi che
raccontano la storia d’amore e di sangue di cui furono testimoni le mura del castello
di Gradara, dove la bella da Polenta e
il Bello cognatino suo fecero una bruttissima
fine per mano del cornuto Zoctus:
L’opera è macroscopicamente suddivisa in tre sezioni, di cui le due esterne dovrebbero rappresentare lo scenario infernale e quella centrale l’idillio amoroso. In mancanza di indicazioni di dettaglio, sta a ciascuno di noi, guidato dal sommario programma che l’Autore ha proposto, di associare le note a luoghi, fatti, personaggi, concetti, stati d’animo… e quant’altro. (Oppure di ascoltare la musica senza pensare a riferimenti qualsivoglia: a volte conviene!)
3’33” Ecco (siamo passati a 6/8 Allegro vivo) ora possiamo immaginare che si alzi il turbine che
avvolge e trascina con sé i dannati lussuriosi. In orchestra si alternano gli
archi, ad evocare le raffiche del vento, e gli strumentini, che ne
rappresentano il sibilare, tra le gole del girone. A 4’51” un fortissimo generale ci conduce alla
vista dei dannati che roteano sballottati dalla bufera:
Ma ecco che un paio dei derelitti volanti si
deve essere momentaneamente fermato, accostandosi al bordo del girone: a 8’47”
Il clarinetto solo espone una lenta melopea, che introduce la seconda sezione
del brano, e precisamente il tema-a
dell’amore di Francesca e Paolo, suonato dallo stesso clarinetto (9’19”,
Andante cantabile non troppo) su
accompagnamento molto discreto degli archi. I quali a 9’55” espongono a loro
volta il tema-b, che si sviluppa
ulteriormente, arricchendosi di un altro paio di motivi, prima di sfumare verso
una breve transizione (11’50”) nel clarinetto accompagnato
da violini primi e viole. Un frammento del tema-b
si ritroverà come citazione nel quasi contemporaneo Onegin, introduzione dell’aria
della lettera di Tatjana:
A 22’58”, Poco più mosso, si chiude con un concitato crescendo, culminante in
9 mazzate (è forse Dante che stramazza
come corpo morto?) e nel conclusivo MI
all’unisono.
L’opera è macroscopicamente suddivisa in tre sezioni, di cui le due esterne dovrebbero rappresentare lo scenario infernale e quella centrale l’idillio amoroso. In mancanza di indicazioni di dettaglio, sta a ciascuno di noi, guidato dal sommario programma che l’Autore ha proposto, di associare le note a luoghi, fatti, personaggi, concetti, stati d’animo… e quant’altro. (Oppure di ascoltare la musica senza pensare a riferimenti qualsivoglia: a volte conviene!)
Anche qui,
proviamo a districarci con l’aiuto di Vladimir
Fedoseyev e dei suoi radio-moscoviti.
___
La prima sezione si apre con un rabbrividente colpo
di tam-tam, sovrapposto ai LAb di fagotti e archi bassi: siamo in un Andante lugubre in 4/4, che possiamo
immaginare come un’introduzione, dove incontriamo Virgilio e Dante che si aggirano
nell’oltretomba, e poi (33”) cominciano a discendere -
insieme a fagotti, tromboni, tuba e archi bassi – verso il secondo girone. A 1’19”
un nuovo colpo di tam-tam (Più mosso.
Moderato) apre davanti agli occhi dei due pellegrini (e ai nostri) uno
scenario, come dire… infernale? Ancora un paio di interventi del tam-tam, sul
secondo dei quali (3’05”) sembra di vedere i nostri due umani attoniti e increduli
di fronte allo spettacolo che si prospetta alla loro vista.
Gli ottoni a 5’41” sembrano mostrarci il
passaggio dei poveracci, che riprende fortissimo (6’40”) per poi sfumare
lentamente, finchè un nuovo colpo di tam-tam (7’50”) pare spostare
nuovamente la nostra attenzione su Dante e Virgilio, letteralmente allibiti di
fronte a tanto spettacolo.
A 12’03” riudiamo il tema-a in flauto e oboe, poi (12’31”)
ecco il tema-b riapparire in violini
e violoncelli, con gli strumentini ad abbellirlo di veloci terzine. A 13’25”
abbiamo un repentino rarefarsi della melodia, rotto poi dagli svolazzi dei
flauti, prima che (14’07”) torni il tema-a
nei violoncelli, sempre accompagnato dalle veloci crome dei flauti.
A 15’02” segue una lunga transizione
dominata dal corno inglese, poi oboe (poco dopo dal flauto) ed arpa, con
successivi interventi di corno e clarinetto; è un’atmosfera carica di tensione,
forse il momento in cui sta per scoppiare la passione fra i due amanti:
svolazzi ascendenti di semicrome e biscrome dei violini alimentano l’attesa,
finchè (17’23”) riecco il tema-a
in flauti e oboi, poi (17’43”) ripreso dagli archi, che lo
sviluppano fino (18’04”) ad un crescendo generale sfociante a 18’36”
nell’esplosione del tema-b in trombe,
tromboni e tuba nel pieno orchestrale, tema poi ripreso (19’08”) dagli archi e
legni che lo conducono alla conclusione, su uno dei motivi secondari.
A 20’00” compare inaspettatamente una fanfara
nei corni (la ritroveremo dopo qualche anno nientemeno che nell’Ouverture 1812!) Sarà mica Gianciotto che fa irruzione con la spada
sguainata nella sala dove i due amanti trescano ai suoi danni? Fanfara che si
scatena ulteriormente e pone fine all’atto impuro! Un mesto corale (20’23”)
evoca le esequie dei due poveri destinati all’inferno.
20’38” Eccoci ormai alla terza e conclusiva sezione (Allegro vivo) con la ripresa del turbine
che trascina al suo interno i lussuriosi: sono sempre le sezioni degli archi e
dei fiati ad alternarsi nel prefigurare l’arrivo della buriana, che (21’52”)
torna a fagocitare nei suoi vortici anche i due poveri amanti romagnoli.
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Dopo l’intervallo tocca ad Hamlet, opera della maturità (coeva della Quinta) che verrà poi affiancata (e ne sarà alimento) da musiche di scena per una rappresentazione teatrale della tragedia. Qui l’efficacia evocativa del brano non mi pare proprio così alta, e personalmente condivido in pieno la conclusione che Paul Serotsky ha posto in calce alla sua breve ma fulminante analisi del brano: se il titolo fosse Coriolano, cambierebbe qualcosa? (stra-smile!)
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Chiude
Romeo
e Giulietta, annunciata - fin dal programma generale della stagione - nella
prima versione del 1869. Invece quasi
all’ultimo momento si è ripiegato sulla versione definitiva del 1880. Sulle
differenze strutturali fra questa e quella originale ho scritto qualcosa mesi
fa in occasione di un’esecuzione qui in
Auditorium con Ceccato.
Esecuzione
che non ha fatto altro che confermare la compattezza dell’Orchestra e la bravura
dei tanti singoli che hanno avuto modo
di distinguersi, sotto la bacchetta sempre precisa e senza fronzoli della Xian. Per questo è quanto mai doveroso…
Anche qui noi
possiamo apprezzare le capacità evocatrici della musica: sapendo a-priori di che si tratta riusciamo facilmente ad associare il corale a Lorenzo, i fracassi alla faida Montecchi-Capuleti e il languido
tema all’amore fra i due sfortunati ragazzi di Verona. Ora, applicando l’argomentazione
di Serotsky a proposito dell’Hamlet, domandiamoci: se il titolo fosse Orazi e Curiazi, non potremmo tranquillamente
associare il corale a Tullo Ostilio, il fracasso alla faida Roma-Albalonga e il
languido tema all’amore fra la Camilla romana e il Curiazio nemico? Ecco, appunto…
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Torno al concerto,
per esprimere una serena critica a queste scelte di confezionare programmi monopolizzati da uno stesso autore, e per di più
(come in questo caso) con opere dello stesso genere: il rischio di saturazione delle
capacità… digestive del pubblico diventa assai alto (anche troppo caviale alla fine stanca). Immagino che proprio
la consapevolezza del rischio abbia spinto il programmatore del concerto ad introdurvi
un elemento di distrazione (in senso buono,
come si fa con il classico sorbetto messo tra portate robuste in un pranzo di nozze!) costituito
nella fattispecie da letture di brani
delle corrispondenti opere letterarie proposte dall’attore Federico Manfredi subito prima di ciascuna esecuzione musicale.
sostenere
laVERDI!
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